Torino, il Museo della Rai: un viaggio nella storia della radio e della televisione

 A pochi passi dalla Mole Antonelliana, nel cuore della città di Torino, sorge un luogo che racconta oltre un secolo di evoluzione dei mezzi di comunicazione: il Museo della Radio e della Televisione della Rai. Situato all’interno del Centro di Produzione Rai di via Giuseppe Verdi 16, il museo offre un percorso immersivo tra apparecchiature storiche, documenti e testimonianze che ripercorrono la storia della radio e della televisione italiana.

URI, EIAR, RAI: un breve viaggio in pillole (radiofoniche)

Torino on air. La città piemontese si affaccia al mondo della radio nel 1924, anno della fondazione dell‘Unione Radiofonica italiana (URI), la prima società italiana a trasmettere programmi radiofonici. Qualche anno dopo, nel 1927, l’URI si trasforma in EIAR (Ente italiano per le Audizioni Radiofoniche) e verrà utilizzata, durante il regime fascista, soprattutto per la propaganda, con programmi controllati dal governo.

Nel 1932, l’EIAR acquisisce il teatro di Torino di via Verdi che, rinnovato in base alle esigenze radiofoniche, è la sede per gli auditori delle stazioni settentrionali. Qui, dopo la fusione dell’orchestra di Milano con quella piemontese, si terranno i primi concerti del nuovo complesso sinfonico.

Si formano compagnie di prosa, orchestre di musica leggera e compagnie di rivista. Cresce l’orgoglio di fare radio a Torino e gli uomini di cultura credono nella radio e la sostengono.

Negli anni, si sviluppa un grande patrimonio culturale, storico, tecnologico e umano che ruota intorno alla radio.

Nel 1934, nasce la RAI (Radio audizioni italiane), sotto il controllo dello Stato e con una missione più ampia: quella di educare e informare un’Italia in piena ricostruzione.

 

Il centro di produzione Rai “Piero Angela”

Piero Angela , torinese di nascita, è il personaggio televisivo per eccellenza da ricondurre alla storia della radio e della televisione e alla città torinese.

Cresciuto professionalmente a Torino, è diventato un mito italiano della televisione. Avviata la sua carriera giornalistica in Rai proprio nella redazione di Torino, come cronista radiofonico, è diventato conduttore e divulgatore scientifico di grande successo.

Il 1º ottobre 2024, durante il 76º Prix Italia (il più antico concorso internazionale dedicato alle migliori produzioni radiofoniche, televisive e multimediali), il Centro è stato intitolato proprio a Piero Angela. Nei giorni del Prix, inoltre, l’artista di strada Piskv ha realizzato un murale permanente che ritrae Piero Angela, utilizzando la facciata della palazzina posta a destra dell’ingresso del Centro di Produzione.

 

La nascita del Museo

Il primo progetto per la creazione di un Museo della Radio risale al 1939. Gli eventi bellici interruppero il progetto, che fu ripreso tra il 1965 e il 1968 da una commissione di esperti, tra i quali l’ingegner Banfi, già direttore tecnico dell’EIAR.

Nel 1984, in occasione della mostra “La Radio, storia di sessant’anni: 1924-1984”, grazie all’opera di Romeo Scribani, funzionario Rai e primo curatore del Museo, gli oggetti e i documenti raccolti trovarono una sistemazione provvisoria presso il Centro di Produzione della Rai di Torino e venne presentata per la prima volta al pubblico.

La vera e propria inaugurazione del Museo risale al 1993: la raccolta fu ordinata, restaurata e ampliata e trovò una sede espositiva permanente nella sala Enrico Marchesi, presso l’attuale Centro di Produzione Rai nella città piemontese.

Abbracciamo il presente, Valorizziamo il passato, Ci apriamo al futuro

Questa la vision con cui il direttore Alberto Allegranza ha ideato, a inizio 2020, l’attuale Museo.

 

Un percorso tra passato e futuro

L’affascinante Museo storico della radio racconta una storia senza precedenti, che ha creato modo di comunicare innovativo, sia in radio che in televisione.
Quasi ottocento oggetti originali e funzionanti, pezzi storici e singolari della radiofonia, dalla preistoria di Marconi, alla radio moderna.
Inaugurato ufficialmente nel 1993, il Museo della Radio e della Televisione si è trasformato nel tempo in uno spazio multimediale e interattivo. Il percorso espositivo si snoda attraverso tre sezioni principali:
  • Le origini della comunicazione a distanza. Qui si possono ammirare strumenti pionieristici come il telegrafo, il telefono, l’Araldo telefonico, le onde hertziane e il detector di Marconi, simbolo delle prime trasmissioni via etere;
  • l’epoca d’oro della radio. Dagli eleganti apparecchi radiofonici degli anni Trenta alle radio pubblicitarie del Novecento, questa sezione racconta il ruolo centrale della radio nella società italiana;

 

Modelli di microfoni utilizzati in radio e in televisione dagli anni '50
Modelli di microfoni utilizzati in radio e in televisione dagli anni ’50
  • l’evoluzione della televisione. Dalla televisione meccanica di Baird del 1928 fino ai moderni schermi digitali, passando per il bianco e nero e l’introduzione del colore.
I vari modelli della tv
Sviluppo della tv elettronica, prima in bianco e nero, poi a colori, fino alla transizione al digitale

Interattività e pezzi storici

Oltre ai reperti d’epoca, il museo permette ai visitatori di vivere un’esperienza interattiva unica.
Un’area speciale consente di mettersi nei panni di conduttori, cameraman o cantanti, utilizzando attrezzature originali ancora funzionanti. Un banco regia completo di mixer audio e mixer video, una cinepresa con cui il visitatore-regista può improvvisarsi cameramen professionista, uno studio televisivo che fa sognare i visitatori di trovarsi in tv, anche solo per cinque minuti.
Si procede con oggetti e costumi di alcune vecchie trasmissioni come la cabina di Rischiatutto o fotografie del programma Arrivi e Partenze.
Tra i reperti esposti spiccano costumi di scena appartenuti a icone della televisione italiana come Raffaella Carrà, Mike Bongiorno e Mina.
Alla fine del percorso è possibile immergersi in un angolo  speciale che fa tornare bambini: la sezione dedicata a L’Albero Azzurro e La Melevisione, i due programmi televisivi per bambini più longevi della televisione italiana.
Basta qualche passo e si arriva dritti nel magico mondo del Fantabosco, dove spiccano le indimenticabili e iconiche figure di Tonio Cartonio, Lupo Lucio e Strega Varana.
Collezione degli elementi di scena de La Melevisione
Collezione degli elementi di scena de La Melevisione

Sembra quasi di sentire la voce del pupazzo Dodò e le risate dei bambini risuonare tra i colori del suo nido! Il visitatore entra in contatto diretto con il racconto di un programma che ha fatto della creatività e dell’educazione televisiva il suo punto di forza.

Il programma televisivo italiano Rai per bambini L'albero azzurro, trasmesso sin dalla prima edizione dal Centro di produzione Rai di Torino
Il programma televisivo italiano Rai per bambini L’albero azzurro, trasmesso sin dalla prima edizione dal Centro di produzione Rai di Torino
Un museo per tutti, con ingresso gratuito. Un’occasione imperdibile per chiunque voglia scoprire da vicino la storia della radio e della televisione in Italia. Un viaggio tra immagini, cimeli storici ed esperienze impressi nella memoria della storia dei media italiani.
Il Museo della Radio e della Televisione rappresenta un luogo in cui passato e futuro si incontrano. Racconta l’evoluzione di due mezzi che hanno rivoluzionato il modo di informare e intrattenere il pubblico, un modo del tutto innovativo e antenato del nostro progresso tecnologico.
Elisa Guarnera

Daredevil: Rinascita – La serie Marvel di cui avevamo bisogno

I primi episodi della nuova serie Marvel sono promettenti, Charlie Cox e Vincent D’Onofrio offrono prove convincenti, con interessanti prospettive per i rispettivi archi narrativi, ma aspettiamo conferme dagli episodi successivi. Voto UvM: 3/5

Daredevil: Rinascita è una delle serie più attese del Marvel Cinematic Universe (MCU), segnata dal ritorno di Charlie Cox nei panni di Matt Murdock/Daredevil e di Vincent D’Onofrio come Wilson Fisk/Kingpin. La serie, destinata a Disney+, promette di rilanciare il personaggio dopo la popolare serie Netflix Daredevil (2015-2018).

1. Il ritorno di Matt Murdock

2. La trama dei primi episodi

3. Una serie in cerca di conferme

4. Quale futuro?

5. Conclusioni

Il ritorno di Matt Murdock

Annunciata inizialmente come serie di 18 episodi, la nuova avventura televisiva di Matt Murdock nasce come tentativo di portare all’interno del MCU i personaggi del franchise di Netflix. I Marvel Studios tuttavia, non soddisfatti del risultato, hanno deciso di resettare la produzione e di riscrivere il progetto.

La serie, che ha debuttato su Disney+ il 5 Marzo con i primi due episodi è a tutti gli effetti la prima parte di un progetto diviso in due stagioni da 9 episodi, con una struttura narrativa a metà tra narrazione episodica e macro-trama orizzontale. E la puntata pilota sembra quasi un’estensione dell’ultima stagione dello show targato Netflix non solo per quello che succede ma per il suo valore produttivo, per la regia audace, per le scelte visive coraggiose. Sia perciò chiaro che questo vecchio-nuovo Daredevil è un soft-reboot che vuole apertamente citare le atmosfere mature e violente del franchise di Netflix.

Daredevil
Matt Murdock a.k.a. Daredevil – © Disney Plus

 

La trama dei primi episodi

Sicuramente l’intento di questa serie è sfruttare quanto di buono fatto dalla serie Netflix e sembra che i presupposti siano molto buoni. La serie riprende dunque le fila di un discorso interrotto anni fa e continua a farci seguire le avventure di un avvocato non vedente con abilità potenziate in quel di New York. E la storia, anche fumettistica se volete, del personaggio è proprio questa: una carriera professionale e uno studio legale da portare avanti e una lotta per la giustizia che va combattuta anche fuori dalle aule di un tribunale.

Tutto converge nell’incontro-scontro, inizialmente dialettico, tra Matt Murdock e il suo arcinemico storico, Wilson Fisk. Ottimo in tal senso il lavoro di entrambi gli interpreti, di Cox come di Vincent D’Onofrio, che danno solidità emotiva ai rispettivi archi narrativi.

Daredevil
Matt Murdock (Charlie Cox) e Wilson Fisk (Vincent D’Onofrio) in una scena del primo episodio – © Disney Plus

 

Una serie in cerca di conferme

Anche l’azione è in linea con il precedente in casa Netflix. Non si è commesso l’errore di ridimensionare la solida componente action, né di annacquarne lo spirito crudo e cupo con un approccio più leggero. Non nei primi episodi almeno, in cui abbiamo almeno un’ottima sequenza di combattimento: è azione dura, solida, tangibile, che mette i personaggi al centro e fa sì che lo spettatore possa partecipare emotivamente.

Insomma un inizio più che promettente, che però ci riserviamo di valutare di settimana in settimana, tenendoci per ora cauti sul giudizio complessivo. Infatti, salvo poche eccezioni, sono poco le serie tv del MCU ad aver mantenuto i buoni propositi mostrati coi primi episodi. Se la qualità dovesse confermarsi quella dei primi episodi, saremmo senza ombra di dubbio di fronte ad uno dei migliori prodotti Marvel degli ultimi anni. L’obiettivo dev’essere quindi mantenere la qualità narrativa e l’approfondimento dei personaggi.

 

Quale futuro?

L’integrazione di Daredevil nel MCU apre a numerose possibilità narrative. Matt Murdock potrebbe apparire in altri progetti legati a New York, come Spider-Man 4 o i futuri film dedicati agli Avengers. Inoltre, il ritorno di Kingpin potrebbe portare a una rivalità su scala più ampia, magari collegata a un adattamento di Shadowland o altre storie del lato più urbano e “grounded” dell’MCU.

Certo è che i Marvel Studios stanno puntando molto su questa serie tv, il cui obiettivo è evidentemente risollevare le sorti del franchise dopo il fenomeno della Marvel Fatigue, che potremmo spiegare come un periodo in cui i Marvel Studios hanno anteposto la quantità alla qualità dei prodotti. Chiara conseguenza di ciò è stato un allontanamento di molti fan di lunga data ed una perdita di appeal di questi prodotti.

Daredevil
Charlie Cox, Deborah Ann Woll e Elden Henson in una foto dal set – © Disney Plus

 

Conclusioni

Questa serie ha tutte le carte in regola per riportare in auge uno dei personaggi più amati della Marvel, offrendo una nuova prospettiva sulla sua vita e le sue battaglie. Tuttavia, le sfide produttive e il cambio di rotta creativo avvenuto nella scrittura della serie rappresentano un’incognita significativa.

Se i Marvel Studios riusciranno a trovare il giusto equilibrio tra innovazione e rispetto per il materiale originale, questa serie televisiva potrebbe diventare una rinascita per Daredevil che va oltre il titolo, un punto di riferimento per le future serie TV del MCU. Anche i fan sperano in un prodotto che sappia coniugare azione, dramma e quel tocco di realismo crudo. Insomma, tutto ciò che ha reso il Diavolo di Hell’s Kitchen un’icona della televisione e dei fumetti.

Questi primi episodi lasciano quindi soddisfatti per come la serie si ricollega, narrativamente e tematicamente, a quanto visto in passato. Allo stesso tempo traccia una linea per poter costruire anche qualcosa di nuovo. Siamo ancora cauti nel giudizio complessivo, ma speranzosi per i segnali positivi sia sul fronte delle interpretazioni, che della scrittura dei personaggi e la costruzione delle sequenze d’azione. Potrebbe essere la serie Marvel di cui avevamo bisogno?

 

Pietro Minissale

Farm Cultural Park: la street art da nuova vita al territorio

Street art in Sicilia

Negli ultimi decenni, l’evoluzione dell’arte ha profondamente cambiato il paesaggio della nostra isola. I territori siciliani sono diventati un esempio di rinascita attraverso la street art, grazie a vari progetti di trasformazione urbana.
Numerosi artisti, locali e internazionali, hanno apportato il loro contributo, permettendo non solo una trasformazione urbana, ma anche e soprattutto una rivitalizzazione economica, sociale e cultuale.

In Sicilia, accanto al suo ricchissimo patrimonio artistico, che affonda le radici nella sua storia di dominazioni e accoglienza di culture diverse, e si riflette nelle testimonianze architettoniche di tutte le epoche (dai templi greci alle chiese barocche) stanno nascendo nuove realtà che lo arricchiscono ulteriormente, fondendo tradizione e innovazione in un continuo processo di trasformazione.

Esempi notevoli di questa evoluzione sono “Fiumara d’Arte” e il “Cretto di Gibellina”.

Farm Cultural Park

 

Farm Cultural Park (Favara, AG): esempio di street art in Sicilia https://www.artinresidence.it/it/properties/farm-cultural-park/
Farm Cultural Park (Favara, AG): esempio di street art in Sicilia
Fonte: https://www.artinresidence.it/it/properties/farm-cultural-park/

Uno dei progetti più significativi è il Farm Cultural Park, a Favara, provincia di Agrigento. Il piccolo comune, che come molti altri dell’entroterra siculo stava affrontando una profonda crisi demografica, riuscì a rinascere dalle sue ceneri grazie ad una coppia di imprenditori, Andrea Bartoli e Florinda Saieva, che investirono nell’ambizioso progetto di rendere Favara un centro artistico, attraente soprattutto per i giovani. Nel 2010 nasce, quindi, Farm Cultural Park, un’iniziativa di riqualificazione urbana che unisce arte, cultura e comunità.

Attraverso la ristrutturazione di edifici abbandonati del centro storico e l’allestimento di opere ed installazioni, il comune diventa un centro artistico a 360°, in grado di attrarre artisti internazionali e visitatori da tutto il mondo.

Farm Cultural Parkhttps://www.google.com/url?sa=i&url=https%3A%2F%2Fwww.vita.it%2Fstorie-e-persone%2Fa-favara-larte-di-farm-cultural-park-ha-reinventato-la-citta%2F&psig=AOvVaw34RNKWanguMvpd6CSZA0t8&ust=1742055974262000&source=images&cd=vfe&opi=89978449&ved=0CBgQjhxqFwoTCLDup8j-iYwDFQAAAAAdAAAAABAd
Farm Cultural Park
Fonte: https://www.google.com/url?sa=i&url=https%3A%2F%2Fwww.vita.it%2Fstorie-e-persone%2Fa-favara-larte-di-farm-cultural-park-ha-reinventato-la-citta%2F&psig=AOvVaw34RNKWanguMvpd6CSZA0t8&ust=1742055974262000&source=images&cd=vfe&opi=89978449&ved=0CBgQjhxqFwoTCLDup8j-iYwDFQAAAAAdAAAAABAd

Turismo e sviluppo

Farm Cultural Park ospita, ogni anno, numerosi eventi come festival, workshop ed attività educative, creando un ambiente dinamico e vivace.

L’arte urbana ha svolto un ruolo fondamentale nel rafforzare l’identità culturale delle comunità locali, promuovendo la partecipazione attiva dei cittadini e la riappropriazione degli spazi pubblici.

Il turismo, che si è sviluppato in seguito alle numerose iniziative intraprese, porta benefici economici su tutto il territorio. Inoltre, per limitare le conseguenze negative sull’ambiente, il comune adotta politiche rivolte alla sostenibilità.

Questo progetto ha dimostrato come l’arte possa essere un potente strumento di trasformazione sociale, capace di innescare processi virtuosi di sviluppo sostenibile e inclusivo.

In conclusione, il progetto di rivitalizzazione di Favara è diventato un importante esempio replicabile da tanti altri comuni e riconosciuto a livello internazionale.

Farm Cultural Parkhttps://www.google.com/url?sa=i&url=https%3A%2F%2Fwww.loquis.com%2Fit%2Floquis%2F2762056%2FFarm%2BCultural%2BPark%2BFavara&psig=AOvVaw34RNKWanguMvpd6CSZA0t8&ust=1742055974262000&source=images&cd=vfe&opi=89978449&ved=0CBgQjhxqFwoTCLDup8j-iYwDFQAAAAAdAAAAABAr
Farm Cultural Park
Fonte: https://www.google.com/url?sa=i&url=https%3A%2F%2Fwww.loquis.com%2Fit%2Floquis%2F2762056%2FFarm%2BCultural%2BPark%2BFavara&psig=AOvVaw34RNKWanguMvpd6CSZA0t8&ust=1742055974262000&source=images&cd=vfe&opi=89978449&ved=0CBgQjhxqFwoTCLDup8j-iYwDFQAAAAAdAAAAABAr

Fonti:

https://www.farmculturalpark.com/

“Imparare da Favara. Radici culturali e prospettive di una rigenerazione urbana di successo”. Pier Paolo Zampieri

Antonella Sauta

Marracash e l’incomunicabilità: l’Uomo, la Società e il Vuoto Contemporaneo

L’arte, quando è profonda, si manifesta come una riflessione sul tempo in cui nasce e sulle tensioni che lo attraversano. Negli ultimi tre album di Marracash (Persona, Noi, loro, gli altri ed È finita la pace), il rapper milanese ha costruito un percorso concettuale che non è solo autobiografico, ma si allarga a una visione esistenziale e politica della società contemporanea. Questo trittico musicale, nelle sue tematiche e nella sua costruzione narrativa, trova una corrispondenza sorprendente con la Trilogia dell’Incomunicabilità di Michelangelo Antonioni (L’avventura, La notte, L’eclisse), ma anche con film come Persona di Ingmar Bergman.

Persona: la frattura dell’io

L’album Persona (2019) è un’opera-manifesto, in cui Marracash scompone il proprio io come fosse un personaggio pirandelliano o un uomo immerso in un dramma esistenziale alla Bergman. Il titolo stesso rimanda al concetto di persona come maschera, un tema centrale nel cinema di Bergman, e in particolare nel suo film Persona (1966), dove il confine tra sé e l’altro si sfalda fino a diventare indistinguibile.

Non sono come te. Non mi sento come te. Sono Suor Alma, sono qui solo per aiutarti. Non sono Elisabet Vogler. Tu sei Elisabet Vogler.

In Persona, Marracash affronta questa crisi attraverso i titoli delle canzoni, che rimandano a parti del corpo, quasi a suggerire un tentativo di ricomporre un’identità fratturata. Il racconto si fa profondamente intimo: si parla di successo, depressione, amore tossico e della percezione pubblica di sé.

Non so se è amore o manipolazione
Desiderio od ossessione
Se pigrizia o depressione
Che finisca per favore, che esaurisca la ragione

Il parallelismo calza a pennello con il film di Bergman, dove la protagonista, un’attrice che smette improvvisamente di parlare, si sdoppia nella sua infermiera, fino a fondersi con lei. Allo stesso modo, Marracash esplora la sua identità artistica e umana, smascherando le contraddizioni tra ciò che è davvero e l’immagine che gli altri hanno di lui. Il risultato è un’opera che riflette sul tema dell’identità personale nel mondo dello spettacolo e oltre.

Noi, loro, gli altri: il senso di estraneità

Il secondo capitolo, Noi, loro, gli altri (2021), sposta il focus dall’individuo alla società, dalla dimensione personale a quella collettiva. Marracash ragiona su come la realtà esterna influenzi l’identità, analizzando il divario tra noi (chi sente di appartenere a una comunità), loro (l’élite o il potere) e gli altri (gli emarginati, gli esclusi).

Questo discorso trova un parallelo perfetto con la Trilogia dell’Incomunicabilità di Antonioni, in particolare con L’eclisse (1962), film che mostra il progressivo svuotamento emotivo dei personaggi, incapaci di trovare un senso nel mondo moderno.

Così come nel film, anche nell’album di Marracash domina un senso di disillusione: il successo e il potere non colmano il vuoto, mentre la società è sempre più frammentata.

Volevo davvero questo? Tutta la vita che ci penso (Dubbi)

Nel brano Dubbi, ad esempio, si avverte l’angoscia di una realtà in cui le divisioni sociali ed economiche rendono impossibile la comunicazione tra le classi, esattamente come i personaggi di Antonioni che, pur parlando, non riescono davvero a comprendersi.

Chissà perché si fanno tante domande? Io credo che non bisogna conoscersi per volersi bene. E poi, forse, non bisogna volersi bene.

Il finale di L’eclisse, con la dissolvenza su strade deserte e lampioni che si accendono, suggerisce un mondo privo di significato, e lo stesso si può dire per l’album di Marracash, che lascia più domande che risposte.

È finita la pace: il collasso dell’illusione

Con È finita la pace (2024), Marracash completa il percorso spostando il focus sul presente: la pace interiore e sociale è ormai perduta. L’album non parla più solo della crisi dell’individuo (Persona) o delle strutture che lo circondano (Noi, loro, gli altri), ma dell’impossibilità di ristabilire un equilibrio. Il titolo stesso suggerisce un punto di non ritorno, un’irreversibilità della crisi.

In questa fase, il parallelo cinematografico potrebbe essere con La notte (1961) di Antonioni, dove il rapporto tra i protagonisti (una coppia in crisi) riflette un malessere esistenziale più ampio.

Se stasera ho voglia di morire, è perché non ti amo più. Sono disperata per questo. Vorrei essere già vecchia per averti dedicato tutta la mia vita. Vorrei non esistere più, perché non posso più amarti.

Anche Marracash affronta il tema della fine delle illusioni: le relazioni affettive sono logorate, il sistema è irrecuperabile, il tempo non porta redenzione.

Escono di casa uno straccio, senza neanche un abbraccio, con il cuore d’intralcio quelli come me.

Un altro parallelo interessante è con Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pasolini (1975), in cui il potere e la violenza diventano l’unica legge. È finita la pace sembra suggerire che la realtà attuale, tra guerre, disuguaglianze e alienazione, è diventata un luogo in cui non si può più trovare una via d’uscita.

Marracash

Marra Stadi 25: Messina attende il King del Rap

È l’artista delle sfide, dei record e delle ambizioni sempre più alte. Marracash non smette mai di superarsi, conquistando pubblico e critica con ogni nuovo traguardo. Dopo aver vinto la Targa Tenco e creato un festival unico per il rap italiano, è pronto a scrivere un’altra pagina di storia: con MARRA STADI 2025, sarà il primo rapper a portare un intero tour nei grandi stadi italiani.

Anche la Sicilia sarà protagonista di questo evento straordinario. Il 5 luglio 2025, Messina accoglierà la tappa imperdibile del tour allo Stadio San Filippo – Franco Scoglio, pronta a trasformarsi in un’arena di pura energia.

L’evento è organizzato da Puntoeacapo, in collaborazione con il Comune di Messina, sotto la guida del Sindaco Federico Basile, e l’Assessorato agli Spettacoli e Grandi Eventi Cittadini, rappresentato da Massimo Finocchiaro.

Gaetano Aspa

Milazzo film festival 2025: tra cinema, musica e teatro

Il Milazzo Film Festival si è appena concluso, ma anche quest’anno ha regalato grandi emozioni a tutti gli appassionati di cinema e non, grazie a un intenso programma ricco di ospiti di spessore.

La diciannovesima edizione del festival è iniziata il 5 Marzo,  caratterizzata da un connubio di cinema, musica e teatro in un evento coinvolgente. La kermesse si è aperta con uno spettacolo dell’attore e regista Sergio Rubini ed è proseguita con un gran numero di proiezioni di ogni genere. Il pubblico ha potuto assistere ai cortometraggi in concorso poi premiati, ai corti di repertorio provenienti direttamente dal Museo Nazionale del Cinema di Torino, che hanno mostrato al pubblico la Sicilia di una volta. Inoltre, sono state effettuate le grandi proiezioni, come L’uomo nero di Sergio Rubini, L’arminuta di Giuseppe Bonito, il docufilm Pino Daniele – Nero a metà di Marco Spagnoli e tanti altri.

Milazzo Film Festival
I presentatori del Milazzo Film Fest intervistano Sergio Rubini. Ph: Marco Castiglia

Tra gli ospiti hanno presenziato personaggi come Vanessa Scalera, il regista Marco Tullio Giordana, di cui il festival ha proiettato alcuni film come Lea e La vita accanto. Presente anche Sonia Bergamasco che, in questa occasione, ha presentato il suo ultimo libro Un corpo per due e il docufilm che l’ha vista alla regia, Duse.

Tra incontri con le scuole, conferenze e consegne di premi,  il festival ha mantenuto alta l’attenzione fino alla sua conclusione, avvenuta il 9 Marzo con l’ultima proiezione, Familia di Francesco Costabile, alla quale ha preso parte anche il giovane Francesco Gheghi, anch’egli ospite della manifestazione.

Anche quest’anno, il Milazzo Film Festival ha confermato il suo valore e, al pari delle edizioni precedenti, è stato in grado di suscitare grandi emozioni.


Marco Castiglia

 

Suicidio assistito: un diritto o una deriva? Il dibattito continua

Il dibattito sul fine vita e sul suicidio assistito continua a essere un tema centrale nel panorama politico e sociale italiano. Dopo l’approvazione della legge in Toscana lo scorso 11 febbraio, che ha regolamentato l’accesso al suicidio medicalmente assistito per pazienti in condizioni irreversibili, il confronto solleva interrogativi profondi sul piano religioso ed etico. La questione ha innescato polemiche e annunci di ricorso da parte del centrodestra.

L’involuzione legislativa in Italia

Il senatore di Fratelli d’Italia, Ignazio Zullo, relatore del disegno di legge all’esame delle commissioni Giustizia e Affari sociali del Senato, presenta uno schema preliminare sul fine vita per affermare due principi fondamentali. Il primo ribadisce l’inviolabilità della vita, stabilendo che “il diritto alla vita è inviolabile e indisponibile, determinato dall’essenza dei valori fondamentali sui quali si fonda la Carta costituzionale della Repubblica”. Il secondo specifica che l’accesso al percorso di fine vita assistito, disciplinato dalla proposta di legge, vale per “una persona maggiorenne affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che reputa intollerabili, tenuta in vita o dipendete da trattamenti di sostegno vitale [..]“.

Così afferma il segretario di Più Europa Riccardo Magi:

È bene che il parlamento si occupi di fine vita ma la bozza di testo presentata dal centrodestra oggi in Senato è piuttosto deludente. Se questa è la base di partenza, è preferibile non avere alcuna legge perché rappresenta un passo indietro rispetto a quanto stabilito dalla Consulta”.

Inserire il principio dell’inviolabilità e dell’indisponibilità della vita appare un’enunciazione ideologica, anziché un atto normativo. Ma rendere obbligatorio un percorso di cure palliative come condizione per accedere al suicidio assistito è una disposizione che non tiene conto della sofferenza reale delle persone e rende la legge regressiva rispetto a quanto stabilito dalla Corte.

Il diritto all’autodeterminazione sul proprio corpo e sulla propria vita, soprattutto in condizioni di sofferenza estrema. Una condizione essenziale che deve essere garantita, come afferma la senatrice di AVS Ilaria Cucchi. La stessa senatrice  ribadisce che il vuoto normativo su un tema così delicato rappresenta una privazione dei diritti fondamentali delle persone, private della possibilità di decidere come vivere con dignità fino all’ultimo momento. Dopo la recente approvazione della legge in Toscana , è ora che l’Italia superi pregiudizi e resistenze ideologiche. Agendo, come molti Paesi europei ,attraverso la tutela della dignità e della libertà di tutti i cittadini.

 

Difendere la vita, ripartendo dai valori

Storicamente, il riconoscimento del diritto al suicidio assistito per le persone affette da gravi malattie è annoverato tra le lotte per i diritti civili, che vengono portate avanti in tutto il mondo da gruppi e ONG progressiste. In Italia per esempio è noto l’impegno del Partito Radicale e dell’associazione Luca Coscioni, nonché dell’ex-parlamentare Marco Cappato. Mentre sono in generale contrari all’eutanasia attiva e al suicidio assistito soprattutto le organizzazioni di matrice religiosa, che li considerano come un attacco alla vita.

Quindi, all’indomani dell’approvazione della legge regionale sul suicidio medicalmente assistito approvata dalla regione Toscana, la Chiesa ribadisce, senza mezzi termini, la contrarietà nei confronti di un provvedimento che viene definito dalla Chiesa cattolica una “deriva pericolosa per la società“.

Questa posizione è già stata ribadita in diversi documenti ufficiali. L’enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II, promulgata nel 1995, esprime la posizione della Chiesa cattolica sul valore e l’inviolabilità della vita umana. Una priorità ribadita ancora oggi dalla Conferenza Episcopale Italiana, preoccupata “per le recenti iniziative regionali sul tema del fine vita”. La stessa CEI riferisce che non si tratta di fare una guerra contro tale legge, ma portare avanti il compito della Chiesa: aiutare i più giovani a misurarsi su delle tematiche che contengano alti valori.  La Chiesa Cattolica continua a promuovere il rispetto della vita umana in tutte le sue fasi, incoraggiando l’uso delle cure palliative per alleviare le sofferenze.

La vita è un diritto, non la morte“, ha detto Papa Francesco nella catechesi dell’udienza generale del 2022. Nella visione cristiana dignità e rispetto dovranno accompagnare le persone nel momento del fine vita. Talvolta, prolungare la vita fino alla fine, può comportare l’accettazione di una sofferenza insostenibile.

Milazzo Film Fest 2025: La Vita Accanto

La Vita Accanto è un film del 2024, co-scritto (insieme a Marco Bellocchio) e diretto da Marco Tullio Giordana. È l’adattamento cinematografico del romanzo di Mariapia Veladiano e vanta un cast composto da Sonia Bergamasco, Valentina Bellè, Paolo Pierobon, Beatrice Barison, Sara Ciocca, Viola Basso e altri.

Trama

Il film è ambientato tra gli anni Ottanta e il Duemila e racconta di un’influente famiglia vicentina composta da Maria (Valentina Bellè), suo marito Osvaldo (Paolo Pierobon) e la gemella di quest’ultimo, Erminia (Sonia Bergamasco), affermata pianista. La loro vita viene sconvolta da un evento imprevedibile: Maria dà alla luce Rebecca.

La neonata, per il resto normalissima e di straordinaria bellezza, presenta un vistosa macchia purpurea che le segna metà del viso. Quella macchia, che nulla può cancellare e rende i genitori impotenti e infelici, diventa per Maria un’ossessione tale da precipitarla nel rifiuto delle sue responsabilità di madre. L’intera adolescenza di Rebecca sarà segnata dalla vergogna e dal desiderio di nascondersi dagli altri.

Eppure, fin da piccola, Rebecca rivela straordinarie capacità musicali. La zia Erminia riconosce il suo talento: Rebecca diventa sua allieva e il bisogno di cancellare la “macchia” la spingerà ad affermarsi attraverso la musica.

Il tocco elegante di Giordana

Marco Tullio Giordana è un regista italiano affermato, che ha saputo spaziare tra il cinema, televisione e teatro. Ha sempre raccontato le storie con una maestria particolare, senza cadere nel banale, anche quando si è trovato ad adattare sceneggiature non originali.

Spesso, pensando alle pellicole di Giordana, vengono in mente film come La meglio gioventù, I cento passi, Lea e altre opere che, da una prospettiva ben definita, affrontano dinamiche sociali o fatti di cronaca. Questa volta, è stato il romanzo di Mariapia Veladiano a catturare l’attenzione del regista, o forse è stato il libro a scegliere lui, come se il destino avesse voluto che le loro strade si incrociassero. E Giordana, ha usato il tocco giusto.

La Vita Accanto
Fonte: MyMovies.it

La “vita accanto” e la macchia della famiglia

La macchia rossa in questione è quella della piccola Rebecca, la protagonista del film. Una bambina bellissima, nata dall’unione di Maria e Osvaldo, che però, fin dal  momento della  nascita, non viene accolta dalla madre. Questo segna profondamente la bambina, poiché la madre dovrebbe essere la figura più importante della sua vita. Invece, Maria si rivela un personaggio contraddittorio e oscuro con cui, inizialmente, si fa fatica ad entrare in empatia. Utilizza le sue fragilità e la sua depressione come una sorta di scusa per allontanare la figlia e farla sentire inadeguata, colpevolizzandola per via di quella macchia che, secondo lei, avrebbe rovinato quella bambina tanto voluta.

Giordana mirava proprio a questo: entrare in quelle quattro mura e, sfiorando a tratti un tocco teatrale, raccontare una famiglia appartenente all’alta borghesia, spezzandone le ipocrisie e mostrando le loro fragilità e paure. Tutto questo, si incarna figura della madre, venendo fuori quando sprofonda nella depressione post-parto che si fa totalmente schiacciare da essa e dalla paura del giudizio altrui, tanto da voler tenere sua figlia nascosta, come se fosse il Gobbo di Notre Dame.

Dall’altra parte, Rebecca ha quella macchia, ma trova forza nel suo talento musicale, incoraggiata dalla zia Erminia. La musica diventa l’unico modus operandi per esprimere il peso che porta dentro e colmare il senso di vuoto. Man mano che cresce, si fa sempre più forte, mentre la sua evoluzione è in corso, nella madre sta avvenendo l’involuzione, fino a percepirla sempre più distante. Una “vita accanto” che scorre fino a quando un evento drammatico spinge la piccola a prendersi sulle spalle altre colpe.

La Vita Accanto
Fonte: Articolo21.org

Il finale che segna una rinascita

Il film scorre con una regia elegante, spesso in contrasto con un montaggio non sempre fluido, che crea passaggi bruschi tra le diverse fasi della vita della protagonista, talvolta sovrapponendo gli anni e generando qualche disorientamento temporale.

Tuttavia, è il corpo il vero fulcro della narrazione del regista, che si sofferma sull’identità imprescindibile e sull’apparenza sociale. Tutto è reso efficacemente in scena, a tratti statica, anche grazie alla presenza di bravissimi attori.

Tutto questo, sfiorando persino la dimensione della fantasia, conduce a un finale che, in un certo senso, segna la rinascita della protagonista. Quel dialogo con quel fantasma che è rimasto accanto a lei per tutta la vita, sia fisicamente che mentalmente, rappresenta il momento decisivo. La continua ricerca di consapevolezza segna la fine di quel passaggio difficile, e dalle ceneri rinasce una nuova Rebecca, più consapevole e pronta per la “normalizzazione”. Si può dire che la sua vita inizia in quel momento, non perché la macchia sia sparita, ma perché ha raggiunto l’equilibrio interiore e si è, finalmente, liberata di quei pesi. La macchia era il simbolo metaforico del peso di una madre che non è mai stata davvero accanto a lei, ma ora che ha scoperto la verità, Rebecca la guarda da un’altra prospettiva ed è finalmente pronta a vivere davvero, spiccando il volo.

 

Giorgio Maria Aloi

 

Milazzo Film Fest 2025: L’Arminuta

L’Arminuta è un film del 2021 diretto da Giuseppe Bonito, tratto dall’omonimo romanzo di Donatella Di Pietrantonio, vincitore del Premio Campiello 2017. Il film ha inoltre ottenuto un David di Donatello per la miglior sceneggiatura non originale, uno per il miglior film (2021) e un Nastro d’Argento.

Biglietto solo andata

Il titolo, che in dialetto abruzzese significa “la ritornata”, si riferisce alla protagonista: una ragazzina che viene “restituita” alla sua famiglia biologica dopo aver vissuto per molti anni con quella adottiva. Catapultata in una realtà diversa da quella che viveva prima, l’Arminuta (Sofia Fiore) vive così il dramma della separazione e, di conseguenza, quello di una crisi d’identità.

Il tema della famiglia è dunque al centro, ma non nella sua rappresentazione ideale, bensì come un insieme di relazioni complicate, che non sempre offrono amore incondizionato, ma piuttosto fratture e incomprensioni.

Visualizzato senza risposta

La sua crescita si realizza più nel vuoto lasciato da un affetto mancante che nella ricerca di un amore che la completi. L’Arminuta è costretta a fare i conti con una mancanza di risposta da parte delle persone da cui dovrebbe aspettarsi accoglienza e calore; questo è proprio il cuore pulsante della sua lotta interiore.

Film in cui l’amore viene offerto a singhiozzo e in modo distaccato, l’Arminuta quindi diventa simbolo di una generazione che cresce in un mondo dove le relazioni non sono più così semplici, laddove l’amore non è scontato e il legame di sangue non sempre garantisce connessione emotiva. L’incapacità di essere amati in modo semplice diventa, paradossalmente, una spinta per la protagonista a cercare di trovare un equilibrio dentro di sé.

L'Arminuta
Vanessa Scalera e Sofia Fiore in una scena del film. Fonte: https://www.anonimacinefili.it/wp-content/uploads/2021/10/larminuta-2.jpg

Quando l’amore diventa conflitto

Complesso è il rapporto con la madre, che non è né materna né affettuosa, semplicemente non sa come amarla. Non la respinge di fatto intenzionalmente, ma non sembra vedere l’Arminuta come una figlia.

Metaforicamente parlando, è come se la madre fosse un muro, non cattivo, ma pur sempre un muro. La sua casa, per quanto priva di affetto, resta sempre casa sua, e lei è, per quanto difficile da accettare, sua figlia.

Vanessa Scalera, grazie alla sua performance, restituisce al personaggio realtà e intensità; la sua interpretazione non è mai eccessivamente melodrammatica, ma piuttosto contenuta da qualsiasi tipo di sentimentalismo, fatta di piccole sfumature, in cui emerge la fatica di una madre che ha vissuto una vita difficile e che non ha gli strumenti emotivi per accogliere la figlia che le è stata restituita.

Scalera evita un’interpretazione troppo didascalica della madre “dura” e “insensibile”, ma semplicemente su una figura che è incapace di esprimere l’affetto che, forse, prova.

Vivere oltre il dolore

L’Arminuta è un film che non tenta di trovare una soluzione: grida incompletezza, perdita e resilienza. Non ci sono facili risposte o chiusure emotive.

Tra i personaggi, tra l’altro, quella che sembra essere la più equilibrata nel contesto in cui vive è Adriana (Carlotta De Leonardis), sorella dell’Arminuta. Adriana è pragmatica, ha accettato la sua realtà familiare e, anche se non manifesta apertamente affetto, è molto più radicata nella quotidianità, sembra disillusa e rassegnata alla sua condizione, non mostra particolare entusiasmo, ma ha imparato a vivere con quello che ha, senza aspettative di cambiamenti. A modo suo, è quella che riesce a restituire ciò che si avvicina di più all’amore all’Arminuta, senza troppe frasi fatte, ma solo attraverso gesti significativi.

Sofia Fiore e Carlotta de Leonardis. Fonte: pad.mymovies.it

Un ritorno che spezza senza ricomporre

Il film offre una critica al concetto tradizionale di famiglia perfetta e all’incapacità di trovare empatia e comunicazione. Una storia commovente, cruda e con uno sguardo realistico.

Un viaggio interiore ed emotivo che esplora il difficile cammino della protagonista, che piano piano si sforza di cercare risposte e ottenere quelle più amare. La crescita personale dell’Arminuta, pur segnato da frustrazioni, è un percorso tortuoso ma che volge a un’accettazione senza più illusioni di trovare una felicità esterna.

 

Asia Origlia

Milazzo Film Fest 2025: Pino Daniele – Nero a Metà

In occasione dei dieci anni dalla scomparsa, anche il Milazzo Film Fest 2025 ha deciso di omaggiare Pino Daniele, proiettando, durante la prima serata del festival, il documentario Pino Daniele – Nero a Metà, diretto da Marco Spagnoli e uscito nelle sale esclusivamente il 4, 5 e 6 gennaio.

Le origini di Pino

Il viaggio che il regista Marco Spagnoli compie per raccontare gli inizi del cantautore ha un narratore speciale: Stefano Senardi, amico e produttore dei primi tre album. Attraverso Napoli, i racconti di amici, colleghi e collaboratori di Pino, Senardi ripercorre i momenti più importanti della prima fase della sua carriera.

Tra gli intervistati figurano alcuni pilastri del cantautorato napoletano come Enzo Gragnaniello ed Enzo Avitabile, membri della Nuova Compagnia di Canto Popolare come Fausta Vetere, musicisti come Tony Cercola e Gino Magurno, nonché rappresentanti della canzone popolare napoletana come Teresa De Sio.

 

Fonte: ANSA
Pino Daniele. Fonte: ANSA

Correva l’anno 1980

Dopo Terra Mia (1977) e Pino Daniele (1978/79), nel 1980 arriva Nero a Metà, album che dà il titolo a questo documentario. Non si tratta di un semplice disco, ma del simbolo stesso della discografia di Pino Daniele.

In questo album, le radici napoletane si fondono con il blues e il funk, dando vita a un’innovazione geniale firmata da un grandissimo cantautore e musicista. Al suo interno sono presenti brani straordinari come I say i’ sto cca, A me me piace ‘o blues, Alleria, Appocundria e Quanno chiove.

Questo terzo lavoro di Pino è dedicato a Mario Musella, uno dei massimi riferimenti della canzone napoletana, a cui si deve anche il titolo dell’album. Il Nero a Metà è infatti proprio lui, figlio di madre napoletana e padre nativo americano. Per Pino, i Neri a Metà sono coloro che nascono nei Sud del mondo, e il suo omaggio a questa realtà è evidente, con Napoli che rimane il suo scenario privilegiato e inconfondibile.

Pino Daniele
SPE – supergruppo. Fonte: https://www.pinodaniele.com/miscellaneous/1981-2/

Il supergruppo e il concerto del 1981

Dopo Nero a Metà, è impossibile parlare di Pino Daniele senza citare il cosiddetto supergruppo, una formazione di straordinari artisti che hanno rivoluzionato la canzone napoletana. La band comprendeva James Senese al sax (ex membro di Napoli Centrale), Tony Esposito, Tullio De Piscopo alla batteria, Joe Amoruso e Rino Zurzolo.

Il 19 settembre 1981, il supergruppo fu protagonista di un evento storico per Napoli e non solo. A un anno di distanza dal devastante terremoto dell’Irpinia, la città rese omaggio alle vittime con un concerto che avrebbe segnato per sempre la vita artistica di Pino Daniele.

 

PINO E NAPULE COM’È

Con Pino Daniele – Nero a Metà, Marco Spagnoli racconta il primo Pino Daniele: un ragazzo giovane, con la voglia di emergere e di mostrare la sua visione delle cose attraverso il linguaggio universale della musica.

Il suo modo di raccontare senza filtri, facendo emergere solo la verità, gli ha permesso di dipingere Napoli per quella che era realmente: una città autentica, talvolta crudele, ma sempre viva.

 

 

Rosanna Bonfiglio

 

 

 

 

 

Follemente: l’Inside Out italiano di Paolo Genovese

 

L’Inside Out all’italiana. Voto UVM 4/5

Follemente è un film del 2025 diretto da Paolo Genovese (regista di film come “Perfetti Sconosciuti”, “Tutta Colpa Di Freud”, “Supereroi”, “Il Primo Giorno Della Mia Vita”, i due film di “Immaturi”, “I Leoni Di Sicilia” ecc.) e ha un cast corale composto da Edoardo Leo, Pilar Fogliati, Claudio Santamaria, Marco Giallini, Rocco Papaleo, Maurizio Lastrico, Vittoria Puccini, Claudia Pandolfi, Emanuela Fanelli e Maria Chiara Giannetta.

Trama

Conosciamo davvero noi stessi quando prendiamo una decisione? E se dentro di noi esistessero più versioni del nostro io, ognuna con qualcosa da dire?

Follemente è una brillante commedia romantica che va oltre le apparenze, immergendosi nella mente dei due protagonisti, Piero e Lara, svelando i loro pensieri più nascosti e le battaglie interiori che tutti affrontiamo. Dopo essersi conosciuti in un bar, Piero e Lara hanno il loro primo appuntamento a casa di lei. Entrambi hanno voglia di rimettersi in gioco: lei, trentacinquenne, viene dalla relazione con un uomo sposato e cede spesso ad amori senza futuro; lui ha quarant’anni, è fresco di divorzio e di affidamento congiunto della figlia piccola e porta ancora i segni di altre delusioni sentimentali.

I due protagonisti sono guidati dalle rispettive personalità: Piero ascolta le indicazioni del razionale Professore, del romantico Romeo, del passionale Eros e del disincantato Valium; Lara si fa condurre dall’intransigente Alfa, dalla seducente Trilli, dalla sregolata Scheggia e dalla sognatrice Giulietta. La serata, tra imbarazzi, lapsus e contrattempi, parte bene, ma sembra volgere al peggio, anche perché le emozioni di Piero bisticciano tra loro e quelle di Lara non sono da meno. Come andrà a finire? I due riusciranno a mettere da parte il resto e lasciarsi andare? Oppure, complicheranno tutto e l’appuntamento sfumerà?

Il primo appuntamento di Lara e Pietro diventa un teatro di dialoghi irriverenti, teneri, dolci, agitati, e tanto altro ancora. Una folla di gente e di pensieri che turbinano costantemente dentro di noi, a volte in maniera stancante che ci fa desiderare di poter essere “da soli” o di poter spegnere finalmente il cervello.

L’Inside Out all’italiana?

Il paragone tra “Inside Out” e “Follemente” viene spontaneo, ma in realtà Paolo Genovese giura di aver avuto l’idea del film prima che tutti venissero a conoscenza e si innamorassero successivamente dei due successi Disney Pixar incentrati sulle emozioni. La similitudine c’è e forse Genovese ha trovato il modus operandi adatto  per poter parlare della tematica ricorrente nella sua nuova pellicola: gli appuntamenti. Se “Inside Out” parlava delle emozioni e di ciò che accade nella mente umana in linea generica, “Follemente”, invece, mostra ciò che accade nella mente quando si ha un appuntamento al giorno d’oggi.

Mostrando un film alla Inside Out ma concentrandosi solo su un contesto specifico, ha voluto realizzare un film che aveva uno stile teatrale e il montaggio tra le scene dell’appuntamento e delle loro personalità è stato anche ben serrato. Con un tocco così semplice, mostra una chiave di lettura per gli appuntamenti di oggi (i primi) e come sono divenuti difficili e di quanti problemi si creano, quando si vive un appuntamento.

Fonte: comingsoon.it

Follemente, un film dallo stile teatrale

Follemente ha delle similitudini anche con un altro film noto di Paolo Genovese, ossia Perfetti Sconosciuti (film che ha il record di maggior numero di remake realizzati nella storia del cinema). Entrambi i film vogliono essere schietti e sbattere in faccia alcune verità dei rapporti di oggi e come sono cambiati nella società contemporanea. Con la differenza, che uno mira a colpire con una verità dura e cruda e toccando la drammaticità totale; l’altro, invece, vuole divertire senza annoiare e spingere ad un’accurata riflessione.

Altri aspetti in comune sono il fatto che alcuni eventi presenti accadono nella mente e lo stile teatrale adottato per la narrazione, col rischio di risultare leggermente statico. Il film mostra due filoni uniti da un montaggio ben strutturato e ci sono volute ben due sedute di ripresa per realizzare i due filoni. Da una parte, ci sono i due attori protagonisti (Edoardo Leo e Pilar Fogliati) che vivono il loro primo appuntamento e tutta la trama si svolge nell’appartamento di lei. Dall’altra, vengono mostrate le quattro personalità di lui e le quattro personalità di lei nelle loro menti.

Nella prima seduta, i due protagonisti recitavano le loro battute con tanto di suggerimenti delle personalità, provenienti da dietro le quinte, cogliendo opportunamente il momento per dire le loro. Nella seconda, gli interpreti delle loro personalità hanno fatto lo stesso. Ci vuole una certa bravura a cogliere la percezione giusta e su questo sono stati bravi tutti e le loro scene sono unite da un montaggio ben strutturato, che fa il passaggio tra i due filoni in maniera rapida come se stessero giocando a ping pong e senza cascare nella confusione.

 

Fonte: follemente.alcinema.it

Un cast eccezionale

Quando un film riesce, non si può non considerare le interpretazioni e “Follemente” vanta la presenza di un cast italiano composto da attori di un certo livello. Edoardo Leo non ha bisogno di presentazioni, perché ormai è affermatissimo e lascia sempre il segno, in ogni film che fa. Pilar Fogliati si sta affermando sempre di più e in pochi anni, si è dimostrata poliedrica e a suo agio nei ruoli molto vicini ai suoi coetanei.

Ma quelli che non sono da meno sono gli interpreti delle personalità di lui e lei. Nella mente di lui ci sono Claudio Santamaria (il passionale Eros), Marco Giallini (il razionale Professore), Rocco Papaleo (il disincantato Valium), Maurizio Lastrico (il romantico Romeo); mentre, nella mente di lei ci sono Vittoria Puccini (la sognatrice Giulietta), Claudia Pandolfi (l’intransigente Alfa), Emanuela Fanelli (la seducente Trilli) e Maria Chiara Giannetta (la sregolata Scheggia).

La parte divertente sta nelle personalità presenti nelle loro menti, dove attraverso gag, battute e diatribe tra loro su quale delle personalità deve prendere il sopravvento e su cosa l’interlocutore di turno deve dire in quel momento (venendo spesso ignorati da Piero e Lara).

 

Fonte: comingsoon.it

Follemente, una chiave di lettura degli appuntamenti di oggi, tra risate e riflessioni

Genovese ha voluto realizzare una commedia che vuole divertire ed allo stesso tempo, invitare a scavare dentro di sé e avere uno spunto di riflessione sulla propria persona e di come dovrebbe vivere l’appuntamento. Vuole dire essere più rilassati possibile e far vivere quei momenti con serenità, dimostrando che dovrebbe essere la cosa più naturale di questo mondo e soprattutto mostrarsi per ciò che si è, perché tutte le questioni irrisolte e le proprie insicurezze possono essere un auto-sabotaggio e far scappare un’eventuale persona giusta. Bisogna accettare ciò che è successo prima di quel fatidico incontro, trarre una lezione, godersi il presente ed essere naturali, per poter accogliere un possibile futuro (o qualsiasi altra cosa) migliore. A parole sembra facile, ma la visione di Follemente potrebbe dare un input a provare a lasciarsi andare a nuove opportunità (magari nascoste dietro l’angolo).

Giorgio Maria Aloi