Il peso della libertà

Con i miei occhi vedo il grigio della città, sento sulla pelle il freddo di quello che qui chiamano inverno, sento il profumo e il gusto di un pasto, diverso ogni giorno, e il rumore dell’acqua che scorre lentamente dal rubinetto di un lavandino; quando sciacquo il viso, sento la freschezza e la limpidezza poggiarsi sul mio volto ed apprezzo ogni singola goccia che riga la guancia.

Da bambino credevo che tutto il mondo avesse gli occhi grandi, le case sfasciate monocolore e lo credevo tutto giallo come i lineamenti caldi del deserto e marrone. Allora, sembrava quasi non importarmi del ‘’sapore’’ lurido dell’acqua dei pozzi dispersi o delle giornate passate a non mangiare: a me piaceva giocare con quel pallone di pezza, insieme ai miei amici.

Ma da piccolo non sai che le leggende sui bianchi e sulla loro ricchezza, sulle terre verdi e sui palazzi alti, sono più che semplici storielle.

Un giorno, mi ricordo, i miei mi svegliarono nel cuore della notte – è arrivato il momento – mi dissero; così presi l’unica cosa che possedevo: la mia palla di stracci.

Se chiudo gli occhi vedo ancora la moltitudine di stelle che si riflettevano sul mare e poi quel barcone; vedo ancora tutta quella massa di gente, accalcata e stipata in una ‘’nave’’ che non ci avrebbe potuto sorreggere tutti.

Una volta salitoci su, mi sentivo schiacciato dagli omoni che erano almeno tre volte più alti di me e sentivo il mare dondolare sotto i piedi scalzi: eravamo delle bestie guidate da una chimera.

Non so quanto durò quel viaggio, che tutti chiamano ‘’della speranza’’, ma per noi, poveri animali in fuga, era una traversata della disperazione.

Il sole rinsecchiva le pelli, le labbra asciutte chiedevano acqua e gli occhi lucidi si rassegnavano alle onde del mare distanti dal nostro miraggio; la gente moriva lentamente cullata da una speranza naufragata nelle acque salate; i corpi affondavano giorno dopo giorno e sul quel barcone c’era un’inspiegabile senso di sollievo nel trovare più spazio per appoggiarsi a quella che ormai era la nostra precaria casa galleggiante.

Quando i miei genitori morirono sfiniti da quell’infinito tragitto, sentii che ci sarei morto anche io là sopra e che non avrei mai più visto la terraferma.

Fortunatamente, mi sbagliai.

Poche ore dopo vidi in lontananza una nave che probabilmente ci avrebbe salvato, ma nessuno di noi lì aveva la voce per urlare né la speranza di avere ancora un briciolo di speranza.

 

 

Subito dopo lo sbarco, ricordo ben poco.

Ma la sensazione di aver perso la mia dignità, di non avere più un’identità, mi accompagna ancora.

Adesso sono libero. Libero da quella ‘’puzza di oriente’’ che sembrava distinguermi dall’odore della leggendaria terra dei bianchi; libero di vivere; libero di sentire il peso della mia libertà.

 

Jessica Cardullo

Abbatti Lo Stereotipo- Gli studenti di Farmacia

Passano le settimane e i nostri viaggi tra i vari dipartimenti continua. Vento in poppa, noi, paladini della giustizia, non ci fermiamo mai.  Con le nostre tutine in silicone e i mantelli che si trascinano tutta la lordìa dei marciapiedi, prendiamo a pugni gli stereotipi di tutto il mondo abbattendoli per sempre.

E oggi, studenti e studentesse di ogni dove, abbattiamo gli stereotipi sugli Studenti in Farmacia.

 

  • Sei un po’ in ritardo, dunque? Farmacia è 3 anni.

‘’Veramente sarebbero 5 gli anni, Farmacia è una magistrale, sono assolutamente in corso.’’

“SE VABBE’.”

Ma se vabbè cosa, ignorante e troglodita? Allora, ve lo diciamo chiaro e tondo una volta per tutte: FARMACIA È CINQUE, C-I-N-Q-U-E, five, cinq, cinco, vyf (detto in africano antico, secondo google traduttore) ANNI. Ci sono, ovviamente, i corsi di specializzazione, i master, i dottorati e tutto quanto ma sono cinque lunghi, temibili, estenuanti anni.

Chiaro il concetto? Noi lo facciamo per voi, prima che uno studente in farmacia vi stacca gli occhi e decide di vedere cosa succede se prova ad adeguarli alla funzione di supposta.

 

  • Ma quindi la tua più grande aspirazione è fare il commesso?

E la tua più grande aspirazione, invece, è alitare in giro senza un motivo apparente? Ora, analizziamo la cosa per bene. Se la mia più grande aspirazione fosse fare il commesso, fermo restando che è pur sempre un lavoro e quindi, come tale, santo e benedetto; SECONDO IL TUO CERVELLINO DA SCIMMIA RIMBAMBITA, avrei studiato tutto questo tempo?

Per dire, eh.

Con tutto il rispetto, avrei mandato a 18 anni il curriculum da Zara e bon. Fine.

Avete idea delle conoscenze che bisogna avere per gestire e lavorare in una farmacia? Per potere vendere determinati prodotti, sì anche cosmetici, o determinati farmaci? (veramente nemmeno io l’avevo, ecco la bellezza DELL’INFORMAZIONE, scimmiette adorate)

Avete idea che bisogna conoscere le molecole che compongono ognuno di essi, le loro funzioni e i loro effetti collaterali o di interazione, prima di venderli ad un cristiano?!

O pensate che ci si limita a dare scatole ad muzzum? E certo, no? Tanto, se ti do il viagra per combattere la diarrea è la stessa cosa.

 

  • Aaah, ma quindi sei ricco, hai una farmacia!

Beh, no, non si ha per forza una farmacia. E quando si dice questo, ‘’no, non ho una farmacia’’, il seguito del discorso è il punto 2.

Sicchè, l’ebete di turno, dalla sua genuina ignoranza, chiede ‘’e cosa ci fai allora, con la laurea?’’

Coriandoli. Sono un appassionato del carnevale quindi mi diletto a prendere lauree a caso così da poter trasformare libri, tesi e pergamene in coriandoli.

CI FARO’ ALTRO, NO? Avete mai sentito parlare di informatore farmaceutico? Dei rappresentati? O di farmacia clinica? Avete presente quelle grandi strutture dove dentro ci stanno le persone malate che hanno bisogno di farmaci? Pensate, forse, che c’è un grande Dio che li sparge a ondate dal cielo? Oppure, i ricercatori? La formula ‘’studi condotti sui topi’’, non vuol dire che sono i topi a sperimentare nuove molecole, giusto per essere chiari.

(ma anche se avessi una farmacia e fossi ricco sfondato, mi chiedo quanto devo aspettare prima che ti fai i c***i tuoi)

  • Perciò ve lo insegnano a leggere la scrittura dei medici?

Ovvio. C’è una materia che si chiama ‘’Medichese’’ e, allegato, il vocabolario medichese- italiano e italiano- medichese.

Questa domanda è proprio la battuta dell’anno. Decine e decine di simpaticoni pensano che sia il modo più simpatico per rompere il ghiaccio. Perché è, per noi tutti, TERRIBILMENTE DIVERTENTE passare ore a decifrare la scrittura di quei colleghi COSI’ PIGRI da non avere nemmeno la decenza di scrivere un minimo per bene.

No, loro si stancano, sono di fretta e quindi fanno 4 segni. E bisogna capirli. E, NO, non lo insegna nessuno a decifrarli, se non il sudore freddo che scorre dietro il collo le prime volte, con il terrore di dare al paziente l’augumentin invece che il losartan.

 

  • Un giorno, quindi, potrai passarmi i farmaci ‘’BUONI’’ sotto banco?

Quel giorno ti passerò un farmaco tanto buono che non ti sveglierai mai più.

 

Elena Anna Andronico

La Bella e La Bestia: incanto Disney per ogni età.

Era il 1991 quando nelle sale, uscì quello che è stato il 30° film d’animazione della Disney: La Bella e La Bestia.

Questo cartone ha raggiunto il primo grande traguardo del mondo Disney: è stato il primo film d’animazione in assoluto ad essere candidato agli Oscar con ben 5 nomination e, infine, ne vinse due per la Miglior Colonna Sonora e la Miglior Canzone.

La storia della Bella e la Bestia la conosciamo (quasi) tutti. Parla di questa giovane e bellissima ragazza, figlia di un inventore, che abita in un isolato paesino di campagna nel quale si trova stretta. Siamo nel pieno del ‘700 francese e questa splendida ragazza, amante della letteratura, è, per ovvie ragioni, reputata strana, diversa.

Parallelamente, in un castello non molto lontano dal villaggio della ragazza, un giovane principe è stato trasformato in Bestia da una fata, che lo ha fatto per insegnargli che non bisogna mai giudicare le persone dalle apparenze. Infatti, la stessa fata, si era presentata alle porte del castello del giovane arrogante, sotto le sembianze di una vecchina e porse lui una rosa in cambio di una notte di riparo.

Il principe la respinse e lei si rivelò. La rosa era una rosa incantata e solo il vero amore poteva spezzare l’incantesimo. Se nessuno si fosse innamorato della Bestia prima della caduta dell’ultimo petalo della rosa incantata, allora il principe sarebbe rimasto una Bestia per sempre.

Il resto lo conosciamo bene: il padre di Belle si perde nei boschi e cerca riparo nel castello della Bestia, dove viene imprigionato dalla stessa. Belle riesce a raggiungerlo e dona sé stessa in cambio della liberazione del padre.

Da quel momento, tra alti e bassi, inizia questa strana convivenza tra la Bella e la Bestia e, piano piano, tra loro due sboccia l’amore. Un amore che, con una delle morali più dolci e profonde di tutta la Disney, va oltre le sembianze esterne in quanto all’amore basta il cuore e non l’aspetto esterno.

Ed è questo quello che troviamo in questo periodo nelle sale cinematografiche: la fedelissima trasposizione della trama animata in film.

Il film della Bella e la Bestia non lascia delusi perché nulla, a parte qualche parola qua e là nelle canzoni (che, comunque, costituiscono una colonna sonora assolutamente vincente), è diverso dal cartone animato. La magia è rimasta intatta e, grandi e piccini, vengono trascinati da essa in questa favola che così bene conosciamo.

Ci sono, però, delle canzoni e delle scene inedite: queste non spezzano o stravolgono la trama, anzi, ci rendono partecipi di alcuni piccoli particolari che ci fanno affezionare ancora di più a questa storia, che la rendono più umana, più reale. Queste scene inedite (che non vogliamo spoilerare) possono insegnare come tutte le nostre vite sono delle fiabe perché anche nelle fiabe c’è la realtà del dolore e delle sofferenze in cui tutti noi, durante il corso della vita, ci imbattiamo.

Il cast è un cast assolutamente vincente: da Emma Watson (Hermione ndr) a Dan Stevens, Luke Evans, Kevin Kline, Josh Gad, Ewan McGregor. Nella versione originale sono tutti da chapeu in quanto sono loro stessi gli interpreti delle canzoni, mettendo in scena, di conseguenza, un vero e proprio musical.

Nella nostra versione italiana, si riconosce il grande stile del doppiaggio italiano: non ci sono distacchi fastidiosi tra le voci parlate e le voci cantate dei personaggi e, anzi, sono quasi uguali anche alla versione cartone animato tanto da lasciare il dubbio se siano gli stessi doppiatori del ’91.

È stata criticata la figura di Emma, in quanto, ad alcuni, ha dato l’impressione di essere più piccola della Belle che conosciamo: ricordiamoci però che tutte le principesse Disney hanno 16 anni e che, anzi, sono le principesse animate a sembrare troppo donne rispetto alla loro reale età.

Altro punto di dibattito è la figura di Le Tont, il leale amico di Gaston: la Disney ha deciso, in questa versione, di renderlo palesemente un personaggio omosessuale, innamoratissimo del suo amico. Bene o male? Bene! È giusto che la Disney, per prima, spezzi i dogmi che ci circondano e insegni la bellezza della diversità a tutti i bambini, con la sua delicatezza materna.

Per me, promosso con 30 e lode: dolce, veloce, commovente e magico. Personalmente, sono molto legata a questa trama e ai suoi vari insegnamenti. Quello che a me è da sempre arrivato più di tutti, è quello della speranza, del cambiamento che prima o poi arriva: ‘’quando sembra che non succeda più, ti riporta via, come la marea, la felicità’’…

Film o cartone, comunque, il commento è sempre lo stesso: ma chi lo vuole il principe… Noi vogliamo la Bestia!

Elena Anna Andronico

Le onde gravitazionali: questi miti!

Eistein aveva predetto l’esistenza di queste onde sin dal secolo scorso, purtroppo non aveva l’adeguata strumentazione per poterle captare. Sono state rilevate per la prima volta solo il 14 settembre 2015 e annunciate l’11 febbraio del 2016 da LIGO, negli USA, che ha misurato le onde gravitazionali causate dalla collisione di due buchi neri.

 

 

Altri fenomeni fisici per introdurre le onde gravitazionali

 

 

Possiamo definire genericamente e banalmente un’onda come la propagazione di energia nello spazio. Un sasso che cade in un lago, cede la sua energia cinetica alle molecole di acqua, queste, a loro volta, la trasferiscono alle molecole vicine, generando quel fenomeno che in termini macroscopici prende il nome di onda.

 

 

Un’ onda elettromagnetica è un fenomeno simile. La luce emanata da una lampadina o dal sole non sono altro che un fascio di queste specifiche onde.

 

Come possiamo vedere, a seconda della lunghezza dell’onda elettromagnetica, possiamo identificare: onde radio, microonde, raggi X…ecc

Attraverso le onde elettromagnetiche gli esperti  riescono a determinare le sostanze di cui sono fatti i pianeti e le stelle senza mai doverci mettere piede. Infatti uno specifico elemento, colpito da un fascio elettromagnetico, emette un’onda con una lunghezza specifica per quella determinata sostanza. Questo significa che se è oro, il materiale compito, questo emetterà un’onda elettromagnetica specifica per l’oro. Stesso discorso per ossigeno, piombo, azoto, carbonio, e tutti gli elementi della tavola periodica.

 

 

Onde gravitazionali

 

Le onde gravitazionali sono una scoperta incredibile ed importantissima per il futuro della Scienza. Dobbiamo immaginare l’intero Universo formato da 4 dimensioni: 3 per lo spazio (lunghezza, larghezza e profondità) e il tempo. Questo sistema a 4 dimensioni viene chiamato spaziotempo. Come possiamo vedere dall’immagine, qualsiasi corpo con massa m, devia il piano spaziotempo. Se avviene lo spostamento di grandi quantità di massa, si generano le onde gravitazionali.

 

E’ un fenomeno fisico molto simile alle onde generate dal sasso che cade nel lago. In entrambi abbiamo la propagazione di energia sotto forma di onda. Qualsiasi corpo, anche noi stessi, distorce lo spaziotempo circostante, quindi, attraverso un suo brusco spostamento, otteniamo la formazione di un’onda gravitazionale. Tuttavia è impossibile misurare l’onda gravitazionale generata da una mano in movimento o da un qualsiasi corpo sulla terra. Questo perché le onde gravitazionali di questi corpi hanno una lunghezza d’onda troppo bassa per poterle misurare. Ecco perché misuriamo le onde gravitazionali generate dalle collisioni di corpi celesti provvisti di masse infinite, se confrontate alla Terra.

 

La scoperta delle onde gravitazionali è un evento memorabile che scriverà e cambierà nettamente la storia dell’astronomia e della Scienza. Quello che abbiamo scoperto non è un semplice elemento da aggiungere alla sfera del conoscibile, come se fossero 10 semplici pagine da aggiungere al libro di Scienza delle superiori. Le onde gravitazionali sono un nuovo modo per osservare e studiare l’universo e i suoi fenomeni.

L’immagine sopra riprende il Professor Farnsworth, celeberrimo personaggio della nota serie Futurama, mentre osserva l’Universo con un particolare telescopio. Tale strumento permette, a chi lo utilizza, di annusare l’odore proveniente da una specifica zona dell’universo. Questo è ovviamente impossibile nel mondo reale, tuttavia, con le onde gravitazionali, è come se gli scienziati avessero acquisito un senso in più, una modalità in più per relazionarsi con l’Universo. Adesso uno scienziato avrà la possibilità di studiare una specifica zona dell’universo non sono con le onde elettromagnetiche, ma anche con le onde gravitazionali e magari confrontare i dati ricavati da entrambi i tipi di onde. Quindi pensate alle milioni di scoperte che si potranno fare nel prossimo futuro, le bellezze che potremo scoprire grazie a questo nuovo modo di studiare lo spazio. Insomma ancora non potremo annusare l’odore di Marte o di Giove, ma poco ci manca.

Francesco Calò

Scivolone CUS

Nella diciassettesima giornata del campionato di Terza Categoria di Messina, un poco concentrato e tanto disattento Cus Unime subisce uno sgambetto casalingo ad opera del Casalvecchio. Una sconfitta a domicilio per gli universitari che costa la seconda posizione in classifica e che consente al Casalvecchio di avvicinarsi alla zona play off.

Domenica 19 marzo, al Nicola Bonanno, alle ore 14:30, il Sig. Costa di Messina dà il via alla partita.

Primo tempo: i primi 45 minuti sono tutt’altro che esaltanti, poche trame, poca lucidità e di conseguenza zero emozioni. Partono decisamente forte gli ospiti che sciupano una nitida palla-gol al minuto 15 con Santoro S., il quale fallisce il tap- in tirando alto dopo una corta respinta in area di rigore di Zito. Per il Cus poco o nulla, pochissima inventiva a centrocampo e troppa poca concretezza da parte degli attaccanti non possono che portare a inconcludenti manovre offensive.

Dopo tre quarti d’ora di pura noia sportiva, il direttore di gara fischia la fine del primo tempo.

Secondo tempo: fortunatamente e inevitabilmente, la seconda metà di gara offre qualche occasione in più. E’ sempre il Casalvecchio però a crederci maggiormente e trova meritatamente il vantaggio con un tiro da fuori di Crisafulli che sblocca il risultato al decimo minuto, 0-1.

Mister Smedile, furioso a bordo campo, decide di cambiare modulo per passare a un super offensivo 3-4-3, per tentare di ribaltare il risultato e non sprecare l’occasione per agguantare la vetta della classifica del campionato. Alla mezz’ora il Cus ha la più ghiotta delle occasioni: verticalizzazione per Stassi che subisce fallo dentro l’area ed è rigore. Dagli 11 metri si presenta Di Bella, ma il bomber universitario stavolta pecca di lucidità, angola troppo e la palla va fuori.

I restanti minuti di gioco sono un’agonia più che altri per i padroni di casa, demoralizzati per l’occasione sprecata e così, lentamente e senza altri importanti spunti, la partita scivola via fino al triplice fischio.

Sconfitta tra le mure amiche per il Cus che disputa la sua peggior prestazione dell’anno e che adesso, a seguito del pari tra Real Zancle e Ludica Lipari e della vittoria dell’SC Sicilia sul campo del Fasport, si trova al terzo posto della classifica a due lunghezze dalla capolista eoliana.

Domenica prossima ci sarà la sosta che in questo momento potrebbe essere una manna dal cielo per il Cus, così da poter recuperare i tantissimi infortunati che evidentemente stanno pesando sulle prestazioni in campo.

Dopo tre vittore di fila, dunque, il Cus scivola in casa contro il Casalvecchio per 0-1.

Tra due settimane gli universitari saranno ospiti del Kaggi, squadra anch’ella vicina alla zona play off e che proverà a fermare la voglia di rivalsa del Cus.

Classifica:

Ludica Lipari 34

Sc Sicilia 33

Cus Unime 32

Arci Grazia 30

Real Zancle 30

FaSport 28

Casalvecchio 24

Stromboli 23

Kaggi* 21

Città di Antillo 13

Cariddi* 11

Malfa 10

*una partita in meno

Formazione Cus (4-4-2): 1 Zito; 2 Russo, 4 Iacopino, 5 Rodà, 3 Insana; 6 Cardella, 8 Lombardo, 7 Papale, 10 Creazzo; 11 Nucera, 9 Oliva.

Panchina: 13 Costa, 14 Smedile, 15 Al Hunaiti, 16 Tiano, 17 Stassi, 18 Di Bella.

Allenatore: Smedile.

Mirko Burrascano

Quando la vita virtuale sovrasta la vita reale

Quando una scommessa, un gioco, si trasformano in una tragedia mortale, l’animo umano come realmente reagisce? Sicuramente una parola frulla nelle menti di tutti: perchè? O siamo troppo grandi per comprenderlo, o troppo cinici per dispiacerci. L’8 marzo scorso si è consumata una tragedia a cui ancora difficilmente si riesce a dare una risposta razionale. È successo in Calabria, tre ragazzini di 13 anni hanno ben deciso di attraversare la linea ferroviaria del treno, intorno alle 18.30, per raggiungere più velocemente via spiaggia il centro cittadino del comune limitrofo; lì ad uno dei tre è balenata la fantastica ed ammirevole idea di voler scommettere su chi riuscisse a fare un “selfie” il più possibile vicino al treno che proseguiva la sua corsa. Si può ben dedurre che qualcosa andò storto: due si sono salvati scansandosi in tempo dalle rotaie, mentre uno di loro è morto sul colpo.

Il gruppetto dei tre adolescenti è un clichè: ci sono il capo banda (l’ideatore della prova), il suo “tirapiedi” e la vittima che è sempre il bravo ragazzo, con qualche problema in famiglia che cerca di affrontare, ma viene trascinato per, azzarderei a dire, spirito di sopravvivenza. Tutti direte “un classico”. E perché è proprio un classico? Le dinamiche di questa vicenda si sarebbero potute riproporre anche 100 anni fa, un po’ come nella fiaba di Pinocchio. Peccato che le fiabe hanno il loro “e vissero felici e contenti”.

Si sa che è indole dell’uomo voler appartenere ad un gruppo, per sentirsi accettato, essere utile a qualcosa, per trovare il proprio posto nel mondo. Poi c’è chi per carattere lo crea il “gruppo” e chi invece deve superare delle prove per poterne far parte. I riti di iniziazione a gruppi sociali erano già presenti nell’antica Grecia, e nel corso della storia ogni cultura, ogni popolo, ha adottato i propri, rendendoli parte integrante ognuno della propria identità. Questo atteggiamento non è cambiato fino ad adesso: in ogni piccola formazione che si viene a creare in un contesto (ad esempio il nucleo della classe nel contesto scolastico), affinchè si possa far parte di esso, bisogna superare delle prove, bisogna dimostrare qualcosa a qualcuno che non ha la facoltà di poter giudicare e decidere. “E si la scuola è una giungla, però non si scorda, comunque a 16 anni è una merda” cantavano gli Articolo 31 anni or sono. Che siano 16, 13, 9, o 20 anni per sopravvivere e crearsi dei bei ricordi bisogna sacrificare se stessi. Certamente, ogni età ha i propri parametri di valutazione, a 13 anni non si pensa come quando si hanno 20 anni, e per questo motivo bisogna valutare ogni aspetto della vicenda.

Kiev, Ukraine – October 17, 2012 – A logotype collection of well-known social media brand’s printed on paper. Include Facebook, YouTube, Twitter, Google Plus, Instagram, Vimeo, Flickr, Myspace, Tumblr, Livejournal, Foursquare and more other logos.

Raccogliendo qualche opinione ho notato che molti mi hanno risposto “ben gli sta”, “è una tragedia, ma è stato stupido”. Rispetto il pensiero di tutti, e combatto affinchè tutti possano esprimere la propria opinione, ma ammetto che certi commenti mi hanno infastidita, perché, parlando, mi sono resa conto che nessuno si è soffermato sul reale problema che ha caratterizzato questa vicenda: lo scopo di mostrare qualcosa ad un gruppo che è molto più grande di noi, il social network. Ormai con le varie piattaforme le notizie, le informazioni, girano alla velocità della luce, qualsiasi cosa diventa virale acquisendo notorietà e vana gloria. Tutto ciò porta ad una brodaglia di opinioni che influenzano notevolmente la crescita di ogni essere umano: dalle 2000 che sembrano ragazze degli anni ’90, agli over 40 con i loro “buongiornissimo!1!! kaffè?”. Il fenomeno social invade la sfera umana di ognuno di noi, e tende ad azzerare il singolo pensiero, la fonte basilare per cui siamo diversi da ogni altro essere vivente, massificandoci per agire nello stesso modo, per raggiungere gli stessi scopi, legandoci con catene invisibili.

Nella prima fase adolescenziale è difficile non sentirsi dipendenti dai giudizi altrui, dal volere altrui, anche e soprattutto contro la propria volontà e contro i principi che sono stati (o dovrebbero essere stati) insegnati ed impartiti dai genitori. In questa triste vicenda la colpa è di tutti e di nessuno. Siamo tutti colpevoli tirando la pietra e nascondendo la mano; tutti noi che sfruttiamo in modo errato l’immenso potere della comunicazione, tanto da spingerci a non valutare il reale pericolo. Il rischio più grande che corriamo è mettere da parte noi stessi.

 

Giulia Greco

Immagine in evidenza: Giulia Greco

Fortitude: il thriller in mezzo ai ghiacci con renne, orsi polari e animali preistorici

Ad accogliere il pellegrino che atterra nell’aeroporto di Fortitude, sulle isole Svalbard nel Mar Glaciale Artico, svetta la statua di un enorme orso polare sopra il nastro del ritiro bagagli. Fortitude è una comunità fittizia di un remoto arcipelago della Norvegia – popolata perlopiù da pescatori e scienziati – dove gli orsi sono più numerosi degli abitanti, e questi ultimi sono costretti a girare armati per proteggersi dai loro feroci attacchi.

Nessuno però può morire a Fortitude; una legge lo vieta in conseguenza del fatto che le temperature congelano i cadaveri e impediscono che si decompongano. La vita, nonostante il buio che dura mesi e le condizioni ambientali estreme, scorre complessivamente tranquilla, isolata e protetta come una fortezza gelata che la separa dal mondo. La governatrice Hildur Odegard intende far costruire in mezzo alle distese di neve un hotel di ghiaccio per aumentare la presenza di turisti. C’è poi in città lo sceriffo Dan Anderssen, ma nessuno sa se è un bravo o un cattivo sceriffo: a Fortitude non è successo mai niente. Almeno fino a quando il corpo del professore del locale centro di ricerca viene ritrovato seviziato, torturato e ricoperto di sangue.

La seconda serie (prodotta da Sky Atlantic e in onda dal 27 gennaio) è arrivata dopo i molti nodi rimasti da sciogliere al termine della prima stagione; un thriller che affianca l’inchiesta sulle morti misteriose che hanno sconvolto la quiete esteriore di un luogo subissato dal candore della neve alle atmosfere horror e surreali alla Stranger Things. Chi ha deciso di vivere a Fortitude quasi mai è lì per caso: tutti scappano da qualcosa. Così l’affascinante Elena Ledesma che gestisce l’albergo dove alloggia il detective Eugene Morton mandato dal Londra per indagare, insieme allo sceriffo, alla catena omicidi furiosi e terrificanti in cui pare sia coinvolto anche un bambino. Ogni elemento della comunità o quasi è invischiato in un intreccio di relazioni contorte e di storie taciute che lo rendono vulnerabile. Il richiamo a Twin Peaks è lapalissiano; l’immagine di una comunità dove all’improvviso tutto precipita ed i caratteri che la popolano escono progressivamente allo scoperto. Non ci sono tuttavia le cascate ma tonnellate di ghiaccio colorate da strisce di sangue che citano, anche se non fanno il verso, un altra serie ambientata sulla neve, Fargo.

Il cast composto da attori di ottimo livello come Stanley Tucci, contribuisce a far salire le aspettative e a consegnare un prodotto all’altezza; quello che più colpisce di Fortitude, oltre alle ambientazioni, è il valido mix di mistero e approccio razionale e scientifico agli accadimenti più inspiegabili. Il ritrovamento di un mammut preistorico sepolto dal ghiaccio si collega quindi agli eventi tetri che hanno macchiato di sangue la comunità. La sacralità di un luogo chiuso come una fortezza si scontra con le meschinità dell’uomo e le forze naturali impervie. Quando così cala il buio e sulle case ricoperte dalla neve si eleva il colore rosso dell’aurora boreale è certo che qualcosa sta per abbattersi su Fortitude.

 

Eulalia Cambria

 

Continuano le giornate di cinema2day

Grande successo di pubblico per questa settima edizione di Cinema2day che giorno 9 marzo ha registrato quasi novecentomila spettatori, con una particolare affluenza nelle sale del Sud e nelle periferie delle grandi città.

Grazie alla promozione che il Ministero ha lanciato lo scorso settembre, in collaborazione con le associazioni di categoria Anica, Anem e Anec, la giornata di mercoledì 8 marzo, ha registrato 896.847 presenze, con un aumento in picchiata rispetto al mercoledì precedente (1° marzo) che ne aveva registrate 234.737.

“È stata un’altra grande giornata di festa per i ragazzi e le famiglie” ha dichiarato il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Dario Franceschini, commentando i dati.

È Logan – the Wolverine a continuare a dominare la classifica. Seconda posizione per Beata Ignoranza di Massimiliano Bruno col duo rodato Giallini-Gassmann. Al terzo posto risale Omicidio all’Italiana di Maccio Capatonda . Al quarto posto debutta Il Diritto di Contare con Taraji P. Henson , Octavia Spencer e Janelle Monae.

Le prossime date in cui si potrà godere della iniziativa sono : il 12/4 e il 10/5.

(fonte cinematografo.it)

Arianna De Arcangelis

 

Lepanto, 1571. Don Giovanni d’Austria, Messina e l’ultima Crociata.

Ritratto di Don Giovanni d’Austria

Impettito sul suo alto piedistallo di marmo, sorridente e trionfante nella sua ricca armatura cesellata, immortalato nel duraturo bronzo dalle sapienti mani di Andrea Calamech e della sua bottega, Don Giovanni d’Austria è ormai un simbolo della città di Messina al pari del più celebre Nettuno del Montorsoli o della Madonna del Porto; oltre che membro onorario, suo malgrado, della movida messinese che ogni weekend trova, ai piedi della sua statua, un insostituibile punto di ritrovo. Ma dietro il sorriso e lo sguardo fiero di questo condottiero di bronzo c’è una storia che merita di essere raccontata. È la storia che vede lui, e in parte anche la città di Messina, protagonisti di una delle grandi battaglie che segnarono il corso della Storia, quella con la S maiuscola: la battaglia di Lepanto.

 

Quando don Giovanni nasce, a Ratisbona, in Germania, nel 1547, nessuno può immaginare a quali imprese verrà legato il suo nome in futuro, anche se è il figlio di colui che, all’epoca, è l’uomo più potente del mondo intero, l’uomo sul cui impero non tramonta mai il sole: l’imperatore Carlo V d’Asburgo. Giovanni infatti, pur essendo figlio dell’Imperatore, è un figlio illegittimo, frutto di una relazione extraconiugale del monarca con una donna di sangue non nobile (Barbara Blomberg, figlia del sellaio della città), che al momento del concepimento ha appena 19 anni e viene presto abbandonata dall’altolocato amante.

Monumento a Don Giovanni d’Austria. Andrea Calamech, 1572. Messina, Piazza Lepanto. Ph: Giulia Greco.

Ma l‘Imperatore non si dimentica affatto del sangue del proprio sangue ed è così che lascia, fra le sue ultime volontà, che il figlio legittimo Filippo II, re di Spagna, riconosca il fratellastro come tale e gli assegni una rendita: il giovane viene quindi portato a Madrid, introdotto alla vita di corte, e muta il nome, diventando don Juan de Austria, don Giovanni d’Austria. Il re Filippo lo vorrebbe chiuso tra le mura di un convento, ma al giovane Giovanni la vita religiosa non piace affatto e preferisce dedicarsi al mestiere delle armi, scalando rapidamente le gerarchie dell’esercito spagnolo e distinguendosi come comandante in diverse operazioni militari.

 

È un periodo storico in cui gli scontri fra il mondo cristiano e il mondo musulmano sono più accesi che mai: l’Impero ottomano, infatti, è in piena espansione, le sue navi corsare minacciano i mercati delle grandi potenze marinare europee e i pirati barbareschi si abbandonano spesso a razzie sulle coste seminando il terrore fra i popolani.  La Repubblica di Venezia, che da anni si contende l’isola di Cipro con i Turchi, vacilla ogni giorno di più, e quando a raccogliere il grido d’aiuto dei Veneziani è addirittura il papa Pio V, preoccupato dalla inarrestabile espansione musulmana, la situazione si carica di connotati religiosi: si torna a parlare di crociata.

 

É Pio V a convincere la Spagna di Filippo II, da sempre difensore strenuo del cattolicesimo, ad intervenire. Per prendere in mano la situazione, tutt’altro che semplice, al re serve un uomo di fiducia e di indubbio talento militare: chi meglio di Don Giovanni d’Austria?

 

Nasce così la Lega Santa, triplice alleanza fra la Spagna, Venezia e il Papato, rafforzata anche dall’intervento dei Genovesi, di alcune città toscane e dell’Ordine di Malta, nemico giurato degli Ottomani. Ed è qui che entra in gioco la città di Messina: situata in posizione strategica per la partenza della spedizione, è qui che a partire dal luglio 1571 si stabilisce il quartier generale delle forze cristiane, che, secondo fonti locali, si giovarono anche del contributo di un grande intellettuale messinese, Francesco Maurolico, per procurarsi delle dettagliate carte nautiche.

 

Quando la spedizione lascia Messina, a settembre, al comando di Don Giovanni d’Austria, che all’epoca ha appena 23 anni, c’è il più imponente dispiegamento di forze militari internazionali mai visto: oltre 200 galee di varia provenienza e 6 temutissime galeazze veneziane, autentici castelli in mare. Passa però quasi un mese prima che la battaglia decisiva abbia luogo, domenica 7 ottobre, nelle acque di Lepanto: e quando si arriva allo scontro gli animi sono ancora accesi dalla recente notizia della caduta di Famagosta, ultima roccaforte veneziana a Cipro, e del brutale massacro del comandante Marcantonio Bragadin e dei suoi ufficiali.

La battaglia di Lepanto in una carta geografica d’epoca. Ignazio Danti, 1572. Roma, Musei Vaticani.

Don Giovanni, che dà per primo il segnale di battaglia, comanda il corpo centrale dello schieramento sull’ammiraglia reale; al suo fianco ci sono la capitana di sua Santità, guidata dall’ammiraglio papale Marcantonio Colonna, suo luogotenente, e le navi capitane di Venezia, Genova e dell’Ordine di Malta, guidata dal priore di Messina; comanda il corno sinistro il veneziano Agostino Barbarigo, mentre il corno destro è affidato a Gianandrea Doria. Contro di loro, la Sublime Porta schiera oltre trecento navi in mano a tre dei più famigerati lupi di mare dell’epoca: il comandante delle flotte del Sultano, Ali Pasha, che comanda il corno centrale; il temibile corsaro Mehmet Shoraq, noto come “Scirocco”, sul corno destro, e il comandante di ventura Uluc Ali, detto “Uccialì”, sul corno sinistro. La battaglia infuria per ore e , quando si conclude, le perdite sono gravissime per l’esercito cristiano: ma quello turco ha perso oltre 25.000 uomini, Mehmet Shoraq è stato ucciso, e la testa di Ali Pasha svetta, a mo’ di macabro trofeo, sull’albero maestro della nave di don Giovanni d’Austria: è la vittoria.

Allegoria della Battaglia di Lepanto. Paolo Veronese, 1573. Venezia, Galleria dell’Accademia

 

Il ruolo della battaglia di Lepanto nella storia del Mediterraneo è tutt’oggi oggetto di acceso dibattito da parte di molti storici; quel che è certo è che all’epoca il mondo cristiano la percepì come una vittoria incredibile, quasi miracolosa, tanto che per celebrare la data della battaglia viene istituita la festa della Madonna della Vittoria, oggi detta Madonna del Rosario. Don Giovanni d’Austria, all’apice del suo prestigio, viene acclamato in tutte le città d’Europa: Messina gli dedica, nel 1572, il monumento, opera di Andrea Calamech, che oggi si trova in piazza Lepanto, ad eterna memoria del ruolo che ebbe la nostra città in questo importante fatto storico.

Gianpaolo Basile

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https://it.wikipedia.org/wiki/Don_Giovanni_d’Austria#/media/File:John_of_Austria_portrait.jpg

https://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_Lepanto#/media/File:Fernando_Bertelli,_Die_Seeschlacht_von_Lepanto,_Venedig_1572,_Museo_Storico_Navale_(550×500).jpg

https://it.wikipedia.org/wiki/Allegoria_della_battaglia_di_Lepanto#/media/File:The_Battle_of_Lepanto_by_Paolo_Veronese.jpeg

Apri gli occhi

Curioso.

Curioso è essere cullato da un’alta marea di voci che sembrano chiamare il mio nome.

“ Nico, Nico….” – era un loop di suoni familiari che continuavano ad invocarmi e, in quel frastuono, c’era sicuramente qualche sconosciuto.

Mi sentivo sballottare da una parte e poi dall’altra: erano secondi, o forse minuti, o addirittura ore – non saprei dirlo con esattezza – ma so con convinzione che nella mia testa c’era una distinta confusione che avrei voluto si placasse.

Così, dissi fra me e me “ urla, Nico” e lo feci o almeno, così mi parse di fare.

In effetti, il rumore attorno a me era perpetuo, non smetteva, ed io piano piano realizzavo di essere disteso sulle bianche sfumature di un letto a rotelle.

Più sovrastante di tutte le voci, era lo strofinio continuo che percepivo sulla mia mano destra – credo – di un’energia inaudita.

Mi concentravo su quella sensazione e le voci erano ormai diventate una colonna sonora che imperturbabile cullava il disordine fra sogno e realtà.

Era questo il punto: cos’era? Un illusione? O stava accadendo davvero?

La domanda trovò subito una risposta nel mio spirito che osservava il mio corpo disteso su quello che, ora, mi appariva nitido come un lettino d’ospedale.

Un groviglio di pensieri martellava la mia testa.  

Finalmente riuscivo chiaramente a vedere cosa avevo intorno: le lacrime di mia madre, la mano della mia ragazza sopra la mia, le urla di mio padre ed i dottori che correvano con quella barella d’appresso, su cui io giacevo indisturbato.

Il caos, lo sgomento e la paura sembravano essersi impossessati di tutta quella gente, tranne che di me: avvertivo un’inspiegabile sensazione di pace.

Ricordo che d’un tratto arrivò Daniele e fu allora che ritornò il ricordo della sera precedente.

Il venerdì, io e Dani andavamo sempre in quel pub, vicino la piazza centrale, e quella sera passammo anche a prendere Peppe. Peppe…fu allora che pensai “Dov’è? Perché non è lì? Dov’è il mio amico?”

Quella quiete apparente in cui galleggiavo, aveva lasciato il posto al fracasso dei ricordi: un bicchiere di tequila, poi un altro e un altro ancora.. mi metto alla guida…le luci, l’autostrada…sbando. Il buio.

E Peppe dov’è?

Quasi come se la mia anima si staccasse leggiadra dal mio corpo, cominciai a gironzolare per l’ospedale guidato da un sesto senso non indifferente che mi portò in un’altra stanza: il mio amico era inerme, attorniato dai suoi familiari che piangevano cascate.

“Non poteva essere vero. Non succede mai che una volta esageri e muore qualcuno. Era un incubo.” – era la solfa che mi ripetevo per convincermi che non avevo distrutto la vita del mio amico, quella della sua famiglia e anche la mia.

Proprio in quel momento, in preda alla disperazione più totale, vidi in lontananza una luce soffusa e subito dopo un bagliore cosi forte da farmi chiudere gli occhi.

È li che pensai “ è finita.”

 

Curioso.

Curioso è svegliarsi da un incubo che altro non è che la conseguenza di una stupida azione sbagliata.

Curioso è dover continuare a vivere, quando il senso di irresponsabilità ha ucciso il tuo amico.

Curioso è aprire gli occhi ogni mattina e chiedersi “Perché l’ho fatto?”

Curioso è sentirsi vittima dei propri sbagli.

Curioso è credere di essere onnipotenti alla guida di una macchina.

 

Jessica Cardullo