Tra cura e slancio: costruire consapevolezza sessuale e affettiva

Piangere è da deboli? Amore e possesso sono due facce della stessa medaglia? È giusto fare carriera o occuparsi della famiglia? Se lo chiedono solo le donne o anche gli uomini? La donna è per sua natura legata alla casa mentre l’uomo porta il pane e i pantaloni? Il mito del controllo ha ancora ragion d’essere? Perché il secondo sesso deve nascondere le mestruazioni e il primo le emozioni? Un no può voler dire sì? Le etichette assicurano ordine o si rivelano spazi angusti? È possibile rimanere incinta al primo rapporto? I preservativi servono solo a evitare gravidanze indesiderate? L’educazione sessuale e affettiva chiarisce.

Sessualità e affettività

La sessualità rappresenta un aspetto centrale lungo tutto l’arco della vita. Considerarla come una dimensione immorale e proibita concorre a creare falsi miti, stereotipi e paure. Comprende il sesso, l’identità, i ruoli di genere, l’orientamento sessuale, l’erotismo, il piacere, l’intimità e la riproduzione. Le dimensioni biologiche e riproduttive non sono le sole su cui far luce per comprenderne la complessità. Aspetti psicologici, sociali, culturali, economici, politici e religiosi concorrono a delinearne i confini.
L’affettività indica l’insieme di emozioni, sentimenti e stati d’animo. Identificarli e saper dare loro un nome è un aspetto fondamentale per ciascun essere umano. La conoscenza della propria vita interiore- così come del proprio corpo- rappresenta il primo passo verso la promozione della salute sessuale.

Corpo, emozioni e identità

Tradizionalmente, l’educazione sessuale si è focalizzata su rischi e aspetti preventivi, come gravidanze indesiderate e infezioni sessualmente trasmesse. Pur riconoscendone l’importanza, un approccio che predica l’astinenza e proclama il pericolo non risulta funzionale. Nelle sue linee guida sulla Comprehensive Sexuality Education, l’UNESCO sottolinea la necessità di fornire conoscenze accurate e adeguate all’età sul corpo e le sue potenzialità. Integra aspetti cognitivi, emotivi, fisici e sociali per mettere al centro un’idea positiva legata al benessere e al consenso. Per sviluppare una vita affettiva e sessuale che sia soddisfacente, libera da stereotipi e false credenze. E paure. Per maturare atteggiamenti responsabili e rispettosi. L’educazione diventa così uno strumento per costruire la propria identità, prendersi cura della salute- propria e altrui- e gestire e riconoscere le emozioni.

L’educazione sessuale e affettiva è un diritto. E in quanto tale va rispettato. Eppure, i dati riportati dal Global Education Monitoring Report-GEM (UNESCO, 2023) raccontano un’altra storia. Delle 50 nazioni valutate, solo il 20% dispone di una normativa sull’educazione sessuale. Appena il 39% ha definito una strategia chiara.

Il quadro italiano

La situazione italiana è controversa. Le attività di educazione sessuale e affettiva rientrano nell’ambito dell’autonomia decisionale delle singole istituzioni scolastiche. Nel maggio 2025, il Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha presentato un ddl in materia di consenso informato in ambito scolastico. L’intervento deriverebbe dalla necessità di informare le famiglie sulle attività che abbiano ad oggetto tematiche inerenti alla sessualità. Il testo richiama l’articolo 30 della Costituzione, che stabilisce il dovere e diritto dei genitori di istruire ed educare i figli.

Ma che ne è della Convenzione sui diritti dell’infanzia dell’ONU (1989), che tutela il diritto dei minori a ricevere le informazioni necessarie per la propria salute e il proprio benessere? Che ne è del testo Standard per l’Educazione Sessuale in Europa (2010)? E della Convenzione di Istanbul, ratificata dall’Italia nel 2013, per il contrasto alla violenza di genere attraverso la sensibilizzazione della collettività? Sembra che le priorità siano altre. Come la lotta alla cosiddetta ideologia gender.

Paura del cambiamento

Mettere in discussione ciò che abbiamo sempre considerato normale fa paura. Un’educazione sessuale olistica scandalizza chi vede qualcosa di diverso e minaccioso per l’immagine che si è costruito di sé. Tuttavia, “c’è sempre possibilità di capire le cose. Le cose che capiamo, non scandalizzano […]. Una credenza che sia stata conquistata con l’uso della ragione e con un esatto esame della realtà è abbastanza elastica da non scandalizzarsi mai. Se è ricevuta senza analisi, accettata per tradizione, pigrizia, educazione passiva, è conformismo.” (Moravia, in Comizi d’Amore, Pasolini 1964)

Perché è necessaria?

Viviamo seguendo i binari tracciati dalla tradizione e dall’educazione a noi impartita. Le rappresentazioni che costruiamo sin dalla prima infanzia circa la sessualità e l’affettività plasmano il rapporto con noi stessi e con l’altro. Tra le fonti cui attingiamo, prima tra tutti è la famiglia. Le modalità relazionali dei genitori offrono un modello concreto, insegnano come funziona – o non funziona – una relazione. Quali sono i ruoli di genere. In che misura esprimere emozioni e bisogni. Quando eludono certe domande, i genitori insegnano qualcosa. Il silenzio può comunicare disagio. Chiarire le curiosità del bambino in maniera adeguata all’età, mostra che la sessualità è un tema naturale. Contribuisce a sviluppare un atteggiamento sano verso il proprio corpo.

 

Barbara Kruger, Untitled (We Dont’t Need Another Hero), 1987. © Barbara Kruger Per gentile concessione della Mary Boone Gallery, New York

 

Inoltre, una nuova fonte ha fatto capolino: internet. I giovani sono esposti a contenuti che contribuiscono a creare immagini distorte e disfunzionali. Possiamo negare di dover fare i conti con questo cambiamento. Ma ne stiamo già pagando le conseguenze. Adescamento online, revenge porn, bodyshaming, incel, chat su Telegram e Facebook. Tutto questo rende l’intervento dei professionisti  indispensabile.

Decostruire norme e stereotipi

Educare significa sovvertire le norme che contribuiscono a perpetuare la violenza. Il problema è strutturale. Urge un rinnovamento radicale che parta proprio delle più giovani generazioni. Come? Attraverso la decostruzione di stereotipi di genere, il rovesciamento delle dinamiche di potere e delle aspettative sociali legate al ruolo. Siamo figli del nostro tempo. Nipoti di un’epoca in cui il delitto d’onore e il matrimonio riparatore erano riconosciuti dalla legge. Solo nel 1996 lo stupro, da reato contro la moralità pubblica, venne riconosciuto come reato contro la persona.

C’è chi crede che i problemi sessuali vadano considerati nella loro giusta misura, cioè di riproduzione ed esaltazione della famiglia. Ma la sfida dell’educazione consiste nel trovare un equilibrio tra cura e slancio. Educare significa da un lato accogliere, contenere, avere cura dell’altro, dall’altro incoraggiare e invitare a venire fuori (Zamengo, 2017). Solo così l’educazione sessuale e affettiva diventa una risorsa.

 

 

Federica Virecci Fana

 

 

 

Fonti:

Save the Children

Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO

Prevenire la violenza di genere: il ruolo dell’educazione sessuale olistica (CSE) come strumento di contrasto, Bovini e Demozzi

R. Caso, Educare alla sessualità e all’affettività nella scuola media. L’esperienza di Giovanna Righini Ricci, insegnante e scrittrice (2017). Pedagogia più Didattica.

Haiti: una crisi che non sembra vedere una fine

La fuga del criminale Jimmy Chérizier, avvenuta ieri a seguito di una operazione poliziesca, è simbolo di una sempre più acuta crisi del piccolo Stato caraibico di Haiti, il paese più povero del Centro America. Bisogna però rifarsi agli eventi precedenti, per capire il motivo di tale contesto critico.

Il terremoto e l’epidemia di colera del 2010

Il 12 gennaio 2010, il piccolo Paese caraibico fu colpito da un forte terremoto di magnitudo 7.0. I danni causati alle infrastrutture resero difficile stabilire delle stime precise all’inizio, anche a causa della forte povertà della popolazione. Successivamente, grazie anche all’arrivo degli aiuti umanitari, si stimò che 230.000 persone persero la vita. Risultò però che quattro milioni di abitanti erano rimasti colpiti o feriti, e che gran parte degli edifici furono rasi al suolo o danneggiati. A peggiorare le cose, pochi mesi dopo il Paese fu colpito da una forte epidemia di colera, che si scoprì essere stata causata dagli scarti provenienti da una base ONU nepalese. Il bilancio fu di circa 800.000 contagiati, con quasi 10,000 morti. Questi due eventi contribuirono a portare lo Stato in una forte crisi economica e sociale.
macerie terremoto

La crisi politica e sociale del 2021

Nel 2018 il Paese fu colpito da una serie di proteste che chiedevano le dimissioni del presidente Jovenel Moise, che aveva preso il posto del dimissionario Michel Martelly nel 2017. Nel 2021 lo stesso Moise venne assassinato, e Haiti ripiombò in una nuova crisi politica. A tale evento seguì anche un nuovo terremoto, che portò a più di 2000 morti e ad ulteriori danni al Paese. Ben presto, varie gang criminali videro il vuoto di potere come un’occasione per estendere il loro potere. La capitale haitiana Port-au-Prince diventò teatro di vere e proprie guerre tra i vari clan, che iniziarono anche a scontrarsi con lo Stato.

Nuove proteste e cambiamenti politici

Nel 2022 l’aumento dei prezzi della benzina portò a ulteriori proteste da parte della popolazione nei confronti del governo. La carica del primo ministro era stata assegnata ad Ariel Henry, ma nonostante ciò i crimini da parte delle gang criminali aumentarono. Nel 2023 la percentuale di rapimenti da parte di tali gang raggiunse il 72%, con le vittime che erano spesso membri altolocati della società, quali dottori o avvocati, conseguentemente, molta gente fu costretta a fuggire dal Paese. Nel marzo del 2024, durante una visita in Kenya da parte di Henry, le gang bloccarono il suo rientro ad Haiti, e di conseguenza lui decise di rassegnare le dimissioni. Successivamente, il 25 aprile, si viene a creare il Consiglio presidenziale di transizione, creato per cercare di gestire la difficile situazione delle bande armate.
bandiera dello Stato di Haiti

La situazione politica attuale

Il Consiglio presidenziale di transizione, salito al potere il 25 aprile, ha cercato di mettere ordine nel quadro politico haitiano. Il 3 giugno viene nominato come primo ministro Garry Conille, che aveva ricoperto già tale funzione tra il 2011 e il 2012. La situazione che deve fronteggiare è piuttosto critica: nonostante l’arrivo di una missione multinazionale, guidata dal Kenya, a supporto della polizia haitiana, le bande armate controllano più dell’80% del paese. Tra le bande armate più importanti vi è l’Alleanza del G9, guidata da Jimmy Chérizier. In risposta a questi gruppi, è in costante aumento il numero di gruppi armati autodifensivi, i Bwa Kale, che contrastano le varie bande armate presenti nel Paese.
polizia che cerca di risolvere un caso

La destituzione di Conille

Nonostante alcuni segnali di stabilità, due eventi sembrano aver riportato paura e tensioni all’interno di un Paese già martoriato dalla violenza e dall’odio. L’11 novembre, a seguito di forti tensioni tra il Consiglio presidenziale di transizione e Conille, in carica da appena cinque mesi, egli viene destituito. Il Consiglio voleva destituire vari ministri, contro la volontà del premier, che ha definito la sua destituzione “illegale”. Sempre lo stesso giorno, al suo posto il Consiglio ha scelto l’uomo d’affari Alix Didier Fils-Aimè, che ha promesso di impegnarsi nell’indire nuove elezioni, già posticipate da diversi anni.


La fuga di Chérizier e conclusione

Nonostante i buoni propositi di indire il prima possibile delle elezioni, i problemi del Paese, ossia povertà e violenza, rimangono. A peggiorare la situazione è la fuga di Jimmy Chérizier, detto Barbecue, capo dell’Alleanza del G9. Egli infatti è riuscito a fuggire nel corso di un’operazione della polizia haitiana, nella quale sono morti due capi della gang Viv Ansanm. Se non si riesce a stabilizzare questo Paese, già dilaniato da calamità naturali e malattie, il rischio è di trovarci davanti uno Stato fantasma, senza alcuna possibilità di ripresa per il suo popolo.

Samuele Di Meo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

UNIME contro la Violenza sulle donne

Lunedì 25 novembre, dalle ore 9 alle ore 13, sarà presente nell’atrio del Rettorato UNIME un punto informativo sulla violenza psicologica di genere dedicato agli studenti universitari. L’evento, curato dal C.e.r.i.p. Unime, si colloca assieme ad altri organizzati dall’Ateneo e dal ‘AOU “G. Martino” per celebrare la Giornata contro la violenza sulle donne.

WORKSHOP FORMATIVO UNIME: IL PROGRAMMA DELLA GIORNATA

UNIME
Locandina dell’evento. Fonte: unime.it

L’evento, però, non è limitato solo al punto informativo. Presso l’Aula Cannizzaro UNIME si terrà un workshop formativo a partire dalle ore 10:30 (con replica alle 12:00). L’incontro verrà aperto dai saluti della Magnifica Rettrice, prof.ssa Giovanna Spatari, e continuerà con quattro importanti interventi. A cura della prof.ssa Carmela Mento e della dott.ssa Clara Lombardo si parlerà del “Riconoscimento precoce dei segni di violenza psicologica nelle coppie”, essenziale per prevenire danni emotivi e promuovere relazioni sane. Successivamente si parlerà della “Relazione genitori-figli: modelli di accudimento funzionali e disfunzionali”, a cura della prof.sse Francesca Liga e Maria Cristina Gugliandolo, fondamentale per conoscere e comprendere lo sviluppo emotivo, psicologico e sociale dei bambini.

COME SEGUIRE L’EVENTO

L’evento rappresenta un’opportunità per gli studenti universitari di riconoscere precocemente i segni di violenza nelle coppie e comprendere i modelli di accudimento funzionali e disfunzionali, ma anche imparare ad evitare di entrare o rimanere in relazioni violente. Coloro che volessero seguire il workshop da remoto potranno farlo su piattaforma teams al seguente link.

Logo Teams, fonte: unime.it

 

Antonino Nicolò

La legge che difende le donne da chi non è capace di amarle

Il 25 novembre è la giornata internazionale dedicata a combattere la violenza contro le donne.

L’evento storico scatenante fu il 25 novembre del 1960; tre donne attiviste politiche, furono dapprima torturate e poi strangolate dagli agenti del Servizio di informazione militare (SIM) per ordine del dittatore della Repubblica Domenicana Trujillo.

Da quel giorno ha avuto inizio una irrefrenabile corsa alla conquista di una tutela effettiva.

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con una risoluzione 54/134 del 1999, ha sancito il 25 novembre quale giornata dedicata all’eliminazione della violenza contro le donne.

I dati registrati circa i casi -tristemente sempre più in aumento- di donne vittime di violenza non lasciano spazio ad incertezze.

Il progetto EVA e il Codice Rosso

Nel 2017 il Capo della Polizia di Stato Gabrielli ha presentato a Torino il “Progetto EVA”, al fine di gestire in modo rigoroso e operante gli interventi di polizia sulla violenza di genere, dal controllo territoriale alla fase delicata di approccio alle vittime, con il fine di monitorare gli eventi, reperire e registrare più informazioni possibili così da favorire l’operato futuro delle autorità legislative.

Da lì a poco nel 2019 si è registrato il primo intervento normativo significativo in materia di violenza di genere con la legge 19 luglio 2019, n. 69, il c.d. “Codice Rosso”, che ha ampliato l’ambito applicativo di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere.

La legge ha inciso notevolmente in ambito di diritto penale sostanziale e processuale, introducendo quattro nuovi reati:

-Art. 387-bis. Violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa,

-Art. 558-bis. Costrizione o induzione al matrimonio,

-Art. 583-quinquies. Deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso,

-Art. 612-ter. Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti.

La legge, così emanata, si occupa anche della forbice edittale tra un minimo e un massimo di pena incidendo -considerevolmente- all’inasprimento delle sanzioni già previste dal nostro Codice penale in materia di maltrattamenti contro familiari e conviventi, stalking e violenza sessuale.

Ulteriore peculiarità introdotta dal “Codice Rosso” è l’imminente trasmissione, anche in forma orale, dell’acquisizione della notizia reato dalla polizia giudiziaria al Pubblico Ministero.

Le scarpette rosse, simbolo della giornata contro la violenza sulle donne – Fonte: ilrestodelcarlino.it

Donne, violenza e lockdown

Nonostante il repentino intervento normativo, certamente la situazione epidemiologica che ha colpito il nostro Paese, negli ultimi due anni, non ha di certo giocato a favore delle donne esposte a violenza domestica, soprattutto a seguito di un lockdown forzato e di una situazione economica drasticamente mutata.

Dai dati ISTAT emerge, addirittura, che nel 2020, in piena pandemia, si è registrato un picco di chiamate al numero di pubblica utilità 1522 contro la violenza sulle donne e lo stalking ed anche delle vittime (12.942 chiamate e 5606vittime) in confronto al calo delle chiamate e richieste di aiuto via chat nel secondo trimestre 2021.

Il Governo in azione

Tutto ciò ha sollecitato l’animo della Ministra per le pari opportunità e la famiglia della Repubblica Italiana Elena Bonetti, che ha ufficializzato la proposta del Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2021-2023, presentato in CDM due  settimane fa, per stabilire un maggiore impegno parlamentare e giuridico così da evitare il fenomeno “della vittimizzazione secondaria”.

I seminari dell’Università degli Studi di Messina

Alla coesiva chiamata di sensibilizzazione contro la violenza di genere, con l’obiettivo di responsabilizzare i giovani ad acuire lo sguardo al dolore di una donna in preda agli atti violenti di un partner e, soprattutto, facendosi portavoce di tutte quelle donne, giovani ragazze e studentesse, anche messinesi (Lorena Quaranta, Alessandra Musarra, Alessandra Zorzin, Anna Cupelloni, Angelica Salis, Vanessa Zappalà…), distrutte da un amore sordo ed egoista, risponde l’Università degli studi di Messina che non rimane estranea al fenomeno ha promosso, dal 22 al 26 novembre, un ciclo di seminari intitolato “Mai più scuse”, nel quale si sono trattati, tra i vari temi, la tutela sanitaria e giudiziaria, la violenza domestica, quella sui luoghi di lavoro, la comunicazione non violenta e l’identificazione delle vittime di violenza.

L’aula magna (con in prima fila il “posto occupato” e lasciato simbolicamente libero per ricordare tutte le donne vittime di violenza) ha ospitato il secondo focus interdisciplinare, organizzato dall’Ateneo in occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne.

Un punto alla violenza

È il momento di dire BASTA e mettere un punto alla violenza.

Basta a questa sofferenza, basta a questa dipendenza affettiva, basta a questo amore egoico.

Non è amore chi ti umilia con la brutalità delle parole, non è amore chi ti fa sentire abbandonata inutile e indifesa con la sola forza dello sguardo, non è amore chi ti massacra di botte e poi ti cerca scusa, non è amore chi ti sminuisce per innalzare il suo ego.

Chi ti ama non ti distrugge!

L’amore è paziente, è benevolo; l’amore non invidia; l’amore non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s’inasprisce, non addebita il male”. (Paolo di Tarso)

 

Elena Zappia

 

Fonti:

https://www.wired.it/attualita/politica/2020/11/25/giornata-contro-violenza-donne-storia-sorelle/

http://documenti.camera.it/_dati/leg17/lavori/stampati/pdf/17PDL0003400.pdf

https://www.dire.it/08-03-2019/306453-video-8-marzo-elina-chauvet-le-mie-scarpe-rosse-hanno-preso-a-calci-i-tabu/

https://questure.poliziadistato.it/it/Bari/articolo/14375942a4098d6fd957175329

https://www.diritto.it/il-codice-rosso-tra-novita-e-critiche/

https://www.altalex.com/documents/leggi/2019/07/26/codice-rosso

https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01107220.pdf

https://www.istat.it/it/archivio/262039

https://www.dire.it/22-11-2021/687474-violenza-sulle-donne-bonetti-presenta-le-misure-del-governo-in-aumento-vittime-e-denunce/

https://www.unime.it/it/informa/notizie/ciclo-di-seminari-%E2%80%9Cmai-pi%C3%B9-scuse%E2%80%9D-focus-interdisciplinare-sulla-violenza-di-genere

 

 

 

Russia, la denuncia dell’ONG: diffuse foto di torture e stupri nelle carceri russe

In Russia la fuga di notizie per la diffusione di foto e video contenenti atti violenti, ha generato il terrore provocando forti reazioni da parte dell’opinione pubblica internazionale. Ad intervenire per primo è stato il Comitato Investigativo russo che ha avviato un’inchiesta, insieme all’indagine condotta dal Servizio Federale delle Prigioni (FSIN).

Le vittime di stupro nelle carceri –Fonte:internazionale.it

La Gulagu.net, un’importante ONG russa, afferma di aver ottenuto migliaia di video che mostrano maltrattamenti verso i detenuti. Trapelano scenari di tortura e stupro, adoperate da diverse guardie carceriere di altrettanti vari istituti di detenzione del Paese. Il fondatore dell’ONG, Vladimir Osečkin, ha dichiarato di possedere più di 40 gigabyte di immagini video che mostrano le crudeltà.

Il contenuto dei file

Le foto ritraggono carcerati picchiati, con mani e piedi legati, trascinati nudi tra i corridoi dei penitenziari e sodomizzati con dei bastoni, o violentati dagli agenti. Queste pratiche venivano effettuate presso l’OTB-1, ospedale del carcere di Saratov nella regione del Volga (Russia).

La denuncia da parte del Gulagu ad inizio di quest’anno è avvenuta sia grazie all’autenticazione delle fotografie, sia per il racconto di altri prigionieri che hanno riportato di aver subito gli stessi episodi.

Stupri e torture contro i detenuti –Fonte:ilfattoquotidiano.it

Sarebbe stato girato il 18 febbraio del 2020 un video in cui figurava un uomo ammanettato e messo ai piedi di un letto mentre era vittima di uno stupro. La diffusione poi dall’ONG attraverso un canale Telegram, rappresenta solo un esempio delle migliaia di video che essa vanta di possedere e che provengono da un ex detenuto che si trovava proprio a Saratov.

La denuncia dei video

Gulagu.net –Fonte:chernayakobra.ru

La circolazione clandestina dei video dagli archivi del servizio carcerario russo è stata raccontata dallo stesso Osečkin, in un’intervista nel corso del podcast “Cosa è successo” del giornale online Meduza. Egli afferma che i dati sono stati forniti da un giovane programmatore bielorusso di nome Sergej che dal 2016 al 2021 ha lavorato all’OTB-1 di Saratov, facente parte del sistema carcerario russo (FSIN).

Una volta libero lo “snowden bielorusso” ha consegnato una copia del materiale agli attivisti di Gulagu.net, ed ha chiesto asilo politico in Francia.

L’organizzazione ha così fatto circolare online alcuni frammenti di video, sollecitando contemporaneamente le autorità della necessità di attuare riforme.

Chi è Sergej?

Nel 2013 Sergej viene arrestato da due agenti dell’FSB (Servizi segreti interni), a seguito del ritrovamento nella sua vettura di sei chili di stupefacenti e condannato a nove anni di carcere duro.

Nel 2015 viene quindi trasferito alla IK-10 di Saratov temporaneamente e dopo pochi giorni, l’amministrazione carceraria essendo a conoscenza delle sue abilità informatiche, lo trasferisce nell’OTB-1 di Saratov. Questa era una struttura che ospitava malati di tubercolosi e così seguendo un meccanismo ben rodato, i medici del carcere IK-10 dichiarano che Sergej è potenzialmente malato di tubercolosi e dispongono il suo trasferimento verso il malfamato OTB-1.

Sergej –Fonte:france24.com

Per cinque anni si occupa delle videoregistrazioni delle torture, facendo copie da consegnare ai membri dei servizi segreti e dell’amministrazione carceraria e per sfuggire alle torture fisiche, decide di subire incommensurabili supplizi psicologici, entrando in contatto ogni giorno con video aventi ad oggetto ogni genere di violenza.

Fu interrogato dallo stesso Vladimir Osečkin sul perché, a fine pena, abbia deciso di collaborare con Gulagu.net per portare alla luce questi fatti. Egli dichiarò che a parer suo, questa si presenta come l’unica associazione che non ha paura di enunciare la verità, presentandosi come la sola a poter portare il necessario peso alla riforma del sistema carcerario.

La sistematicità delle torture

La sistematicità di tali azioni all’interno dell’intero sistema carcerario, dalla Russia centrale all’estremo oriente, ha perciò ricevuto una risonanza mediatica sempre più ampia, provando forti reazioni internazionali.

L’apertura di sette indagini da parte del Comitato Investigativo, a seguito della violazione degli articoli 132  “Azioni violente di carattere sessuale” e 286 “Abuso di potere tramite la violenza o minaccia di violenza” del Codice Penale, mostrano come fine essenziale quello di condannare gli esecutori dei supplizi e che prevedevano estorsioni e ricatti attraverso le videoregistrazioni delle violenze.

Torture nelle carceri –Fonte:amnesty.it

Il difensore dei diritti umani e politico, Andrej Babuškin, ha poi affermato in una diretta al canale televisivo Dožd, che lo sviluppo di tale sistema è stato possibile grazie all’inadeguata formazione dell’amministrazione carceraria. Ciò si è manifestato a seguito del clima di repressione diffuso nel paese, ed a un usuale odio verso i criminali. Il sistema di supervisione affidato alle Commissioni Pubbliche di Sorveglianza, prevede una composizione interna costituita da non specialisti, che andrebbe perciò modificato, dando un ruolo centrale alle associazioni per la difesa dei diritti umani e in particolare dei prigionieri.

Le accuse alle autorità russe

Secondo alcune testimonianze traspare l’ipocrisia delle autorità, le quali attuano una presa di distanza dalle atrocità create dai generali FSIN e FSB, usate per piegare la volontà dei detenuti. Nei video si vedono questi agenti attuare stupri e altre violenze per promuovere la cooperazione e l’acquiescenza dei detenuti.

L’organizzazione per le comunicazioni ed emittente radiofonica fondata dal Congresso degli Stati Uniti, la RFE/RL, fa comprendere come gli stessi carcerati diventano vittime della macchina della tortura se firmano false testimonianze preparate dagli investigatori.

Video delle torture in Russia –Fonte:bbc.com

Si legge dunque tra le righe la grave assenza dell’intervento del Governo, che non sta facendo abbastanza per condurre un’indagine efficace.

Le sei carceri nel mirino

Secondo l’ONG le violenze, gli stupri e le intimidazioni provengono da sei regioni russe situate nelle regioni di Saratov, Vladimir, Irkutsk, Belgorod, TransBaikal e Kamchatka.

Queste saranno altresì notificate alle Nazioni Unite e al Consiglio d’Europa (CdE), cioè a quell’organizzazione internazionale il cui scopo è promuovere la democrazia, i diritti umani, l’identità culturale europea e la ricerca di soluzioni ai problemi sociali in Europa.

Consiglio d’Europa –Fonte:coe.int

Nell’intervento apportato dal portavoce di Putin, Dmitry Peskov, si afferma che

“Se l’autenticità di questi materiali è confermata, sarà motivo per avviare una seria indagine. È necessario risolverlo rapidamente ma con calma e stabilire l’autenticità.”

Si comprende pertanto la necessaria urgenza di svecchiamento dell’intero sistema carcerario e di quei servizi segreti, quali l’FSB, affinché l’azione delle stesse sia compatibile con il rispetto dei diritti fondamentali dell’individuo.

Giovanna Sgarlata

Vittimizzazione secondaria: la Corte europea dei diritti dell’uomo condanna l’Italia per non avere tutelato una vittima di stupro

L’Italia non ha rispettato la “dignità della ragazza vittima di violenza”. È quanto si legge nella sentenza  emessa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e datata 27 maggio. I fatti a cui quest’ultima si riferisce sono quelli relativi al cosiddetto “stupro di Fortezza da Basso”. Ma ad essere condannati non sono stati i ragazzi materialmente autori della violenza bensì le motivazioni adoperate dai giudici della Corte d’Appello di Firenze. Questi, si legge nella sentenza, hanno usato “linguaggi e argomenti ricchi di pregiudizi sul ruolo delle donne che esistono nella società italiana e che possono costituire un ostacolo alla tutela effettiva dei diritti delle vittime di violenza di genere”.

La vicenda di Fortezza da Basso

La sera del 26 luglio del 2008 a Firenze, in una macchina parcheggiata all’esterno della Fortezza da Basso viene consumata una violenza sessuale di gruppo ai danni di una ragazza allora appena 22enne. La denuncia viene presentata quattro giorni dopo e coinvolge sette ragazzi di età compresa tra i 20 e i 25 anni. Successivamente agli accertamenti medici dovuti e le corrispettive indagini, gli imputati vengono arrestati. A questi toccano un mese di carcere e più di due mesi ai domiciliari. Il processo durerà poco meno di cinque anni e si concluderà, nel gennaio del 2013, con una sentenza di condanna per sei dei sette ragazzi.

 

I fatti come presentati nella sentenza di primo grado, fonte: ilpost

 

I sei ragazzi vengono dunque condannati in primo grado a quattro anni e sei mesi di reclusione per violenza sessuale di gruppo aggravata dal fatto che la vittima fosse in quel momento incapace di intendere e di volere poiché ubriaca. I difensori degli imputati, però, ricorrono in appello e qui la Corte d’Appello di Firenze, nel marzo del 2015, rovescia completamente la sentenza in primo grado: i sei vengono infatti assolti in formula piena poiché “il fatto non sussiste”. 

Le motivazioni della sentenza della Corte d’Appello di Firenze

La sentenza non mancò di suscitare le proteste e l’indignazione da parte dell’opinione pubblica, specialmente ove si consideri che i termini per l’impugnazione scaddero senza che la Procura generale di Firenze ricorresse in Cassazione. La sentenza divenne quindi definitiva. A finire nell’occhio del ciclone furono le motivazioni addotte dai giudici fiorentini che vennero pubblicate dopo il 18 luglio dello stesso anno, dopo cioè la scadenza del termine di impugnazione. Dalle quattro pagine delle motivazioni si evince come i giudici avessero ritenuto dubbia la credibilità della ragazza. Dubbi derivanti dalle contraddizioni, nella ricostruzione dei fatti, provenienti dalla ragazza stessa ma soprattutto dallo stile di vita della stessa. La ragazza, si legge, non sarebbe stata in uno stato di inferiorità psichica essendo “un soggetto femminile fragile, ma al tempo stesso disinibito, creativo, in grado gestire la propria (bi)sessualità, di avere rapporti fisici occasionali, di cui nel contempo non era convinta”. Per quanto il fatto fosse “increscioso”, per i giudici la denuncia della ragazza è stato un tentativo, un modo, per cancellare quello che lei stessa reputava un “suo discutibile momento di debolezza e fragilità” testimoniato dal fatto che l’iniziativa di gruppo non fosse stata da lei “ostacolata”. Una motivazione che è stata definita dal difensore della ragazza come “pregna di giudizi morali” poiché focalizzata sullo stile di vita della ragazza definito a sua volta come “non lineare”. La giovane avrebbe infatti avuto più di un rapporto occasionale, oltre che un rapporto di convivenza e uno omossessuale. Comportamenti che avrebbe dato adito ai ragazzi di pensare che ella fosse consenziente.

Manifestanti in piazza a sostegno dei diritti delle donne, fonte: ilpost

Il ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’uomo

Esauriti i ricorsi interni, la ragazza, assistita dai suoi legali, ha fatto ricorso alla Corte di Strasburgo. Ad essere imputati stavolta però non erano i ragazzi, innocenti per la giustizia italiana, ma i giudici stessi. E ad oggi, dopo 6 anni dalla sentenza della Corte d’Appello di Firenze, si arriva a una svolta quanto mai storica. La Corte Europea ha condannato l’Italia per non avere tutelato la donna dalla cosiddetta “vittimizzazione secondaria”. Cioè nell’aver trasferito parte, se non totalmente, la responsabilità della violenza subita, su chi ne è stata vittima. In particolare la sentenza della Corte d’Appello di Firenze ha violato l’articolo 8 della CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo). L’articolo in questione tutela il diritto al rispetto della vita privata a familiare. Il linguaggio e le argomentazioni adoperate nella stessa sono infatti carichi di “pregiudizi sul ruolo delle donne esistenti nella società italiana”. In particolare sono stati definiti “deplorevoli” e “ingiustificati” i riferimenti alla bisessualità della donna, la sua vita sessuale e la definizione della stessa come “vita non lineare”. Inoltre, oltre ad avere violato l’articolo 8 della CEDU, la sentenza della Corte d’Appello di Firenze è in contrasto anche con l’articolo 54 della Convenzione di Istanbul ove si legge che in qualsiasi procedimento civile o penale vada sempre garantito il fatto che le prove relative agli antecedenti sessuali e alla condotta della vittima devono essere “ammissibili unicamente quando sono pertinenti e necessarie”.

L’Italia sarà dunque costretta a risarcire 12 mila euro alla ragazza per danni morali, oltre a 1.600 euro per le spese legali. Una magra consolazione che si spera però possa costituire un precedente da cui, da ora in avanti, i giudici italiani imparino a tenersi a debita distanza da qualsiasi valutazione frutto di luoghi comuni e bigottismo.

Filippo Giletto

Giorni di fuoco fra Israele e Hamas: i timori di un nuovo conflitto. Ecco cosa sta succedendo

Venti di guerra in Medio Oriente: durante la notte tra ieri e oggi vi è stato un massiccio raid aereo sulla Striscia di Gaza da parte di Israele a seguito del lancio di razzi su Gerusalemme da parte di Hamas (l‘organizzazione palestinese di carattere politico e paramilitare considerata di natura terroristica).

Secondo il ministero della Salute di Hamas a Gaza, nei bombardamenti israeliani sulla Striscia sarebbero state uccise 24 persone, di cui nove bambini; altri 700 palestinesi sono stati feriti negli scontri a Gerusalemme. Secondo l’esercito israeliano, nel bombardamento sono stati colpiti 8 militanti di Hamas.

“Hamas ha varcato la linea rossa e pagherà un duro prezzo “, ha dichiarato Benjamin Netanyahu, primo ministro israeliano.

Le violenze di questi giorni sono considerate le peggiori dai tempi dell’ultima guerra combattuta fra gruppi armati palestinesi e Israele, nel 2014. Alcuni osservatori temono già che nei prossimi giorni le tensioni possano trasformarsi in un vero e proprio nuovo conflitto.

(fonte: la Regione)

 Le origini del conflitto

Una escalation di sangue e paura ha caratterizzato la Giornata internazionale di Gerusalemme, anniversario della conquista della città nel 1967 da parte delle truppe israeliane.

La situazione a Gerusalemme è cominciata a precipitare dal 10 maggio quando, secondo la polizia, migliaia di palestinesi asserragliati sulla Spianata delle Moschee hanno cominciato una fitta sassaiola e lancio di oggetti contro gli agenti in tenuta antisommossa.

La spianata delle Moschee è un sito religioso situato nella città Vecchia di Gerusalemme che, a causa della sua importanza per l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam, è uno dei luoghi religiosi più contesi al mondo. La spianata è caratterizzata da tre imponenti edifici risalenti al periodo omayyade: la moschea al-Aqsa, la cupola della Roccia e la cupola della Catena.

Per cercare di placare le tensioni, le autorità israeliane hanno deciso di impedire l’ingresso sulla Spianata ai fedeli ebrei – per i quali è denominato Monte del Tempio – in occasione del Jerusalem Day, durante il quale la polizia israeliana ha usato anche granate stordenti all’interno della moschea di al Aqsa.

Ad alimentare le proteste la minaccia di sfratto nei confronti di quattro famiglie palestinesi dal quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme Est. La sentenza della Corte Suprema israeliana sul caso, attesa per la mattina del 10 maggio, è stata rinviata su richiesta del procuratore generale Avichai Mandelblit.

Lo scontro è però ufficialmente degenerato lunedì pomeriggio alle 18 locali (le 17 italiane), quando è scaduto l’ultimatum di Hamas che chiedeva a Israele di ritirare le truppe dalla Spianata delle Moschee.

Al mancato ritiro delle truppe israeliane sono risuonate le sirene di allarme e sono stati lanciati una trentina di razzi su Gerusalemme. In totale, secondo Israele, sono stati lanciati circa 150 razzi contro le città israeliane.

Il portavoce dell’ala militare di Hamas, brigate Ezzedin al-Kassam, ha rivendicato il lancio alla voce di “Gerusalemme occupata”, mentre le Brigate al-Quds, l’ala militare del gruppo terroristico della Jihad islamica, ha rivendicato il lancio verso Sderot. “Si è trattato di una risposta – ha dichiarato – all’aggressione e ai crimini contro la Città Santa e alle prevaricazioni contro il nostro popolo nel rione di Sheikh Jarrah e nella moschea al-Aqsa”

Questo ha scatenato la reazione israeliana portando ad un intenso bombardamento sulla striscia di Gaza, territorio governato di fatto dal gruppo politico-terrorista Hamas. Poco prima di avviare il secondo giro di bombardamenti sulla Striscia di Gaza, il governo israeliano di Benjamin Netanyahu aveva detto che i gruppi armati palestinesi avevano superato la «linea rossa», lanciando razzi contro Gerusalemme, e aveva promesso ritorsioni.

(fonte: ilMessaggero)

È stata avviata un’operazione militare chiamata “Guardiano delle Mura”; il portavoce delle forze armate israeliane (Idf), Hidai Zilberman, ha dichiarato: “Il lancio di razzi contro Gerusalemme è un fatto rilevante che non può passare sotto silenzio. Tutte le opzioni suono sul tavolo, compresa un’operazione di terra“. Ha poi precisato che i bombardamenti aerei contro obiettivi di Hamas sulla Striscia di Gaza dureranno “diversi giorni” e che non si esclude una “ripresa degli omicidi mirati contro i vertici dell’organizzazione palestinese”

Questo invece è il messaggio che il braccio armato di Hamas ha rivolto a Israele, minacciando nuove azioni se continueranno i raid aerei israeliani sulla Striscia di Gaza: “Gerusalemme ci ha chiamato e noi abbiamo risposto alla sua chiamata. Se voi continueremo, lo faremo anche noi”.

Gli effetti del lancio

Gerusalemme brucia, in un’esplosione di violenza che non si vedeva da anni. L’immagine simbolo è quella del vasto incendio che si è sviluppato nel tardo pomeriggio sulla Spianata delle Moschee nei pressi della moschea di al-Aqsa. Secondo quanto riferisce la televisione israeliana Channel 12, alcuni fedeli musulmani volevano lanciare fuochi d’artificio contro i militari israeliani di stanza sul luogo sacro, quando un pezzo di legno, probabilmente un albero, ha preso fuoco facendo propagare le fiamme.

In serata Tel Aviv e varie altre cittadine limitrofe hanno aperto i rifugi pubblici antimissile a causa dello scontro con Gaza e delle possibilità dell’arrivo di razzi. La decisione è stata presa alla luce delle recenti istruzioni dell’esercito che ha inoltre annunciato la “chiusura totale” del valico di Kerem Shalom- un passaggio fondamentale per le merci dirette a Gaza-, bloccando anche l’ingresso degli aiuti umanitari, in risposta al persistere degli attacchi con razzi dall’enclave palestinese sul suo territorio.

https://www.youtube.com/watch?v=U3b2qjAzZxk

Centinaia i manifestanti palestinesi feriti, oltre 200 portati in ospedale e 21 agenti colpiti. L’escalation di violenze ha allertato il mondo intero ed ha suscitato le dure condanne da parte araba.

Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, si è detto preoccupato “per le continue violenze nella Gerusalemme Est occupata, nonché per i possibili sgomberi di famiglie palestinesi dalle loro case nei quartieri di Sheikh Jarrah e Silwan“. Su Twitter, il diplomatico ha anche definito ”totalmente inaccettabile” il lancio di razzi dalla Striscia di Gaza verso Israele.

Più tardi è intervenuto anche l’Alto rappresentante Ue per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “Il significativo aumento di violenza” in Cisgiordania, nella Striscia di Gaza e a Gerusalemme Est “deve essere fermato immediatamente”

Gli Stati Uniti hanno bloccato una dichiarazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di condanna della situazione a Gerusalemme, durante la riunione di emergenza nella sede dell’Onu a New York. Nonostante il sostegno di 14 dei 15 membri del Consiglio di sicurezza, gli Stati Uniti hanno chiesto tempo per valutare la bozza e alla fine hanno deciso di non appoggiare l’iniziativa.

La Casa Bianca ha comunque espresso “seria preoccupazione” per le violenze, e ha definito “inaccettabile” il lancio di razzi contro Gerusalemme. Di fronte ai timori internazionali, il governo israeliano avrebbe esortato gli Stati Uniti a non intervenire nella crisi.

Grave preoccupazione condivisa anche dal presidente turco Erdogan che ha annunciato: “la Turchia farà tutto ciò che è in suo potere per mobilitare il mondo intero, e soprattutto il mondo islamico, per fermare il terrorismo e l’occupazione di Israele”.

Una situazione che sembra al collasso da secoli e che sembra peggiorare giorno dopo giorno.

Manuel De Vita

Nudes: “Non ho calcolato le conseguenze”

“Nudes” descrive con grazia una delle insidie dell’adolescenza 4.0 – Voto UVM: 4/5

Vuoi fare un brutto scherzo a un’amica? Questo è l’invito che un gruppo Telegram, nato a fine ottobre e arrivato in poco tempo a più di 10mila membri, rivolge ai suoi utenti affinché condividano materiale pornografico e dati di contatto di loro conoscenti.

Questo è il revenge porn: la divulgazione d’immagini e/o video sessualmente espliciti senza il consenso del soggetto ritratto. Indipendentemente dalle motivazioni – che possono andare dalla vendetta verso l’ex partner al ricatto- si tratta di una violenza fisica a tutti gli effetti, amplificata dall’umiliazione pubblica che ne consegue. Ad oggi, sebbene la costante e allarmante crescita, solo alcuni Paesi (tra cui l’Italia) hanno introdotto una specifica normativa per la repressione del reato.

La serie tv Nudes

Dal 20 aprile, in esclusiva su RaiPlay, è disponibile la prima serie tv italiana che affronta il tema del revenge porn. Adattamento dell’omonimo teen drama norvegese, Nudes (prodotta da Bim Produzione e Rai Fiction) racconta le vite di tre adolescenti diversi sconvolte dalla diffusione online di immagini e video della loro intimità e del conseguente tentativo di riprendere in mano la situazione. I dieci episodi, diretti da Laura Luchetti, sono ambientati nell’hinterland bolognese ma mancano di chiari riferimenti alla città emiliana, quasi a voler sottolineare come il fenomeno abbia portata globale.

Gazzelle e copertina dell’album “OK”.

Perfetta, perché tanto discreta quanto incisiva, è poi la colonna sonora Un po’ come noi. Undicesima traccia dell’album intitolato OK di Gazzelle, conferma la capacità del cantautore di coniugare le sonorità melodiche a temi mai banali, come l’amore e i patemi quotidiani.  

Nuda come una foglia in un giorno di pioggia
Mentre scende la sera o mentre mangi una mela
E pensi “questa vita è una galera”

La trama e i personaggi

Che cosa succederebbe se vedessi la ragazza che ti piace appartarsi con un altro dopo aver rifiutato proprio uno come te? E se vedessi la tua migliore amica preferire la compagnia di un ragazzo alla tua? E se un ragazzo, più volte, ti chiedesse di fargli vedere quanto sei bella?

I protagonisti:Sofia (Fotinì Peluso),  Ada (Anna Agio) e Vittorio (Nicolas Maupas)

Vittorio (Nicolas Maupas) ha diciotto anni e tutte le carte in tavola per essere un “vincente”: dall’aspetto carismatico al supporto dei fedeli amici e della fidanzata Costanza (Giulia Sangiorgi). La sua vita perfetta però cambia quando è invitato a comparire in questura perché, durante una festa, avrebbe postato online un video pornografico ritraente l’allora minorenne Marta (Geneme Tonini).

Sofia (Fotinì Peluso) ha sedici anni e, incoraggiata da nuove amicizie, si allontana dalla sua comfort-zone e dalla storica compagna di arrampicata Emilia (Anna Signoroldi). Durante una festa, realizza il sogno di fare l’amore per la prima volta con Tommi (Giovanni Maini), il ragazzo per il quale ha una cotta. Il sogno si trasforma in un incubo quando, la mattina seguente, scopre che qualcuno li ha filmati e ha diffuso in rete il video.

Ada (Anna Agio) ha quattrodici anni e, a differenza delle coetanee e della migliore amica Claudia (Alice Lazzarato), non è ancora pronta a diventare una donna. Per gioco e per sentirsi meno sola, s’iscrive a un sito d’incontri, dove attira subito l’attenzione di Mirko che le chiede di inviargli delle foto intime. Poco tempo dopo, uno sconosciuto la informa che le sue foto circolano nel Web e si offre di risolvere la questione senza coinvolgere i suoi genitori.

Un “grillo parlante” ma non giudicante

Nudes racconta quel momento di passaggio, dall’infanzia all’età adulta, in cui tutto cambia e in cui una scelta apparentemente banale può avere delle conseguenze imprevedibili. Descrive abilmente quel limbo tra bene e male, tra vendetta, curiosità e purezza, tra scatti d’ira e pianti sotto la doccia che tutti gli adolescenti, di ogni dove e tempo, vivono.

I protagonisti di Nudes

Entra con delicatezza, seppur spesso in modo troppo repentino e semplificatorio, nelle vite dei ragazzi della Generazione Z, costretti a crescere in una società brutale e irruenta com’è quella odierna. Mostra l’emotività dei nostri ragazzi che, per quanto facciano il possibile per sembrare già “grandi”, rimangono esseri ancora fragili in perenne equilibrio tra ciò che dovrebbero (a detta degli adulti) e ciò che vorrebbero fare.

Tuttavia non c’è paternalismo perché mostra senza mai giudicare. La serie, infatti, esplora la realtà moderna con l’obiettivo non tanto di demonizzare le nuove tecnologie o la società ricca d’insidie bensì di aprire gli occhi, a ragazzi e adulti, sui rischi connessi a un’adolescenza vissuta in simbiosi con uno smartphone in una realtà in cui il pericolo è dietro l’angolo, ma ove basta veramente poco per “dormire sereni”. Lascia intravedere, inoltre, l’esistenza di strumenti legislativi di tutela per le vittime, anche se nella serie (purtroppo) non si arriva mai a fare giustizia se non per il pentimento spontaneo dei protagonisti.

Condividete le emozioni, non le foto

La frase «Non ho calcolato le conseguenze», che uno dei protagonisti pronuncia in Nudes, non è una giustificazione. Lo sappiamo tutti, dai tempi della scuola: a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria.  Nel caso del revenge porn, le conseguenze possono essere davvero drammatiche…

Lotta al revenge porn

Come ti sentiresti se il tuo migliore amico raccontasse a tutti un tuo segreto? Tradito? Umiliato? Ingenuo? Adesso immagina che il tuo “amico” lo racconti su un social network o ai tuoi familiari… Ecco, adesso, come ti senti? La regola è semplice: se crei o ricevi del materiale intimo o sessualmente esplicito, non sei autorizzato a condividerlo con altri. Mai. Condividete le emozioni, non le foto!

Angelica Terranova

Per Willy, contro ogni forma di violenza!

Si terrà sabato 19 settembre 2020 alle 17 presso Piazza Unione Europea, il SIT-IN per Willy Monteiro, contro ogni forma di violenza.

“Non possiamo girarci dall’altra parte quando nella nostra società un ragazzo viene pestato e ucciso dalla cultura della forza e della violenza. Vogliamo unirci per evidenziare un’emergenza reale di questo paese: quella culturale e sociale. Dobbiamo contrastare la narrazione aggressiva e violenta che proviene da certe organizzazioni e certi partiti politici, per cui gli assassini di Willy simpatizzano, che alimentano le tensioni sociali. Non è possibile che oggi un ragazzo non debba sentirsi al sicuro a causa di questi continui episodi.
Per questo ci diamo appuntamento a Piazza Unione Europea in una piazza non violenta, per non dimenticare il sorriso di una giovane vita, strappata da un gruppo di violenti e per chiedere a gran voce giustizia per Willy”. Queste le parole dei promotori della manifestazione Damiano Di Giovanni, Tonino Cafeo, Angelo Marano Rossi e Stefania Russo.

Si raccomanda il rispetto delle disposizioni di sicurezza e prevenzione dell’infezione da Covid-19: l’uso della mascherina e il distanziamento interpersonale di almeno un metro per tutta la durata della manifestazione.

SIT-IN SOLIDALE “ENOUGH IS ENOUGH” Messina per George Floyd

SIT-IN SOLIDALE “ENOUGH IS ENOUGH”

Si terrà domenica 7 giugno 2020 presso Piazza Unione Europea a Messina, con inizio alle 17:45, la manifestazione commemorativa e solidale in memoria di George Floyd e di ogni vittima di abuso di potere.

Il 25 Maggio 2020 muore a Minneapolis, Minnesota, George Floyd, cittadino afroamericano di 46 anni, padre di due figli, e disoccupato a seguito dell’emergenza da COVID-19. Il video del suo omicidio, diventato subito virale, mostra per 8 minuti e 46 secondi il ginocchio di Derek Chauvin, Ufficiale del dipartimento di polizia di Minneapolis con già 18 precedenti denunce a suo carico, sul collo di Floyd che, come si sente dire più volte dallo stesso, non riesce a respirare. L’omicidio si svolge sotto la completa indifferenza dell’agente Tou Thao. L’ingiustizia perpetratasi scatena inevitabilmente un effetto domino, in pochi giorni gli interi Stati Uniti si rivoltano nelle strade invocando una giustizia che sia tale ed autentica. La presidenza di Donald Trump si piazza lontana dalla tragedia umana e distante dall’affermare le vere responsabilità della vicenda: gli abusi razziali sono una costante del sistema sociale americano, e non solo. Come comunità umana non possiamo tacere di fronte a tale abominio e sentiamo di affermare con forza il principio già condiviso dalla carta dell’indipendenza americana stessa, e mai realmente osservato, cioè che “Noi riteniamo ovvia questa verità, che tutti gli uomini sono creati uguali”. Questa è una occasione, anche per noi che osserviamo le proteste oltreoceano, per ridiscutere il valore della nostra umanità e per affrontare le piaghe sociali del razzismo e degli abusi di potere presenti anche in Italia.

Cosa fare

Per manifestare in sicurezza:

  • Indossare la mascherina;
  • Sedersi posizionandosi 1,5 m di distanza da chi si ha vicino;
  • Lasciare pulito lo spazio occupato;

Inoltre, gli organizzatori consigliano di:

  • Condividere la propria arte per dare ulteriore voce e forma alla protesta e alle sue ragioni. Si potrà, quindi, portare uno strumento musicale, una foto, una canzone, un dipinto, una poesia o qualsiasi altra forma d’arte correlata al tema della manifestazione;
  • Utilizzare l’hashtag #BLACKLIVESMATTERITALY per condividere immagini, foto e notizie del sit-in sui social;

Cosa NON fare:

Affinché possiamo essere solidali e alleati, cosa NON fare:

  • Pitturare le mani e la faccia di nero;
  • Scrivere “I can’t breathe” sulla mascherina (i suprematisti bianchi lo stanno facendo per screditare il senso delle proteste);

L’intera manifestazione sarà portata avanti pacificamente.

Qui il Link dell’evento Facebook.

Cristina Geraci