Scusate il Disordine!

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La musica non la si prendeva. Mai!”

 

 

 

In “Scusate il disordine” Luciano Ligabue lascia di nuovo, dopo “Il rumore dei baci a vuoto”, senza parole. Una raccolta di racconti che lascia sempre incompleti e liberi di interpretare a modo proprio quello che succederà dopo. Una chiave di lettura: la musica. Presente in tutte le sue inclinazioni, con diversi amore verso di essa ma racchiusa tutta in uno spartito che ha proprio il sapore di Ligabue.

Ogni racconto si concentra sulla musica e sul rapporto che il personaggio ha con essa, fama o non fama, portandoci realtà che conosciamo ma spesso ignoriamo. Come Anchise che, nonostante la sua età, pur di continuare a suonare paga i componenti della sua band di tasca propria e si lega le bacchette alla mano a causa dell’artrosi; o un rapper che raggiunto il successo crede di potersi permettere una qualsiasi azione, probabilmente l’aspetto più raccapricciante dell’essere famosi.

Durante il primo pezzo ti hanno mitragliato di foto. Poi hai chiesto se adesso potevano mettere via macchinette e telefonini. Non c’è stato verso, hanno continuato a scattare ininterrottamente. Sei lì. È inevitabile. Per un attimo ti chiedi se non sanno, ma poi ti dici che sanno, sanno

Ligabue usa un linguaggio semplice e diretto, cambiando spesso registro a seconda del messaggio che vuole trasmettere. Consigliato a chi non ha paura di mostrare il disordine dei pensieri dentro di sé, le proprie emozioni e i propri dolori. A chi non nega il disordine della propria vita perché, per quanto si cerchi di regolarla, di dirigerla, non ci riusciamo e dobbiamo ammetterne l’impotenza. Non si può controllare.

Recentemente, il 24 e il 25 settembre, il ritorno live di Ligabue al Parco di Monza.

 

Serena Votano

Game Over: ultime memorie di un (quasi) neo laureato

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Game over. È finita (quasi). Mi sto per laureare. Veramente molto bello. No dai, una buona fetta di sarcasmo ce la metto perché non è bello manco per niente. È come trovarsi alla fine della maratona, dopo aver percorso 42 km e aver faticato tantissimo per un lungo periodo di tempo e iniziare a vedere davanti a te, finalmente, il traguardo. Peccato questa sia la maratona di Boston.

Ebbene sì, ho deciso di congedarmi con una buona dose di black humor. E, suvvia, non fate i moralisti proprio adesso, sto scherzando. Però la metafora rende perfettamente il concetto. Sì, perché ho faticato veramente tanto in questi tre anni, ho fatto esami, seguito lezioni e altre cose stupende che si fanno all’università. E adesso sono qui, con la mia manina protesa a prendere “il mio bel pezzo di carta” che dovrà darmi un futuro, ma il futuro non lo vedo. No dai, non voglio farvi deprimere, lo siete già abbastanza probabilmente. Cioè siete studenti universitari, per lo più, non può essere altrimenti. La mia è solo una considerazione sulla vita, sul futuro, sulle possibilità del nostro paese.

Vi confesso subito una cosa: io non ci capisco molto di politica e non sono nella posizione di fare un’analisi sull’argomento. Ma me ne frego altamente e la faccio lo stesso: BENVENUTI IN ITALIA, SE NON VI STA BENE EMIGRATE CHE QUI STIAMO DIVENTANDO UN PO’ TROPPI. Già, alla faccia del Fertility Day. Ma torniamo a noi, il futuro. Ora, visto che ho aperto il mio cuore con voi e sapete bene che non ho le conoscenze adatte per parlare del futuro di un giovane laureato in Italia, mi limiterò ad utilizzare un’espressione che su entrambe le rive dello stretto viene adoperata per descrivere al meglio la situazione: “Non c’è nenti”.

Esatto, la sentite la satira? Tutto in una frase, poche parole ed hai già detto tutto. Argomentare? Pff, lasciamolo fare a quei cervelloni che governano il paese. Ma, ora, mi chiedo se sia veramente così… Beh probabilmente sì. Mi riferisco soprattutto al sud, dove le alternative spesso mancano e dove i giovani sono costretti ad emigrare. E lo fanno veramente. Secondo una statistica, fatta da me, 3 ragazzi su 3 una volta finita la triennale al sud decidono di proseguire gli studi al nord. Ok, ammetto che non ho fatto un gran lavoro di ricerca. Ho chiesto ai miei tre colleghi che si stanno laureando con me dove pensano di proseguire gli studi e mi hanno risposto: “Lontano da qui!”. Pensavo bastasse come ricerca statistica. Forse non ho seguito al meglio i corsi di statistica sociale.

Eppure non sono completamente convinto che qui, al sud, non ci sia niente. Basta avere un po’ di fantasia, estro e creatività. Non vedete possibilità? Createle voi! Alzate il vostro bel culetto dal divano e cercate di cambiare le cose. Beh sì, forse mi faccio sgamare un’altra volta, ma non è che sono la persona più adatta di questo mondo per dire una cosa del genere. Ehi, non biasimatemi però, non è colpa mia se Netflix decide di aggiornare il suo catalogo ogni santo giorno. EHILÀ VOI DI NETFLIX? QUI C’È UN’ORDA DI GIOVANI CHE STA CERCANDO DI COSTRUIRSI UN FUTURO. POTETE, PER FAVORE, SMETTERLA DI PRODURRE COSÌ TANTI PRODOTTI DI QUALITÀ? GRAZIE. Già sempre a dare la colpa agli altri… Ho già detto “benvenuti in Italia”?

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Ed eccomi che mi trovo qui, in procinto di prendere una laurea considerata sfigata (anche più sfigata di quella in “Scienze della comunicazione”, quella quantomeno a furia di prenderla in giro è diventata famosa), che mi guardo indietro e ripenso a questi anni passati qui all’università. Sono stati dei begli anni. Beh forse lo devo dire per forza, non posso mica dire che mi hanno fatto schifo… Vi immaginate se dovessi ricevere qualche denuncia o qualche querela per questo? Sono troppo povero per potermi permettere di pagare un avvocato e se mi dovessi difendere da solo continuerei a dire qualcosa del tipo: “Ehm mi appello all’Articolo 21… quello sulla libertà d’espressione… o almeno credo sia il 21… no no, ne sono sicuro è il 21… l’ho studiato all’università… vedete, qualcosa l’ho imparata!” Non finirebbe tanto bene per me.

Però anche se probabilmente “il mio pezzo di carta”, di questi tempi, non mi garantisce un futuro lavorativo, sono contento di aver passato questi anni all’università. È un’esperienza e come ogni esperienza ti segna nel profondo. Ora, per i più svariati motivi personali (di cui non ve ne frega niente), probabilmente non utilizzerò le conoscenze acquisite in questi anni nel mondo del lavoro. Ho semplicemente deciso di cambiare percorso. Ma non sono abbattuto, anzi sono felice di aver provato questa esperienza e di aver vissuto così tante cose. E credetemi ne ho viste di cose strane e assurde all’università, dagli esami, alle lezioni, ai professori, alle code in segreteria. Tutte queste cose mi hanno formato e mi hanno fatto crescere, in un modo o nell’altro. Potrei raccontarvene tantissime e rimanere qui a discutere per ore. Ma vi ricordate il discorso sull’avvocato, l’articolo 21, ecc…? Ecco, come vi dicevo, sono stati veramente degli anni bellissimi.

Nicola Ripepi

Cafè Society: leggerezza e ironia amara nel nuovo film di Woody Allen

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Se l’autunno che avanza diffonde sulle nostre vite una ventata malinconica in grado di allontanare i ricordi briosi e dolci dell’estate, l’avvio della nuova annata di cinema offre un efficace antidoto capace di risollevarci, o almeno di incanalare nel giusto cantuccio le emozioni che erano rimaste a lungo assopite sotto l’ombrellone. Il ritorno di Woody Allen, regolare come quello delle stagioni, rischiara i sentimenti con tocco soave, riconducendoli al proprio ordine naturale. Appaiono vivaci i riferimenti consueti del cineasta in un’opera che racconta l’amore non senza sganciarsi dagli aspetti beffardi dell’esistenza. E che ancora attraversa con nostalgia le lancette del tempo.

 

Siamo nei colorati anni ’30 dello star system di Hollywood. Bobby Dorfman (Jesse Eisenberg) è un giovane ebreo di New York figlio di un orefice per nulla attratto dalla prospettiva desolante e noiosa che la permanenza in città e il lavoro del padre paiono offrirgli. Con l’ambizione di inserirsi nell’industria del cinema si rivolge allo zio Phil (Steve Carell) manager di attori famosi, presenza attiva alle feste eleganti a bordo piscina. Il rapporto coi divi e la società frivola di Los Angeles si impadroniscono della sua nuova vita e sarà così, alla fine, l’incontro con la disinvolta e magnetica Vonnie (Kristen Stewart), segretaria di Phil, a stravolgere ogni suo progetto. Il triangolo amoroso che coinvolge i tre protagonisti scaverà con intensità il dubbio della scelta dell’amata. La delusione al ritorno nella città natale farà crescere Bobby senza inibizioni e lo spingerà a fondare un locale notturno frequentato da alcune teste coronate d’Europa, da signori mondani e altolocati della società dell’epoca, nonché da esponenti della malavita italo-americana.

 

In Cafè Society, frutto delle 80 candeline spente dal regista lo scorso dicembre, i temi dei film di Woody Allen ricorrono senza esclusione di colpi: l’umorismo corale dei personaggi brulicanti e caratterizzati di Radio Days, il fascino fiabesco verso altre epoche, i due poli in antitesi di New York e Los Angeles alla maniera di Annie Hall, il sempre eterno ritorno alle proprie origini newyorkesi e quel senso di attesa e di oscuro presagio rappresentato dal futuro che incombe. Non sono nuovi gli argomenti cari al regista, affrontati senza dubbio con ben diverso spessore e profondità che in altre storiche pellicole precedenti. Eppure l’apparente giocosità e mancanza di pesantezza di questa nuova brillante amara commedia romantica lascia posto a espedienti tecnici e a una rinnovata cura del dettaglio, specialmente visivo, realmente sorprendenti.

cafesocietIl peso di Vittorio Storaro alla fotografia (premio oscar per Apocalypse Now) si palesa su una storia semplice, priva di novità clamorose, nel solco di una rappresentazione tipica e prevedibile, ma accompagnata da immagini e sensazioni che lasciano il segno. A catturare lo schermo è l’eccezionale bellezza di Kristen Stewart, vera nuova musa di Woody. Ma è anche l’ironia, cifra del suo cinema, che non subisce increspature, incrinature, segni del tempo. L’esito finale è quello di un regista che dopo ben 47 film mantiene ancora in piedi la sua freschezza. Cafè Society è un film imperfetto, così come lo sono talvolta le opere che arrivano a sedimentarsi nel nostro immaginario per arricchirlo e costruirci intorno altre storie. E questo proprio perché, come uno dei personaggi afferma in una scena, la vita è una commedia scritta da un sadico che fa il commediografo. Il film scorre veloce e a tratti con passaggi frettolosi, ma non perde di vista la sua efficace unità espressiva fortemente inquieta e drammatica dietro la patina di leggerezza.

 

Messo da parte il tono sarcastico delle origini, la verve comica cerebrale e nevrotica dei primi film, Cafè Society è un’opera della piena maturità, formalmente riuscita, in buona misura riassuntiva e emblematica (immancabile la colonna sonora jazz nei titoli di coda e la magia che l’avvolge). Un film che vale la pena andare a vedere nelle sale, e che, alla fine della proiezione, accantonate le incertezze e le riserve sulla sceneggiatura, rimane come puro esempio di cinema.

Eulalia Cambria

Gran Camposanto: un gioiello dell’arte messinese

cimitero monumentaleIMG_5352Camposanto: un termine che solitamente richiama sentimenti di dispiacere e dolore, nonché il ricordo dei propri cari defunti. Eppure vi è il Gran Camposanto di Messina che, se visto con occhi giusti, può richiamare anche altro: stupore, curiosità, meraviglia. Non si tratta, infatti, di un semplice cimitero: le tombe non sono semplici tombe, ma mirabili sculture; le cappelle non sono semplici cappelle, ma espressioni di una pregiata architettura. Il Cimitero Monumentale messinese, costruito nella seconda metà dell’Ottocento, è, insomma, una vera e propria raccolta di opere d’arte a cielo aperto. E il suo valore s’ingigantisce nel momento in cui ci si rende conto che si tratta di una delle poche testimonianze rimaste, dopo il terremoto del 1908, delle abilità artistiche degli scultori e architetti nostrani, che hanno vissuto ed operato nel XIX secolo. Al suo interno troviamo, infatti, innumerevoli (ed uniche) testimonianze della statuaria e dell’architettura in stile prevalentemente neoclassico, stile molto in voga a Messina nella seconda metà dell’Ottocento.

Il Gran Camposanto sorge in una zona centrale della città; l’ingresso principale è posto su via Catania, di fronte a Villa Dante. Il bando per la sua costruzione fu emanato dal Comune nel 1854, in un periodo particolarmente difficile per la città che era flagellata da una terribile epidemia di colera. A vincere fu l’architetto messinese Leone Savoja. I lavori furono avviati, però, solo nel 1865 e si giunse all’inaugurazione nel 1872. Savoja concepì il cimitero come un enorme giardino, con ampi spazi verdi e tanti viali alberati lungo i quali sarebbero state disposte tombe e cappelle. Così, oltre che di arte, il cimitero è ricco anche di vegetazione, basti pensare al piazzale che si apre di fronte all’ingresso principale: piante, fiori e piccole siepi che vanno a disegnare lo stemma della città e poco sopra la scritta “Orate pro defuntibus”, il tutto al di sotto della maestosa cappella di San Basilio degli Azzurri; insomma, appena varcato l’ingresso, l’effetto scenografico è assicurato.

Da qui partono poi due ampi viali, che insieme al Famedio, ospitano i sepolcri dei messinesi illustri. Nel viale sinistro, che termina nei pressi del cimitero degli Inglesi, troviamo perlopiù le tombe di politici, patrioti e militari; mentre in quello destro, le tombe di letterati e giuristi.

In asse con l’ingresso centrale, in posizione rialzata, troviamo il Famedio. Questo termine è un neologismo coniato dalle parole latine “fama” (fama) e “aedes” (tempio), dunque letteralmente significa “tempio della fama”. Ed effettivamente il Famedio è l’edificio destinato alla sepoltura dei personaggi più illustri. Quello del nostro Gran Camposanto non fu mai completato a causa della morte di Savoja; per di più è stato danneggiato dal terremoto del 1908, che ha provocato in particolare il crollo della copertura, che non è mai stata ricostruita. Ad oggi, tale costruzione presenta una galleria sotterranea per la tumulazione dei morti, quasi a mo’ di catacomba, e la facciata caratterizzata da un imponente colonnato. Lungo questo colonnato troviamo i monumenti dedicati ad alcuni celebri cittadini messinesi.

Vi è in primis quello dedicato a Giuseppe La Farina, le cui ceneri vennero trasferite da Torino nel 1872, in occasione dell’inaugurazione del Camposanto. Questo monumento, costruito dallo scultore Gregorio Zappalà, è costituito da un basamento su cui poggia il sarcofago sormontato dal busto del patriota, scrittore e politico messinese; dinnanzi al sarcofago, l’Italia, raffigurata con le sembianze di una giovane e malinconica donna, porge al monumento un ramo di quercia, simbolo di fortezza d’animo.

 

Vi è poi il monumento dedicato a Felice Bisazza, realizzato da Giuseppe Russo e costituito da un basamento con al centro il ritratto del poeta messinese, su cui poggia il sarcofago sormontato da un’elegante allegoria femminile della poesia e affiancato da due splendidi angeli.

Da ricordare, infine, il monumento in memoria di Giuseppe Natoli, realizzato da Lio Gangeri e costituito da un sarcofago sormontato da un bellissimo angelo che regge in mano la torcia dei geni mortuari.

Ancora in asse con l’ingresso principale, sulla sommità della collina, troviamo il Cenobio. L’edificio, in perfetto stile neo-gotico, fu progettato da Giacomo Fiore. Inizialmente fu utilizzato per lo svolgimento delle funzioni religiose e come sede degli uffici del Cimitero, nonché come alloggio del cappellano- direttore, per poi cadere in parziale (e dopo totale) disuso in seguito al terremoto del 1908.

Nella spianata circostante il Cenobio si ergono numerosissimi monumenti, lapidi e sculture, quasi tutti realizzati tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.

Sul Gran Camposanto ci sarebbe tanto altro ancora da dire: ci sarebbero da spendere parole su parole per ogni singola lapide, per ogni singola statua. Quel che è certo è che il nostro Gran Camposanto dovrebbe essere affollato non solo da chi va a portare un fiore ai propri cari, ma anche da cittadini, da curiosi e da turisti, come accade in altre città. Del resto il nostro è uno dei cimiteri più artistici d’Italia, secondo solo a quello di Genova. E in più ci permette di rivivere l’atmosfera romantica e neoclassica della Messina del pre-terremoto, occasione più unica che rara.

Francesca Giofrè

Ph: Giulia Greco

 

Gli Aspiranti Giornalisti

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Siamo tornati! Dopo aver cercato di abbattere lo stereotipo legato al modo di portare i capelli (se non hai letto, oltre ad essere una brutta persona, clicca qui ), oggi affronteremo un argomento ancora più spinoso, ancora più deprimente, ancora più stereotipato: gli aspiranti giornalisti.

Come se non fosse già abbastanza dover fare a pugni con una società che ha di te la stessa considerazione che hanno gli studenti per la bibliografia dei testi universitari, e con tante persone che ti accollano epiteti poco simpatici come giornalista terrorista, si aggiungono una serie di stereotipi poco simpatici.

Cercheremo di sfatarne giusto 5.

1- Sì, esiste il corso di laurea di Giornalismo. Sembra lapalissiano, ma non tutti (anzi, la quasi totalità delle persone con cui mi trovo a discorrere in merito all’argomento) sanno che esiste in tanti Atenei, soprattutto nel nostro, un indirizzo giornalistico. Sfido tutti voi aspiranti giornalisti che frequentano questo corso, ad affermare che non si sono mai sentiti dire: “Ti piacerebbe fare il giornalista? E che studi? Scienze della comunicazione?”. Sì, cari amici, esiste.

2- Non esiste solo il giornalismo sportivo. Questo poi, forse è quello che mi è più caro. La dimensione che tante persone hanno del giornalismo è distorta: sei giovane, segui lo sport = farai il giornalista sportivo. No, fortunatamente non è un dogma nemmeno questo, e per quanto lo sport possa essere appassionante, non esiste un settore del giornalismo che viene univocamente ambito dagli aspiranti giornalisti.

3- Non ci ispiriamo per forza a qualcuno. Tanti hanno un modello, un riferimento, qualcuno cui ci si ispira. È tipico degli amici dell’aspirante giornalista iniziare ad etichettarlo: “Oh Travaglio!”. “Ti senti più Di Marzio o Marianella?”. Quello che dovete sapere, amici, è che non ci ispiriamo per forza ad un altro giornalista: ognuno, nel corso della propria formazione, assume un determinato stile (e sarebbe strano se così non fosse), senza dover emulare quello di un altro professionista del settore. P.S. Mi hanno davvero chiesto: “Ma se fossi un commentatore sportivo, esulteresti alla  Caressa o alla Compagnoni?”, qui non mento, MARIANELLA ORA E SEMPRE, MERAVIGLIOSAMENTE.

4- L’aspirante giornalista non vive in un film americano. Avrete certamente presente i classici film americani in cui il giovane giornalista passeggia nervosamente in redazione nella propria stanza (vedi tu, una stanza tutta tua…) , fumando venti sigarette ed aspettando che “la fonte” lo chiami per rivelare chissà quali segreti di Stato. Ecco, nella vita reale non è proprio così: più che altro ti trovi ad aspettare comunicati stampa o notizie del calibro “Rubata gallina sulla Tommaso Cannizzaro”, cercando disperatamente una rete Wifi, il più delle volte scrivendo da device poco adatti come telefonini che puntualmente saranno scarichi.

5- Non per forza moriremo di fame. Uno su mille ce la fa. Ringraziando Gianni Morandi che ci concede la licenza poetica, ammettiamo che questo è lo stereotipo più difficile da abbattere. Sarà forse uno strano senso sadico a portarci ad intraprendere la strada del giornalismo, pur sapendo le difficoltà del mestiere, ma il requisito fondamentale per essere un aspirante giornalista è una fiducia sconfinata nei propri mezzi ed un pizzico di illusione verso la vita. Per sfatare questo stereotipo, contattate i membri della redazione fra vent’anni. O in alternativa lanciateci una moneta al semaforo.

Alessio Micalizzi

Il Movimento E’ Fermo, un romanzo d’Amore e Libertà (ma non troppo)

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Il movimento è fermo, così si intitola il nuovo e primo libro di Lo Stato Sociale. Questo gruppo di cantautori, di poeti moderni, è incisivo fin dall’inizio con un titolo creato su un ossimoro.

Zeno e Genio sono due amici e sono i protagonisti della storia, anzi, delle storie. Tra le pagine di questo romanzo troveremo, infatti, tante storie che, in un modo o nell’altro, si intrecciano tra di loro.

Partono tutte da questi due ragazzi: due 30enni che ancora non hanno ben capito cosa vogliono dalla vita, che sanno cosa vorrebbero fare ma, forse, quello che vorrebbero fare è qualcosa di troppo utopico.

Sono due amici assolutamente diversi, che si divertono ad avere dibattiti filosofici davanti un calice di vino o una birra, che seguono il calcio e cercano (o forse no, non lo sanno nemmeno loro) la ragazza della propria vita.

In una Bologna rossa, quasi anarchica, se ne vanno in giro con un motorino e un furgone un po’ vecchi e, se volete, potete andarvene in giro con loro e vedere se riescono a trovare quello che stanno cercando. Perché tra le strade di Bologna, in effetti, si può incontrare una ragazza bellissima e insicura: Eleonora. Eleonora che, come un fulmine a ciel sereno, cambia tutti i piani di Zeno.

Parallelamente, si svolge un’altra storia: la storia di Michelle, giovane giornalista che vuole cambiare il mondo. Ed il mondo si può cambiare, lei ci riesce… Ma a quale prezzo? E cosa c’entra Michelle con gli altri ragazzi, che si arrangiano come possono ogni giorno della loro vita? Lo scoprirete voi perché, credetemi, non vedrete l’ora di saperlo.

Come tutti i testi e le parole di Lo Stato Sociale, questo romanzo è un continuo di sorprese, un’altalena di parti lente e velocissime. Le pagine si sfogliano da sole, difficile darsi un freno. E, tra una imprecazione e l’altra, si becca la frase della vita: classico del loro stile, troverete dentro questo scritto delle perle che vi si infileranno nel cuore.

Che poi la cosa davvero importante è: il movimento è fermo?

Elena Anna Andronico

La mia Taormina, il mio festival, il mio cinema

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Se nella vita hai una passione allora hai il dovere verso te stesso di coltivarla al meglio. La mia grande passione è il cinema. Quest’anno, grazie ad UniVersoMe, ho avuto l’occasione, insieme ad alcuni colleghi del giornale, di poter vivere una straordinaria esperienza andando al Taormina Film Fest. Si tratta, per chi non lo sapesse, di uno dei più importanti festival cinematografici d’Italia e d’Europa. Vanta ogni anno migliaia di curiosi e tantissime celebrità del mondo del cinema e non che provengono da tutte le parti del mondo. Non poteva non farmi gola un esperienza del genere.

Personalmente ho avuto l’opportunità di andarci per due giorni (il festival dura una settimana) e di poter assistere ad alcune proiezioni interessanti e di incontrare dal vivo alcune delle personalità più influenti del cinema. Ma l’esperienza non finisce qui. L’aria di cinema che si respira non è l’unico aspetto degno di nota. Il contesto è straordinario. Taormina è uno scenario mozzafiato (in tutti i sensi visto che abbiamo fatto la salita che porta dalla stazione al centro di Taormina a piedi). La vista, il borgo, gli odori, tutto ti fa immergere in un contesto fatto di cultura e arte.

Andiamo ora al festival in sé. Come detto prima gli ospiti sono di altissimo livello. Ho avuto l’immenso piacere di incontrare Harvey Keitel dal vivo che ci ha raccontato Hollywood, un posto lontano per noi, con gli occhi di chi Hollywood l’ha fatta e vissuta. Possiamo ricordare la carriera di Harvey Keitel per essere stato l’attore che ha lanciato la carriera di grandissimi registi come Martin Scorsese e Quentin Tarantino. Su questi due signori ha anche raccontato qualche aneddoto piuttosto interessante. Presente anche il regista Oliver Stone che ha parlato del suo ruolo da produttore nel film documentario Ukraine on Fire. Tra gli ospiti anche grandi personaggi italiani come il divertentissimo Enrico Brignano, la simpaticissima Noemi e Claudio Santamaria che ha parlato del suo ultimo grande successo di critica e di pubblico Lo Chiamavano Jeeg Robot.

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Oltre gli ospiti, il festival offre ai suoi visitatori proiezioni eccellenti. Nella serata di apertura è stato proiettato nel teatro antico l’ultimo film della Pixar Alla ricerca di Dory in anteprima nazionale. Ma non solo le grandi produzioni di Hollywood. Ci sono anche tantissime proiezioni di produzioni minori e nostrane che in questo festival trovano modo di farsi conoscere. Oltre il sopracitato Ukraine on Fire ho avuto anche il piacere di vedere il documentario di Fabio Lovino WeWorld presenta: Mothers.

Quello che voglio trasmettere a te che stai leggendo questo pezzo è un invito. Taormina è un gioiello di città che ospita uno dei festival cinematografici più importanti al mondo. Noi studenti messinesi abbiamo la possibilità di vivere questa magnifica esperienza da protagonisti. Che siate appassionati di cinema o semplici curiosi il mio invito è quello di prendere parte attivamente alla prossima edizione. Abbandonate per qualche giorno gli esami della sessione estiva e perdetevi nella bellezza di Taormina e nella bellezza del cinema.

Nicola Ripepi

Europei 2016: tu che tipo di Tifoso sei?

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            ‘’Non togliermi il pallone e non ti disturbo più, sono l’Italiano Medio… Nel blu dipinto di blu!’’

 

Una delle poche consolazioni di questi giorni, per studenti e lavoratori, sono i nostri Azzurri che ci danno un’ottima scusa per non fare quello che dovremmo fare. Come non potremmo mai non guardare gli Europei 2016? Ottimo spunto per noi di UniVersoMe, che abbiamo fatto un po’ di antropologia (o sociologia?) e scoperto i vari tipi di… Tifoso!

 

1-      L’Organizzatore: il primo posto se lo becca lui. LUI, lui che non ti lascia in pace MAI, che ha sempre un evento al quale invitarti, un candidato da sponsorizzarti, che al primo anno di corso fingeva di esserti amico scrivendoti:” come stai?”, per poi girarti il classico “Siete tutti invitati all’evento dell’anno’’ ed ora, dopo tutti questi anni, fa copia e incolla e basta, senza cuore, ti insegue dappertutto, è uno stalker di prima qualità. Pensi che, finalmente, con l’arrivo dell’estate e la fine dei corsi, sarai lasciato in pace e INVECE NO. Perché? PERCHE’ CI SONO GLI EUROPEI. Comincia ad invitarti 6 mesi prima, ti stalkerizza come mai nella sua vita, che nemmeno mentre era candidato per la presidenza degli stalker.  Alla ricerca di birre e maxi schermo, proiettori e dolby surround, si aggira come uno scemo per la location da lui scelta controllando costantemente che sia tutto a posto. Volete fare uno spuntino? Potete tagliare l’ansia che lo avvolge: vive con la costante paura che la linea si possa interrompere e che lui possa finire lapidato al pari di Maddalena. Si rilassa solo a partita finita e nemmeno il tempo di grattarsi una chiappa… Che ha già condiviso l’evento per la prossima.

 

2-      Il Mangione…: tutto sta per cominciare. L’eccitazione e l’ansia salgono a ritmo direttamente proporzionale. Ognuno occupa la postazione di sempre, secondo il classico rito scaramantico e lui, lui di certo non può mancare. Se avete deciso di seguire il big match da un comodo divano, solitamente “il mangione” occupa quello che possiamo definire il “centro campo”. Per intenderci, si posiziona strategicamente tra attacco e difesa e, con inserimenti degni del miglior terzino del mondo, affonda le mani in qualsiasi ciotola di pop-corn che gli capiti a tiro. Nemmeno il tempo del fischio d’inizio che lui si è già strafogato 3 pacchi di salatini, 4 hot dog e una scatola di gelati al cocco. Durante tutta la partita, solitamente è quello più silenzioso (nonostante abbia la bocca in costante movimento). Magari non è neanche uno di quei tifosi particolarmente affezionati, ma si sa che queste occasioni, per uno come lui, sono estremamente “ghiotte”. Il suo momento preferito, comunque, resta il post partita. Se l’incontro è finito bene, vi proporrà di festeggiare con una pizza. Se invece, il risultato non è stato dei migliori e di conseguenza nemmeno il vostro umore è dei migliori, niente panico: “Dai, giá che siamo insieme, andiamo a consolarci con una pizza!” (Insaziabile)

 

 

3-      …E l’Ubriacone: Lo avete letto il tipo sopra? Sì? Ecco, accanto a lui troviamo l’ubriacone. L’ubriacone che decide di sedersi nel posto accanto al bracciolo. O vicino il tavolino. Oppure direttamente a terra. Non gli importa, l’importante è che abbia qualcosa su cui poggiare la birra. A lui non interessa nulla del calcio. Beh, in realtà, anche se gli interessasse non cambierebbe molto. Arriva alla partita alticcio e se ne va che a malapena regge sulle gambe. Sbiascica parole per tutta la partita, ride per non si sa cosa, apre un’altra birra e se la butta addosso. Se c’è il goal, prova ad alzarsi in piedi insieme agli altri e cade rovinosamente a terra riuscendosi a rialzare solo a partita terminata.

 

4-      Lo Sfegatato: Ecco, se sai di appartenere a questa categoria, ci tengo a dirti una cosa: CALMATI. Se invece sei uno di quelli che amano godersi la partita in tranquillità, ma hai sciaguratamente un amico di tale categoria: CONDOGLIANZE. Lo sfegatato gode certamente di personalità policromatica: diciamo che in sua presenza, non ci si annoia. È quello che entra in clima pre partita, già il giorno precedente all’incontro. Conosce a memoria ogni coro della sua squadra e non si risparmia ad intonarli prima, durante e dopo il match. L’abbigliamento che predilige porta di certo i colori della sua squadra. È munito di bandiere, striscioni, vuvuzela e tanto, tantissimo entusiasmo. Una delle sue caratteristiche migliori è, senza dubbio, l’interazione col televisore. Per tutta la durata della partita, lo ritroverai appiccicato allo schermo mentre cerca di motivare la sua squadra con frasi degne del miglior mental coach. Ogni azione offensiva, corrisponde ad un principio di infarto. Ogni azione difensiva, invece, è un tripudio di preghiere ed invocazioni Divine.

 

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5-      Il Cinico: Arrivi a casa dei tuoi amici tutto contento, saluti, baci e abbracci. Girano voci debba venire anche Carlo, “ma carlo chi? il guastafeste?” ma tu non lo vedi, perciò ti dirigi tranquillo verso la cucina, ti prendi un salatino e ti siedi. Tutto d’un tratto un brivido ti percorre la schiena, il cibo e l’aria hanno un sapore diverso… Carlo è lì, accanto a te. Non ti saluta neanche “tanto sta sera perdiamo, io manco ci volevo venire”. Alla tua destra puoi ammirare l’esemplare san Tommaso, il più antipatico tra gli apostoli: ” se non vedo non credo”. Il cinico è quasi peggio di un possibile pessimista, guarda la partita con estrema freddezza, senza battere ciglio, per poi esordire ogni tanto con qualche frase che smonti lo spirito e la speranza del momento. Se la squadra dovesse vincere? Non sarebbe comunque contento ” tanto la prossima volta perdiamo, sicuro!”, ” sarebbe potuta andare meglio”. A fine partita, nel salutare il proprietario di casa proverai una punta di odio nei suoi confronti:” La prossima volta, se organizzi, non invitarlo.”

 

6-      L’Anti-Nazionale: tu sei seduta là, nelle scale del Rettorato, tutta contenta. Non vedi l’ora che parte l’inno di Mameli e sia fischiato il calcio di inizio. Speri nella vittoria della tua squadra perché sai che la sconfitta lascerà un bel po’ di amaro in bocca. Però, nonostante tutto, sai anche che è una scusa per ritrovarsi, per stare tutti insieme. E poi arriva il tuo amichetto. ED E’ MURATO IN FACCIA CHE NON SI SA COME FACCIA ANCORA A RESPIRARE. Viene a vedere la partita con un unico scopo: tifare per la squadra avversaria. Durante l’inno nemmeno si alza, ma applaude dopo l’inno della squadra avversaria. Ogni azione degli avversari lo senti ridacchiare, camaleontico tifa TUTTI tranne ITALIA. Mentre stai progettando un modo per farlo fuori e dentro ti cresce sempre di più la voglia di urlare ‘’VUOI STARE ZITTO?!’’, la tua squadra segna e ti ritrovi abbracciato a lui che esulta più di te. NO COMMENT. (Incoerente)

 

 

7-      Il Fidanzato: La sera prima, dopo aver organizzato tutto con i tuoi amici sul vostro gruppo whatsapp, ti sei addormentato con il sorriso. La mattina seguente, dopo esserti svegliato, gli uccellini cantavano e ti sei anche lavato! Senti che questo giorno è il tuo giorno e che nulla possa andare storto. Ma poi prendi il telefono ed iniziano le tue disgrazie: ” Amore, oggi mi va di uscire! “, è la tua fidanzata, dovresti rispondere, ma sei impietrito. La felicità l’hai vista letteralmente dissolversi nell’aree, come cenere al vento. Ma hai visualizzato da più di 10 minuti, perciò con il terrore addosso, rispondi: “Ma AMORE, c’è la partita sta sera”. Sono sicura che questa frase non vi suoni del tutto nuova. Quante litigate nate a causa di quella maledettissima risposta, a causa di quella maledettissima partita! Lei ti scrive raffiche di messaggi, inveisce contro di te e tu, volutamente, li ignori. Lì, accanto a te, ci sono i tuoi amici che ti danno man forte: ” ma che vuole? non le rispondere!”, il terrore iniziale sparisce, il tuo senso di colpa si scioglie come neve al sole, per poi piangere lacrime amare dopo. Perchè tu lo sai che seguiranno settimane intere di litigate. Ma poi, tu l’altro giorno hai aspettato un’ora fuori dai camerini di Zara, perciò pensi di avere una sola passione a cui neanche lei può farti rinunciare. E tu, fidanzata, che quella sera ti sentivi particolarmente bella, non c’è santo che tenga, tu, se c’è la partita, non conti nulla. Non pensare che se il tuo fidanzato avesse avuto qualche altra passione la situazione sarebbe stata diversa, quindi zitta e guardati la partita.

 

8-      Il Procastinatore: lo studente medio non si smentisce mai. Sa che deve studiare e lo sta anche facendo, poverino, sempre rinchiuso e gobbo sui libri, che manco Manzoni, senza nemmeno farsi una doccia. Solo una cosa non lo può far sentire in colpa: la partita. In mezzo ad altri studenti devastati, che si sono presi quei 90 minuti di libertà, non può sentirsi in colpa. Qualcuno si porta dietro gli appunti, consapevole che fa prendere loro solo un’ora d’aria. Ma va bene così, è felice, felice di fingere che non abbia l’esame domani. Torna a casa e piange, ma non perché la squadra ha perso: perché sa che verrà bocciato alla prima domanda.

 

9-      L’Allenatore: Schemi di gioco, scelte tecniche e tattiche, fomazioni e sostituzioni; se conosci alla perfezione tutte queste dinamiche, allora fai parte indubbiamente di questa categoria. L’allenatore è quello che non si limita a seguire la partita da spettatore, ma vive e commenta da vero conoscitore esperto. Che poi, se per te il calcio è semplicemente lo sport in cui tutti corrono dietro una palla, allora seguire una partita in sua presenza, sarà come leggere un libro scritto in arabo e sottosopra: assist, dribbling, carambola, contropiede, corner, cross, cucchiaio, fair play, off-side, pressing. Ne conosce talmente tante che ti risulterà difficile capire come sia finito a frequentare il corso di Medicina e Chirurgia e non stia allenando la Nazionale. Stargli dietro ad ogni azione ti risulterá talmente faticoso che, a un certo punto, la tua mente comincerà a proiettarlo nei corridoi di un ospedale con tanto di fischietto e cartellini, mentre organizza un 4-4-2 con i pazienti di geriatria.

 

10-   L’Ateo: tutto è cambiato intorno a te. Ti guardi intorno ma le strade sono deserte, non senti i tuoi amici da giorni e tuoi genitori non ti danno più il bacio della buona notte. Tutto procede a rallentatore. Avvicini un conoscente per capire cosa stia succedendo: “ma come non lo sai? C’è la partita!” e tu, con aria terrorizzata, cominci a correre senza mai voltarti indietro. Se evita come la peste i tifosi permanenti e momentanei, lui è l’ateo. Sono tutti imbambolati e non ne capisci il motivo:” ma che emozione può esserci a vedere dei tizi correre dietro un pallone?” e tutti ti guardano in cagnesco. Anche i tuoi genitori, che prima ti rimboccavano anche le coperte, non ti vogliono più. Preferiresti guardare un film delle gemelle Olsen piuttosto che la partita, e inveire contro i tifosi quando esultano esattamente come un vecchio inveisce, agitando il bastone, contro i bambini che giocano davanti casa sua:”Fuori dalla mia proprietà!!!”. Per ora l’unica soluzione, per te, è rinchiuderti in casa e non sentire nessuno, come se stessi vivendo un’apocalisse zombie.

 

Elena Anna Andronico

Elisia Lo Schiavo

Vanessa Munaò

Gli studenti UNIME cantano l’Inno di Mameli ed il video diventa subito virale

13461063_10209657417101954_624214479_oIn un afoso venerdì di giugno gli studenti dell’Università degli Studi di Messina si sono ritrovati nell’Aula Magna del Rettorato per sostenere gli Azzurri. L’incontro ,valido per la seconda giornata del gruppo E, ha visto l’Italia trionfare sulla Svezia per 1-0. Una grande affluenza di pubblico, più di 350 studenti accorsi per tifare i propri beniamini.

Poco prima dell’inizio del match gli studenti si sono ripresi nel cantare l’Inno di Mameli per poi condividere il video sui social. Immediatamente la loro “impresa” è stata ricondivisa dalla pagina Facebook ufficiale della “Serie A TIM”.

L’evento è stato organizzato dalle associazioni Ages, Archè, Articolo 21 , Atreju, Crono, Ermes, Figli di Ippocrate, Uninsieme, Zancle. Gli organizzatori dell’iniziativa invitano tutta la popolazione studentesca a partecipare al terzo incontro mercoledì 22 alle ore 21:00 presso la scalinata del rettorato.

Alessio Gugliotta

Death note: uno sguardo al mondo degli Anime!

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Insoddisfazione, noia, disgusto, verso un mondo distrutto dalla criminalità e dalle ingiustizie: sono questi i sentimenti che dominano l’animo di Light Yagami. Bello, desiderato da tutte le ragazze e il miglior studente della scuola, eppure per nulla contento della sua vita, tanto perfetta quanto vuota. Ben presto, la svolta: un quaderno nero con la scritta “Death Note”. Uno scherzo? Una trovata geniale?  Chissà, nel dubbio Light lo raccoglie ed è così che fa la conoscenza di Ryuk, uno shinigami (dio della morte) che, animato dalla stessa noia del protagonista, ha deciso di far cadere il suo quaderno sulla terra per divertirsi. Un po’ per curiosità, un po’ per mettersi alla prova, Light quindi decide di usare il quaderno della morte per scrivere i nomi dei più grandi criminali del Giappone; di cui deve necessariamente conoscere il nome ed il volto.

Pian piano imparerà a usare sempre meglio questo strumento, sperimenterà nuove regole riguardo le condizioni e le modalità dei suoi omicidi. Quella che inizialmente doveva essere una piccola missione, ovvero ripulire il mondo dai criminali, diventa per Light una vera e propria impresa. Solo lui può eliminare il male dal mondo, solo lui può essere giudice delle ingiustizie, tanto da arrivare a credersi una sorta di divinità.

Tuttavia, il suo lavoro è ostacolato prima dall’intervento della polizia Giapponese, poi dall’istituzione di una squadra speciale incaricata di indicare su Kira (“assassino”, soprannome assunto da Light), di cui fa parte anche il suo stesso padre, Soichiro Yagami, sovrintendente della polizia giapponese ed Elle, giovane detective dalle strabilianti capacità. Proprio Elle si rivela essere l’immagine speculare di Light. Entrambi eccessivamente intelligenti, sicuri di sé, ciascuno con un proprio senso della giustizia ma con un obiettivo comune: battere l’altro per portare avanti il proprio ideale. Light per divenire il giustiziere di questo mondo malato, Elle per combattere proprio ciò che lui giudica il sommo male.

Sarà una lotta assolutamente pari, con colpi bassi, acute rivelazioni e sorprese da parte di entrambi. “Death note” è una serie interessante, complessa oserei dire, perché sdogana il classico concetto di bene e male, di giusto e sbagliato. Riesce a tenere con il fiato sospeso a ogni puntata, nonostante le scene d’azione siano quasi inesistenti, in quanto sono proprio le elucubrazioni, le macchinazioni e l’introspezione psicologica dei protagonisti che tengono le fila della trama e che ci portano a capire ed a immedesimarci nei loro pensieri, fino a giustificare o addirittura a supportare le loro decisioni, non sempre edificabili.

E voi, da che parte state?

Edvige Attivissimo