Donald Trump in arresto? A rischio le Presidenziali 2024

Sabato mattina, attraverso un post pubblicato sul social Truth, Donald Trump ha annunciato di essere stato incriminato dal Gran Giurì di Manhattan con accuse relative ad accordi finanziari presi con la pornostar Stormy Daniels, in seguito a rapporti intimi avvenuti tra i due.

Nel post di Trump si legge che: «Il primo candidato Repubblicano ed ex Presidente degli Stati Uniti d’America sarà arrestato martedì della prossima settimana. Protesta, riprenditi la nostra Nazione!»

Dal tono utilizzato si evince che Donald Trump voglia utilizzare il suo arresto per alimentare la narrazione secondo la quale sarebbe un martire delle élite; strategia di cui ha già fatto uso quando l‘FBI ha prelevato dei documenti riservati nella sua villa in Florida o quando è ha subìto la procedura di impeachment dal Congresso americano. Allo stesso tempo, il fatto che abbia spinto i suoi supporter «TO TAKE OUR NATION BACK», a riprendersi la nazione, sottolinea la volontà di ricordare gli eventi di Capitol Hill, quando ha convinto migliaia di persone che la democrazia americana fosse vittima di un colpo di stato, alimentando un’insurrezione nel cuore delle istituzioni politiche americane.

Chi è un Gran Giurì?

Il pubblico ministero americano istituisce tipicamente un Gran Giurì per determinare se sussistano abbastanza elementi per proseguire con un procedimento giudiziario. Egli deve, in termini legali, stabilire se vi sia una causa probabile per stabilire che sia stato commesso un reato. Nel fare ciò, detiene poteri investigativi: può citare persone in giudizio o consegnare la documentazione relativa al caso; egli può anche interrogare i testimoni, ai quali non è consentito avere avvocati presenti. In questo caso, il Gran giurì è Alvin Bragg.

La storia tra Trump e Stormy Daniels

Trump e Daniels si sono conosciuti durante un torneo di golf per celebrità in Nevada nel 2006, quando lui aveva 60 anni e lei 27. Dopo aver cenato e parlato, Daniels sostiene che abbiano passato la notte insieme (cosa smentita da Trump), poiché Trump le avrebbe garantito la partecipazione al programma The Apprentice, di cui era conduttore e produttore. Sempre secondo Daniels, i due si incontrarono altre volte senza intrattenere rapporti sessuali.

Daniels ha tentato più volte di vendere la sua storia ai giornali, soprattutto in virtù del fatto che lui le abbia promesso un’apparizione televisiva in cambio di un rapporto sessuale senza poi rispettare la “promessa”.

Con la decisione di candidarsi per la Casa Bianca, Trump cercò di tutelarsi da accuse del genere e lo fece attraverso David Pecker, suo amico e direttore del giornale di gossip National Enquirer. Pecker cominciò a pubblicare articoli che potessero migliorare la reputazione di Trump affossando, invece, storie potenzialmente dannose.

Micheal Cohen parla alla stampa sito: Il post Fotografo : Mary Altaffer

La falsificazione dei documenti aziendali

Nel 2016, subito dopo la pubblicazione da parte del Washington Post di un audio in cui Trump fa commenti molto volgari, Daniels tentò nuovamente di raccontare la sua storia, visto l’atmosfera a lei favorevole. In questo caso Pecker mise direttamente in collegamento l’avvocato di Trump (Cohen, responsabile per la risoluzione di problematiche del genere) e quello di Daniels (Davidson).

I due legali raggiunsero un accordo con Trump, che avrebbe pagato 130 mila dollari in cambio del silenzio di Daniels sul loro rapporto sessuale. Affinché il pagamento non risultasse nei rendiconti della Trump Organization, Cohen decise di effettuare il pagamento direttamente dal suo conto, come confessato durante una testimonianza del 2018. La Trump Organization decise di rimborsare Cohen, registrando il pagamento come consulenza legale.

La vicenda potrebbe portare conseguenze gravi per Trump, se la procura riuscisse a dimostrare che la falsificazione dei documenti aziendali avvenne per nascondere anche altri reati, come – per esempio – una violazione della legge che regola i finanziamenti alle campagne elettorali. In questo caso Trump rischierebbe fino a 4 anni di carcere.

Se giudicato colpevole, potrebbe ancora candidarsi per la presidenza?

Teoricamente, nessuna legge americana impedirebbe ad un candidato riconosciuto colpevole di un crimine di fare campagna elettorale e servire come Presidente. Tuttavia, l’arresto complicherebbe la sua campagna presidenziale: potrebbe avvicinare a Trump dei nuovi supporter in difesa del loro eroe sconfitto e contemporaneamente venir utilizzato dagli avversari politici per screditare la candidatura.

Giuseppe Calì

Attiva su Esse3 la procedura di prolungamento A.A. 2021/2022

Dal 14 Marzo 2023 l’Università degli Studi di Messina ha messo a disposizione su Esse3 la procedura per aderire al prolungamento anno accademico 2021/2022 per i laureandi di marzo e giugno 2023, per agevolare studentesse e studenti nel completare il proprio percorso accademico.

Gli studenti interessati dovranno comunicare la propria volontà esclusivamente tramite la propria Area riservata Esse3 accedendo e iscrivendosi all’iniziativaPROLUNGAMENTO ANNO ACCADEMICO 2021/2022 cd Decreto Milleproroghe”. Qualsiasi altra modalità di comunicazione per aderire al prolungamento dell’A.A. 2021/2022 NON saranno prese in considerazione.

Procedura prolungamento

Per poter aderire alla procedura, innanzitutto, bisogna accedere con le credenziali al portale web dedicato ai Servizi Esse3 per gli Studenti UniMe. Dunque, aprire il menù a tendina posizionato in alto a destra e selezionare la voce Iniziative / Bandi. Ecco qui un esempio.

menù a tendina esse3

Scegliere nella lista tra le iniziative/bandi disponibili “PROLUNGAMENTO ANNO ACCADEMICO 2021/2022 cd Decreto Milleproroghe” e cliccare, quindi, l’icona segnata in rosso.

bando procedura prolungamento anno accademico

 

Dopodiché, una volta aperta la pagina del Dettaglio Iniziative / Bandi riguardante la procedura, selezionare Iscrizione all’iniziativa/bando per confermare.

accettazione bando procedura prolungamento anno accademico

I destinatari della proroga

Potranno, quindi, usufruire della proroga anche le studentesse e gli studenti regolarmente iscritti all’anno accademico 2022/2023 che intendono laurearsi a MARZO/GIUGNO 2023 e hanno sostenuto esami e attività formative come previste dal proprio piano di studio tra gennaio e giugno 2023.

Pertanto, dopo il conseguimento del titolo, per coloro che avranno manifestato la volontà di beneficiare del prolungamento dell’A.A.2021/2022, verranno adottate opportune misure informatiche sul sistema Esse3 per effettuare la trasposizione all’A.A. 2021/2022 degli esami con voto e delle attività formative sostenute e superate nell’anno accademico 2022/2023. Altresì, si ricorda che i laureandi che hanno concluso tutte le attività formative (incluse idoneità e tirocini) entro il 31 dicembre 2022 sono direttamente abilitati a conseguire il titolo per l’A.A. 2021/2022 e non dovranno effettuare la procedura sopra descritta.

Per tutti coloro che sono stati ammessi alla fruizione della proroga dell’A.A. 2021/2022 e che risultino impossibilitati al conseguimento del titolo entro marzo/giugno 2023, per qualsiasi motivo, dovranno comunicare alla propria Segreteria Studenti la rinuncia alla laurea calendarizzata in proroga e saranno tenuti al pagamento della contribuzione dovuta per l’intero Anno Accademico 2022/2023.

Rimborso tasse universitarie 

Invece. per gli studenti già iscritti all’A.A. 2022/2023 che, per effetto del cd. Mille proroghe, conseguiranno il titolo per l’A.A. 2021/2022 e avvieranno le procedure per una nuova immatricolazione ad un Corso di Laurea UniMe di I o II livello, entro 30 giorni dal conseguimento del titolo, usufruiranno di una compensazione delle somme già versate all’Ateneo, senza aggravio di mora per immatricolazione oltre i termini e con la possibilità di presentare l’ISEE-U senza ulteriori oneri per tardiva sottoscrizione della DSU. Di conseguenza, le somme corrisposte all’Ateneo per l’A.A. 2022/2023 a titolo di contributo onnicomprensivo annuale calcolato al 50% non costituiranno in nessun caso oggetto di rimborso.

Victoria Calvo

Francia, approvata la riforma delle pensioni senza il voto del parlamento

La prima ministra della Francia Elisabeth Borne, dopo aver partecipato alla quarta riunione in 24 ore insieme ai ministri del governo e al Presidente della Repubblica francese Macron, ha comunicato all’assemblea nazionale (la più importante dei due rami del parlamento francese) la volontà di voler usufruire del comma 3 art.49 della Costituzione, per forzare l’approvazione della riforma delle pensioni.

L’articolo permette a chi detiene la carica di primo ministro di far approvare un testo di legge in materia finanziaria o di finanziamento al welfare senza passare da una votazione parlamentare, tramite l’approvazione del Consiglio dei ministri.

Una scelta politica molto rischiosa

Proteste nell’assemblea nazionale. Fonte: Il Post / Thomas Padilla

La proposta di legge era passata senza problemi al Senato, dove il governo può contare su una maggioranza più solida, ma il risultato del voto nell’assemblea nazionale si proiettava come molto incerto. Fondamentale sarebbe stato l’appoggio del partito dei Repubblicani (centro-destra), che negli ultimi giorni non si era pronunciato compattamente e che si sarebbe potuto dividere.

Pochi minuti prima di prendere la decisione, Macron ha tenuto colloqui con importanti figure politiche del Parlamento, ma la situazione prospettatagli non dava nessuna garanzia sull’approvazione. Pare che lo stesso Macron avesse descritto, durante il Consiglio dei ministri, come «troppo importanti» i rischi finanziari ed economici nel caso in cui la legge fosse stata respinta.

Con questa mossa di Realpolitik, il Governo mette la sua esistenza nelle mani del Parlamento; nelle 24 ore successive i deputati possono presentare una mozione di sfiducia, che se dovesse ottenere la maggioranza determinerebbe la caduta del governo e il ritiro della legge. In caso contrario, la legge proseguirebbe il suo iter, passando dal Senato e successivamente dall’Assemblea nazionale, dove il governo applicherebbe di nuovo il meccanismo di cui all’articolo 49 della Costituzione.

Ad oggi, è prevista la presentazione di due mozioni di sfiducia, una proveniente dal Rassemblement National di Marine Le Pen e una da sinistra, dalla France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon; tuttavia, la stampa francese è molto scettica sulla possibilità che si arrivi ad una maggioranza in parlamento, visto che il partito dei Repubblicani (il più importante di centro-destra) ha già annunciato che non voterà le mozioni.

La madre di tutte le riforme

La legge in questione ha causato grandi proteste e scioperi all’interno del Paese sin da fine gennaio, per il punto principale che consiste nell’innalzamento dell’età pensionabile da 62 a 64 anni. L’aumento di 2 anni si verificherebbe progressivamente, con un incremento lavorativo di 3 mesi l’anno fino al 2030. Ad oggi, il sistema pensionistico della Francia è molto vantaggioso e in media permette di andare in pensione a 63 anni, ma a preoccupare il governo è la sua tenuta.

Durante i dibattiti tenuti in Parlamento negli ultimi mesi,  lo spettro della bancarotta del Paese è stato costantemente brandito dall’esecutivo, con il ministro delegato ai Conti pubblici Gabriel Attal che ha garantito l’aumento di 500 miliardi di debito aggiuntivo nel caso in cui la riforma non fosse stata approvata.

L’attuale Presidente della Repubblica Emmanuel Macron ha definito la riforma delle pensioni come «la madre di tutte le riforme» e sta tentando di legare la sua eredità politica all’esito di questa legge. Lo stesso presidente della Repubblica si è definito “riformatore” (Francia come start-up nation) con obiettivo di trasformare la nazione per renderla più anglosassone: al centro il lavoro e la produttività, considerati fondamentali per rendere la Francia competitiva a livello globale.

I giovani francesi contro la riforma per preservare il welfare state

Questa visione si scontra con l’importanza quasi identitaria che i francesi danno al welfare state. La società francese dà ontologicamente poco valore alla vita lavorativa. A questa caratteristica si è aggiunto il cambiamento che le nuove generazioni di tutto il mondo stanno portando nel rapporto con il lavoro, che è visto più come un ostacolo al benessere della persona. Giovani che hanno avuto un ruolo molto importante negli scioperi degli ultimi mesi, a sottolineare come lo stato sociale riguardi tutta la popolazione e non sia teatro di scontro generazionale.

Alla necessità di trovare fondi per garantirsi pensioni nel futuro, i giovani francesi propongono come soluzione una più aggressiva tassazione  verso i grandi patrimoni.

Giuseppe Calì

Fallita la Silicon Valley Bank: le ripercussioni sul mercato mondiale

Venerdì scorso, la Federal Deposit Insurance Corporation, l’Agenzia americana che gestisce fondi del bilancio federale e fornisce assicurazioni sui depositi bancari, ha annunciato il fallimento della Silicon Valley Bank (SVB). I suoi clienti, spaventati dalle voci di possibili crolli, avevano iniziato a ritirare i propri soldi dai conti correnti, creando una reazione a catena.

Si tratta del secondo maggiore fallimento bancario nella storia degli Stati Uniti dopo quello della Washington Mutual nel 2008. Proprio per l’entità del fallimento, si teme un effetto domino che può non solo coinvolgere l’intero settore bancario americano, ma anche avere ripercussioni sui mercati finanziari e sulle borse europee.

La banca di Silicon Valley

La Silicon Valley Bank è stata fondata nel 1983 da Bill Biggerstaff e Robert Medearis ed aveva sede nella zona della Silicon Valley, nella parte meridionale della California. Inserita nell’elenco delle maggiori banche degli Stati Uniti, era la più grande banca della Silicon Valley basata su depositi locali, con una quota di mercato del 25,9% nel 2016, ed era diventata la sedicesima banca americana per dimensioni: a fine 2022 contava 209 miliardi di dollari di asset e circa 175,4 miliardi di depositi.

La banca era specializzata nel finanziare startup del settore tecnologico e hi-tech, fornendo molteplici servizi a società di capitale di rischio, finanziamenti basati sui ricavi e società che investono in tecnologia e biotecnologia, e anche servizi di private banking per persone fisiche con un patrimonio netto elevato. La banca operava da 29 uffici negli Stati Uniti e nel resto del mondo.

Sede della Silicon Valley Bank. Fonte: pymnts.com

Il motivo del crack

Le cause del fallimento della Silicon Valley Bank derivano soprattutto dall’aumento dell’inflazione. La banca ricorreva generalmente alle obbligazioni per far fruttare il denaro depositato dagli investitori, come del resto è prassi per il settore. Tuttavia, per far fronte all’incremento dell’inflazione, la Federal Reserve, la banca centrale degli Stati Uniti, ha applicato delle politiche monetarie restrittive.

Una delle ragioni della crisi risiede nel fatto che l’istituto di credito ha investito circa 91 miliardi di depositi in titoli legati ai titoli di Stato americani che sono stati svalutati, perdendo circa 15 miliardi.

Inoltre, l’aumento dei tassi ha spinto i clienti a investire i propri risparmi in prodotti finanziari che rendono di più rispetto ai conti correnti, mentre alcune società di venture capital hanno consigliato alle aziende di ritirare i propri soldi dall’istituto. Il tutto si è tramutato in un’ondata di prelievi, o come viene chiamato in economia “corsa agli sportelli”, che ha portato ad un fallimento avvenuto in meno di 48 ore.

L’ondata di prelievi che si è verificata la scorsa settimana ha causato il fallimento anche di altre due banche: la Signature Bank e la Silvergate Bank, più piccola ma nota per i suoi stretti legami con la comunità delle criptovalute. La Signature Bank di New York è la ventunesima banca degli Stati Uniti, con attività stimate a 110 miliardi di dollari alla fine del 2022 e 88 miliardi di dollari di depositi. Entrambi hanno chiuso volontariamente per evitare un effetto a catena su tutto il sistema bancario statunitense.

Anche il Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, si è pronunciato domenica 12 Marzo sulla questione.

Il popolo americano e le società americane possono essere sicuri che i loro depositi bancari sono a loro disposizione quando ne hanno bisogno. Sono fermamente impegnato a chiamati a rispondere a pieno i responsabili di questo disastro ed a continuare i nostri sforzi per rafforzare il controllo e il regolamento delle banche più grandi in modo che non siano più in questa posizione

Il Presidente degli Stati Uniti d’America Joe Biden. Fonte: The Washington Post

Una nuova crisi finanziaria in Europa?

L’effetto della crisi bancaria americana ha contagiato anche in Europa. Un lunedì nero per le Borse europee ed anche per Milano, con il Ftse Mib che crolla del 3,2%, affossata dalle banche: Bper -7,2%, Banco Bpm -6,3%, Intesa Sanpaolo -5,4%.

Il Paese più coinvolto fuori dai confini americani resta la Gran Bretagna, che però si è mossa repentinamente per arginare i rischi. Il colosso londinese HSBC ha annunciato l’acquisto con effetto immediato della filiale inglese della SVB al prezzo simbolico di una sterlina. Secondo il Financial Times, la filiale gestiva depositi per quasi sette miliardi di sterline, servendo circa un terzo dell’economia delle imprese e dell’innovazione dell’intero Paese. Mentre le autorità statunitensi cercavano di contenere il crollo, il primo ministro britannico Rishi Sunak ha trovato un’ancora di salvezza per le centinaia di startup che dipendono dalla banca per i finanziamenti.

C’è davvero da preoccuparsi?

Oltreoceano non si assisteva a una simile concitazione dalla crisi del 2008, ma non sussiste paragone. Il terremoto che ha investito Silicon Valley Bank si inserisce in un perimetro ben definito e il suo epicentro è da ricercare alcuni anni addietro, all’epoca in cui la valle californiana del silicio stringeva un sodalizio di ferro tra gli istituti bancari e le startup attive nel settore tech.

Nonostante ciò, la maggior parte degli analisti finanziari al momento ritiene che non ci troviamo di fronte a una minaccia alla stabilità finanziaria paragonabile a quella, drammatica, di allora. I motivi sono diversi. Prima di tutto, pochissime banche hanno una così alta concentrazione di attività in un solo settore come SVB. Inoltre, in quanto banca regionale la SVB era regolamentata in modo meno rigoroso rispetto ad altre banche statunitensi delle sue dimensioni.

Victoria Calvo

Addio baby influencer? Dalla Francia una proposta a tutela dei più piccoli

Lo shareting, crasi tra sharing (condividere) e parenting (fare i genitori), è la pratica genitoriale di condividere sui social spezzoni di vita dei propri figli minorenni. Si pone alla base del fenomeno dei baby influencer: dei suoi vantaggi (like e profitti facili per chi condivide) e dei suoi svantaggi (disagi -in varietà e in varie età- per chi “è condiviso”). Vediamo ora, particolarmente, cosa di controverso rivelano gli studi scientifici sull’abitudine: quindi perché e in che misura, in Francia, un deputato ha proposto una stretta legale a proposito.

Baby influencer, i danni cerebrali

Riporta le informazioni Ultima Voce. Un bambino che è reso “personaggio pubblico” può subito soffrire di un disturbo identitario: psicologico e sociale. Passando molto tempo sotto le pressioni di uno smartphone, un piccolo rischia di confondere la dimensione reale e virtuale, creando per sé un mondo promiscuo.

In tale mondo promiscuo le difficoltà nei rapporti si possono moltiplicare. Le relazioni con lo spazio, il tempo e le altre persone possono diventare snervanti e ansiogene.

Ma probabilmente è un altro il guaio più grande dello shareting

Baby influencer come vittime pedopornografiche

Leah Plunkett, nel suo libro Sharenthood: Why We Should Think before We Talk about Our Kids Online, ha focalizzato, in merito al tema, il problema della diffusione di informazioni riservate.

Tutto ciò che viene pubblicato su un profilo aperto diventa di dominio comunitario. E la cessione della privacy, soprattutto se di un infante indifeso, lascia sempre a un’incognita il punto della sicurezza personale.

Gli hater acquisiscono la facoltà di attaccare verbalmente (o attraverso tastiera) il condividente e/o il condiviso. Ma assai più inquietante è l’ombra della pedopornografia; poiché, secondo uno studioil 50% delle foto che circolano sui forum pedopornografici sono state inizialmente condivise dai genitori.

Baby influencer
Baby influencer. Fonte: HealthDesk

In Francia una decisa presa di posizione

Riporta le informazioni Notizie.it. In Francia è stato Bruno Sruder, deputato di Renaissance, a lanciare la proposta di imporre un divieto per la pubblicazione di foto e video di minori sui social, dichiarando:

I primi due articoli stabiliscono che la protezione della vita privata è uno dei compiti dei genitori, che devono associare il figlio alle scelte che lo riguardano. Il messaggio per i genitori è che il loro compito sia anche quello di proteggere la privacy dei figli. In una società sempre più digitalizzata, il rispetto della privacy dei minori è ormai imprescindibile per la loro sicurezza, il loro benessere e il loro sviluppo

Sruder ha trovato solidarietà tra i colleghi. Infatti, il Parlamento francese ha approvato il disegno di legge adottato in prima letture dall’Assemblea nazionale lunedì 6 marzo. La Francia, d’altronde, è sempre stata in prima linea per la “difesa digitale” dei minori.

Nel Paese, pochi giorni fa, è stata accettata la proposta di alzare a 15 anni l’età minima per avere accesso ai social. Inoltre: dapprima di oggi i maggiorenni possono denunciare i genitori che hanno diffuso loro immagini senza consenso, abbonando loro sino a un anno di detenzione e 35mila euro di multa.

Dalla Francia all’Europa

Dalla Francia il moto potrebbe espandersi in Europa, coinvolgendo pure l’Italia. Perché, secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, a novembre 2022 l’Autorità garante per i diritti dell’infanzia avrebbe posto la questione all’attenzione della premier Giorgia Meloni.

L’appello di Carla Garlatti, dal 2020 Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, è ancora “senza risposta”; ma chissà che non ne riceva una proprio in questi giorni, quando gli occhi sulla questione sono più concentrati.

Gabriele Nostro

Waiting for Oscar 2023: The Whale

Il massimo dei voti per un film perfetto in tutto. – Voto UVM: 5/5

 

The Whale è un film del 2022 (qui in Italia, è arrivato lo scorso 23 Febbraio) diretto da Darren AronofskyRequiem For A Dream, Il Cigno Nero, Madre!). Il film è l’adattamento cinematografico dell’opera teatrale scritta da Samuel D. Hunter (ed anche sceneggiatore di questo film). La pellicola è stata proiettata per la prima volta alla 79° Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia, dove è stata accolta da una standing ovation di ben sei minuti; ha anche ricevuto 3 Candidature agli Oscar 2023 (Miglior Attore Protagonista, Miglior Attrice Non Protagonista e Miglior Trucco E Acconciatura).

L’attore protagonista è Brendan Fraser ( la trilogia de La Mummia, “Crash – Contatto Fisico”). Dopo un periodo di ritiro dalle scene dovuto a problematiche personali, il ruolo di “The Whale” gli ha fatto avere non solo una rivalsa personale, ma anche un’acclamazione dalla critica e dal pubblico, oltre che la Candidatura Agli Oscar 2023 come Miglior Attore Protagonista. In questo film, è affiancato da Sadie Sink (Max nella serie Stranger Things), Ty Simpkins e Hong Chau.

The whale
Brendan Fraser nel film. Fonte: Protozoa pictures, A24

Una vita al limite

Charlie (Brendan Fraser) è un uomo caduto in depressione per una serie di vicende personali e questo lo ha portato ad avere un’obesità eccessiva. E’ un professore universitario e per via della sua condizione, svolge le sue lezioni in via telematica e con la webcam spenta, per non farsi vedere dai suoi studenti. Le sue condizioni lo stanno portando sempre di più ad un aggravamento per la sua salute, tanto che rischia di morire da un momento all’altro.

L’infermiera Liz (Hong Chau), nonché unica sua amica, lo assiste ed insiste nel convincere Charlie a farsi curare. A quest’ultimo non importa più di sé stesso, ma nonostante ciò è un uomo buono e l’unica cosa di cui gli importa sul serio è sua figlia Ellie (Sadie Sink). Ellie è una ragazza dal carattere difficile che è stata abbandonata da Charlie anni fa, ma lui cercherà in tutti i modi di recuperare il rapporto con lei e di aiutarla nei suoi problemi.

The Whale è un film che parla di obesità?

ASSOLUTAMENTE NO. Può sembrare che si parli di questo, ma in realtà il film vuole raccontare tutt’altro. L’obesità non è il fulcro centrale del film, ma solo un contorno di esso. “The Whale” parla di depressione e di tentativo di suicidio, ma il protagonista cerca di farlo nel modo più lento che egli conosce: mangiando di continuo cibi ad alto contenuto calorico.

Se si legge la traduzione letterale del titolo (Whale = Balena), si pensa che si riferisca al protagonista e alla sua condizione fisica, ma non è così. E’ un riferimento a Moby Dick, il romanzo di Herman Melville. Per chi ha letto il romanzo, Melville aveva rappresentato la “Balena Bianca” come il “Male Assoluto”. La lotta tra Achab e la Balena, secondo Melville, era l’ennesima lotta tra il Bene e il Male. Non era una semplice caccia alla balena, era una continua ricerca dell’ignoto che l’uomo non incontrerà mai. Era un romanzo che scavava nella profondità dell’animo umano con continui dilemmi interiori e la continua ricerca della possibilità di riscatto e di una nuova speranza.  Ecco, i due poli opposti del romanzo sono rappresentati su Charlie. La “Balena” è una parte oscura di sé stesso, che si manifesta in quel divano in cui Charlie cerca di farsi del male in quel modo, per via della depressione, ma allo stesso tempo cerca anche la redenzione (altro elemento importante del film) e lo cerca nell’unica cosa di cui gli importa: sua figlia.

The whale
Sadie Sink nel film. Fonte: Protozoa pictures, A24

Il miglior film di Aronofsky?

Aronofsky è noto per essere quel regista che ha diretto dei film che si focalizzano su temi surreali, psicologici e melodrammatici. Definire “The Whale” il migliore in assoluto della sua filmografia forse è troppo, perché ha diretto film di ogni tipo e ha dimostrato di essere un regista quasi completo. Però, il suo ultimo film è uno dei più riusciti. Ha dimostrato che con un budget più basso rispetto a quello di alcuni blockbuster costosi, si può puntare molto sulla qualità e rendendola alta, nonostante la presenza di pochi (e buoni) attori e l’unico luogo fisso. Stavolta, sembra che punti più a colpire emotivamente a tutti i costi e ci riesce perfettamente, perché il film è veramente commovente. Tanto da far piangere, davvero.

Brendan Fraser vincerà l’Oscar?

La vittoria potrebbe davvero essere il suo riscatto. Ma al di là di questo, la sua interpretazione in “The Whale” fa venire la pelle d’oca. Si discosta dal ruolo di uomo coraggioso presente nella saga de “La Mummia” per interpretare Charlie, un uomo che, nonostante tutto quello che ha passato, resta buono e pronto a vedere il bene nel prossimo (anche quando sembra che non ci sia), tranne che per sé stesso perché pensa erroneamente di non meritarsi nulla. Al di là della possibile vittoria o no, resta comunque una grandissima performance.

 

Giorgio Maria Aloi

La Monaco Energy Boat Challenge: una competizione da non perdere

Il 24 febbraio 2023 si è svolto, presso l’Aula Magna del Rettorato dell’Università degli Studi di Messina,
l’evento: “Monaco Energy Boat Challenge: il debutto del team Messina Energy Boat”, nel quale gli
studenti dell’Università di Messina hanno presentato ufficialmente il loro progetto che è stato
ammesso a partecipare alla decima edizione della “Monaco Energy Boat Challenge”, nella categoria
“Energy Class”.
La Monaco Energy Boat Challenge è una competizione internazionale, organizzata dallo Yacht Club di
Monaco, nella quale si sfidano team universitari, selezionati dal comitato tecnico, provenienti da tutte
le parti del mondo. Lo Yacht Club di Monaco si occupa di fornire lo scafo dell’imbarcazione a tutti i
team selezionati, sfidandoli a progettare un cockpit ed un sistema di propulsione, utilizzando solo fonti
di energia a zero emissioni e materiali ecosostenibili.

Fonte. universome.it

Dopo l’apertura della giornata da parte del prof. Salvatore Cuzzocrea, Magnifico Rettore dell’Università
degli Studi di Messina, hanno preso la parola il prof. Eugenio Guglielmino, Direttore del Dipartimento di
Ingegneria, presentando alcuni “Progetti didattici-sportivi” realizzati in questi ultimi anni dal
Dipartimento di Ingegneria e il prof. Vincenzo Crupi, Faculty Advisor del team di Messina Energy Boat,
nonché Coordinatore del Corso di Laurea in Scienze e Tecnologie della Navigazione, che si è
soffermato sul tema della “blue growth” e sulle opportunità di crescita che questa presenta.
Sono poi intervenuti l’Ing. Giulia Palomba, Vice Faculty Advisor del team Messina Energy Boat, con una
presentazione su “Messina e il mare” e il prof. Pasqualino Corigliano, docente del corso di laurea in
Scienze e Tecnologie della Navigazione, su tema delle professioni collegate al mare.

 

Fonte: universome.it

La mattinata ha visto poi come protagonisti gli studenti del corso di laurea triennale in “Scienze e
tecnologie della navigazione” e magistrale in “Scienze e logistica del trasporto marittimo ed aereo” che
hanno avuto la possibilità di presentare il progetto ed il team Messina Energy Boat. In particolare
Angelica Sparacino, Team Leader del team MEB e Giuseppe Brando, MEB Logistics Team Leader,
hanno presentato le vari fasi del progetto, mentre gli studenti Gabriele Cama, MEB Design Team Leader
e Vittorio Geraci, MEB 3D Modeller, si sono soffermati su “Il progetto MEB: strutture e materiali
innovativi”. Marco Pavan, MEB Propulsion Team Leader e Umberto Salpietro hanno centrato
l’attenzione sul sistema di propulsione a zero emissioni dell’imbarcazione in fase di realizzazione e
infine, Antonio Piras, MEB Management Team Leader, ha esposto le strategie di comunicazione e
marketing che sono state poste in essere.

 

Fonte: universome.it

In un Aula Magna del Rettorato gremita erano presenti autorità, docenti e rappresentanti di aziende del
territorio di Messina e provincia oltre che numerosi studenti degli istituti nautici I.T.T.L. “Caio Duilio” di
Messina accompagnati dal Dirigente scolastico Daniela Pistorino, I.S.I.S. “Duca degli Abruzzi” di
Catania accompagnati dal Dirigente scolastico Brigida Morsellino, I.T.E.T. “Leonardo Da Vinci” di
Milazzo insieme al prof. Giuseppe Gentile e I.I.S. “F. Severi” di Gioia Tauro con il prof. Espedito
Valentino Pettinato.

 

 

Alessandra Cutrupia

Lotta al fumo: una proposta del Ministro della salute vorrebbe vietarlo anche all’aperto

Il Ministro della salute Orazio Schillaci, consacrato da una buona parte del governo, continua la propria crociata contro il fumo; sia esso proveniente dalle sigarette “tradizionali”, dalle sigarette elettroniche (e-cig) o dalle sigarette a svapo (Iqos e simili). Da sempre, studi scientifici dimostrano quanto dannosa possa essere l’inalazione, attiva o passiva, dei fumi provenienti da ogni tipo di sigarette. A tal ragione, la lotta organizzata da Schillaci si propone di generare una nuova cultura popolare, che stigmatizzi l’assimilazione di tali sostanze tossiche e prediliga il benestare comune. Vediamo ora come il Ministro crede di annientare le attuali abitudini: cos’ha già compiuto e cos’ha da definire a compimento.

Sigarette elettroniche: “Allargare il divieto nei luoghi pubblici”

Riporta le informazioni Tgcom24. L’uso delle sigarette “tradizionali” era diversamente regolamentato dall’uso delle sigarette elettroniche. Verso la fruizione delle prime la legislazione era parecchio stringente; verso la fruizione delle seconde meno. Uno status quo che Schillaci e vicini hanno avuto la brama di ristrutturare. Il medico, infatti, nel corso di un’audizione in Commissione Affari sociali della camera, ha fatto sapere di voler ritoccare la legge Sirchia, vecchia di vent’anni, per allargarne i vincoli:

Intendo proporre l’aggiornamento e l’ampliamento della legge 3/2003 per estendere il divieto di fumo in altri luoghi all’aperto in presenza di minori e donne in gravidanza; eliminare la possibilità di attrezzare sale fumatori in locali chiusi; estendere il divieto anche alle emissioni dei nuovi prodotti come sigarette elettroniche e prodotti del tabacco riscaldato; estendere il divieto di pubblicità ai nuovi prodotti contenenti nicotina.

Prima di oggi, per l’appunto, era vietato usare le sigarette elettroniche solo all’interno di aerei, treni, navi, scuole, centri per l’impiego, ospedali, centri di detenzione e altre sedi istituzionali. Era legittimo, per gli imprenditori della gastronomia, adibire nei propri locali “sale fumatori”. Ed era legittimo, per gli imprenditori del settore, fare pubblicità, in maniera diretta o indiretta, delle sigarette di ultima generazione.

Fumo
Fumo. Fonte:Flickr

Fumo, obbiettivo: mai più all’aperto!

Dopo un primo “colpo medio”, ecco il “colpo basso” per mandare giù l’estesa categoria dei fumatori. In seguito all’appianamento legislativo, i tecnici della Salute hanno scelto di rivedere anche il diritto di fumo negli spazi sconfinati.

Il provvedimento in bozza prevede che non si possa più accendere né una sigaretta né una e-cig nei tavoli all’aperto di bar e ristoranti, così come alle fermate di metro, bus, treni e traghetti. L’obbiettivo terminale, presumibilmente, sarà quello di eliminare totalmente la pratica del fumo all’aperto.

Bar, ristoranti e fermate dei mezzi pubblici sono infatti da considerare come aree di aggregazione (in cui potrebbe essere giusto porre attenzione al fenomeno dell’aspirazione passiva del fumo). Ma chissà se presto verranno considerate -nell’accezione ora individuata- “aree di aggregazione” tutte le zone al di fuori delle mura domestiche. Il futuro starà alla sensibilità, riguardo al tema, del governo.

 Fumo, quanto costa un’infrazione

La multa per chi trasgredisce ai nuovi divieti è di 275 euro, ridotta del 50% se pagata entro sessanta giorni dall’avviso di sanzione. La stessa  somma che è da più tempo prevista per chi infrange il divieto di fumo tradizionale al chiuso.

L’ammenda può essere commutata solo dai vigili urbani o dalle forze dell’ordine. I gestori dei locali avranno il compito di notificare loro l’infrazione.

Si rileva che la legge Sirchia non è stata trasgredita molte volte negli ultimi venti anni. Plausibilmente per il basso numero di segnalazioni da parte degli addetti piuttosto che per la scarsità delle disobbedienze.

Gabriele Nostro

 

Waiting for Oscar 2023: Gli Spiriti dell’Isola

Gli spiriti dell’isola, fa entrare lo spettatore, quasi senza che egli se ne renda conto, nel microcosmo dell’isola e spinge alla riflessione. – Voto UVM: 4/5

 

Presentato alla mostra del cinema di Venezia nel settembre 2022 e distribuito nelle sale italiane dallo scorso due febbraio, Gli spiriti dell’isola è una delle pellicole  che sembra emergere maggiormente alla cerimonia degli Oscar 2023. Il film conta ben nove candidature, tra cui miglior film, miglior regia, miglior attore protagonista a Colin Farrell, miglior attrice non protagonista a Kerry Condon e molti altri!

Gli spiriti dell’isola è ambientata sulla fittizia isoletta di Inisherin a occidente delle coste irlandesi. Poche case, un Pub dove gli isolani sono soliti trascorrere l’interminabile tempo libero, un sacerdote che approda sull’isola soltanto la domenica, un unico altero poliziotto e uno scemo del villaggio.
La regia è di Martin Mc Donagh (Tre manifesti ad Ebbing, Missouri), già vincitore di tre Laurence Awards. Samuel Beckett è il suo mentore, e proprio l’assurdo farà da padrone nel film.

Gli spiriti dell’isola: trama

Il lungometraggio ruota attorno alla frattura di due amici fraterni, Padriac, interpretato dal quantomai espressivo Colin Farrell (Animali fantastici e dove trovarli) e Colm, Brendan Gleeso, passato agli onori per il ruolo di Malocchio Moody nella saga di Harry Potter.

Entrambi di mezza età, il primo pastore e il secondo violinista, vivono da sempre sull’isola. D’improvviso il corpulento Colm decide di rompere l’amicizia con il “gentile” (così definito da tutti) Padriac. All’apparenza senza una ragione, spinto dall’insistente richiesta di una spiegazione l’uomo rivela di volersi dedicare alla musica, non vuole più passare i suoi ultimi anni a chiacchierare di cose vuote, inutili e noiose. A riguardo Colm riferisce di avere preso questa decisione dopo avere ascoltato il racconto di ciò che Padriac aveva trovato nelle feci della sua asinella. L’altro tenta  in vari goffi modi a ricucire lo strappo, ma Colm minaccia l’amputazione di un dito per ogni volta che gli verrà rivolta la parola.

Corre l’anno 1923 e sulla “terraferma” (così tutti i personaggi definiscono l’Irlanda) infuria una guerra civile tra lo Stato Libero che accetta un compromesso con l’Inghilterra e coloro che vogliono la totale indipendenza della Nazione. L’esistenza degli abitanti dell’isola è privilegiata direbbero alcuni, perché non è affatto toccata dalle brutture di una guerra fratricida. Di tanto in tanto qualcuno sente i colpi di artiglieria che scuotono la pace monotona dell’isoletta.

Gli spiriti dell'isola
Scena del film. Fonte: searchlight pictures

Colm e Padriac: amici nemici

Intorno ai due uomini,  ne Gli spiriti dell’isola sono presenti vari personaggi. Tra questi si ricordano alcuni avventori del Pub i quali fungono da silenzioso coro greco, che giudica con sguardi e atteggiamenti le azioni di Colm e Padriac. Una figura interessante è il poliziotto, un uomo violento con il figlio e autoritario, insieme  a  Dominic, il figlio di quest’ultimo, animo innocente visto come lo scemo del villaggio, vittima delle violenze e dei trastulli del padre.

L’irragionevole litigio tra i due sconquassa gli equilibri dell’isola ed è metafora dell’irragionevolezza dei conflitti familiari, dei ben più gravi conflitti fra fazioni o Nazioni.

Altro ruolo importante è rivestito dagli animali, in particolare il cane di Colm e l’asinella di Padriac. Compagni e testimoni delle vicende dei due rispecchiano alcune sfaccettature dei due uomini, entrambi animali fedeli e innocenti, l’asino rispecchia anche la testardaggine del padrone nel voler fare pace con l’amico. Il cane potrebbe rappresentare anche il lato in qualche modo avventuriero di Colm, che vorrebbe lasciare traccia di sé attraverso una sua composizione.

Due sono le figure femminili dell’isola, la pettegola negoziante e l’anziana e inquietante incarnazione delle Banshee. Quest’ultima, ingobbita, si aggira sull’isola predicendo sempre oscuri presagi e, per questo, viene derisa o evitata.

 

Gli spiriti dell'isola
Scena del film. Fonte: searchlight pictures

Un’amicizia “focosa”

E’ in un climax sempre più intenso che Gli spiriti dell’isola svela la vita su Inisherin. L’automutilazione di Colm, il quale lancerà le dita tagliate contro la porta dell’ormai ex amico è immagine dell’odio insensato che genera piccole e grandi contese. Altro aspetto focale è la morte dell’asina per via di una di queste dita. Ciò scatenerà la folle reazione di Padraic che arriverà a dare fuoco alla casa di Colm augurando a quest’ultimo di morire tra le fiamme, chiedendo però di lasciare il cane fuori dalla porta.

La minaccia del gesto avviene davanti a tutti al Pub, persino dinanzi allo stesso poliziotto, dipinto dallo stesso Padraic come un molestatore. Si perde ogni raziocinio e autocontrollo. Il pastore andrà davvero a bruciare la casa, di domenica alle due del pomeriggio come aveva annunciato.

Gli spiriti dell’isola come una tragedia greca

Il film da un inizio più umoristico si trasforma in un dramma grottesco che ricorda molto una tragedia greca: l’assurdità simbolica dell’automutilazione la caparbietà di Colm, simile a quella del Creonte Sofocleo, la guerra fratricida che getta nel caos l’isola.

Altro punto importante è che il film racconta l’amicizia, una delle tre forme d’amore per gli antichi greci. Padriac è quasi geloso come un innamorato nel vedere altri ridere e scherzare con Colm, vede addirittura preferire la compagnia del violento poliziotto alla sua. La solitudine di Padriac lo porterà a dialogare con Dominic, lo scemo del villaggio, addirittura ad ospitarlo a casa e a denunciare davanti a tutti gli abusi del padre.  Il povero ragazzo, vistosi rifiutato da lui si suiciderà. Proprio la vecchia banshee troverà il suo cadavere e lo riferirà al padre che, come un antagonista tragico, vedrà cadere su di sé il peso terribile delle sue azioni.

Gli spiriti dell'isola
Scena del film. Fonte: searchlight pictures

 

Gli spiriti dell’isola, pellicola prima umoristica e poi sempre più cupa, fa entrare lo spettatore, quasi senza che egli se ne renda conto, nel microcosmo dell’isola e spinge alla riflessione. Del resto, lo scopo delle antiche tragedie era incentivare la riflessione ed educare. Due obiettivi mirabilmente raggiunti da McDonagh.

 

Marco Prestipino

Metal Gear: i 3 momenti migliori che vorremmo nel film

La saga di Metal Gear è una di quelle saghe videoludiche talmente longeve e conosciute che chiunque nel mondo dei videogames ci ha avuto a che fare. Il primo capitolo risale al 1987 sviluppato per la macchina MSX ed il NES e si “conclude” nel 2015 con Metal Gear Solid V: The Phantom Pain.

Qui, però, si analizzerà un altro aspetto: riporteremo le scene che reputiamo essenziali per una eventuale trasposizione cinematografica della famosissima saga ideata dal game designer Hideo Kojima. Del film si è molto parlato negli ultimi decenni, ma fino ad ora solo 2 notizie sono trapelate: il regista sarà Jordan Vogt Roberts (già alla regia per The Kings of Summer e Kong: Skull island) e ad interpretare Solid Snake avremo il talentuoso Oscar Isaac (Dune, Moon Knight).

Null’altro è dato sapere, la Sony sta tenendo tutto per sé. Anche Konami sta facendo lo stesso con i suoi giochi dato che, grazie ai meme e alla perseverante passione dei fan, sembra che ci siano in programma dei remake dei primi 3 capitoli.

Metal Gear
Lo scontro tra The Boss e Snake in un concept art per il film; fonte: https://twitter.com/VogtRoberts/status/

Metal Gear Solid 3: Snake Eater – La morte di The Boss

Il finale del terzo capitolo della saga è tra le scene più iconiche, sia da un punto di vista di trama sia per la giocabilità in sé. Il combattimento più sofferente per Snake poiché affronta quella che è stata la sua mentore e adesso la sua nemesi: The Boss.

Conosciuta anche come The Joy o Voyevoda, The Boss è un personaggio molto interessante e fondamentale nella saga . Nel gioco sfida e combatte Snake, finché, in un luogo colmo di fiori candidi detto Rokovoj Bereg, muore sotto i suoi colpi. Nella scena, rivela a Snake la causa scatenante della Guerra Fredda, e l’elemento fulcro che ha portato l’intera trama al suo sviluppo. 

Dunque, si scopre che  le scelte di The Boss derivano dalla missione segreta assegnatale dalla CIA e dal Presidente: fingersi una spia russa e morire per mano del suo discepolo come traditrice della patria. La morte di The Boss provoca un forte impatto emotivo a Snake poiché realizza qual è la verità dietro la missione della sua mentore. La verità, dunque, è che fu una vera patriota, una vera eroina che sacrificò la sua vita e il suo onore, e che passerà alla storia, ufficialmente, come una criminale di guerra. Snake diventa Big Boss per aver portato l’Eredità indietro e aver sconfitto il suo mentore,  ma il suo rapporto da soldato con gli Stati Uniti viene per sempre compromesso. 

Metal Gear Solid: Peace Walker – La nascita di un villain

“Con il tempo, tutti gli eserciti devono essere completamente aboliti.”

Immanuel Kant, “Per la pace perpetua” cap.1

Nel primo finale del capitolo MGS: Peace Walker il nostro Snake si troverà davanti al Peace Walker, un carro armato movente con al suo interno l’intelligenza artificiale della sua mentore The Boss. Dopo averla uccisa, si troverà ad affrontare nuovamente il suo ricordo, per salvare il mondo da una catastrofe nucleare.

 E’ bene sottolineare quanto Snake fosse interessato al Peace Walker. Cosciente di trovarsi davanti ad una IA basata sulla mente di The Boss, cerca prove del motivo del tradimento della sua mentore. Dalle cassette audio  Snake capisce che in realtà lui è stato usato dalla sua mentore. The Boss non voleva altro che trovare quella pace che il mondo non riusciva più a darle, stanca della guerra ormai voleva solo sparire, piuttosto che continuare a combattere. Snake cambia obiettivo e decide di non voler rinnegare sé stesso come soldato, a differenza della sua maestra, e da quel momento in poi abbraccerà il nome in codice che la stessa Casa Bianca gli aveva affibbiato, Big Boss. E’ qui che nasce il vero villain che conosceremo nel primo Metal Gear: un guerrafondaio pragmatico che vede come unica ragione della sua esistenza e quella del mondo fondamentalmente nella guerra. 

Metal Gear
Il peace Walker in uno dei trailer di Metal Gear Solid Peace Walker; fonte: https://www.instagram.com/spdrmnkyxxiii/

Metal Gear Solid 2: le conseguenze dell’informazione digitale

Metal Gear Solid 2 può essere considerato un capolavoro per un particolare motivo: riesce a sovvertire completamente le aspettative del videogiocatore trasmettendo un importante messaggio di denuncia. Uscito nel 2001 affrontava il tema dell’informazione digitale in una maniera ottima se consideriamo soprattutto il fatto che internet era appena diventato una tecnologia di massa.

Il protagonista della storia risulta da subito inetto ed un emulo dell’ eroe del primo capitolo della saga.  Siamo costretti nei suoi panni durante tutta la trama e manovrati dalle mani di più burattinai, fino a renderci conto assieme al protagonista della realtà.

È proprio il finale di questa storia che noi consideriamo importante. Speriamo davvero che non venga tralasciato il messaggio che veniva trasmesso ai tempi, anzi, speriamo che venga ancora più ribadito.  Il ruolo del protagonista, marionetta nelle mani di una intelligenza artificiale, è  fondamentale; crediamo che ancora oggi rimanga una figura d’impatto.

L’intera trama del secondo capitolo è un pretesto per parlare al giocatore ed affrontare certi temi come l’accettazione del proprio io e della necessità di relazionarsi con gli altri. Già nel 2001 molti si sono lanciati contro Metal Gear Solid 2, criticandolo per l’aver disatteso le aspettative di chi voleva una storia puramente action, salvo essersi ricreduti nel tempo.

Metal Gear
Raiden, protagonista del secondo capitolo: fonte https://www.youtube.com/watch?v=E5zFtlGeqhg

Non solo fatti, ma interpretazioni

E’ vero che la saga di Metal Gear Solid si caratterizza di simbolismi e stratagemmi anticonvenzionali non trasponibili in un film diretto a un pubblico di massa. Ciononostante, queste scene sono per noi tra quelle immancabili per un film sulla storia delle Les enfaints terribles. Speriamo che il regista e Oscar Isaac ci mettano passione in questo progetto fantasma, distinguendosi da altre trasposizioni poco dignitose a cui siamo stati abituati noi videogiocatori.

Salvatore Donato,

Federico Ferrara,

Matteo Mangano