Farm Cultural Park: la street art da nuova vita al territorio

Street art in Sicilia

Negli ultimi decenni, l’evoluzione dell’arte ha profondamente cambiato il paesaggio della nostra isola. I territori siciliani sono diventati un esempio di rinascita attraverso la street art, grazie a vari progetti di trasformazione urbana.
Numerosi artisti, locali e internazionali, hanno apportato il loro contributo, permettendo non solo una trasformazione urbana, ma anche e soprattutto una rivitalizzazione economica, sociale e cultuale.

In Sicilia, accanto al suo ricchissimo patrimonio artistico, che affonda le radici nella sua storia di dominazioni e accoglienza di culture diverse, e si riflette nelle testimonianze architettoniche di tutte le epoche (dai templi greci alle chiese barocche) stanno nascendo nuove realtà che lo arricchiscono ulteriormente, fondendo tradizione e innovazione in un continuo processo di trasformazione.

Esempi notevoli di questa evoluzione sono “Fiumara d’Arte” e il “Cretto di Gibellina”.

Farm Cultural Park

 

Farm Cultural Park (Favara, AG): esempio di street art in Sicilia https://www.artinresidence.it/it/properties/farm-cultural-park/
Farm Cultural Park (Favara, AG): esempio di street art in Sicilia
Fonte: https://www.artinresidence.it/it/properties/farm-cultural-park/

Uno dei progetti più significativi è il Farm Cultural Park, a Favara, provincia di Agrigento. Il piccolo comune, che come molti altri dell’entroterra siculo stava affrontando una profonda crisi demografica, riuscì a rinascere dalle sue ceneri grazie ad una coppia di imprenditori, Andrea Bartoli e Florinda Saieva, che investirono nell’ambizioso progetto di rendere Favara un centro artistico, attraente soprattutto per i giovani. Nel 2010 nasce, quindi, Farm Cultural Park, un’iniziativa di riqualificazione urbana che unisce arte, cultura e comunità.

Attraverso la ristrutturazione di edifici abbandonati del centro storico e l’allestimento di opere ed installazioni, il comune diventa un centro artistico a 360°, in grado di attrarre artisti internazionali e visitatori da tutto il mondo.

Farm Cultural Parkhttps://www.google.com/url?sa=i&url=https%3A%2F%2Fwww.vita.it%2Fstorie-e-persone%2Fa-favara-larte-di-farm-cultural-park-ha-reinventato-la-citta%2F&psig=AOvVaw34RNKWanguMvpd6CSZA0t8&ust=1742055974262000&source=images&cd=vfe&opi=89978449&ved=0CBgQjhxqFwoTCLDup8j-iYwDFQAAAAAdAAAAABAd
Farm Cultural Park
Fonte: https://www.google.com/url?sa=i&url=https%3A%2F%2Fwww.vita.it%2Fstorie-e-persone%2Fa-favara-larte-di-farm-cultural-park-ha-reinventato-la-citta%2F&psig=AOvVaw34RNKWanguMvpd6CSZA0t8&ust=1742055974262000&source=images&cd=vfe&opi=89978449&ved=0CBgQjhxqFwoTCLDup8j-iYwDFQAAAAAdAAAAABAd

Turismo e sviluppo

Farm Cultural Park ospita, ogni anno, numerosi eventi come festival, workshop ed attività educative, creando un ambiente dinamico e vivace.

L’arte urbana ha svolto un ruolo fondamentale nel rafforzare l’identità culturale delle comunità locali, promuovendo la partecipazione attiva dei cittadini e la riappropriazione degli spazi pubblici.

Il turismo, che si è sviluppato in seguito alle numerose iniziative intraprese, porta benefici economici su tutto il territorio. Inoltre, per limitare le conseguenze negative sull’ambiente, il comune adotta politiche rivolte alla sostenibilità.

Questo progetto ha dimostrato come l’arte possa essere un potente strumento di trasformazione sociale, capace di innescare processi virtuosi di sviluppo sostenibile e inclusivo.

In conclusione, il progetto di rivitalizzazione di Favara è diventato un importante esempio replicabile da tanti altri comuni e riconosciuto a livello internazionale.

Farm Cultural Parkhttps://www.google.com/url?sa=i&url=https%3A%2F%2Fwww.loquis.com%2Fit%2Floquis%2F2762056%2FFarm%2BCultural%2BPark%2BFavara&psig=AOvVaw34RNKWanguMvpd6CSZA0t8&ust=1742055974262000&source=images&cd=vfe&opi=89978449&ved=0CBgQjhxqFwoTCLDup8j-iYwDFQAAAAAdAAAAABAr
Farm Cultural Park
Fonte: https://www.google.com/url?sa=i&url=https%3A%2F%2Fwww.loquis.com%2Fit%2Floquis%2F2762056%2FFarm%2BCultural%2BPark%2BFavara&psig=AOvVaw34RNKWanguMvpd6CSZA0t8&ust=1742055974262000&source=images&cd=vfe&opi=89978449&ved=0CBgQjhxqFwoTCLDup8j-iYwDFQAAAAAdAAAAABAr

Fonti:

https://www.farmculturalpark.com/

“Imparare da Favara. Radici culturali e prospettive di una rigenerazione urbana di successo”. Pier Paolo Zampieri

Antonella Sauta

Messina e Reggio Calabria: l’altra sponda dell’anima

Messina e Reggio Calabria, così lontane, ma così vicine. Come le labbra di due amanti che stanno per baciarsi, ma si ritraggono per mancanza di coraggio.
Forse sarebbe innaturale dire che ci amiamo, ma sicuramente sbagliato dire che ci odiamo. Messinesi e Reggini. Buddaci e Sciacquatrippa. Diversi, ma simili.
Lo Stretto ci unisce, e da sempre diamo vita a una particolare convivenza. C’è chi fa la spola per lavoro o, come noi universitari, per studio. E tra uno sfottò e l’altro, capiamo quanto ci somigliamo.

SICILIANI E CALABRESI? CERTAMENTE, PERÒ…

Aldilà della poetica sul così lontani, così vicini, la realtà è chiara: Messina appartiene alla Sicilia, Reggio alla Calabria. Un legame storico che ci restituisce fierezza ed orgoglio, ma oggi sembra più un recinto soffocante.
Messina, dal terremoto in poi, è rimasta all’ombra di Palermo e Catania. Ma ciò che fa più male è vedere l’ipocrisia di una Sicilia che tanto celebra i messinesi di successo (vedi Nino Frassica a Sanremo), per poi bollarli, una volta tornati a casa, come buddaci o finti siciliani.
Reggio, invece, soffre le scelte di una politica regionale che ha spesso favorito Catanzaro e Cosenza, a suo discapito. Emblematica è la vicenda dello Scippo del Capoluogo (una ferita ancora aperta), così come la forzatura del tracciato cosentino dell’A3, rivelatosi dannoso per tutta la Calabria.
Siamo figli di terre che non ci hanno mai riconosciuto appieno, e, a volte, sembrano persino respingerci. E quando dalla tua famiglia, il luogo che dovrebbe proteggerti, arrivano schiaffi e umiliazioni, inizi a chiederti se il tuo posto sia altrove.

L’DENTITÀ STRETTESE

Qualche tempo fa, nella pagina social Lo Stretto Indispensabile, la reggina Mariarita Sciarrone pubblicava questo post:

Quando mi chiedevano la mia provenienza, – in riferimento al periodo del soggiorno romano – non mi davano il tempo di prendere fiato che mi precedevano: siciliana, sei siciliana […] Mi ci sono voluti anni per capire quanto io fossi tanto calabrese quanto siciliana. E quando l’ho capito, a chi mi chiedeva di dove fossi, avrei voluto rispondere: dello Stretto. Sono una strettese […] Quella parola ha iniziato a suonarmi familiare, giusta, identitaria.”

Il termine strettese non è un’espressione abituale, e sembrerebbe più adatta ad un romanzo fantasy. Tuttavia, custodisce un fondo di verità.
Messinesi e reggini hanno intrecciato le loro storie, creando una solida integrazione che supera persino il mare.

La cadenza dialettale è molto simile, così come gli usi e i costumi. C’è una condivisione di servizi e strutture che permette a un messinese di utilizzare l’aeroporto Tito Minniti, così come a un reggino di studiare ad Unime.

E si potrebbero fare molti altri esempi. Oltre a tutto questo, c’è lo Stretto, simbolo millenario che, paradossalmente, ha sempre unito le città. Sin da piccoli, veniamo allevati dalla sua brezza, che ci accompagna per il resto della vita. Entriamo in simbiosi con quel meraviglioso specchio di mare, creando un legame così forte e personale, che risulterebbe difficile da comprendere persino ai nostri corregionali.
Alla luce di ciò, l’idea di un’identità strettese non sembra poi così assurda. Chiaramente non implica una fantasiosa quanto buffa secessione da Sicilia e Calabria, ma perlomeno spiegherebbe la nostra etichetta di siciliani e calabresi diversi.

IL DERBY DELLO STRETTO

Il Derby dello Stretto è il fenomeno socioculturale che più di tutti testimonia l’unicità di Messina e Reggio Calabria. Infatti, Il termine derby si usa per descrivere una partita giocata fra due squadre della stessa città, o al massimo, della stessa regione. Eppure, anche in questo facciamo eccezione.
Messina – Reggina rappresenta il match per eccellenza: in palio non ci sono solo i tre punti, ma il dominio dello Stretto. Vincere equivale a poter sfottere i rivali per settimane.

Cori come Reggino dimmi che si sente o Buddace Alè, vengo da te, dimostrano che le manifestazioni di affetto non mancano. E come non citare il famoso sfottò Vi invidiamo il panorama, che da mera provocazione sportiva, negli anni è diventata una battuta d’uso comune.

Ogni occasione è buona per punzecchiarsi a vicenda, segno di quanta passione, curiosità e coinvolgimento (sia in chiave critica che ammirativa) ci siano verso la fazione opposta.
Ma il tempo passa inesorabile, e l’ultimo Derby dello Stretto risale ormai a quasi nove anni fa. Era il dicembre del 2016, quando il Messina si impose per 2 a 0 al Franco Scoglio.

La mancanza del derby ha creato un vuoto, come se entrambi avessimo lasciato un pezzo di noi dall’altra parte.
Nel frattempo, gli sfottò vengono sferrati a distanza, ma le tifoserie attendono solo di scontrarsi, pronte a colorare lo Stretto di giallorosso o amaranto.

Sono tante le cose che abbiamo in comune. E sempre come due amanti, continueremo a provocarci, perché ognuno conserva un frammento dell’altro.

Forse per questo vivremo tormentati, in continua lotta con un destino beffardo: prima c’ ha diviso col mare, poi riuniti nel terremoto del 1908. Un patto di sangue che sancisce come solo insieme si possa rinascere.

Intanto, a Roma discutono del Ponte. Noi rispondiamo con una cartolina:

Con affetto, Messinesi e Reggini. Da sempre… i Padroni dello Stretto.

Giovanni Gentile Patti

Lipari e le Eolie: un Patrimonio di leggende e tradizioni

Entrare a Lipari non è solo un arrivo. È un’immersione nella cultura.

A chi movendo per nave da Messina, si allontani un poco dalla punta del Faro, nell’ora del Tramonto, si presentano subito, sopra un mare, che ha tutti i colori della Sera, le divine Ombre delle Isole Eolie: Ombre grandi, dalle linee così belle, come di madri, palpitanti di amore, dall’ansia d’una vita diversa dall’umana, ed Ombre piccole, come di una prole molteplice, timida e mansueta, accanto alle grandi.

Avvicinarsi ad esse vuol dire entrare della landa della Bellezza, dove si è soggetti ad una specie d’incanto divino, che dà allo spirito un sentimento del tutto nuovo della Natura.

Libro dei canti

 

Un ricco intreccio di leggende e credenze 

La leggenda narra che Lipari prenda il nome da Liparo, un re esiliato dall’Italia centrale che, stabilitosi sull’isola, fondò qui una colonia.

Secondo questa storia, Liparo governò pacificamente l’isola, che divenne prospera grazie alle sue risorse naturali. In seguito, abdicò e consegnò il potere a Eolo.

Le Eolie devono il loro nome proprio a Eolo, il dio dei venti.

Nell’Odissea di Omero, Eolo dona a Ulisse un otre contenente tutti i venti, per aiutarlo a tornare a casa. Tuttavia, i compagni di Ulisse, curiosi, aprirono l’otre, causando una tempesta che li fece naufragare. Questo mito ha fortemente legato le Eolie all’immaginario mitologico greco come il “regno dei venti”.

Un altro culto rilevante nelle isole, soprattutto a Vulcano e Lipari, è quello di Efesto, il dio del fuoco e della metallurgia. Si riteneva che i vulcani attivi fossero le sue fucine, dove lavorava instancabilmente il metallo per fabbricare armi e gioielli per gli dèi. I fenomeni vulcanici osservati sull’isola di Vulcano, con i suoi fumi e la lava, sembravano confermare questa credenza.

Lipari era anche legata al culto di Adranos, divinità siciliana del fuoco e della guerra, che sembra avere molte affinità con Efesto. Gli antichi credevano che i cani sacri del dio difendessero i suoi templi e il territorio. Un culto che sottolinea ancora una volta l’importanza del fuoco e dei vulcani per la cultura locale.

 

“Navigare necesse est”

Come in altre civiltà antiche, anche nelle Isole Eolie, e in particolare a Lipari, si svilupparono culti legati alla fertilità e alla natura. Le popolazioni isolane avevano un legame profondo con la terra e il mare, e si ritiene che adorassero divinità associate alla fertilità della terra e alla pesca.

Durante gli scavi archeologici a Lipari, sono state rinvenute alcune statuette che confermano l’esistenza di riti dedicati alla fecondità e al culto della Grande Madre, una divinità primordiale venerata in molte altre culture del Mediterraneo.

Le Isole Eolie rivestivano un’importanza strategica per il commercio, la pesca e i collegamenti con altre città del Sud. Per gli abitanti di Lipari, la navigazione rappresentava quindi una necessità vitale per il sostentamento economico e la sopravvivenza.

Inoltre, l’arcipelago era rinomato per la produzione di ossidiana, una risorsa che veniva esportata in tutta l’area mediterranea, rendendo la navigazione un’attività fondamentale per gli scambi commerciali.

 

Cantori popolari di Lipari, la voce antica delle Isole Eolie 

I Cantori popolari delle isole EolieFonte: Profilo Facebook dei Cantori popolari delle Isole Eolie
I Cantori popolari delle isole Eolie

Le Isole Eolie vantano l’esistenza di numerosi usi, costumi e tradizioni.

Da questi è nata una scuola di canti e danze popolari, riconosciuta in tutto il mondo grazie alla partecipazione a diversi raduni folklorici internazionali, come quelli in Olanda, in Portogallo, in Russia, in Turchia, in Australia e in Messico.

Si tratta dei Cantori Popolari, un gruppo folklorico fondato nel 1972 da alcuni studenti di Lipari. Questi giovani, amanti delle tradizioni, decisero di creare un vasto repertorio basato su ricerche minuziose ed approfondite, condotte su testi specialistici, e sugli stessi racconti degli anziani, una fonte preziosa.

Le rappresentazioni sono ispirate alla storia delle Isole Eolie o a particolari celebrazioni religiose. Ad esempio:

  • la Via Crucis, da Piazza Mazzini fin dentro la rocca del Castello, set della “Via della Croce”, dove gli eoliani ricoprono i ruoli tradizionali;
  • il Presepe Vivente, realizzato ogni 26 dicembre con location sempre differenti, come i vicoli del quartiere di Sant’Anna, la scalinata di San Bartolo o l’ingresso lato nord della zona medievale del Castello;
  • A Ruina, rievocazione storica del Sacco del Barbarossa che vede l’impiego di comparse, l’utilizzo del parco Diana e della Chiesa di Maria Santissima Immacolata per l’allestimento;
  • San Bartulu Prutitturi, una serie di eventi, canti, musiche e balli sulla storia di San Bartolo, tratti dalla memoria popolare;
  • la Ittata i lastricu. Quando si costruiva una nuova casa a Lipari, vi erano diverse tradizioni e rituali, che rispecchiavano la cultura e le credenze popolari locali, volti a proteggere la casa dagli spiriti maligni e a garantire prosperità e fortuna ai suoi abitanti.

Dopo il completamento della casa, era comune fare una grande festa con amici, parenti e vicini per celebrare l’evento. Questa festa serviva a condividere il momento di gioia e a rafforzare i legami con la comunità locale.

 

Fonte:https://www.guideturistichemessina.it/cantori-popolari-delle-isole-eolie/#:~:text=I%20Cantori%20Popolari%20delle%20Isole%20Eolie%20sono%20un%20gruppo%20folklorico,approfondite%20condotte%20su%20testi%20specialistici

 

Ni cummini quantu a Giufà

In ogni angolo della Sicilia si parla dello sciocco Giufà e delle sue peripezie da credulone.

Un grande personaggio che intratteneva grandi e piccini, prima che il mondo dei cartoni animati e dei social facesse sfumare l’arte del cantastorie e delle tradizioni popolari.

In pochi sanno che Giufà non è soltanto un personaggio popolare della tradizione siciliana, ma anche uno di quella spagnola e soprattutto araba.

L’etimologia del nome 

Si pensa che Giufà provenga dall’arabo, ma a darci qualche informazione in più è l’origine del suo nome.

Una cosa è certa, l’etimologia racchiude le qualità del personaggio.

Dal Nuovo vocabolario siciliano, si evidenzia che comunemente il nome Giufà derivi dal nome Giovanni; tuttavia, a

Nasreddin Khoja Fonte: Wikipedia

 

noi piacciono le storie e siamo andati ad indagare la “vera” etimologia del nome, animati dal desiderio di scovare un significato più goliardico, e così è stato.

Gioieni Giuseppe, nella sua opera interamente dedicata all’etimologia delle parole siciliane, sostiene che il nome derivi dallo spagnolo Ciufà, che indica la burla, lo scherno. Difatti, la tradizione ci tramanda racconti di gesta comiche.

Per altri Giufà non è un personaggio di fantasia inventato dalle mamme per intrattenere i più piccoli, ma in realtà è Nasreddin Khoja, un personaggio storico del XI secolo realmente esistito in Turchia.

 

In letteratura

Se per l’etimologia del suo nome, non vi è alcun dubbio, Giufà è lo sciocco del villaggio, qualche incertezza sussiste circa la sua apparizione letteraria.

Alcuni collocano la sua prima testimonianza scritta nel XVII secolo per mano di due poeti siciliani, Venerandu Ganci e Mamo da Cianciana, che inauguravano un nuovo personaggio da aggiungere alla letteratura umanista tipica di Boccaccio.

Giuseppe Pitrè – Fonte: l’identità di Clio

Altri sostengono che la prima apparizione del personaggio nella letteratura  avvenne grazie allo studioso delle tradizioni popolari, etnologo, medico e scrittore Giuseppe Pitrè intorno al 1845. Calvino, proprio in occasione della trasposizione del personaggio tipico della tradizione orale, disse : «al centro del costume di raccontar fiabe è la persona – eccezionale in ogni villaggio o borgo – della novellatrice o del novellatore, con un suo stile, un suo fascino. Ed è attraverso questa persona che si mutua il sempre rinnovato legame della fiaba atemporale col mondo dei suoi ascoltatori, con la Storia».

È curioso scoprire che diversi scrittori del Novecento hanno trasportato Giufà nelle loro opere.

Italo Calvino, recuperò il nome per soprannominare Gurdulù, lo scemo del villaggio, nella sua opera Il cavaliere inesistente; Leonardo Sciacca intitola un’opera Giufà e il cardinale.

Nelle storie che vedono protagonista Giufà, coesistono l’eroe e l’antieroe, impersonificati in scenari di ironia e beffa, sarcasmo e benevolenza, con temi attuali che invogliano alla critica verso il potere sociale.

Maldestro ma furbo, essere paragonati a Giufà può essere utilizzato in senso positivo, ma anche in senso negativo. Solitamente in Sicilia si usano tra i modi di dire “fari u Giufà” e “ni cummina quantu a Giufà”.

Il personaggio nella tradizione siciliana

Vediamo insieme le sfaccettature di questo personaggio, che si adatta ad ogni contesto culturale.

In Sicilia, il paragone con il personaggio di Giufà serve ad indicare chi è privo di furbizia e in preda ai più disparati malfattori.

Difatti, le storie che ruotano attorno al personaggio di Giufà lo ritraggono vittima di furti avvenuti con estrema facilità.

La trama della storia che fece la sua prima comparsa nell’opera di Pitrè prende spunto da consuetudini bucoliche nella Palermo del tempo, quando briganti e malfattori invogliavano i ragazzi a scambi di prelibatezze, sottratte furtivamente dalle dispense di casa, con promesse mai mantenute.

D’altronde, Giufà è il tipico fanciullo di campagna poco istruito che si esprime in modi di dire, racconti tramandati dalla madre e vive alla giornata in modo ingenuo, cacciandosi sempre nei guai.

Nella tradizione reggina

Nella tradizione reggina troviamo una piccola eccezione al Giufà siciliano, pur rimanendo nel background di un fanciullo sciocco. In questa versione, Giufà, al momento opportuno, si difende dagli attacchi, impersonando i caratteri della tradizione giudaico-spagnola del ragazzetto sciocco ma furbo, che si adatta alla circostanza in cui si trova.

Insieme a Giangurgolo e alle storie di Fata Morgana, diventa un volto amatissimo dal popolo calabrese.

Nella tradizione giudaico-spagnola

Nella tradizione giudaico-spagnola, viene presentato come un personaggio dal carattere ambivalente, passando dal non saper acquistare neanche da mangiare al nutrire chi avesse fame, ed è anche il ribelle che si prende a cuore le questioni sociali.

Il Giufà della tradizione giudaico-spagnola è un cavallo il cui valore si vede a lunga corsa.

Essere Giufà

Giufà è anche il titolo di un ciclo di racconti tragicomici interminabili e autoconclusivi. È sicuramente un personaggio del Novecento pensato come comico ma estremamente riflessivo.

È un personaggio che si ama per le sue sciocchezze e ingenuità, e ci sorprende per le sue risposte secche e furbe. Per questo vogliamo lasciarvi con due brevi storie che racchiudono il senso del “sii nu Giufà”:

Il barbiere maldestro

Giufà andò da un nuovo barbiere per radersi i capelli.

Il barbiere, non avendo molta pratica ed avendo una mano malferma, ad ogni taglio gli procurava una ferita che veniva prontamente saturata con un batuffolo di cotone. Ben presto una prima metà del capo di Giufà fu ricoperta da tanti batuffoli per evitare la fuoriuscita di sangue.

Quando il barbiere prese a radere l’altra metà della testa, Giufà gli chiese sarcasticamente: “Visto che già metà della mia testa l’hai seminata a cotone, cosa pensi di coltivare nell’altra parte?”.

 Giufà e i ceci

Giufà e i tre ceci
Giufà e i tre ceci
Fonte: colapisci.it

Un giorno la madre di Giufà andando a Messa raccomandò al figlio di mettere due ceci in pentola a bollire in modo tale che quando tornava sarebbero stati pronti.

Dopo un poco che la madre era uscita Giufà eseguì l’ordine ricevuto. Quando la madre tornò trovò la pentola che borbottava sul fuoco ma quando alzò il coperchio si accorse che dentro l’acqua i ceci non c’erano.

Infuriata, rimproverò aspramente il figlio per non averla ascoltata ma Giufà si difese dicendo: “Ho fatto più di quanto mi hai detto, ho messo in pentola ben tre ceci invece di due! Poi per controllare la cottura ho assaggiato il primo, per vedere come era di sale ho mangiato il secondo ed infine per vedere se era ancora duro ho mangiato il terzo! Per questo sono finiti!”. La madre, allora, esasperata, cominciò a picchiarlo con un cucchiaio di legno sulle gambe senza aggiungere altro.

 Elena Zappia

Fonti

https://it.wikipedia.org/wiki/Giuf%C3%A0

https://www.treccani.it/enciclopedia/giufa_%28Enciclopedia-Italiana%29/

https://www.tempostretto.it/news/cultura-giuf-eroe-siciliano.html

https://www.e-genius.it/Trinakria/sicilianelcuore.info/tradizioni/index.php?content=giufa

https://www.sololibri.net/Storie-di-Giufa-origine-varianti-riscontri.html

https://www.experiences.it/archives/7324

Marefestival Salina: dove cinema e cultura sono di casa

Nel punto dove la cultura si fonde con la bellezza estatica mediterranea, tra spiagge paradisiache e panorami mozzafiato, Salina si fa cornice per uno degli eventi più speciali dell’estate: il Marefestival

Tredici anni di Marefestival

Il Festival, giunto alla XIII edizione, si svolgerà dal 14 al 16 giugno presso il comune di Malfa, anticipato da una serata-anteprima il 13 giugno, sulla terrazza del porto turistico Capo d’Orlando marina, con la partecipazione di Cucinotta, Bouchet, Inaudi e Azzollini.

Durante questa serata, sarà proiettato il film Gli agnelli possono pascolare in pace. Il programma sarà ulteriormente arricchito dalla presentazione del romanzo storico Il grano nero dello sceneggiatore e scrittore Ignazio Rosato, con un dialogo tra Rosato e Fabio Agnello, inviato de Le Iene.

Il Premio Troisi è organizzato dai giornalisti Massimiliano Cavaleri, direttore artistico, e Patrizia Casale, direttrice organizzativa, in collaborazione con Francesco Cappello, Giovanni Pontillo e Nadia La Malfa. La scenografia e l’immagine sono curate da Tina Berenato.

Come ogni anno, la madrina d’eccezione sarà la bravissima attrice siciliana Mariagrazia Cucinotta, la cui storia è legata a Salina e a Troisi, per il suo ruolo nel film il Postino, dove interpretava Beatrice, la musa di Mario (il personaggio di Troisi).

 

Massimo Troisi e Mariagrazia Cucinotta in una scena del film il Postino. Fonte: Cinema amore mio (facebook)

Premio Troisi

 

Voi volete dire allora che il mondo intero è la metafora di qualcosa?

 

Il Premio Troisi, assegnato dal Marefestival Salina, onora figure di spicco del cinema, dello spettacolo e della cultura. Insieme al Festival, questo premio è diventato un tributo significativo, ricco di valore culturale e personale, celebrando le carriere degli artisti.

Nel ricordo di Massimo Troisi, attore straordinario e persona eccezionale, che ha saputo esprimere con semplicità e genialità i  piccoli e grandi problemi  esistenziali, affermandosi come uno dei grandi maestri del cinema italiano.

L’isola di Salina e il film Il Postino, quest’anno particolarmente nel 30° anniversario, rappresentano l’eredità cinematografica di Troisi e il momento della sua definitiva affermazione internazionale.

Ai già 82 premi consegnati in questi ultimi dodici anni, si aggiungono i protagonisti di questa XIII edizione del Festival nelle varie categorie:

Attrici: Barbara Bouchet, Carla Signoris, Francesca Inaudi

Attori: Francesco Pannofino, Alessio Boni, Sergio Friscia

Cantautori: Mario Incudine e Alberto Urso

 Comici: Uccio De Santis

 Produttori: Corrado Azzolini.

 

Marefestival X UniME

Inoltre, quest’anno, è stata stipulata una convenzione per uno stage con l’Associazione “Prima Sicilia” al fine di coinvolgere gli studenti dell’Università di Messina nelle fasi di preparazione e nelle attività del Festival, che si terrà dal 13 al 17 giugno (alla fine della pagina troverete il link per la candidatura).

Gli studenti potranno partecipare a diverse attività, tra cui:

  • Comunicazione, promozione e ufficio stampa
  • Segreteria organizzativa e produzione
  • Direzione artistica

Questa esperienza permetterà agli studenti di acquisire rapidamente competenze specifiche in vari campi, lavorando a stretto contatto con professionisti e personalità di spicco non solo del mondo del cinema. 

 

Gaetano Aspa

 

https://www.unime.it/notizie/marefestival-salina-2024-possibilita-di-stage-studenti-unime

 

Allarme in Sicilia: la siccità continua a peggiorare

La Sicilia sta attraversando un gravissimo periodo di siccità, per il quale la Regione ha dichiarato lo stato d’emergenza. Le piogge della seconda metà del 2023 e degli ultimi mesi sono state molto scarse e non hanno permesso un sufficiente riempimento degli invasi in molte aree della regione.

Le reti di fornitura idrica hanno già annunciato nuovi razionamenti che riguarderanno più di un milione di abitanti dell’isola: è interessato quasi un centinaio di comuni delle province di Palermo, Trapani, Enna, Caltanissetta, Messina, Catania e Agrigento. La Sicilia rappresenta infatti una delle poche zone rosse secondo l’European Drought Observatory: altre aree analoghe si trovano in Marocco, Algeria e sulla costa orientale spagnola.

In estrema difficoltà sono soprattutto il settore agricolo e zootecnico. Il riempimento degli invasi dell’isola, secondo l’Autorità di Bacino del Distretto Idrogeografico di Sicilia, è inferiore del 30% rispetto all’anno scorso, il cui dato era già di per sé scoraggiante. Gli agricoltori hanno difficoltà ad irrigare le colture, mentre gli allevatori accusano la sofferenza degli animali a causa della mancanza di foraggio verde e scorte di fieno, danneggiate dalle anomale precipitazioni della scorsa primavera. I primi razionamenti sono iniziati nella provincia di Palermo, quando l’invaso Fanaco ha raggiunto un riempimento pari a un decimo del totale. Successivamente, sono stati coinvolte altre cinque province dell’isola.

(Flickr)

I dati delle piogge

Secondo il SIAS, il Servizio Informativo Agrometereologico Siciliano, la seconda metà del 2023 è stata la meno piovosa rispetto ai medesimi periodi dal 1921. In particolar modo il dato di ottobre è fra i più preoccupanti, poiché le precipitazioni cumulative sono state inferiori del 93% rispetto alla media 2002-2022.

Nonostante nel 2023 siano stati calcolati circa 600mm di precipitazioni cumulative, non dissimili dalla media degli scorsi anni, le forti asimmetrie pluviometriche non hanno garantito un buon riempimento di dighe e laghi artificiali. Circa un terzo della pioggia dello scorso anno è infatti caduta nel solo periodo maggio-giugno. Quando le precipitazioni si concentrano su un’unità di tempo così piccola, il terreno non riesce ad assorbire efficientemente l’acqua, né riescono a riempirsi gli invasi, i quali hanno bisogno di un’alimentazione costante e graduale. L’acqua finisce quindi per disperdersi, correndo veloce verso il mare o causando alluvioni. Le forti piogge, inoltre, danneggiano gravemente colture e riserve di fieno da destinare agli allevamenti.

Questi modelli anomali di precipitazioni, insieme al rialzo termico di questo inverno, sono sempre più frequenti a causa degli effetti dei cambiamenti climatici. A questi si sommano le gravi carenze strutturali della rete idrica siciliana, le cui perdite si aggirano intorno al 50%. Inoltre l’isola, come il resto del Sud Italia, è fra le meno fornite di impianti in grado di filtrare le acque reflue da riutilizzare nell’irrigazione.

(Flickr)

I pericoli dell’estate

Il continuo permanere del terreno in stato siccitoso espone a un maggior rischio di incendi, a causa della presenza di vegetazione secca infiammabile. A ciò contribuiscono inoltre le alte temperature estive degli ultimi anni. L’agenzia Copernicus ha rilasciato lo scorso Gennaio un’immagine satellitare molto esplicativa della situazione.

L’estate scorsa la Sicilia è stata già protagonista di vastissimi roghi che anche quest’anno minacceranno la sicurezza ambientale della regione. Da Roma, tuttavia, non è arrivato il benestare per la definizione di quegli incendi come “calamità naturale”, che avrebbe dato al governo regionale maggiori poteri amministrativi nella gestione della crisi. La giunta Schifani ha comunque dichiarato lo stato d’emergenza per la siccità, potendo così nominare Leonardo Santoro, tuttora presidente dell’Autorità di Bacino, come incaricato nella gestione della crisi. Sono stati poi stanziati circa 150 milioni di euro per gli interventi più urgenti, ma è chiaro che la soluzione al problema richiederà una gestione nel lungo termine con impegno di tutti gli enti territoriali. Serviranno nuovi laghi artificiali, ammodernamento della rete idrica e riutilizzo delle acque reflue.

La crisi climatica non cede infatti il suo passo, e sembra essere ancora più aggressiva nel bacino del Mediterraneo. Ci costringe a ripensare il nostro territorio, che cambia in maniera molto veloce ed espone tutte le nostre fragilità.

(Flickr)

Francesco D’Anna

“Roma città libera”: XXIX Edizione della Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie

Giovedì 21 marzo, ricorrerà la XXIX Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. “Ricordo” e “Impegno” sono parole simbolo, valori su cui questa giornata si fonda, perché non vi sia rassegnazione dopo la tristezza, ma voglia di cambiamento e di resilienza. L’evento principale a livello nazionale, quest’anno, si svolgerà a Roma.

L’evento nazionale e principale per il 21 marzo 2024, si svolgerà a Roma (fonte: www.libera.it)

La ventinovesima edizione

«Il 21 marzo è Memoria, memoria di tutte le vittime innocenti delle mafie. Persone, rese vittime dalla violenza mafiosa, che rappresentano storie, scelte e impegno. Lo stesso impegno che viene portato avanti dalle centinaia di familiari che camminano con Libera e che ne costituiscono il nucleo più profondo ed essenziale, nella continua ricerca di verità e giustizia.».

Queste sono alcune parole scritte sul proprio sito ufficiale da Libera, l’associazione contro le mafie, fondatrice della Giornata in ricordo delle vittime di mafia.

Dopo la calda giornata estiva in cui, quasi trent’anni fa, avvenne l’incontro tra Don Luigi Ciotti e la madre di Antonino Montinarocaposcorta del giudice Falcone – si decise di dar seguito alla commemorazione delle vittime, perché il loro ricordo possa ispirare legalità.

Venne così istituita la Giornata e ideata la formula ricorrente delle celebrazioni, dalla lettura di un elenco con nomi di persone innocenti uccise dalla mafia, ai momenti di riflessione e di condivisione di testimonianze di familiari di quest’ultime. Si scelse, inoltre, proprio il 21 marzo, equinozio di primavera, per trovare nel parallelismo con la rinascita della natura dopo l’inverno, l’augurio di una rinascita nella legalità.

Visto l’enorme movimento che ormai coinvolge associazioni, scuole, enti e organismi locali e nazionali, e l’impatto che ne consegue sulle coscienze dei cittadini, lo Stato ha riconosciuto ufficialmente la Giornata con la legge n.20 dell’8 marzo 2017.

Alla vigilia del trentennale, Libera ribadisce le motivazioni dietro la causa, che si rinnova ogni anno, e ha spiegato, in un comunicato ufficiale, la scelta di Roma per l’evento nazionale.

“Roma città libera” oltre che aperta

«Consci della forza criminali e forti della ricchezza di questi percorsi di alternativa, saremo a Roma per riaccendere i riflettori sulla presenza della criminalità organizzata nella Capitale e nel Lazio e per combattere la pericolosa e sempre più dilagante normalizzazione dei fenomeni mafiosi e corruttivi. Cammineremo, come ogni anno, al fianco dei familiari delle vittime innocenti, per sostenere le loro istanze di giustizia e verità, per rinnovare la memoria collettiva e manifestare insieme a loro il nostro impegno per il bene comune. […]

A ottant’anni dalla liberazione dell’occupazione nazi-fascista, oggi Roma deve nuovamente aprirsi e liberarsi.».

Un percorso che coinvolgerà migliaia di partecipanti. Roma, scelta come simbolo di questo 21 marzo, sarà lo specchio, in piccolo, di ciò che avverrà contemporaneamente in tutta Italia. Nelle altre città italiane, infatti, si svolgeranno cortei e celebrazioni locali coordinati dalle delegazioni di Libera. Ovunque la lettura dei nomi delle vittime e l’approfondimento su tematiche specifiche e testimonianze di familiari di chi ha perso la vita per mano della criminalità organizzata.

Libera ha diffuso il programma dell’evento a Roma, tramite i propri canali ufficiali. Di seguito riportiamo alcune informazioni principali:

  • 8.30 Ritrovo e concentramento in piazza Esquilino;
  • 9.00 Partenza del corteo;
  • 10.30 Arrivo del corteo al Circo Massimo e a seguire saluti di Roberto Montà presidente di Avviso Pubblico;
  • 10:45 Lettura dei nomi delle vittime delle mafie dal palco (oltre 1000 nomi);
  • h 11.45 Intervento conclusivo di Luigi Ciotti;
  • Dalle 14.30 alle 17.00 Seminari di approfondimento.

Anche lì dove il senso di appartenenza a qualcosa di più grande sembra essersi affievolito più che mai, Libera riesce – come abbiamo visto negli anni – a riunire e creare una barriera fatta di verità e giustizia, muovendo cortei affollatissimi e che rinnovano la memoria, dove la mafia ha tentato di cancellare con la violenza.

Quest’anno, dunque, il ritorno del palcoscenico principale di Libera nella Capitale, avviene dopo la prima volta nel 1996. L’intento è quello di far convergere un’attenzione in più sulla città eterna, il cuore dell’Italia, dove varie criminalità organizzate si sono sviluppate e si nutrono del tessuto sociale.

Roma città libera”, titolo scelto per l’evento nazionale, è uno slogan che riecheggia il capolavoro cinematograficoRoma città aperta”. L’augurio tramite questa scelta è quello che la capitale possa trovare ancora la libertà, ribellandosi ancora a un’altra morsa avvelenata, dopo quella del nazi-fascismo.

Oltre la mafia tradizionalmente conosciuta, nel contesto romano vi sono criminalità organizzate autoctone e straniere in espansione, che spingono perché la dinamica mafiosa si insinui e pervada il tessuto sociale, fino a confondere i confini tra sano e marcio, tra legalità e illegalità.

Che Roma diventi simbolo di un’Italia rinnovata nei sani principi delle donne e degli uomini di giustizia.

 

Rita Bonaccurso

La vita di Pio La Torre e la necessità di riappropriarsi della nostra Sicilia

Tra gli enti pubblici a cui sono assegnati il maggior numero di beni confiscati alla mafia , spicca il piccolo comune di Roccella Valdemone in provincia di Messina. Con soli 657 abitanti ha in gestione ben 285 immobili e terreni sottratti a Cosa Nostra. A guidare la classifica è Palermo  con 1558  beni confiscati, seguita da Reggio Calabria con 374 beni.  Sui primi 10 comuni di questa graduatoria ,figlia di uno studio condotto dalla segreteria regionale dello Spi Cgil Sicilia e aggiornato al  novembre del 2023, 6 si trovano in Sicilia. L’isola detiene il 38,81% dei beni confiscati dalle organizzazioni criminali di stampo mafioso.

Una legge che parte da lontano e che bisogna applicare

La via della semplice repressione — che colpisce la escrescenza, ma che non modifica l’humus economico, sociale e politico nel quale la mafia affonda le sue radici — non ha portato e non poteva portare a risultati definitivi.

Così si esprimeva Pio la Torre nel 1976 ,nella relazione di minoranza per la commissione d’inchiesta antimafia. Una visione che metteva al centro la vita dei cittadini e cittadine ed il loro diritto al lavoro e al futuro, da perseguire anche grazie alla costruzione di spazi di giustizia sociale . L’attività politica e di sindacalista di Pio la Torre ha sempre avuto come faro la Sicilia e lo ha portato a diventare deputato del partito comunista italiano.

È lui che si fa portavoce di una proposta normativa innovativa : una definizione precisa  del reato di associazione criminale di stampo mafioso e l’introduzione delle misure di prevenzione patrimoniali.  Le quali permettevano di sottrarre tutto ciò che è stato strumento o profitto di azioni illecite agli indiziati  di azioni criminali di stampo mafioso. Sulla base della proposta di legge da lui presentata, venne promulgata la legge 13 settembre 1982, n.646 detta Rognoni-La Torre.

Pochi mesi dopo muore a Palermo , su mandato di Totò Riina e Bernardo Provenzano, come tutti gli uomini e le donne di cui la mafia ha avuto paura.

La mobilitazione di Libera

corteo di una manifestazione “Libera”

Libera è una rete di associazioni coinvolte in un impegno, non solo “contro” le mafie ma anche “per” la giustizia sociale, la ricerca della verità, per la tutela dei diritti. Sintomo di questo impegno propositivo è stata la raccolta firme iniziata nel 1995 e terminata un anno dopo, per presentare una petizione popolare a sostegno di un disegno di legge per il riutilizzo sociale dei beni confiscati ai mafiosi e ai corrotti. Dare nuova linfa alla visione sociale e comunitaria della lotta alla mafia introdotta da Pio La Torre, consentendo che queste ricchezze tornino alla comunità, sotto forma di opportunità di sviluppo economico e coesione sociale.  La proposta di legge verrà poi approvata il 7 marzo del 1997.

Da quel giorno molti passi in avanti sono stati fatti affinché questa legge trovi piena applicazione, attraverso la tutela dei lavoratori e delle lavoratrici delle aziende sequestrate e la trasformazione dei luoghi sequestrati in luoghi parlanti, segni di una nuova comunità, di impegno e reazione.

 

Giuseppe Calì

 

 

 

 

 

Gibellina: La Land Art più grande del mondo le dà nuova vita

Il terremoto e la ricostruzione

Gibellina, un comune della provincia di Trapani, situato nella suggestiva Valle del Belice, è il protagonista di una storia di rinascita straordinaria che affonda le radici nel tragico terremoto del 1978. Quell’evento devastante, che provocò centinaia di vittime e migliaia di feriti e senzatetto, segnò profondamente la comunità, lasciando dietro di sé solo macerie e ricordi dolorosi di perdita e distruzione.

Dopo il terremoto, Gibellina si trovò a dover affrontare la difficile sfida della ricostruzione e del recupero della propria identità. Ludovico Corrao, il sindaco del comune ormai distrutto, avvertì un profondo desiderio di riscatto tra gli abitanti. Fu lui a riconoscere nell’arte un potente mezzo per riportare dignità e speranza in un luogo che sembrava aver perso ogni cosa.

Difatti, Gibellina Vecchia si trovava in una posizione geografica scomoda, su una collina abbastanza isolata, motivo per cui, al di là del terremoto, stava subendo un inevitabile spopolamento. Si decise, dunque, di dedicare quel luogo esclusivamente alla memoria e di creare un nuovo nucleo abitativo a pochi minuti da essa, ma allo stesso tempo più vicino all’autostrada e, di conseguenza, decisamente più accessibile.

Il potere dell’arte

Il compito di trasformare le rovine in un simbolo di rinascita fu affidato all’artista Alberto Burri. Quest’ultimo, con grande sensibilità, concepì il monumento noto come il “Grande Cretto“. Utilizzando il cemento come medium, Burri creò un velo che avvolge le macerie degli edifici e percorre le strade del paese, trasformando il dolore in un’opera d’arte imponente. La semplicità dell’architettura lascia spazio alla memoria del luogo che diventa la protagonista dell’opera. Il Grande Cretto non solo rappresenta la più grande land art del mondo, grande orgoglio Siciliano, ma incarna anche un significato profondo, simbolo di resilienza e forza di una comunità determinata a emergere dalle sue ceneri.

Cretto di Gibellina
Cretto di Gibellina. Fonte: https://www.artwort.com/2016/07/20/speciali/cult/cretto-burri-gibellina/

Gibellina Nuova

Gli abitanti, intanto, diedero vita a Gibellina Nuova. Anche questa nuova comunità lascia ampio spazio all’arte, venendo concepita come un grande museo a cielo aperto. Si distingue per l’uso creativo del cemento, con cui sono formate gran parte delle strutture, che funge da collegamento tangibile con il Cretto di Gibellina Vecchia. Artisticamente curata, Gibellina Nuova ospita più di 60 opere ed installazioni realizzate da artisti e architetti di fama internazionale.

Arco d’ingresso a Gibellina Nuova. Fonte:https://www.quotidianocontribuenti.com/belice-e-altre-storie-la-stella-di-consagra-brilla-per-il-centenario/

All’ingresso un arco, la Stella del Belice, accoglie i visitatori, diventando il simbolo distintivo della città nuova.

Vi sono poi la Montagna del sale, una struttura in cemento, vetroresina e pietrisco con all’interno 30 statue di cavalli in legno, nata come scenografia dello spettacolo “La sposa di Messina”;

Il MAC, Museo Civico di Arte Contemporanea, che racchiude circa 400 opere di varie recenti correnti artistiche;

il Tappeto volante, realizzato con quasi 50 mila cordicelle di canapa che riproducono un effetto simile alle Muquarnas della Cappella Palatina di Palermo, oggi situato al Museo delle trame mediterranee, dedicato al sindaco che rese possibile una ripresa per il paese, Ludovico Corrao.

Il 2019 ha segnato un ulteriore passo avanti con l’inaugurazione del Museo del Grande Cretto di Gibellina, ubicato all’interno dell’unica struttura sopravvissuta al terremoto: la Chiesa di Santa Caterina.

La Chiesa Madre di Ludovico Quaroni – Gibellina Nuova. Fonte: https://www.spaghettievaligie.it/gibellina-museo-cielo-aperto/

Conclusioni

Arrivare alla collina che ospita questa grande opera non è semplice, ma il silenzio del luogo, immerso nella campagna dell’entroterra trapanese, lascia spazio ad una malinconica bellezza.

In conclusione, Gibellina oggi, oltre ad essere un vero e proprio simbolo di rinascita, in grado di mostrare il potere dell’arte e di una comunità unita per far risplendere il proprio territorio, si mostra anche come grande attrazione turistica che, ogni anno, accoglie eventi culturali di vario genere.

 

Antonella Sauta

Fonti:

https://luoghidelcontemporaneo.beniculturali.it/grande-cretto-

https://luoghidelcontemporaneo.beniculturali.it/gibellina-nuova-

Isabella Tomasi e la lettera del Diavolo

Giuseppe Tomasi di Lampedusa, nobile letterato siciliano del Novecento, tramite il valido contributo rappresentato dal suo emblematico romanzo Il Gattopardo, segna significativamente quello che è il panorama culturale della Sicilia del tempo, diventandone figura di spicco e fiero vessillo.

Il suo albero genealogico vanta illustri personalità, quali diplomatici, scienziati, cardinali e perfino una venerabile  suor Maria Crocifissa della Concezione, al secolo Isabella Tomasi. Una figura controversa da cui diversi scrittori traggono ispirazione, incluso lo stesso Tomasi, il quale ne omaggerà la memoria ritraendola nei panni della beata Corbera.

Scopriamo insieme la curiosa quanto macabra vicenda che la vede protagonista!

La vita da santa e la lotta contro il male

Isabella Tomasi, secondogenita del duca di Palma e principe di Lampedusa Giulio Tomasi, cresce in un ambiente rigorosamente cattolico. Non le viene mai tenuto segreto ciò a cui è destinata: così come il fratello, Giuseppe Maria, e le sorelle, Francesca e Antonia, Isabella avrebbe perso i voti e dedicato la vita al Signore, in un percorso che, più che alla santità, mirava alla legittimazione sociale della famiglia.

Divenuta suor Maria Crocifissa, sono svariate le doti soprannaturali che comincia a manifestare: carismi, estasi, visioni. Un dono di Dio e un ponte attraverso il quale riesce più volte a stabilire un contatto con la Madonna e l’Angelo custode

I poteri che ha ricevuto per grazia divina, però, non mancano di renderla vulnerabile oggetto di malevole attenzioni. Fino alla sua morte, il Diavolo cercherà di plagiarla, tentandola e vessandola con ogni suo mezzo.

 

Isabella Tomasi e la lettera del Diavolo
Isabella Tomasi attaccata dal Diavolo
Fonte: https://www.lasiciliainrete.it/wordpress/wp-content/uploads/2020/07/letteradeldiavolo2.jpg

 

È proprio in una simile circostanza che, l’11 agosto 1676, nel monastero di Palma di Montechiaro, viene scritta la Lettera del Diavolo.

La lettera del Diavolo

Quella notte, sola nella sua stanza, è in procinto di scrivere una relazione al padre confessore, quando alcune entità le si manifestano.

«Una gran numerosità di furibondi spiriti maligni, mandati per ordine di Lucifero infernale» si sarebbero impossessati di lei, facendone un misero corsiero: il suo corpo usato come canale per elargire un messaggio contro la Maestà Divina.

Viene ritrovata dalle altre monache a terra, svenuta, il viso imbrattato di inchiostro e della carta alla mano.

Scritta in una lingua sconosciuta e incomprensibile, un misto di greco, latino, cirillico e runico, l’unica parola leggibile in essa risulta essere “Ohimè”, nata dal tentativo della donna di opporsi alla volontà di quei demoni.

Più volte nel corso dei secoli si è tentato di decifrarne il contenuto; tuttavia, nessun linguista è ancora riuscito nell’intento. Secondo la stessa Maria Crocifissa la missiva esorterebbe Dio a lasciare gli uomini ai loro peccati e all’eterna dannazione.

La lettera del Diavolo
La lettera del Diavolo
Fonte: https://www.agrigentodoc.it/wp-content/uploads/2018/02/Lettera-del-Diavolo.jpg

 

Santità o pazzia?

Nel 2017, un gruppo di fisici e informatici catanesi, sottoponendo il testo a complessi algoritmi di decifrazione, sembra arrivare ad un punto di svolta. Il risultato della loro analisi rivela come l’alfabeto usato dalla suora sia stato inventato da lei: Ogni simbolo è ben pensato e strutturato. Ci sono segni che si ripetono, un’iniziativa forse intenzionale e forse inconscia” è la loro conclusione.

La perizia, inoltre, pare dimostrare che la donna soffrisse di problemi psichiatrici, forse un disturbo bipolare, scatenato o acuito dalla vita monacale.

Se sia santità o pazzia, non possiamo decretarlo con certezza.

La lettera, custodita nel monastero benedettino di Palma di Montechiaro, in provincia di Agrigento, continua, però, a suscitare interrogativi nei più curiosi.

❝Non mi domandate di questo per carità che non posso in verun modo dirlo, e nemmeno occorre dirlo io, che verrà tempo che il tutto udirete e vedrete.❞ 

Monastero di clausura delle Benedettine di Palma di Montechiaro
Monastero di clausura delle Benedettine di Palma di Montechiaro
Fonte: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/9/9f/Monastero_delle_Benedettine_-_Palma_di_Montechiaro.jpg/1600px-Monastero_delle_Benedettine_-_Palma_di_Montechiaro.jpg

 

Valeria Vella

Fonti:

https://www.santiebeati.it/dettaglio/91484

https://it.wikipedia.org/wiki/Isabella_Tomasi