Il cosmo, il tempo e la città: l’orologio astronomico del Campanile del Duomo di Messina.

img_2037Fin dalle antichità più remote il calcolo del passare del tempo, sulla base del moto degli astri, è stato uno dei primi interessi dell’uomo: lo studio del firmamento, i cui corpi celesti col loro comportamento immutabile segnavano il trascorrere delle stagioni, regolando la vita sulla Terra secondo le leggi del Cielo, è sempre stato un argomento in bilico fra la scienza e la teologia e il fascino che esso esercita sull’uomo è rimasto immutato nei secoli. I primi grandi orologi astronomici, nati in Europa nel 1300, erano enormi macchine di precisione legate a doppio filo alla vita civile e religiosa della città in cui erano costruiti: destinati a fare bella mostra di sè sulla cima di alte torri campanarie, questi grandi orologi non solo scandivano il tempo e lo comunicavano all’intera comunità attraverso il suono delle campane, ma riproducevano, coi loro meccanismi, quello che secondo la visione dell’epoca era l’ordine del Cosmo, facendosi imitazione, attraverso l’ingegno e la tecnica umana, del disegno divino. Non è dunque un caso se la massima diffusione di questi orologi si ebbe nel periodo rinascimentale (magnifici esempi, gli orologi meccanici di Praga o di Strasburgo), quando il rinnovato interesse verso l’astronomia, benchè mosso da motivazioni teologiche, contribuì a creare quella temperie culturale che, nei secoli a venire, permetterà infine a Keplero e Newton di spiegare quello stesso ordine appoggiandosi esclusivamente sulle leggi della meccanica: atto di nascita della fisica e della scienza moderna.

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Questi grandi orologi, per la loro complessità considerabili un po’ i computer dell’epoca, erano spesso ben più che semplici strumenti di misura, e gli stessi artifici tecnici che permettevano alle lancette di muoversi venivano spesso adoperati, come nel famoso orologio di Strasburgo, per dare vita ad automi, statue mobili che adornavano il prospetto e destavano stupore e ammirazione nei cittadini; l’orologio quindi, macchina mirabile, diventava un motivo di vanto e una sorta di simbolo per la città che lo possedeva.

Forse pensava a questo, monsignor Angelo Pajno, quando nel 1930 commissionò all’orologiaio alsaziano Theodore Ungerer il progetto di un monumentale orologio astronomico, per la nuova torre campanaria del Duomo di img_2069Messina. E forse una logica simile, in tempi così lontani e culturalmente diversi dal rinascimento europeo e dalla sua concezione, appunto, pre-scientifica del tempo e dell’astronomia, potrà sembrare anacronistica; ma non per Messina, città che in quegli anni iniziava a riacquisire una forma dopo gli orrori del terremoto del 1908, bisognosa dunque di ricostruirsi una identità civica; e non per Pajno, che vedeva la Chiesa come l’artefice principale di questa ricostruzione ideologica e materiale, come testimonia la sua intensa attività nella costruzione di edifici di culto, che gli valse il soprannome di “Muratore di Dio“.

La Storia dà ragione all’arcivescovo messinese: oggi l’amatissimo orologio, meraviglia dei turisti che accorrono a vederlo in piazza Duomo, è divenuto uno dei simboli più noti della Città e ne continua a raccontare la storia quando, ogni giorno a mezzogiorno, gli enormi automi in bronzo dorato che lo decorano prendono vita. Inizia il Leone, simbolo di Messina e pertanto posto nel punto più alto della facciata principale, alto oltre 4 metri: allo scoccare del dodicesimo rintocco gira la testa verso il pubblico, muove la coda e lancia un fragoroso ruggito, mentre le zampe agitano il vessillo con i colori della città. È poi la volta del Gallo, posto immediatamente sotto, che appena il Leone si ferma scuote le ali, muove la testa ed esegue il suo verso per tre volte. Ai due lati del Gallo si trovano le statue di Dina e Clarenza, le due eroine messinesi che, durante i Vespri Siciliani, nel 1282, sventarono l’attacco notturno dei Francesi suonando le campane e facendo rotolare massi dalle mura; le loro braccia, ruotando, fanno suonare le campane dei quarti e delle ore. Sotto Dina e Clarenza si trovano le tre cosiddette scene animate, che si attivano dopo il canto del Gallo.La prima partendo dall’alto rievoca la leggenda della Madonna della Lettera: davanti a Maria benedicente sfilano san Paolo e gli ambasciatori del popolo messinese, che da lei ricevono la Lettera da portare alla città. La seconda invece, destinata a una sorta di sacra rappresentazione, è progettata per cambiare, con un meccanismo girevole, a seconda del calendario liturgico: rappresenta la Natività nel periodo da Natale all’Epifania; l’adorazione dei Magi, nel periodo dall’Epifania a Pasqua; la Resurrezione, nel periodo da Pasqua a Pentecoste; la discesa dello Spirito Santo, nel periodo da Pentecoste a Natale.

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Infine, l’ultima scena animata è dedicata alla leggenda della fondazione del Santuario di Montalto, che emerge dalle montagne sorvolato da una colomba, sulle note dell’Ave Maria di Schubert. Ancora al di sotto delle scene animate, si trovano i due cosiddetti Caroselli, che non si attivano a mezzogiorno. Il primo, il Carosello delle Età, rappresenta quattro personaggi, un bambino, un ragazzo, un adulto e un anziano che sfilano di fronte a un minaccioso scheletro armato di falce, simbolo della Morte; direttamente ispirato
a quello dell’orologio di Strasburgo, si attiva ogni quarto d’ora; il secondo, più basso, è il Carosello dei Giorni, dove ciascun giorno della settimana è rappresentato da una divinità olimpica sul suo carro, che cambia appunto ogni giorno a mezzanotte. Sulla facciata laterale destra invece, si trova l’orologio astronomico propriamente detto, costituito dalla sfera della Luna, che indica le fasi lunari, dal quadrante del Calendario Perpetuo, che indica giorno, mese e anno, e dal quadrante dello Zodiaco, che riproduce le orbite dei pianeti intorno al Sole attraverso un sistema di lancette.

Meraviglia della tecnica dell’epoca e tutt’ora fonte di stupore e curiosità, l’orologio astronomico di Messina riprende quindi, completandola e rinnovandola in chiave moderna, la concezione degli antichi orologi astronomici; è allo stesso tempo orologio, sacra rappresentazione, orgogliosa messa in scena della simbologia civica, ingegnosa riproduzione delle leggi del Cosmo; e ripropone, con una tecnologia e un linguaggio chiaramente moderni, una idea antica quanto la cultura umana: quella della congiunzione tra il Cielo e la Terra.

Gianpaolo Basile

Un visionario a Messina: l’eclettismo liberty di Gino Coppedè

Ammettiamolo: al giorno d’oggi, gli scempi urbanistici degli ultimi quarant’anni e la cementificazione selvaggia che ha afflitto e in parte continua ad affliggere le nostre città, ci hanno lentamente abituati all’idea velenosa che l’edilizia urbana, sia essa pubblica o privata, debba, quasi per definizione, essere qualcosa di meramente funzionale, e, di conseguenza, privo di senso estetico. Anche per quanto riguarda le residenze dei ceti più benestanti ed abbienti, ci appare lontana e quasi estranea l’idea che una casa possa essere qualcosa in più di una semplice scatola in cui passare la vita nella maniera più comoda e confortevole possibile; che possa rappresentare qualcosa di bello, qualcosa in grado di conferire decoro e prestigio non solo al proprietario, ma all’intera città; in poche parole, che possa diventare oggetto d’arte.

Fortunatamente, le cose non sono sempre andate così, e la nostra città, Messina, ne costituisce ancora una preziosa testimonianza. Spostiamoci indietro nel tempo, nei primi del ‘900: quel tragico terremoto del 28 dicembre 1908 di cui così spesso ci sentite parlare nella nostra rubrica, ha appena trasformato una città d’arte, viva, florida e bella in un cumulo di macerie e fantasmi. Ma sotto le ceneri una fiamma cova ancora: è la tenacia dei suoi abitanti, che già dagli anni immediatamente successivi iniziano a prodigarsi, ciascuno nelle sue possibilità, per far risorgere Messina e restituirle, almeno in parte, il lustro e la grandezza degli anni passati.

É in questo contesto di fervore ricostruttivo che dobbiamo immaginarci l’arrivo a Messina di uno degli architetti più ammirati dell’epoca: Gino Coppedè.

Maestro e caposcuola dello stile eclettico liberty, il fiorentino Gino Coppedè è prima di tutto un artista profondamente consapevole della grande tradizione architettonica italiana e allo stesso tempo del gusto per la decorazione e per il bizzarro diffuso nella sua facoltosa committenza; quando arriva a Messina è già un architetto affermato e maturo, con alle spalle numerosi lavori in diverse città italiane e soprattutto a Genova; porta con se una cifra stilistica già inconfondibile, in cui combina a suo piacimento, in maniera capricciosa e surreale, il gusto per il neogotico fiabesco delle sue opere giovanili (come il genovese castello MacKenzie) con elementi stilistici moreschi, rinascimentali, manieristi, barocchi; Messina è dunque, per lui, una tabula rasa su cui mettere alla prova e consolidare, pur nelle restrizioni notevoli imposte dai rigorosi piani regolatori e dalle rigide norme antisismiche, quello stile onirico e visionario che poi esploderà, negli anni ’20, nel suo grande capolavoro della maturità, il complesso urbano detto appunto quartiere Coppedè, a Roma.

Sono tante le sue opere sparse qua e là nel tessuto urbano di Messina, e spesso non opportunamente valorizzate. Probabilmente la più esemplificativa del suo stile, nonché la meglio conservata, è Palazzo Tremi, detto anche Palazzo del Gallo, che si trova all’incrocio fra via Centonze e via Saffi, un po’ fuori dal centro storico: iniziato nel 1913 per il colonnello Vittorio Emanuele Tremi e la moglie, si fa subito notare per l’esuberante decorazione con il ricco fregio graffito con immagini di cavalieri, e i medaglioni con le teste di Medusa. Spostandoci in centro, troviamo il palazzo del marchese Loteta, sulla via Garibaldi, a sinistra della Prefettura, che mostra nell’impianto della facciata, con le sue bifore, la perfetta assimilazione del gotico quattrocentesco ravvivata qua e là da citazioni manieriste; e ancora, in posizione centralissima, in piazza Duomo all’angolo con la piazza Immacolata di Marmo troviamo il Palazzo Arena detto anche Palazzo dello Zodiaco, iniziato nel 1916, con il suo bel fregio e l’elegante portone in stile liberty. Dietro le absidi del duomo, all’incrocio fra la via Garibaldi e via Loggia dei Mercanti, nascoste fra le fronde degli alberi intravediamo le decorazioni, stavolta decisamente neobarocche, di palazzo Cerruti. Tornando sulla via Garibaldi, rispettivamente a destra e a sinistra dell’abside dell’Annunziata dei Catalani si fronteggiano altri due suoi palazzi, di cui il meglio mantenuto, palazzo Magaudda, all’angolo con la via Cesare Battisti, nonostante necessiti di restauri, rappresenta un vero compendio dello stile multiforme e citazionista del Coppedè.

Sarebbero troppi da descrivere uno ad uno gli altri palazzi, tutti costruiti negli anni ’10 e anni ’20 del secolo scorso e disseminati qua e là per le vie di Messina, da Palazzo Bonanno, sul lungomare di fronte alla Fiera Campionaria, a Palazzo dell’Ape sulla via I settembre; un motivo in più, fra i tanti, per passeggiare e perdersi fra le strade di una città che, nonostante le catastrofi storiche, ha ancora tanto da rivelare…

Gianpaolo Basile

Ph: Giulia Greco