Messina nel 1780: il quartiere “San Giovanni”

Ritorna l’appuntamento dedicato al viaggio nella Messina del 1780. L’architetto Giannone oggi ci accompagna nel quartiere “San Giovanni”.

Il quartiere

La contrada di San Giovanni era situata nella parte settentrionale della città, tra il torrente Boccetta e il Borgo inferiore. Fino al 1537 era denominato Borgo di San Giovanni, in quanto l’antico confine della città era circoscritto al Boccetta.                                                                                                                                                  Nell’Ottocento la grande piazza fu trasformata in un giardino pubblico, successivamente Villa Mazzini, obbligando la demolizione dell’antico lavatoio delle sete. Dopo le distruzioni del 1908, il nuovo piano decretò la demolizione del complesso di Sant’Andrea e di San Giovanni.

Mappa del quartiere “San Giovanni” – Fonte: “Messina nel 1789. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021

Chiesa di San Giovanni di Malta

La chiesa era a pianta rettangolare, a tre navate separate da file di sette robusti pilastri in pietra, vi erano altrettante cappelle laterali per ogni lato le quali ospitavano un gran numero di altari, opere pittoriche e scultoree e diversi monumenti funebri e sepolture. La facciata, in marmo bianco e pietra rossa, riprendeva il modello incompiuto del San Lorenzo del Buonarroti, maestro di Del Duca, adottando la conformazione della facciata a due ordini con nicchie laterali e inframezzate da coppie di paraste. Al centro della facciata vi era un pronao formato da due colonne e un arco al di sopra del quale, nel secondo ordine, vi era una grande finestra balconata.
La facciata era posizionata su un alto basamento che compensava il differente livello con la parte absidale, ad esso si accedeva tramite quattordici gradini semicircolari ed era cinto da una balaustrata.

Messina nel 1780
Vista chiesa San GIovanni di Malta – Fonte: “Messina nel 1789. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021

Il terremoto del 1908 danneggiò gravemente la Chiesa: crollarono i muri perimetrali, la volta, la parte sinistra della facciata, mentre la tribuna ebbe danni limitati.
Nel piano regolatore del 1910 la chiesa fu sottoposta a vincolo di conservazione, che però fu rimosso dal piano Borzì: i resti dell’edificio furono distrutti con la dinamite, per permettere la costruzione del Palazzo del Governo; venne tuttavia risparmiata la tribuna, che venne restaurata e riaperta nel 1926.

La Chiesa di San Giovanni di Malta dopo il terremoto del 1908 – Fonte: “Messina nel 1789. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021

Gran priorato dei cavalieri di Malta

Il Priorato nacque come convento della chiesa di San Giovanni nel VI secolo e anch’esso venne danneggiato e abbandonato durante la dominazione araba.  Esistono descrizioni dettagliate dell’edificio, presso il quale “si accedeva da un grande portale ad arco in pietra sovrastato dallo stemma del priore Naro. Sul lato destro vi era un’antica porta grande ad arco (murata) che corrispondeva ad un ampio magazzino con una apertura che si affacciava sul piano di S. Giovanni; A sinistra dell’ingresso erano due stanze ‘terrane’, di cui una utilizzata come carcere, ed una camera con piano superiore. Seguiva il muro del giardino con 27 merli e porta d’ingresso con lo stemma del priore Gattinara, un pozzo e camere il primo piano i cui ingressi mostravano ancora le insegne familiari.

Danneggiato dal sisma del 1783, venne restaurato e al suo interno furono trasferite le funzioni appartenute al distrutto Palazzo Reale. Dopo l’Unità d’Italia fu acquistato dalla Provincia divenendo il palazzo del Prefetto e venendo difatti ricostruito nel 1877 dagli architetti Leone Savoia e Giuseppe Bonaviri.
Così come per la Chiesa di San Giovanni, il Priorato venne seriamente danneggiato dal terremoto del 1908 e demolito con la dinamite nel 1912, permettendo la costruzione della nuova Prefettura progettata da Cesare Bazzani.

Fontana e gran beveratura di San Giovanni

La fontana era alta cinquanta palmi e le sue fattezze sono facilmente interpretabili dall’accurato rilievo di Hitorf e Zanth pubblicato nel 1835: in una prima grande vasca ottagonale, ornata da quattro mascheroni e il citarista Arione cavalcante un delfino che comunicava con il lavatoio. Era presente anche un secondo corpo di impianto quadrangolare ai cui lati vi erano altrettanti leoni che versavano l’acqua dentro grandi vasi. Al di sopra, si appoggiava l’alto candelabro formato da un grande fusto circolare.

Sulla cima del candelabro vi era una statua raffigurante Messina, raffigurata dall‘Hittorff e dall’Houel in vesti militari.
Il lavatoio invece era lungo circa trenta metri ed era in marmo rosso; fu costruito al fine di permettere ai tintori e ai setaioli di lavare le proprie mercanzie nell’acqua dolce, essendo prima di allora costretti a farlo in mare.

 

Jean Laurent Houel , IV.e vue de Messine. Place de S.t Jean, 1784 – Fonte: “Messina nel 1789. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021

 

Fontane dei Cavallucci                                                                                     

Le quattro fontane sono state erette nel 1742, in occasione dell’anniversario secolare della consegna della lettera della Madonna ai messinesi, nella piazza di Santa Maria La Porta, probabilmente su disegno del sacerdote Gaetano Ungaro e scolpite da Giovan Battista Marino. Le fontane, identiche e simmetriche tra loro, erano posizionate su un basamento ornato con volute e un mascherone che versava l’acqua in una coppa. Sopra di esso si poggiava una vasca allungata, all’interno della quale sorgeva la scultura di un delfino cavalcato da un putto, dalla quale le fontane trassero il loro nome popolare.

Danneggiate dai bombardamenti del 1848, le fontane furono rimosse dalla Piazza e spostate nei pressi della Chiesa di San Francesco di Paola, separandole dai “cavallucci“, ricollocati nel laghetto artificiale del giardino a mare, dove restarono almeno fino al 1940.  Due delle quattro vasche ancora oggi sono posizionate presso largo di San Giacomo, alle spalle del Duomo.

Vista della Piazza Cavallucci e del Convento S. Andrea Avellino – Fonte: “Messina nel 1789. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021

 

Chiesa e convento di Sant’Andrea Avellino                                             

Il progetto della chiesa fu realizzato da Domenico Martinelli nei primi decenni del secolo, ma la fabbrica parti molti anni dopo la sua morte sotto la direzione di Giuseppe Donia. Successivamente Antonio e Francesco Saverio Basile ne rinnovarono il disegno. Il terremoto del 1783 fermò drasticamente il cantiere che ripartì molti decenni più tardi. La chiesa venne aperta al culto solamente nel 1851 su nuovo progetto di Antonio Tardi in forme strettamente neoclassiche e con una cupola ribassata.

Il terremoto del 1908 lasciò sorprendentemente quasi indenne la chiesa. In seguito venne ugualmente abbattuta con la dinamite per permettere la biforcazione tra Corso Cavour e via Garibaldi; anche il convento, danneggiato in maniera maggiore, venne demolito.

Foto d’epoca precedente al 1908 del Convento S. Andrea Avellino – Fonte: “Messina nel 1789. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021

Alla prossima!

Terminata anche questa tappa, vi diamo appuntamento alla prossima puntata, in cui “visiteremo” il quartiere “Caperrina”.

 

Marta Cloe Scuderi

Fonti:

Luciano Giannone, Messina nel 1780. Viaggio in una capitale scomparsa, Giambra Editori, Terme Vigliatore (ME), 2021.

https://www.youtube.com/@lucianogiannone9299

 

Messina nel 1780: il quartiere “I Banchi”

Ritorna l’appuntamento dedicato al viaggio nella Messina del 1780. L’architetto Giannone oggi ci accompagna nel quartiere “I Banchi”.

 Il quartiere

Il nome deriva dai negozi e dalle attività commerciali che prosperavano nella strada prospicente il porto, quella che dopo il 1783 assunse il nome di via Ferdinandea e successivamente via Garibaldi. Il tratto della banchina era denominato “Piano della Dogana Vecchia”: in questo luogo il molo si allargava creando un piazzale che all’epoca delle fortificazioni di Carlo V, ospitava, oltre alle attività doganali, diversi fondaci e la forca.

Nel 1554 su decisione del viceré Juan de Vega, tutta l’area venne bonificata attraverso un mirato intervento urbanistico, che ebbe come apice la realizzazione della Fontana di Nettuno. La costruzione della Palazzata del Gullì nel 1623 contribuì ad elevare ulteriormente la dignità dell’area.

Dopo il 1783 l’intero fronte portuale venne ricostruito secondo le linee neoclassiche del Minutoli, autore della nuova Palazzata e del Palazzo Municipale, distrutti nel 1908.

Mappa del quartiere “Banchi” – Fonte: “Messina nel 1789. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021

Fontana di Nettuno

Fu proprio l’ultima opera messinese di Giovannangelo Montorsoli che terminò la realizzazione del gruppo scultoreo, in appena un anno. La fontana si innalza su un grande basamento ottagonale composto da tre gradoni, con due lati opposti allungati lungo l’asse parallelo all’andamento della banchina e i lati obliqui incurvati al fine di generare un profilo ellittico, che consente di posizionare quattro vasche laterali esterne alla vasca principale, sulla quale sono appoggiate.

All’interno della vasca vediamo sorgere il basamento principale, sul quale sono raffigurate le armi asburgiche con il Toson d’oro e le colonne d’Ercole, oltrepassate dall’impero sul quale non tramontava mai il sole.
Agli angoli del basamento sono presenti quattro cavalli, mentre, sopra di esso sorge la statua del dio Nettuno: il progenitore della città è raffigurato in una posa plastica e imperturbabile, mentre al di sotto troviamo i mostri marini di tradizione omerica, Scilla e Cariddi, responsabili dei vortici marini e della turbolenta natura del territorio.

Durante la rivolta antiborbonica del 1848 la statua di Scilla subì un danneggiamento dopo essere stata colpita da
una cannonata, venne realizzata una copia da parte di Letterio Subba e sostituita, mentre l’originale trovò collocazione presso il Museo Regionale. Nel 1887 anche il Nettuno venne sostituito da una copia eseguita da Gregorio Zappalà.
Nonostante la furia del sisma e del maremoto del 1908 la fontana non riportò danni considerevoli; nel corso
della nuova sistemazione urbanistica seguita alla ricostruzione della città essa venne spostata di circa 500
metri e posta presso la foce del torrente Boccetta, di fronte alla prefettura;

Messina nel 1780
La fontana del Nettuno in uno scatto di G. Welbatus 1880 ca – Fonte: “Messina nel 1780. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021
Fontana del Nettuno
La Fontana del Nettuno oggi – ©Silvia Molino, Messina 2022

Palazzo senatorio

Architetto della fabbrica fu il messinese Giacomo del Duca, allievo di Michelangelo, il quale era succeduto al Calamech come architetto della città nel 1589. Il suo progetto prevedeva la costruzione di un imponente prospetto a due piani, scandito da nove campate separate da due possenti paraste. Furono anche tamponate le aperture del piano terra e sostituite da grandi finestre inferriate.

Le aperture nel piano superiore presentavano altrettanti balconi e le paraste assumevano elementi di ordine ionico. Le fattezze dell’edificio possono essere descritte con discreta affidabilità grazie alla netta coincidenza dei numerosi disegni del prospetto, dei quali quelli con la maggiore dovizia di particolari sono le incisioni del Sicuro e di Pompeo Schiantarelli.

Divenne consuetudine, data l’importanza assunta dall’edificio, che le riunioni del senato dovevano tenersi al suo interno, prima della costruzione del nuovo edificio in Piazza Duomo.  A partire dal 1602, fu trasportato al suo interno anche il tesoro pubblico della Tavola Pecuniaria.

Francesco Sicuro, Palazzo Senatorio, in Vedute e prospetti della città di Messina, 1768 – Fonte: ©Luciano Giannone, 2021

Loggia dei mercanti

Di questa loggia non rimangono attendibili testimonianze grafiche, eccetto una desolante raffigurazione di Henry Tresham dell’area dell’attigua Porta appena dopo il sisma del 1783, nella quale sono visibili i suoi ruderi; resta però una completa descrizione effettuata da Gallo, che unita alla Pianta dell’Arena, che rappresenta la posizione dei pilastri, costituisce una solida base per ipotizzare i lineamenti dell’edificio:

“Essendo dunque questo Palazzo passato ad altro uso, si accomodò collaterale allo stesso in miglior forma altra bellissima Loggia per comodo dei Negozianti; essa viene la metà coverta sotto le volte sostenute da un alta, e grossa colonna di pietra fasciata, sù della quale, e di due gran pilastri laterali di ugual la-voro, si appoggiano due archi, che sostengono la fabbrica superiore. Resta essa tutta circondata da un bellissimo, e spazioso sedile di marmo serrato da tutte le parti con lungo filo di balaustri di ferro, ed in uno degli angoli li fa difesa una bellissima colonna di porfido di molto pregio. Si perfezionò questa Loggia nel 1627”.

Lo stesso autore rappresenta una lapide posta in corrispondenza della Loggia esaltante i commerci della città con i mercanti di tutto il mondo.
Nel 1753 fu apposto al di sopra di un fornice un medaglione marmoreo raffigurante il Duca Eustachio di Laviefuille, vicerè di Sicilia, opera di Giuseppe Buceti, oggi costudita presso i depositi del Museo e fino al 2002 collocata presso il Palazzo dell’INA.
Il terremoto del 1783 danneggiò gravemente la Loggia, le cui rovine rimasero visibili fino al 1810, quando vennero demolite per far posto al nuovo Palazzo Municipale.

Henry Tresham, The Devastation of the Earthquake at Messina, Sicily, particolare delle rovine della Loggia dei Mercanti, 1783 – Fonte: ©Luciano Giannone, 2021

Porta della Dogana Vecchia

Questa era una delle diciotto Porte della Palazzata doveva il suo nome all’antica dogana che sorgeva in prossimità della porta, prima che venisse demolita e sostituita, nel 1539, dalla Dogana Nuova; veniva altresì chiamata volgarmente Porta della Loggia o dei Cappellari.

Nonostante il progetto senza soluzione di continuità del Gullì, insieme alla gemella Porta dei Martoriati, la Porta della Dogana Vecchia era molto dissimile dalle altre porte della Palazzata.

Messina nel 1780
Ricostruzione della Porta della Dogana Vecchia e della Loggia dei Mercanti nel 1780 – Fonte: “Messina nel 1780. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021

Statua di Carlo III

Carlo III di Borbone conquistò il Regno di Sicilia nel 1735, sottraendola agli Asburgo d’Austria al culmine della Guerra di Successione polacca. Con l’incoronazione a Palermo divenne rex utriusque Siciliae, il 3 luglio dello stesso anno.

Il sovrano nel corso del suo regno si dimostrò benevolo nei confronti della città di Messina. Per manifestare la gratitudine nei confronti di quest’ultimo, il Senato messinese commissionò nel 1756 una statua allo scultore Giuseppe Buceti, sul modello di Giovan Giacomo Caffieri.

La scultura, alta undici palmi e mezzo, venne realizzata a Messina utilizzando il bronzo fuso dalla scultura di Carlo III d’Asburgo, il precedente monarca sconfitto nella guerra di successione. Il basamento marmoreo fu scolpito sul modello di un disegno di Luigi Vanvitelli e la statua venne posizionata di fronte al Palazzo Senatorio.
Il monumento venne distrutto durante i moti antiborbonici del 1848. Ricostruita nel 1858 su differente disegno da parte di Saro Zagari e posta sulla via Ferdinandea. Due anni più tardi, all’ingresso dell’esercito garibaldino in città, venne rimossa e trasportata prima nel cortile dell’Università, poi presso la filanda Mellinghoff, dove rimase fino al 1973, quando venne posizionata definitivamente presso Piazzale Cavallotti.

Messina nel 1780
La Statua di Carlo III oggi – ©Silvia Molino, Messina 2022

Alla prossima!

Terminata anche questa tappa, vi diamo appuntamento alla prossima puntata, in cui “visiteremo” il quartiere “San Giovanni”.

 

Marta Cloe Scuderi

Fonti:

Luciano Giannone, Messina nel 1780. Viaggio in una capitale scomparsa, Giambra Editori, Terme Vigliatore (ME), 2021.