Dicembre: è ora di tirare le somme

 

image1Gli articoli a fine anno risultano spesso molto importanti. Sopratutto se articoli di opinione, a chi importa della tua opinione quando sei una studentessa che non studia giornalismo e non aspira ad essere giornalista professionista?

E quindi un grande, immenso, gigante punto interrogativo. Che cosa tratto? Come lo tratto? Avrò scritto bene? Ha un senso? È scontato? Ho provato a dare delle risposte a queste domande, ho pensato “se me le pongo, tanto vale provare a rispondere”, come ad un esame ti autoconvinci di essere preparato. La conclusione è che ho deciso che avrei dovuto scrivere quello che mi frullava in testa, riguardo le mie sensazioni in questo periodo dell’anno.

Dicembre è un mese particolare: fa più freddo, gli esami, le feste si avvicinano, gli esami, il buio pesto già alle 17.00, gli esami, la fine dell’anno, gli esami, le costanti domande “siamo già a dicembre?” e “che faccio a capodanno?”. Ma sopratutto ti ritrovi a pensare a come si è svolto quest’anno di vita, e ti chiedi come sarà quello successivo…i pensieri aumentano sempre a Dicembre. L’altro giorno ho letto un compito che dava uno psicologo ai suoi lettori: che cosa prevedi che succederà nella tua vita nel 2017? In che direzione stai andando?

Sulla base delle risposte a queste domande si possono suddividere le persone in tre categorie:

-I pessimisti che già incorniciano il loro 2017 con didascalia “MAI NA GIOIA”, assorbiti dall’ansia vedono il peggio in tutto, e in loro stessi

-Gli ottimisti che, al contrario, già immaginano campi di fiori ed unicorni nel loro florido futuro

-I realisti i quali vivono il momento, “alla giornata”, senza porsi grandi obiettivi, valutando giorno per giorno quello che gli accade, vivendo però, a volte, in maniera eccessivamente neutrale

E se invece dimenticassimo le categorizzazioni e pensassimo che tutti siamo tremendamente, inesorabilmente uguali e, chi in un modo, chi nell’altro, cerca la propria serenità?

Gli anni che abbiamo vissuto fino ad adesso dobbiamo sempre considerarli e vederli con occhi critici, analizzare ciò che vogliamo migliorare delle nostre abitudini ,capire se la nostra quotidianità è quella che ci appartiene, fare nostre le buone vibrazioni che fino ad adesso abbiamo ricevuto ed offrirne altrettante. Continuiamo a nasconderci dietro un dito, senza tener conto di come abbiamo vissuto l’anno appena passato, con le gioie ed i dolori, con le varie incazzature ed i “non ce la posso fare”, con le risate e le incomprensioni. Il gesto più umile e nobile che possiamo compiere è imparare da noi stessi: ascoltarci fino ad esaudire i desideri del nostro spirito.

Non nego di aver provato a rispondere (consapevole del fatto che tutto in fondo è incerto), e mi sono venute in mente altre due domande che non mi ero mai posta concretamente: come voglio vivere la mia vita? Che sensazioni voglio provare per trovare la serenità?

 

P.S.: dopo aver risposto a queste domande me ne verranno altre?

 

Giulia Greco

“From The Rooftop tour” intervista a Coez per UniVersoMe

Dicembre è stato un mese ricco di musica, che ha reso Messina super presente nelle tappe dei tour di artisti della scena underground italiana e non solo. Il 19 dicembre il locale Retronouveau ha ospitato il cantautore e rapper italiano Coez (nome d’arte per Silvano Albanese, classe ’83): concerto sold-out per la prima performance dell’artista nella nostra città. “From the rooftop tour” ha fatto impazzire tutti i fan del cantante, la caratteristica è quella di riproporre pezzi vecchi, nuovi e cover accompagnati da una chitarra acustica ed una loop station, a cura del chitarrista Alessandro Gaspare Lorenzoni.
UniVersoMe ha avuto l’occasione di intervistare l’artista.

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Riguardo la creazione di From The Rooftop hai detto “con l’intento di far conoscere cose nuove o cose vecchie persone nuove” I pezzi che hai scelto per la scaletta sono misti: cover, festa ring, brani dei tuoi dischi precedenti e dell’ultimo disco “Niente che non va”. Qual è il filo conduttore di questi brani?
Il filo conduttore si concentra già sulla struttura di questo tipo di performance: la voce accompagnata dalla chitarra, richiede canzoni e musiche più emotive. Abbiamo provato a fare qualcosa di più “up”, non dico di allegro perché nella mia discografia non c’è niente di veramente allegro e non sono uno che ascolta musica allegra (cioè mi piace il pop, ma sempre con un velo di malinconia). Abbiamo scelto anche pezzi di artisti come Calcutta, I cani, canzoni prettamente d’amore.

Loro cosa hanno detto per la tua scelta di cantare delle loro canzoni?
Erano contentissimi. Calcutta, ad esempio, ne era entusiasta, il suo manager mi aveva subito fatto ascoltare “cosa mi manchi a fare” ed ho pensato subito “questo fa il panico, è pazzesco, lo devo fare”. Lui inoltre aveva anche poche visualizzazioni su YouTube ed io stavo iniziando a creare il progetto “from the rooftop”, lo dovevo cantare assolutamente. Lui ha cantato una mia canzone nei suoi concerti, “le parole più grandi”…è stato un bel momento di musica italiana. Sono un loro fan.img_7216

La tua entrata nella scena musicale è segnata dalla concentrato sul genere rap. Dopo alcuni anni, con la pubblicazione del tuo primo album ufficiale “Non erano fiori”, si evince un notevole cambiamento verso un sound più pop. Stessa cosa vale per “niente che non va”. Senti di aver trovato il tuo posto o credi che ancora tu debba identificare/trovare la tua musica? Questa domanda te la faranno spesso.
Sì molto spesso, ed è anche giusto. Comunque no, sto continuando a sperimentare, ed il pubblico lo percepisce. Io ho sempre avuto propensione verso il melodico, già nel primo disco del “Circolo vizioso” io ero quello che faceva i ritornelli e secondo me quelli che sono rimasti sconvolti se lo dovevano aspettare…poi certo, se ci si concentra sull’ultimo disco ho quasi eliminato il rap, a parte Jet, in cui si sente l’influenza hip hop. Come ho sperimentato fino ad adesso lo farò anche nel prossimo disco: in ogni caso la dimensione giusta in cui possono coesistere vari generi è proprio il concerto.

Qual è il tuo rapporto con
Con le donne? Ahahah beh si può capire che è drammatico, lavoro troppo. No dai non ne parliamo.

Scriviamo “no comment!”, no seriamente, qual è il tuo rapporto con questa categorizzazione musicale, come quasi mettere in dei box “tu facevi rap, ora non più”. Cosa ti manca del rap?
Eh un po’ ci “ammattisco”. Diciamo che è una cosa che mi porterò sempre dietro, penso che il rap non lo mollerò mai del tutto. Ciò che mi manca è un po’ il cinismo o l’ironia nella scrittura, che cerco di riportare nei miei nuovi testi ma con il rap è una roba più affilata e diretta. La canzone tira dritta verso un punto, nel rap puoi infilarci vari slogan e giocare con le parole, mettere una cosa cattivissima e nella barra successiva una super dolce. Mi mancano tanto quei live con i miei migliori amici sul palco, quella dimensione più divertente, meno impegnativa e più familiare. Non che adesso non mi diverta, ma indubbiamente seguire un tour in cui sul palco ci siamo Gaspare ed io in veste più “formale”, la sensazione è diversa, non come quando cantavo nei centri sociali o per strada.img_7206

A rolling stone hai detto “se avessi voluto fare soldi avrei fatto l’avvocato”. Perché lo fai?
Non intendevo dire quello, la frase l’ho detta come battuta, evidentemente al giornalista serviva una frase per screditarmi ed intenderla sotto un punto di vista che non coincideva con il mio. Quello che volevo dire era che se tu stai in fissa solo sui soldi non ti metti a fare canzoni: un lato fondamentale per scrivere e sopratutto voler scrivere è essere giocherelloni, un po’ cazzoni che non ti porta a concentrarti solo sul denaro, la spinta principale non è solo quella. Io scrivo canzoni, punto. Io potrei sperare di fare soldi con la motozappa. Scrivo canzoni perché è la mia passione ed averne un guadagno, camparci, è solo una situazione in più ed indubbiamente un motivo di orgoglio.fullsizerender-2

Giulia Greco,Alessio Gugliotta

Classifica di valutazione degli Atenei: il Sud riprende piede, in testa l’Unime

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Negli ultimi giorni si è riunita l’Agenzia di Valutazione degli Atenei vigilata dal ministero di Istruzione al fine di valutare gli atenei stessi, in particolar modo nell’ambito della ricerca.

In otto mesi sono stati testati 118.000 lavori di 60mila persone tra docenti e ricercatori.

Le aree valutate sono state 16, 450 gli esperti valutatori. Sono stati consegnati dei lavori ai quali sono stati attribuiti punteggi da eccellente ad accettabile, accompagnati da un breve giudizio scritto.

Ovviamente i primi posti della classifica lasciano spazio alle ‘’classiche’’ università italiane che rappresentano l’elitè del nostro paese: Trento (al primo posto), Padova, Ca’ Foscari, Milano Bicocca e Bologna.

La ripresa del sud è forte e dinamica, superiore alle attese. Secondo il secondo (scusate il gioco di parole) rapporto della valutazione della qualità della ricerca proprio l’Università di Messina è in testa, essendo cresciuta nel punteggio complessivo del 17% (era a -30% nella prima tornata, quella dal 2004 al 2010). L’ateneo resta comunque nella seconda metà della classifica degli atenei, però questi dati prevedono un buon indice di ripresa e quindi di risalita.

Tali, a quanto si evince dai dati, da far guadagnare anche finanziamenti pubblici per potere aiutare i settori di ricerca dell’ateneo. 

Secondo i commentatori, primo tra tutti il prof. Graziosi (presidente dell’Anvur), la ripresa del sud sarebbe avvenuta grazie al funzionamento della legge Gelmini sul versante management. La non rieleggibili dei rettori e i cda più stabili hanno consentito politiche rigorose sui bilanci, un buon recupero di fondi comunitari e migliori assunzioni.

Elena Anna Andronico

CUS FORZA 4!

squadra

Ore 4:30 del mattino di domenica 18 dicembre, quando il sole deve ancora sorgere e freddo e vento dominano l’ambiente, ventuno ragazzi che rappresentano l’Università di Messina si preparano per la trasferta di Stromboli, ottava giornata del campionato di terza categoria, l’ultima prima della lunga sosta natalizia.

La giornata si preannuncia lunga e complessa. Ma andiamo con ordine. Alle ore 6,00, dopo una leggera colazione, si parte da Milazzo, nonostante le condizioni del mare non siano del tutto favorevoli. Eppure tra gli occhi dei ragazzi del CUS, ancora strapazzati dalla sveglia prematura, si riesce a percepire la grande voglia di giocare e vincere questa partita. Si parte!

Il viaggio è tra i meno augurabili di sempre: il forte mare nei pressi eoliani non permette ai ragazzi di riposare tranquillamente. Fortunatamente, però, una volta scesi dall’aliscafo (ore 7,30) si entra in clima pre-partita con la concentrazione a pieni giri.

La passeggiata per giungere al campo di gioco è bellissima. Il sole che accompagna una fredda domenica di dicembre sembra essere un segno del fato divino e l’aria che si respira è quella di una squadra consapevole della propria forza e dei propri mezzi, pronta a giocarsela con chiunque, in casa e fuori.

Dopo riconoscimenti, confronti e riscaldamenti di turno, l’arbitro Quartaronello di Messina dà il via a questo importantissimo match che potrebbe valere la vetta della classifica.

partita

Il primo tempo lascia tutti a bocca aperta: 0-3 in favore del CUS. Due gol di Arena che, sfruttando astutamente il sole che splende in faccia al portiere eoliano, disegna “da casa sua” due traiettorie più scomode che complicate ma che valgono il doppio vantaggio ospite. Il terzo gol, invece, lo timbra Iamonte che in un ruolo non propriamente suo, ovvero quello di punta centrale, mette tutta la sua impressionante forza per giungere su un pallone verticale e con un delicatissimo colpo sotto d’esterno piede insacca il tris gialloblù. Al termine dei primi 45 minuti lo Stromboli è letteralmente sotto shock e per il CUS invece è tutto molto bello, forse anche troppo.

Il pericolo infatti era dietro l’angolo. Inizio secondo tempo e, come prevedibile, i padroni di casa tirano fuori l’orgoglio facendo valere il fattore campo: 20 minuti per accorciare di ben due lunghezze il risultato. L’1-3 lo firma il capitano Lanza su rigore e il 2-3 viene realizzato da Di Natale in conclusione di un’azione manovrata palla a terra. La tensione si taglia col coltello. La partita che sembrava chiusa e archiviata già nel primo tempo si è totalmente ribaltata. I postumi del turbolento viaggio in aliscafo si fanno sentire tra gli universitari e qualcuno in campo chiede la sostituzione. La paura di farsi recuperare un triplo vantaggio tra le fila del CUS è tanta, proprio come la voglia di tentare l’impresa da parte dello Stromboli che spinge per tutto il secondo tempo alla ricerca del pari.

Allo scoccare del 90esimo minuto Vinci si procura un interessante calcio di punizione dalla trequarti e sarà lo stesso numero 7 gialloblù a regalarsi e regalare a tutta la squadra il gol del 2-4 che a pochi minuti dal termine mette più serenità tra gli ospiti, ipotecando questa vittoria. Tuttavia questo match non ne vuole sapere di terminare, infatti a 30 secondi dalla fine Utano si inventa un super gol a foglia morta che porta lo Stromboli sul punteggio di 3-4. Ma è troppo tardi per tentare un’ulteriore rimonta. La partita che sembrava infinita si conclude così, con il CUS che espugna l’isola vulcanica superando in classifica proprio lo Stromboli e piazzandosi in solitario al secondo posto in classifica, appena due punti dietro la capolista Real Zancle.

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Il viaggio di ritorno da Stromboli in aliscafo è stato anche peggio dell’andata, quasi tre ore di turbolenze marine, ma tutto ciò non ha impedito al CUS Unime di festeggiare la terza vittoria consecutiva, come testimoniato nelle immagini.

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Adesso è tempo di festeggiamenti natalizi e il CUS non poteva farsi regalo più bello. Il 2017 è alle porte e sognare non costa nulla, i buoni propositi ci sono eccome, ma lasceremo il campo a parlare! Il campionato riprenderà il 15 gennaio, quando in casa verrà ospitata la Ludica Lipari, squadra che, anch’essa, viaggia tra le parti alti della classifica.

Auguri di buone feste in tinta gialloblù da parte di tutta la famiglia CUS Unime.

Formazione CUS (4-5-1): 1 Battglia; 2 D’Agostino, 4 Iacopino, 5 Occhipinti, 3 Arena; 11 Al Hunaiti, 7 Vinci, 10 Lombardo, 9 Fiorello, 6 Insana; 8 Iamonte.

12 Bruno, 13 Russo, 14 Smedile, 15 Costa, 16 Tiano, 17 Singh, 18 Cardella.

Mirko Burrascano

Racconti di Natale: percorso di una studentessa esaurita

15554800_10211319473492230_2059214911_nAh, il Natale! Luci colorate dappertutto, Babbi Natale che spuntano in ogni dove, gente che va in giro carica di pacchetti e pacchettini. Tutti, verso novembre, cominciamo a lamentarci (e quannu mai) delle chiacchiere che si avviano su questa festa ma, alla fine, la sua magia si sparge in tutta l’aria.

C’è chi lo sente ancora tanto, come quando era bambino, chi lo sente un po’ di meno, chi invece si proclama il Grinch. Ognuno lo vive a modo suo. Chi pensa ai regali per farli perfetti, chi non li fa proprio; chi pensa ai nonni che non ci sono più e chi li ha ancora, seduti al proprio tavolo; chi già pensa a capodanno e chi il capodanno lo passa a casa da un bel di anni.

In questo dolcissimo calderone, ci sono anche gli studenti. Che, diciamocelo, fanno delle proprie vacanze di Natale paradiso e inferno.

Perché, dai, entriamo tutti in vacanza. Ma, il vero problema è non farsi seppellire dai sensi di colpa.

O no?

Periodo Pre-Natalizio: Chiudete gli occhi, (ma non davvero che non sennò non potete leggere) ed immaginate una fredda serata d’autunno. È novembre, le foglie cominciano a seccarsi e a cadere dagli alberi e al posto loro? LE LUCI. Si, il periodo pre natalizio è, per antonomasia, quello più difficile da affrontare, specie per lo studente che è in piena sessione e che l’appello di dicembre non lo può saltare (perché oh, in estate mi dovevo abbronzare). La reazione è immediata. Inizia a sfogare la sua frustante condizione da “vorrei cantare anch’io jingle bells ma non posso”, scagliandosi contro qualsiasi addobbo a intermittenze colorate, palle di neve (che poi è sempre polistirolo sbriciolato), festoni glitterati e canti di Natale. Si rinchiude in casa, a riparo da questa atmosfera, lì sa di poter studiare senza sentirsi in colpa per non poter prendere parte al preludio del compleanno del Creatore.

Bussano alla porta. È tua madre con un panettone gigante: “l’ho preso senza canditi, come piace a te”.

Il 24: Finalmente. Finalmente la sveglia non suona. E, come è andata è andata, iniziano le tue vacanze di Natale. Stai là, a sgranchirti, prendi il caffè, ti rimetti a letto, puoi fare quello che vuoi, le coperte sono tue… BIIIIIIIPPPPPP!!!! No, era solo un sogno. Ti alzi, scendi dal letto, corri, corri gazzella corri, esci confuso di casa, mezzo in pigiama. Devi ancora fare tutti i maledetti regali e, tra l’altro, incontrare tutte le persone alle quali devi consegnargli. In pratica, il giorno della vigilia, passi da un appuntamento all’altro (della durata di 30 secondi ciascuno), prendendo un caffè con ogni tuo amico, dando il regalo, scartando il tuo e scappando al prossimo incontro, alla velocità di Beep- beep quando è inseguito da Willy il Coyote. Ma non finisce qua: devi passare da alcuni parenti, aiutare tua madre che urla che non fai mai niente e ‘’questa casa non è un albergo!’’ (ma come?! Se fino a ieri avevo esami! Ma siete seri?). La vigilia è l’uragano Katrina: ad un certo punto ti ritrovi con il bicchiere di spumante in mano mentre urli ‘’Buon Natale!’’ e non sai nemmeno tu quando è successo. Una sorta di Inception dello studente medio. I più forti se ne vanno a giocare anche a carte dagli amici, tutti gli altri svengono sul divano, all’01:00, dopo il secondo bicchiere di Brut.

-Natale: È mattino presto ed è finalmente arrivata la famosa “mattina di natale”, quella che nei film Americani è descritta più o meno cosi: Apri gli occhi, guardi fuori dalla finestra e scende la neve (facciamo finta che qui da noi non ci siano 20 gradi a dicembre). Dopo aver goduto della bellezza del panorama, che la tua finestra ti offre direttamente dalla primissima fila del tuo letto, ti alzi e corri giù per le scale (si, perché gli Americani scendono sempre freneticamente le scale la mattina di Natale) per andare a scartare i regali che Babbo Natale ha lasciato lì per te. Poi pranzo, canti di Natale e cari saluti.

A te, che l’America l’hai vista solo in tv, succederà più o meno questo: È mattino, ma non troppo presto (devi ancora smaltire il Brut di ieri sera) guardi fuori dalla finestra e, anche quest’anno, “fanculo Babbo Natale, due gocce potevi mandarle anche a noi”. Ti alzi ed assisti all’invasione dei parenti (che manco nei peggiori film di zombie). Si, perché il giorno di Natale si cucina tutti insieme e allora tutti, grandi e piccini, alle prese con le infornate di pasta al forno e lasagne. Comincia il pranzo che finisce circa alle 17.00. Si gioca a tombola che “oh ma il 47 è uscito?”.

Il giorno di Natale è fatto per gioire; Il panettone, il pandoro, i regali, le luci e poi? Prima del collasso generale guardi sotto l’albero. È una lettera. Firmata da Babbo Natale in persona che fa più o meno così “Caro amico, Natale è passato ma i CFU io non li regalo mica…”.

ED È SUBITO ANSIA.

-Periodo Post- Natale: Il 26 (che è rosso sul calendario quindi guai a chi lo tocca), ti corichi pensando ‘’dai, mi sono riposato questi due giorni, ora qualcosina al giorno la faccio fino al 31, così non rimango indietro’’. I giorni dal 27 al 31 hanno quella nebbiolina di incertezza, non sono vacanza, non sono propriamente giorni lavorativi (‘’ non è un cane, non è un lupo, sa soltanto quello che non è’’ cit.). Non essendo più a scuola, quindi, non ti senti in pace con la tua coscienza se non fai proprio niente. E quindi cedi. Il 26 sera punti la sveglia per le 09:00 a.m. del giorno a seguire. Il 27 ti svegli alle 14, panico, ti alzi (con ancora la bavetta alla bocca), ti lanci alla scrivania, ti siedi e la mamma ti chiama per il pranzo (in cui vengono serviti i rimasugli dei giorni precedenti, che come caspita fanno ad essere così buoni?!).

Dopo il pranzo sai che dovresti studiare, lo sai, ma su Rai2 c’è il film della Disney e vuoi stare un po’ accucciato sul divano… Rinvii alle 16. Ti addormenti. Le 18. Ti chiamano gli amici. Vabbè, dai. Per oggi niente… Domani. E domani diventa (magicamente) il 7 gennaio. Ma mannaiaaltacchinoripieno, ma come posso fare sempre il solito errore?, sarà il pensiero di quella mattina.

Capodanno: 3… 2… 1… “Ma tu che fai a Capodanno”?  Ecco a voi il cliché dei cliché, la domanda delle domande, l’ansia madre di tutte le ansie. Organizzare il Capodanno è una roba delicatissima. Cosa che per tutto l’anno pensi di essere diventato l’eremita del secolo per poi, di colpo, ritrovarti sommerso di proposte che manco fossero usciti dal letargo pure gli orsi a festeggiare.

E tu sei lì, che sei sopravvissuto al pre natale, alla vigilia, al Natale e pure ai postumi del Natale. Sei lì, coi sentimenti più contrastanti del Referendum di Renzi fra il SI, vengo a ballare e il NO, devo studiare.

Ma alla fine, diciamocelo pure, se Renzi lo avesse fatto così il Referendum, lo avrebbe pure vinto. E allora SI, vengo a ballare perché Capodanno vien una volta l’anno e A E I O U Y… SASUELAAA SASUELAAA, E PEDRO PEDRO PEDRO PEDRO PÈ.

Sono le 8.00 del mattino, tu non sai manco chi sei.

“La pacchia è finita, mi faccio un Capodanno nel letto e poi vado a studiare”.

-Epifania: E arrivi alla fine. Sopravvivi di stenti fino al 6 gennaio, il giorno in cui, forse, senti di più ‘’l’atmosfera natalizia’’. Dopotutto, si sa, le cose si apprezzano quando si perdono… o no? Quando ti alzi, con molta probabilità, o tua madre ha già fatto sparire l’albero e ogni Babbo Natale, o la trovi accerchiata da scatoloni che con una mano posa le decorazioni e con l’altra passa l’aspirapolvere. La guardi e pensi come possa essere già tutto finito. Pic! Già fatto? Così, senza nemmeno avvertire? Senza fare una chiamata? Non sono pronto. Amo il Natale. O, quanto meno, non amo che finisca. Ma è finita: non hai più scuse. I più forti hanno ricominciato il 3 gennaio a studiare, tu non sei tra loro. Sei tra i deboli, sei tra quelli che ‘’vabbè ormai, sai che ti dico? Fanculo, ricomincio il 7’’. Quindi lo sai, lo sai che il 6 è l’ultimo giorno. La tua coscienza, quella cara amica, quella vocina che non si è stutata manco per un minuto (oddio, forse durante la sbronza di capodanno anche per più di un minuto) te lo sussurra mentre lo guardi sparire: ‘’Eccoti qua, piccolo scemo. Ci siamo. Non puoi più rimandare. THIS IS SPARTA.’’. Quieto, vai alla tua scrivania, guardi le date degli esami: piangi. Sì, potevi pensarci il 27. Potevi non smettere mai. Ma è inutile versare lacrime sui libri: è giunto il momento. Ora a noi due, sessione di febbraio. Da domani si ricomincia.

Ed è subito Pasqua.

 

Ma, sapete che vi diciamo, ragazzi? Godetevele tutte, le vacanze. Non privatevi di nulla. Arrotolatevi nei plaid fino a diventare bozzoli perfetti, arenatevi sui divani guardando cartoni animati mentre bevete la cioccolata calda e le lucette dell’albero vi fanno da sfondo. Andate a giocare a carte, litigate su chi ha parlato con il morto a Cucù, scegliete all’ultimo la vostra notte di capodanno (non procreate, per favore) e riposatevi. Godetevi l’anno che finisce (UNA GIOIA, 2016 DI ME***) e l’anno che inizia.

15595901_10211319473532231_329098258_oChe tanto, volenti o dolenti, non saremo mai in anticipo con lo studio e tutti, dal secchione al fuori corso, in fondo, siamo degli SdM.

Buon Natale!

Elena Anna Andronico

Vanessa Munaò

Mio caro Sud

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È arrivato il momento.

Il momento di scriverti, di spiegarti perché ti ho lasciato.

Lo so, lo so, non ti ho nemmeno salutato per come si deve ma, sappi, che a Natale torno: ho comprato i biglietti qualche settimana fa e li custodisco gelosamente nel cassetto del comodino.

 

In aeroporto, con quella grossa valigia in mano, non avrei mai pensato che potessi mancarmi, anzi, mi entusiasmava poter scappare altrove.

Ed i primi giorni fui travolta dalla frenesia, dall’emozione di scoprire una nuova realtà.

Poi bastò un attimo: mi fermai al centro della piazza (come per capire dove io fossi davvero) e chiusi gli occhi: la salsedine…riuscii ad assaporarla; fra le dita scivolarono quasi invisibili i granelli di sabbia; poi la leggera brezza marina che nelle sere estive accarezza delicatamente il viso…potrei giurare di averla sentita davvero.

Dopo, qualche gocciolina mi bagnò il naso e fu allora che capii quanto mi mancavi: quando i miei occhi si svegliarono e si posarono su quel grigio cittadino, il mio cuore senza ombrello si bagnò di quella pioggerellina fredda.

 

Il sole, quassù, in questi mesi invernali, è un miraggio; la mattina è proprio questo che mi manca: scostare le tende della mia finestra e vedere un cielo limpido, senza questa nebbia piatta.

Sai cos’altro è brutto? Non vedo il mare, nemmeno in lontananza, e non riesco ad intravedere neanche le montagne. Attorno a me ci sono solo palazzi giganteschi, gente frenetica, turisti in ogni angolo ed il rumore della metro.

Quando sono nella mia stanza (che proprio “mia” ancora non la sento), penso sia paradossale nascere nella tua culla verde ed azzurra, per poi lasciarla abbandonata per chissà quale letto scomodo di una casa condivisa.

Leggendo tutte queste parole, penserai – “ Allora perché non sei rimasta da me?”- È una questione di opportunità, di aspettative, di lavoro; priorità per cui, adesso, mi ritrovo catapultata dalle tue braccia calde a quelle fredde di una terra che mi fa sperare in un futuro migliore.

E scusami se non sono in grado di aiutarti nel farmi restare, ma ho bisogno di guardare avanti, di andare oltre i limiti che tu mi hai imposto.

 

A presto, mio caro Sud.

 

Jessica Cardullo

Ciao, UniVersoMe

Nulla è per sempre. A parte un diamante.

E quindi, anche per me, è giunto il momento di salutare.
Come Alessio, Paologiorgio e (last but not least) Salvo, anche io tra qualche giorno raggiungerò quel traguardo che tre anni fa mi sembrava irraggiungibile.

Non parlerò della vita universitaria perché, come tutti sanno, come ogni pezzo di vita ci lascia cose belle e cose brutte, nuovi amici, nuovi fratelli, nuove conoscenze, nuove esperienze e, a me, è rimasto anche un grande gruppo di persone più o meno perbene che, come me ha creduto in questo progetto dal primo giorno, quando ci siamo incontrati per la prima volta in ufficio stampa.

Siamo partiti con grande entusiasmo, lanciando nuovi hashtag e sperando che questo progetto diventasse un punto di riferimento per tutti gli studenti dell’Ateneo. E, in parte, ci siamo riusciti.

Ma adesso è giunto il momento di salutare. È giunto il momento di raccontarVi la storia che Alessio non vi ha voluto raccontare nel suo saluto. La storia che mi ha visto uscire e rientrare in questo magnifico progetto con due semplici messaggi Whatsapp.

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Certo, ho avuto la mia rivincita buttando fuori dal gruppo Alessio, ma vuoi mettere sentire il suo messaggio audio “ehm…sai…sei a Bratislava…insomma…abbiamo pensato di sostituirti”? Vabbè, il resto è storia.

Ho visto cambiare praticamente la metà delle persone che erano sedute con me alla prima riunione, ma non ho visto mai cambiare lo spirito, ed è proprio questo spirito che ci ha portato ad essere quello che siamo.
I cazziatoni infiniti di Elena su Whatsapp, Paologiorgio che vuole sempre fare il simpatico (Paolo senti il mio consiglio: LASCIA PERDERE!), Giulia con la sua sigaretta elettronica (a cui cambia ogni settimana aroma e arriva gridando “INDOVINA CHE GUSTO È QUESTO!”), Claudio con cui abbiamo spesso opinioni divergenti, il grande Bonjo (che ancora “Sta scrivendo…”) ed il nuovo direttore Alessio Gugliotta, con cui c’è stata sempre una certa simpatia.

Questi sono solo alcuni dei caratteri distintivi di chi ancora è dentro il progetto, perché siamo passati anche per l’infinito statuto di Valerio, la barba di Salvo e la finta serietà di Alessio Micalizzi, il primo direttore di questo magnifico progetto.

Adesso, come già detto, è giunto il momento dei saluti, anche se potrei raccontare ancora un migliaio di aneddoti.
Come sempre, questo è un triste momento ma, come spesso accade, ogni fine segna un nuovo inizio quindi non posso far altro che sperare che questo progetto continui a crescere con la stessa velocità che ha avuto in questo anno ed augurare ai miei compagni di viaggio il meglio.

A presto ragazzi. E buona fortuna.

Daniele Zindato

“Il primo uomo cattivo” di Miranda July

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“Questo libro vi farà ridere, sussultare e immedesimarvi in una donna che non avreste mai previsto di essere. E quando Miranda July parla della maternità, il libro diventerà la vostra bibbia.” Lena Dunham

Ci sono persone che scelgono i libri basandosi sulla copertina , non rientro fra questi ma nella scelta de “Il primo uomo cattivo” mi è capitato di sceglierlo proprio per il disegno e i colori esterni e per l’autrice : Miranda July della quale avevo visto solo un film e letto qualche intervista.

 

Cheryl Glickman è la protagonista-narratrice del racconto, lavora alla Open Palm una società no profit che si occupa di autodifesa per le donne.

Conduce una vita piuttosto semplice, forse monotona, minimale soprattutto nell’economia domestica dove vige il principio di efficienza.

E’ affetta da globus hystericus, un nodo alla gola, ed infatuata di un collega, una figura ricorrente nella narrazione. C’è la maternità, ma non descritta come nella maggior parte dei film o libri, Cheryl ha una relazione quasi karmica basata sul “primo sguardo” con Kubelko Bondy lo spirito di un bambino che lei immagina di vedere nei figli altrui.

La vita di Cheryl prende una direzione inaspettata quando deve ospitare Clee, figlia ventenne dei suoi capi all’Open Palm. Una ragazza che è totalmente opposta a lei, dalla fisicità, Cheryl molto magra, quasi androgina, Clee viene definita “molto donna”, allo stile.

Clee è un personaggio un po’ sgradevole, sporca, una passiva-aggressiva, in alcune situazioni attiva-aggressiva.

Ed è in questo momento che il libro prende una piega che non mi sarei mai aspettata e la July si dimostra perfetta narratrice: tracciando il crescere della libido di Cheryl con una nota ironica e , di contrappasso, delicatamente il suo istinto materno. Ci rende partecipi ai sussulti della protagonista.

 

I meno puritani di me non si scioccheranno delle crude scene di violenza , le descrizioni delle condizioni igieniche di Clee mi hanno nauseata ma sono funzionali al personaggio , non le si perdonano ma si accettano.

Cheryl vede solo il suo mondo non c’è contorno, essenziale.

Sono personaggi sgradevoli in parte, così maniacali, strani, imprevedibili da essere in realtà comuni e umani , che alla conclusione del libro li accettiamo.

Miranda July è una artista stimolante e provocatoria, a vent’anni trasferitasi a Portland entra nel movimento delle Riot grrrl (il movimento punk-rock femminista) e inizia a frequentare, colei che è la sua più stretta amica, Carrie Brownstein (altra artista eccezionale) chitarrista e voce delle Sleater Kinney , band simbolo del movimento e ancora oggi una delle migliori rock band femminili.

Definirla è difficile, è una regista, scrittrice, musicista, attrice, creatrice di app , è un soggetto molto stravagante, irriverente a tal punto da pensare che sia folle : è geniale.

“Il primo uomo cattivo” è il suo primo romanzo, caldo, ironico, disgustoso è pura vita comune.

Arianna De Arcangelis 

 

 

Abbatti lo stereotipo – Gli studenti di Medicina

immagine_post_elenaAh, ma come abbiamo fatto a non pensarci prima? COME? Avevamo sotto il naso la crème degli stereotipi e non ci abbiamo mai fatto caso.

Poi, un giorno, è apparsa dal nulla (le “apparizioni dal nulla” sono la benedizione e la maledizione di questa rubrica, esattamente lo stesso modo in cui è nata. Un saluto, Micalizzi!).

Almeno una volta nella nostra carriera universitaria, ci sarà capitato di screditare gli altri dipartimenti e, perlomeno, ci sarà successo di essere vittima dei cliché abbottonati ad ogni facoltà.

E, in effetti, gli studenti universitari si affibbiano a vicenda dei luoghi comuni: nell’aria riecheggiano leggende di ogni tipo e storie apocalittiche.

E quindi, ca**, perché non ci abbiamo pensato prima ad abbatterli uno ad uno?!

Per questo motivo, con questo pezzo, inauguriamo una serie di articoli dedicati allo studente universitario di ogni facoltà, abbattendo gli stereotipi loro appioppati.

  • Capitolo 1: “Lo studente di medicina”

Fin dai primi anni di vita, lo studente di medicina non colora il maxi album, ma appone crocette a matita sugli Alpha Test.

Eh sì. Sembra che noi non nasciamo con la camicia, ma con il camice. La verità è che siamo solo degli sprovveduti che si divertono ad inseguire gli altri bambini con un coltello in mano. Ecco, diciamo che, con il passare degli anni, impariamo semplicemente ad usare quel coltello in modo benefico (o diventiamo dei serial- killer… ci vuole anche culo nella vita, eh).

Siamo degli intrepidi che si preparano al test di ingresso da una vita, illudendoci che sia questo lo scoglio da superare e ignorando i sei anni che ci separano dalla laurea.

Una volta “entrati”, noi studenti di medicina siamo tra i più odiati (sarà anche che tra noi, se potessimo, ci stiletteremmo il cuore un giorno sì e l’altro pure): siamo l’élite universitaria (si sente il sarcasmo che trasuda?) e che tutto può e, per par condicio, anche i più bersagliati da stereotipi.

Ecco a voi, quindi, i 6 stereotipi dello studente in medicina, finalmente, sfatati!

  • Subito dopo il primo giorno di lezione, vi considerano DOTTORI.

In famiglia, tra amici, l’appellativo è questo ed è motivo di pavoneggiamento.

Il problema arriva quando tutti chiedono consigli terapeutici, ma, soprattutto, quando il nonno si avvicina e dice entusiasta: “Dottore, fammi tu la puntura!”. È il panico. Tutta la soddisfazione di sentirsi medico svanisce, l’ansia si impossessa del corpo e la mente pensa che solamente il giorno prima ha imparato la parola “sternocleidomastoideo”. Ed allora che con voce un po’ delusa, lo studente spiega che ancora non sa farla e che ne ha di strada da fare per essere chiamato “dottore”.

  • Parlano di “schifezze” ovunque e con chiunque.

Ogni studente di medicina che si rispetti, durante i grandi pranzi/cene, delizia i presenti con discussioni su infezioni, pustole e appare anche divertito mentre gli altri smettono, disgustati, di mangiare. Oppure, mentre c’è l’intervallo di fine primo tempo, con nonchalance, racconta delle operazioni che ha visto, di sangue, di visceri che schizzano via dappertutto.

Nel momento in cui l’universitario si ritrova a guardare una partita da solo o con una tavola vuota, subentra l’imbarazzo e la finisce, capendo che è il caso di parlare di “schifezze” esclusivamente con i colleghi.

  • Sono tutti figli di medici.

In facoltà, non è raro incontrare studenti che intraprendono la stessa carriera dei genitori e non è nemmeno assurdo incontrare chi usa il cognome del parente per il superamento di un esame.

Ma il buon 50% degli iscritti è un avventuriero con dei genitori che fanno tutt’altra professione.

E, quindi, FUCK THE SISTEM!

  • La Calligrafia.

Leggenda vuole che tutti i medici ed i futuri medici hanno una calligrafia illeggibile e traducibile solo, FORSE, con l’ausilio della stele di rosetta. Tale leggenda vuole, ancora, che solo i farmacisti siano in grado di tradurre tale scrittura (e questo è un altro bello stereotipo che abbatteremo). BEH, non è così. La verità è che, chi più chi meno, si arriva all’università e alla specializzazione con una bella scrittura. I primi anni, come gli studentelli di qualsiasi facoltà, anche loro si impegnano al fine di produrre degli appunti che siano PERFETTI, sistemati, puliti. Poi ti iscrivi all’Unime. Questo comporta compilare pagine e pagine di libretti universitari per attestare la presenza. Poi diventi MEDICO. Questo comporta compilare ricette su ricette, certificati su certificati. La sentite tutti? È la svogliatezza che subentra. Ad un certo punto, la mano parte da sola che non lo sa manco lei quello che sta scrivendo, lo fa e basta. Sanno scrivere bene, solo che si scocciano farlo.

  • Sono TUTTI degli Arroganti So-Tutto-Io.

Perché LORO fanno 6 anni, perché LORO studiano su libri enormi, perché LORO salvano vite. Beh, un pochino (poco però, eh) speciale ti senti se pensi che il tuo futuro consiste nel salvare la vita delle altre persone. Ma da qua a decantare le tue doti da Veronesi ne deve passare acqua sotto i ponti. Quindi sì, bisogna ammettere che la maggior parte degli studenti in Medicina ostenta giorno e notte le sue abilità (nello scassare la minchia).  Però ci sono anche le eccezioni. Gli umili, insomma, quelli che si fanno il loro e basta. Sono pochini, ma ci sono (e, sembra, finiscano tutti a lavorare per UniversoMe). Anche se, a onor del vero, anche a loro vengono, talvolta, i 5 minuti di megalomania (ma questo perché tutti si fa parte della specie ‘’esseri umani’’). Quindi no, amici delle altre facoltà, cercate meglio che quelli simpatici li trovate.

Elena Anna Andronico

Jessica Cardullo

Oggi in sala: ”Genius”, storia di uno scrittore nascente

genius

“Ho scritto cose strappate a forza dalle mie viscere e tu dici che non c’è spazio?”

Nella New York di fine anni venti, Max Perkins (Colin Firth), editor della Scribner’s Son, dopo aver portato alla luce scrittori del calibro di Fitzgerald ed Hemingway, ha il suo primo incontro con Thomas Wolfe (Jude Law); il ragazzo, con la passione per la scrittura ed un carattere eccessivo, è autore di un enorme manoscritto dal titolo “O Lost”, continuamente rifiutato da qualunque casa editrice. Sarà proprio Max, l’unico a leggere ed apprezzare l’opera e l’autore stesso, a cui sarà legato non solo dalla collaborazione lavorativa ma soprattutto da un profondo rapporto d’amicizia.

Il film di Michael Grandag racconta la storia vera della nascita letteraria di Wolfe ed è basato sulla biografia “Max Perkins. Editor of Genius”.

Punto focale della pellicola non è tanto la figura dello scrittore, bensì il rapporto quasi morboso che si crea tra quest’ultimo e l’editor; Thomas vedrà in Max una guida, un padre, un amico e Max sarà a sua volta attratto da quel “ragazzetto” dal carattere acceso e così differente dal suo, il tutto porterà alla creazione di un legame destinato a durare nel tempo.

Dal punto di vista tecnico il film è realizzato perfettamente. Ottime la regia, la sceneggiatura e la fotografia. Magistrale l’interpretazione di Colin Firth nei panni dell’editor, professionale e umano al tempo stesso; così come quella di Jude Law che interpreta perfettamente lo scrittore dal carattere tormentato. Meno presente ma altrettanto brava Nicole Kidman, che interpreta la compagna dello scrittore, innamorata ma messa in secondo piano rispetto al lavoro dell’uomo che ama e al suo rapporto con l’editor.

Il film merita di esser visto, anche se nel complesso non riesce ad emozionare particolarmente il pubblico, in quanto presenta una narrazione quasi sempre piatta e non sono presenti particolari colpi di scena .

 

Benedetta Sisinni