Venerdì

È volgare il modo in cui elemosino attenzioni
ed è volgare come mi guardi
Le tue pupille dilatate
Spero di scorgerle di sbieco mentre parlo con altri
Che mi osservino in modo inconfutabile

Cosa desidero io da una fermata del bus
Mentre il vento si cosparge sulla mia epidermide
in spilli anestetizzanti
Desidero addii che promettono di tornare sulle loro decisioni

È volgare la tua gentilezza
La tua naturale bontà
La tua risata composta
I tuoi centellinati squilibri

È volgare volerle possedere
Corromperle
Perché non sono che cenere
Che fa cenere

Chiara Tringali 

Sei triste come la sera sul mare

Piangi? Non piangere, amore,
lascia che la sera ci afferri
nel suo grembo d’acqua e cenere.

Le stelle sbocciano e si spengono,
come le rose dimenticate nei giardini
delle case abbandonate.

Sei bella come la luna sullo Stretto,
sei triste come la sera sul mare.

E il treno urlava nelle gole d’ombra,
e il mare si sfaldava in canti di sirene,
e tu ridevi – tu ridevi –
con la bocca rossa di vino.

Fuggire, fuggire,
nel vento salato,
nella notte che trema
di cani randagi e d’asfalto.

Dove sei, dove sono,
se non in un sogno che svanisce
come il fumo d’un falò sulla spiaggia?

 

Gaetano Aspa

La cultura della parola: Quasimodo e la poesia

Salvatore Quasimodo, vincitore del Premio Nobel per la poesia nel 1959, è stato uno dei massimi esponenti della letteratura italiana del Novecento. Le sue opere, tradotte in oltre quaranta lingue, vengono studiate in tutto il mondo.

Nato a Modica, in provincia di Ragusa, il 20 agosto 1901, incontrò fin da giovane numerose difficoltà nel coltivare la sua passione per la scrittura. La sua famiglia desiderava per lui una carriera da ingegnere, ma le sue inclinazioni erano ben diverse. Fu solo nel 1926, a Reggio Calabria – dove si trovava per lavoro – che ritrovò fiducia nelle sue capacità letterarie.

Alla poesia affidò il senso stesso dell’esistenza, certo che sarebbe sempre prevalsa su ogni altra cosa.

La sua prima fase creativa fu caratterizzata da un lirismo intimo, fatto di abbandono ed effusione, sebbene fortemente ancorato al quotidiano. La seconda fase, invece, fu segnata da una riflessione critica e da una crescente consapevolezza esistenziale.

Quasimodo comprese che la poesia non poteva limitarsi a un esercizio di compiacimento sentimentale, ma doveva rispondere alla storia degli uomini e confrontarsi con essa.

Nelle Liriche degli anni Quaranta emerge con chiarezza il suo disagio: la poesia non poteva più essere mero strumento di evasione, ma nemmeno piegarsi alla propaganda politica.
Alla poetica della parola sentì l’urgenza di sostituire una poetica dell’uomo.

Il simbolismo rimase tuttavia la sua principale forma di comunicazione, e l’Ermetismo continuò a rappresentare la solitudine dell’autore e dell’intera umanità, filtrata attraverso una continua e profonda ricerca linguistica.

Alla pietà per se stesso seguì quella per tutti gli uomini. La poesia divenne così un’espressione sociale, moderna, un faro nell’esistenza, pur rimanendo sempre in cerca di un equilibrio e di una dimensione che fosse autenticamente umana.

Il viaggio di Quasimodo – dalla Sicilia a Milano, dall’infanzia all’esilio, dal tempo mitico alla modernità – riflette le tappe di un percorso poetico che va dal monologo interiore al dialogo con il mondo.

Nella sua poesia sociale, realtà e simbolo convivono armoniosamente.

Quasimodo rimase sempre fedele a un’immagine di se stesso mai rinnegata, e ciò gli permise di illuminare l’“Isola” dell’umanità.

Fino all’ultima fase poetica degli anni Sessanta, cercò – attraverso l’anticonformismo – di affermare il valore autonomo della poesia, opponendosi a una letteratura che considerava conformista, favorita e protetta dalla politica.

Per Quasimodo, la poesia è destinata ad andare oltre la morte, risvegliando le coscienze e riconducendole alla verità.


Quasimodo e Messina

Quasimodo non fu l’unico scrittore siciliano a mantenere uno stretto legame con la propria terra d’origine: anche Elio Vittorini, Vitaliano Brancati e Giuseppe Tomasi di Lampedusa fecero altrettanto.

Fino al 1968, Quasimodo coltivò il suo rapporto con la Sicilia in modo discreto ma ostinato, seguendo percorsi sempre diversi, anche attraverso le traduzioni dal greco e da lingue moderne.

Fu particolarmente legato a Messina, città che vide per la prima volta subito dopo il devastante terremoto del 1908. Messina gli apparve come un cumulo di macerie, morte e distruzione. Ancora bambino, visse con il padre ferroviere su un vagone, nutrendosi soltanto di mele.

In seguito, la loro dimora divenne una baracca di legno, poi una piccola casa in cemento armato situata in via Croce Rossa n. 81, nel Quartiere Americano. Quel paesaggio – l’odore dei limoni, il cielo azzurro, il vento che veniva dal mare – rimase per sempre vivo nella memoria del poeta.

Dopo l’infanzia trascorsa a Roccalumera, Quasimodo conseguì il diploma nel 1919 all’Istituto Tecnico “Antonio Maria Jaci” di Messina, sezione fisico-matematica.

Furono anni intensi, caratterizzati da scambi culturali, circoli letterari, riviste e importanti letture: da Dante a Dostoevskij, da Baudelaire a Mallarmé e Verlaine.

La sua ricerca della verità lo portò a confrontarsi anche con i testi di Platone, Cartesio, Spinoza, Sant’Agostino e i Vangeli.

Tutta la sua prosa critica affonda le radici nella filosofia.

A Messina intrecciò rapporti duraturi con personalità di rilievo come Salvatore Pugliatti, futuro rettore dell’Università, e Giorgio La Pira, destinato a diventare sindaco di Firenze.
Con loro condivise un’intensa stagione culturale, culminata anche nella nascita di un nuovo giornale letterario, il cui secondo numero venne redatto nella baracca di legno dove allora abitava.

Non perse mai il desiderio di ritrovare gli amici. Ogni volta che tornava a Messina, si recava alla libreria dell’Ospe, in Piazza Cairoli, fondata da Antonio Saitta. Qui, nacque l’“Accademia della Scocca”, cui aderivano alcune tra le menti più brillanti della poesia e della letteratura.

Il primo nucleo poetico della raccolta Acque e terre nacque a Messina, con introduzione di Salvatore Pugliatti, mentre con La Pira mantenne uno scambio epistolare continuo.

Messina e la Sicilia furono sempre al centro della sua “topografia poetica”. La sua isola diventò così terra di miti, di memoria e di antica bellezza.


 La modernità di Quasimodo

La poesia di Quasimodo è ancora oggi straordinariamente attuale. Egli scelse un rapporto diretto con i lettori, privo di filtri o cesure, per affrontare a viso aperto le grandi problematiche sociali del suo tempo.

Per Quasimodo, il poeta deve saper raccontare il quotidiano e restituire dignità al presente, affinché l’uomo possa finalmente diventare artefice del proprio destino, libero da condizionamenti esterni.

Le sue parole parlano ancora oggi con forza: l’uomo è armonia e non può aspirare soltanto al dominio, alla conquista o alla guerra. Anela, invece, a un radicamento autentico nella società, in sintonia con il pensiero di Hannah Arendt, filosofa tedesca che denunciò i totalitarismi.

Ogni individuo, secondo questa visione, deve farsi portatore di pace, garante dei diritti dell’altro, condividendo con lui le strutture sociali in nome di un egualitarismo spirituale di matrice cristiana. 

 

 

Bibliografia

Salvatore Quasimodo, Poesie e Discorsi sulla poesia, Mondadori 1983.

– G.Finzi, Invito alla lettura di Quasimodo, Mursia 1983.

– Stefania Campo, Salvatore Quasimodo e la sua Sicilia, Il leone verde 2022

Sitografia

https://turismoecultura.cittàmetropolitana.me.it/cultura/archivio-quasimodo/la-biografia/

https://gazzettadelsud.it/articoli/cultura/2021/02/25/quasimodo-messina-citta-sommersa-nel-mio-cuore-0c44132e-d1c2-4ce1-bc39-c37d59a7df5f/

L’arpa

Danza
su corde d’arpa
piedi nudi su fili spogli
melodia incalzante 
d’ira senza fine.

Passione che arde,
corpo che muore,
vene straripanti 
d’amore incompreso
per te medesimo.

E meno comprendi
più dal suono pendi
come un fantoccio
ch’è l’proprio mastro.

Ti guardi e t’osservo,
stesso cuore 
con occhi diversi.


Silvia Bruno

Alberi in fiore

Il soffio del vento,
i teneri raggi di sole
che s’infiltrano nel cielo.
Nel cuore del verde prato,
bagnato dalla rugiada,
si trova un piccola foresta.
A un tratto una tempesta
si scatena nel silenzio.
Rami spezzati
da un albero in fiore.
Il fiore della vita,
di un futuro da costruire,
di un’anima rubata.
Agisce nell’ombra
quella spietata tempesta
che ruba i rami
da quei bellissimi
alberi in fiore.

 

Alda Sgroi

Excalibur

S’espande in me
l’ombra dell’anima mia.
Col buio mi confonde,
non riesco a vederla
eppur la sento
nel petto mio, arso.

Cuore mio cosparso
di pietra, catrame.
S’insinua in lui
Amore come Excalibur,
ne la roccia vuol rimanere
e non oso estrarlo.

Lama che taglia e cuce
la ferita sanguinante,
Torace in fiamme.
Sarà acqua o resina
A sgorgare da la roccia?
Forse solo lacrime.

Lascerò che la spada mi trafigga.


Silvia Bruno

Tramonto

Luccica il mare
e le sue onde
cullano le barche.
Esse si fanno guidare
dal soffio di vento
che le spinge
verso mete sconfinate.
Il cielo dorato
lascia esplodere
sfumature calde
e le nuvole si avvicinano
pronte ad abbracciarlo.
Guardo davanti a me
e lascio volare via
le mie emozioni,
come fanno i gabbiani
che sferzano l’aria
con le loro ali.
Assaporo il tepore
di quel timido paesaggio,
che come un sipario
si apre davanti al sole
che diventa protagonista.
Il tramonto e la sua magia
mi portano lontano
e sfiorano la mia mente
lasciandola abbandonare
ad uno spettacolo
che il cuore può cambiare.

Alda Sgroi

Niente pazzie d’amore

Un altro inverno sta arrivando
Un’altra estate è andata via
Sono finiti e amori e storie
Sono finite le poesie.

C’è chi ha sofferto per un volto
Chi esulta per un vecchio incontro
Qualcuno pensa ad una notte
Qualche altro balla tra la gente.

Mani si incrociano, graffiano e stringono
Corpi si sfiorano, toccano e uniscono
Volti si guardano, baciano e ridono
Cuori si scaldano tremano e pulsano.

Spesso mi chiedo che cosa si provi
Quando due anime vanno in simbiosi
E sulla pelle rimbalzano brividi
E nella mente si accendono folgori.

Questa bachata che non ho ballato
Un grande ponte che mai ho attraversato
Un canto frivolo pieno di vita
La gioventù che diventa infinita.

 

Giuseppe Libro Muscarà

 

 

Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Natale Passato



Profumo di cannella,
calore che accarezza la pelle,
la tavola imbandita
ravvivata dalla famiglia unita.
Tutti la percepiscono,
quella magia di festa.
Così era la sera
di quel Natale passato,
di una bambina che ricorda
come l’atmosfera d’improvviso
quel giorno sia cambiata.
Sente qualcosa staccarsi da lei,
capisce che quel frammento
non tornerà il prossimo Natale.
Guarda verso la tavola
e si accorge che c’è un posto,
un posto che è occupato
dal ricordo di qualcuno
che ormai se n’è andato.
Osserva poi il cielo
e si accorge che una stella
cura la ferita più profonda
di quel Natale passato.

Alda Sgroi