Terza Edizione “Calcio al razzismo – Uniti con lo Sport”

 

Prime edizioni

Nel 2015 nasce l’idea del “Calcio al razzismo – Uniti con lo Sport”, evento organizzato dal Cus Unime e dal Cug (Comitato Unico di Garanzia). Un momento di aggregazione, ovvero un torneo di calcio a 5 tra associazioni (non solo) studentesche e giovani migranti. Le prime due edizioni sono state accolte in modo cospicuo e questa terza edizione non è stata da meno. Anzi si dimostra essere una manifestazione sempre più in crescita.

Organizzazione

Dieci squadre hanno partecipato a quest’evento di natura benefica e solidale: cinque di queste composte dai centri di accoglienza per giovani migranti e altre cinque da rappresentanze locali. Due pomeriggi all’insegna del divertimento (mercoledì 26 e giovedì 27 aprile), presso la Cittadella Universitaria di Messina . Il primo giorno si sono tenute tutte le partite dei due gironi, ognuno da cinque squadre, e solo le prime due classificate sono giunte alla fase finale. Il secondo giorno, invece, sono state disputate le semifinali e le finali per il primo e per il terzo posto. Il tutto gestito in tempo reale dalla piattaforma Livinplay che ha curato i dettagli di calendario, classifiche e statistiche.

Squadre

I centri di accoglienza Amal, Ahmed e Sed hanno presentato 5 squadre: Betis Gang, Rainbow Lion, Real Ahmed, Real Amal e Sed. Mentre le altre cinque formazioni erano presentate da: Andromeda, Atletico Zancle, Esn Messina, Icaro-Orum e Messina Nel Pallone. A qualificarsi per le semifinali sono state Real Amal e Messina Nel Pallone per il girone A e Rainbow Lion e Icaro-Orun per il girone B. La finalissima è stata tra Rainbow Lion e Real Amal, con i primi vincitori della terza edizione del torneo. Grande soddisfazione per i centri di accoglienza con due delle loro squadre giunte alla finale per il primo posto. Infine, Icaro-Orum ha ottenuto il gradino più basso del podio vincendo ai rigori la finale per il terzo posto.

Premiazioni e saluti

In conclusione della manifestazione, è stato il Presidente del Cus Unime, Antonino Micali, a gestire le procedure di premiazione. Inoltre Carlo Giannetto, membro del Cug, e Alessandro Parisi, ex calciatore del Messina e coordinatore del settore giovanile del Cus, hanno contribuito alla cerimonia di chiusura. Tra i sorrisi e le gioie dei ragazzi migranti si conclude la terza edizione del “Calcio al razzismo”. Anche quest’anno grande vittoria di fratellanza e solidarietà con l’obiettivo di promuovere nuovamente il tutto il prossimo anno.

 

 

 

Mirko Burrascano

 

Hai 24 anni

Mi rendo conto del tempo che scorre sempre nello stesso periodo dell’anno, in questo periodo dell’anno, quando, con le mie tre amiche, a distanza di pochi giorni, mesi, compiamo gli anni. Per pochi mesi, abbiamo tutte e quattro la stessa età.

I compleanni, crescendo, non hanno più lo stesso sapore. Per me acquisiscono, pian piano, una sorta di malinconia. Eppure, ancora, siamo così giovani.

Abbiamo 24 anni. Siamo giovani. Siamo forti, caparbi, siamo dei sognatori. Lo leggo nella faccia dei ragazzi e delle ragazze che mi circondano, negli occhi dei colleghi, delle persone che incrocio per caso il sabato sera o il lunedì mattina.

Siamo in quella fascia di età che va dai 20 ai 30 anni, in cui ancora, chissà per quanto tempo, possiamo permetterci di sognare, di fare errori, di ripararli. In quella fascia d’età in cui ancora possiamo rischiare, metterci in gioco e, anche solo per un attimo, per un paio di ore, concederci il lusso di scordare.

Scordare gli impegni, le responsabilità, i doveri, le preoccupazioni.

In quella fascia d’età in cui, che tu sia ancora a casa o meno, la sera trovi mamma e papà, a casa o per telefono, pronti a salvarti il culo o a dirti, ancora, di nuovo: “andrà tutto bene”.

E quella frase ti può fare incazzare, oppure no, ma non devi dimenticartene il sapore. Perché, chissà, forse un giorno sarai tu a doverla dire. Anche se non ci credi, anche se non ne hai la forza.

Andrà tutto bene.

Abbiamo 24 anni e capita di bloccarsi, anche solo per un secondo, e chiedersi:” ma io, chi sono?”. E quando arriva questa domanda, improvvisa, come una doccia fredda, si sta là, in mezzo al traffico, alla folla, davanti allo specchio del bagno. Tutto passa veloce mentre tu sei immobile nel tempo. Sai rispondere alla domanda?

È la paura, che blocca. Quella domanda fa paura. Chi sono io?

Come potrebbe non fare paura. Tutto intorno a noi si muove. Mentre noi, a volte, siamo fermi. Non ci accorgiamo che, quando ci muoviamo noi, è il resto che si ferma. E questo fa paura. Ma quando tu ti muovi, non puoi accorgerti se il resto è fermo: semplicemente perché ti stai muovendo.

Ma quando sei fermo, è in quel momento che non devi avere paura. Rilassarti, con la consapevolezza che ti muoverai di nuovo.

A 24 anni, alcuni sono già laureati, altri no. Alcuni lavorano, altri no. Ma tutti ci chiediamo perché noi non riusciamo come gli altri. Dopotutto, la vita degli altri sembra sempre più facile.

E ci sentiamo in colpa: potremmo fare meglio, forse, ma il meglio non sembra mai abbastanza.

E si ricomincia. Io, chi sono? Io, dove sto andando?

Non stiamo certo tutto il tempo a chiederci chi siamo e dove stiamo andando. Ma di sicuro, di tanto in tanto, queste domande arrivano prepotenti, pesanti, insormontabili. Le anestetizziamo con la vodka e i buoni propositi per il giorno dopo. Ci fanno stare più tranquilli, ma poi, non servono a niente.

Abbiamo 24 anni, e forse siamo troppo grandi per ballare in preda all’alcol e all’euforia. Che i nostri genitori avevano già noi, mentre noi abbiamo soldi da spendere in ricordi che, beh… Non sempre ricorderemo.

Quella vodka che, diciamolo tra noi, comincia a diventare una scimmia sulle spalle un po’ pesante.

Abbiamo 24 anni, e ci guardiamo intorno aspettando. Un messaggio, uno sguardo, un invito. Magari aspettando solo l’ora di tornare a casa, o il panino delle 4 a.m. (chissà come, ha sempre un sapore meraviglioso).

E ti chiedi come siamo finiti così, con un piccolo amore nel cuore e noi piccoli senza nessuno accanto. Perché il bello dei 24 anni è anche questo: condividere. Con gli amici, , siamo la generazione che può dire a gran voce “grazie a Dio ci sono i miei amici”; ma servirebbe, a volte, pure qualcun altro con cui condividere la vita. I momenti, le notti.

Che poi, dicono, basta l’esperienza d’amare per renderci pieni, migliori. Sarà.

Sarà che, a 24 anni, vedi gli obiettivi fermi davanti a te e corri loro incontro per prenderli, e più corri, più ti sembrano lontani.

Eppure te li immagini, te li sai immaginati così tante volte, nella tua testa, che quasi provi a non immaginarteli più per paura di farli sbiadire. Il giorno dell’esame, il professore che verbalizza, finalmente, il voto per cui stai sudando 100 camice. Il giorno della laurea, la corona di alloro sul tuo capo. Il primo giorno di lavoro.

Sarà che, ai 24 anni, ci arriviamo e non sappiamo nemmeno noi come siano diventati 24. E pensi a quando ne avevi 18, di anni, a come ti immaginavi, a come sei, o a come non sei. Ricordo che quando, a 18 anni, il mio amore dell’epoca mi lasciò ed io mi ritrovai sola, mi consolai più di una volta pensando:” dai, quando avrò 24 anni e sarò quasi laureata, sarà tutto diverso. Chissà chi sarò, come sarò, chi avrò accanto, come sarà la mia vita”. È strano. A volte cambia tutto, a volte non cambia niente. Forse, sta tutto nel fatto che, nel nostro cuore, abbiamo ancora 18 anni, siamo ancora quei ragazzini con i vestiti da grandi.

Eppure, quei 24 anni, sembravano realmente così lontani.

Sarà che, a 24 anni, basterebbe qualcuno che ti concedesse un momento per sorridere. Con la tuta, immersi in una nuvoletta di fumo e sogni. Perché dai, non prendiamoci in giro, è questo che vorremmo tutti. Anche i più strafottenti di noi, lo sono solo fino a quel momento lì.

Sarà che ormai, forse, ci viene da dire “è troppo tardi”; però, forse, ancora è troppo presto.

Perché, a 24 anni, condividiamo tutti le stesse preoccupazioni: laurea, lavoro, futuro. Condividiamo quelle domande, chi sono io dove sto andando; ma condividiamo anche il cuore spezzato, il cuore in attesa, il cuore illuso, chiuso o aperto, traboccante, sfiorito o fiorito, arido, pulsante o fermo.

Sarà che, a 24 anni, ci fermiamo tutti, sotto casa, nella nostra macchina, con la musica che scorre e aspettiamo. Cosa? Non lo sappiamo. Però quei 10 minuti in macchina, da soli, di notte, servono a fermare il tempo, le preoccupazioni. Entriamo in stand-by dai nostri pensieri, alziamo il volume, aspettiamo che finisce la canzone e saliamo a casa. Quei 10 minuti fanno bene, all’anima.

Che poi, forse, a 24 anni, conviene solo continuare a camminare, che se aspetti non arriva niente. E senza preoccuparsi troppo: perché chiunque tu sia, a 24 anni, sei una bella persona. Sei quella persona che ride, scherza, va a ballare e aiuta l’amico sbronzo (o è l’amico sbronzo). Sei quella persona che ancora crede, sogna, studia. Quella persona che supera le sconfitte a testa alta e festeggia le vittorie a testa bassa, con umiltà.

 Chiunque tu sia, hai 24 anni, e c’è ancora un sacco di tempo per amare, per festeggiare e, soprattutto, per correre. E, di tanto in tanto, per fermarsi.

Che tanto, andrà tutto bene. Ora è così, ma a 31 anni, chissà dove sarò, chi sarò, come sarò diventata, chi avrò accanto, cosa starò facendo.

Elena Anna Andronico

Abbatti Lo Stereotipo- Lo Studente in Economia

Oggi trattiamo la categoria di studenti più discriminati di tutto il mondo universitario: Lo Studente in Economia.

 

 

‘’Il mio Homer non è un comunista. Sarà pure un bugiardo, un maiale, un idiota, un comunista, una pornostar ma di sicuro non è uno STUDENTE IN ECONOMIA’’ semicit.

Conosciuta nel mondo come Economia e CAZZEGGIO, oggi, una volta per tutte, vi raccontiamo perché non è così.

 

Ecco, i 5 stereotipi abbattuti degli studenti in Economia!

 

  • Ah, e quindi non fai un beata cippa dalla mattina alla sera!

Eh sì, U CAPEMU, noi studiamo ad Economia e Cazzeggio, passeggio, campeggio, autonoleggio, corteggio, scorreggio.

La vita per chi studia economia non è facile solo solo per questo motivo: mensamai durante la giornata si incontra più di una persona che chiede ‘’e tu, cosa studi?’’, bisogna subire questa tortura dell’etichetta del Club dei Cazzeggianti Passeggianti.

Lo vogliamo capire che il mondo universitario funziona in due modi?! O STUDI O NON STUDI.

Se studi, pure fosse scienze delle merendine, vuol dire che qualcosa la fai e quel qualcosa, per te studente disperato, non è non fare niente.

Se non studi, pure fosse ingegneria aereospaziale degli alieni, e dai una materia ogni 8 anni, allora sì, cazzeggi.

Tutto chiaro?

  • Eh amico, ma per fartene qualcosa di questa laurea dovevi andare alla Bocconi.

Che poi voi ci credete veramente a quello che dite, pensate davvero che sia una cosa giusta. Ma vi pare carino esordire così nei confronti di un collega? Davvero, dai. Ma poi SARANNO FATTACCI MIEI SE HO DECISO DI STUDIARE QUA? Facciamo che ne riparliamo tra 10 anni, vediamo dove sei arrivato tu e dove sono arrivato io.

E poi, pure dovessi lavorare come bidello, ME NE FARO’ UNA RAGIONE. E tu? Starai per caso a casa tua a pensare ‘’eh, ma io glielo avevo detto’’ ?

Se così fosse, BELLA VITA DI MERDA.

  • Ma, a quel punto, non ti conveniva fare Scienze Politiche? E poi, che sia commercio, aziendale, managment, ambientale, bancaria… Sempre a stissa cosa è!

È grazie a voi, amici, che questa rubrica può continuare a sponsorizzare, fiera, l’hashtag #FCV, Fatti una Cultura o Villico.

Ma voi avete idea delle differenze, essenziali, che ci sono tra scienze politiche ed economia? No così, pour parler. Perché se le sapeste, invece che PARLER ad MINCHIAM, tanto per ALITER IN GIRO, vi stareste molto ZITTER e nel vostro.

Per non parlare di quelle che si sono tra le varie categorie di indirizzo. MA CI SIETE O CI FATE? Noi speriamo per le vostre madri che ci siete, perché siete veramente una vergogna per l’essere umano e non. Poi dite perché gli alieni non vengono sulla terra: mica so fessi.

Tanto per dire, eh.

  • Vi lamentate tanto del Diritto Privato, vi vorrei vedere a Giurisprudenza!

MA SANTA MADRE SEMPRE INCINTA DEI CRETINI, ma se non faccio giurisprudenza un motivo ci sarà CHE DICI?! È ovvio che non è lo stesso diritto, che sia una tipologia diversa di esame e un contenuto sicuramente minore.

MA PUO’ ESSERE DIFFICILE LO STESSO OPPURE NO?!

 

NO, non facciamo giurisprudenza ma Diritto Privato sarebbe difficile pure in prima elementare.

OK?

 

  • Siete dei paraculi.

Beh sì dai, un po’ paraculi siete.

Elena Anna Andronico

Le relazioni e l’ignoto che è l’altro

Metti un venerdì sera due amiche un gin tonic e un negroni…

Scenda di Seinfeld (da sinistra Julia Louis-Dreyfus, Jerry Seinfeld, Michael Richards e Jason Alexander)

Ci siamo ritrovate a parlare delle relazioni.
Nello specifico di quelle amorose, la nostra visione non è più quella di quando avevamo diciott’anni, ma nemmeno quella di un anno fa. Crescendo e smussando la nostra personalità , le esigenze cambiano, inevitabilmente.
Tornata a casa ho ripensato alla discussione e alle relazioni, ne abbiamo di carattere diverso, che necessitano approcci differenti, ma c’è un comune denominatore: la convivenza.
Nel suo etimo vuol dire “vivere con” , penso a due partner, coinquilini, sposi. Ma anche dividere la propria vita con qualcuno, un amico.
Enfatizzando, potrebbe anche voler indicare il poter contare sull’altro.

Negli anni ho imparato che la convivenza è innanzitutto rispetto dell’altro, delle sue idee, e confronto.
La distanza che mi separa dall’altro, la sua unicità , è una strada percorribile con la gentilezza e l’affabilità. Ma è anche una scommessa.
Le barriere sono fisiche, anche involontariamente, la vista agisce da filtro: un paio di occhiali, dei tatuaggi, il modo di vestire influenzano il proprio giudizio. Vedere e guardare concetti distanti fra loro.
Non deve intimorire la vertigine che l’abisso dell’altro significa, anzi è proprio questa adrenalina che si trasforma in “ponte” verso l’altro.
Divenire il prossimo di qualcuno significa accettare questa affascinante differenza, anche quando è irritante o scomoda.
La unicità dell’altro non ha bisogno di imporsi deve solo poter liberamente essere e quando trova nello sguardo dell’altro quell’intesa, gli corre incontro.
E’ nell’universo della diversità che si gioca la gratuità degli affetti.

“Pugili” di Vittoria Abramo

Ed è qui che un pensiero un po’ più scomodo si è fatto spazio nella mia mente: forse che trascorriamo la vita in questa condizione, che l’unicità dell’altro ci diventi indispensabile quanto la nostra?
E’ una idea di fratellanza. Niente di deprimente pensando alla “dipendenze” dall’altro, benché ci siano relazioni di questo tipo.
Siamo tutti uguali, sono le vite che viviamo , la cultura , le varie sovrastrutture che ci rendono diversi, fondamentalmente siamo esseri semplici.
Abitudini secolari portano tutt’oggi a combattere per diritti che sono connaturati all’essere esseri umani.

La diversità è l’essenza della nostra razza. E’ questo il punto.
Ognuno ha un proprio proposito nella vita, la barriera più alta e dura da abbattere è non voler ammettere che non c’è una persona superiore all’altra, un modus vivendi migliore di un altro.
L’unico vuoto che ci separa è non conoscerci l’un l’altro. Una volta ogni tanto dovremmo gettarci nelle braccia dello sconosciuto.

In conclusione credo che rimescolando i colori ed educando il nostro sguardo alle altrui sfumature un giorno sapremo coglierne la bellezza. Anche quando, nella imprevedibilità dell’altro, ci appariranno assurde combinazioni.

Arianna De Arcangelis

Abbatti lo Stereotipo- Gli studenti in Lingue

In questo oceano pieno di pesciolini universitari che parlano ognuno la propria lingua, vivendo beati nel proprio universo di mainagioia, alcuni sviluppano la capacità di comunicare con tutti gli altri: gli studenti in Lingue.

Tra un Buongiorno e un Holà (ma si scrive così?), si aggirano, simpatici e fantasiosi, nelle varie città universitarie e fanno amicizia con chiunque capiti intorno.

Sono amici dei professori, amici dei colleghi, amici dei ragazzi Erasmus, amici dei loro amici. Chiacchierano, pubblicano stati Facebook in 3 lingue e i commenti sono un arcobaleno di lingue diverse.

E quindi, dai, non possiamo non abbattere gli stereotipi della categoria più cucciolosa di tutta l’università.

Ecco a voi, i 5 stereotipi (abbattuti) degli studenti in Lingue!

 

  • Ma quindi sai dire tutte le parolacce in un’altra lingua!

 

Ecco, questa sembra essere la cosa che più attrae degli studenti in Lingue. LE PAROLACCE. Che manco fossimo ancora alle medie, dove dire “culo” era un affare solo per veri uomini.

I più fantasiosi, invece che chiedere delle parolacce, se ne escono con un ‘’mi traduci il mio nome in svedese? CHE POI ME LO TATUO’’. Fosse per me gli farei tatuare la parola COGLIONE, sul braccio (anche al costo di non dover far crollare questo stereotipo).

Di certo le parolacce le imparano eccome, MOTHAFUCKA. Ma non come prima cosa, dai. Come seconda.

 

  • E che farai? La guida Turistica? Tipo nei trenini che ti portano in giro per le città?

A parte che la maggior parte di loro, come noi, tamponerebbe con dolo quei trenini una volta sì e l’altra pure. Però… Ehmbè? Anche fosse? Le guide turistiche vengono pagate (e i pila sono l’unica cosa che conta davvero), quindi, perché no, mi sta più che bene.

Tralasciando il fatto che MA LO SAPETE QUANTE COSE SI POSSONO FARE CON LA LAUREA IN LINGUE? Si può essere interpreti, traduttori di libri, professori universitari, si potrebbe arrivare anche all’ONU. Oppure diventare come Olga Fernando di C’è Posta per Te. Ma di cosa stiamo parlando?

Al pari degli studenti in Farmacia, anche per gli studenti in Lingue lanciamo l’hashtag #FCV ovvero FATTI UNA CULTURA O VILLICO.

 

  • Ma scusami, serve una laurea per imparare una lingua?

 

Serve una laurea per partorire un genio come te. Tua madre ne ha almeno 12. O sbaglio?

 

Serve una laurea per impararne 3 lingue e poi andare nel mondo a parlarle. Di certo non serve per farsi gli sboroni da Starbucks e chiedere ‘’Hau mach thiis?’’.

 

È chiaro che ognuno di noi può scegliere se seguire un corso in una lingua anche al di fuori dell’ambito universitario, ma, evidentemente, SERVE UNA LAUREA PER FARE DELLE LINGUE IL PROPRIO LAVORO.

 

A meno che, come lingua, non si intenda altro. In quei casi, basta recarsi al porto più vicino e no, non seve una laurea.

  • Comunque, se non studi il Cinese o l’Aramaico Antico non vai più da nessuna parte.

 

Eh certo. Se non fosse che gli unici che parlano il cinese sono i cinesi stessi. E, ok che sono la popolazione più grande del mondo e, di conseguenza, è la lingua più parlata ma anche i cinesi parlano l’inglese.

 

Ma poi, che cavolo vuoi?? Laurea mia, fatti miei su che lingua ho deciso di studiare fosse pure Azerbaigiano. Tu, disoccupato del mio gatto con gli stivali. Io sono laureato in Lingue, ho scelto inglese e spagnolo e lavoro in un Hotel a 5 stelle da 2 anni. Quindi, taci. Vale? Thank you.

 

  • Ah, stare con te è come avere un Google Traduttore che non ha bisogno della Wi- Fi!

‘’Come si dice tracotante in Afgano? E pancreasectomia in Turco? Studi Russo? Come si dice russare? Aahahah, dai adesso provo a ripeterlo’’

 

Cioè ma davvero?? Ma secondo voi studiare lingue vuol dire conoscere qualsiasi parola di qualsiasi lingua?? Ma poi se avessi voluto fare il fenomeno da baraccone, sarei andato a lavorare in un circo.

 

E passi la traduzione simultanea dei testi delle canzoni, e passi lo scritto svolto per farvi passare l’idoneità, ma MO BASTA! Che poi, tracotante non so cosa voglia dire nemmeno in Italiano.

 

Ma una cosa sicuramente la sappiamo: saremo pure amici di tutti ma, ad un certo punto… A faciti tutti nto culu!

 

Elena Anna Andronico

Cent’anni di solitudine

Cent’anni di solitudine”, Premio Nobel  di Gabriel Garcia Marquez, è la storia della famiglia Buendia dalla fondazione di Macondo alla sua evoluzione.
Le pergamene di Melquiades profetizzano la stirpe dei Buendia, ma nessun componente della famiglia è in grado di tradurne il contenuto.

Erano le ultime cose che rimanevano di un passato il cui annichilimento non si consumava , perché continuava ad annichilarsi indefinitamente, consumandosi dentro se stesso, terminandosi in ogni minuto ma senza terminare di terminarsi mai.”

Un secolo di vita della stirpe dei Buendia viene raccontato tramite singoli avvenimenti che, sebbene svoltisi in un lungo periodo di tempo sembrano coesistere in un solo attimo, in una Macondo in cui il tempo sembra girare in tondo senza portare alcuna novità o miglioria. È Jose Arcadio Buendia a dare origine a tutto ciò, sposandosi con Ursula Iguaràn. La loro stirpe sarà lunga e ricca di avventure e mille dispiaceri, tra la morte dei figli prima dei genitori, guerre e delusioni amorose.

Il lettore viene condotto in un universo a sè, in un’opera tutta umana e raffigurante come un dipinto la condizione dell’essere su una terra aspra che sembra respingere ogni vita. Marquez è il massimo esponente di quello che viene definito “realismo magico“, ed infatti l’elemento magico (sotto forma di fantasmi, presenze e superstizioni) è fortemente presente nel romanzo in questione ed è ciò che poi caratterizza tutti gli avvenimenti.

Straordinaria la capacità di Marquez di fare della linea temporale un filo di lana da arrotolare e srotolare sulle dita, da tagliare e da ricomporre a proprio piacimento.
Resta inevitabile affezionarsi ai singoli componenti di questa famiglia e a come questi sono condannati al loro carattere.

Proseguendo la lettura, è inevitabile confondersi a causa dell’ intreccio di parentele e di legami tra i vari membri della famiglia, si rischia di non avere più molto chiaro l’albero genealogico di questa famiglia così sfortunata e toccata solo un attimo dalla felicità (che come è arrivata, se ne va) ma, allo stesso tempo, così unita da un filo conduttore, un sentimento: la solitudine.

Solitudine come assenza di contatti con altre persone, ma anche come quel senso di malinconia che ti assale nonostante la compagnia e i divertimenti.
Una storia familiare che dura un secolo, cent’anni, cent’anni di solitudine.

Perché le stirpe condannate a cent’anni di solitudine non avevano una seconda opportunità sulla terra.

Serena Votano

CUS – Alla ricerca del gol

Ennesimo pari, ennesimo match senza reti ed ennesima delusione in casa Cus per l’occasione perduta di fare importanti balzi in avanti in classifica in ottica promozione. Nella diciannovesima giornata del campionato di Terza Categoria, il Cus Unime ospita, tra le mure amiche del N. Bonanno, lo Stromboli. Alle ore 12:00 di domenica 9 aprile, il Sig. Aliquò fischia il calcio d’inizio.

 

Primo tempo: per la terza volta consecutiva il Cus Unime sbaglia l’approccio alla partita, peccando di lucidità e concentrazione. Tanti errori banali e tanti cali di attenzione, dalla difesa all’attacco. Nei primi 45 minuti le occasioni sono veramente scarse da ambedue le parti, imprecisione e superficialità prendono la scena creando sin dall’inizio malumori e malcontenti in tutta la panchina universitaria, compreso mister Smedile. Anche la squadra eoliana fa ben poco per avvicinarsi alla porta del Cus e pertanto non può che sopraggiungere il duplice fischio dell’arbitro che manda tutti negli spogliatoi sul parziale di 0-0.

 

Secondo tempo: Mister Smedile ha un solo risultato per questa partita, un pareggio o una sconfitta nulla cambierebbero per il futuro della sua squadra, non può che, quindi, passare a un modulo totalmente a trazione anteriore; tre difensori e tre attaccanti, con la consapevolezza di esporsi ai rischi delle ripartenze ospiti. Ed effettivamente, in questa ripresa, il Cus riesce a creare qualcosa in più. Le più grandi occasioni sono per il subentrato Stassi, il quale però (anche sfortunatamente) sciupa entrambe le possibilità di passare in vantaggio. Sul finale il Cus lamenta il mancato fischio di un rigore e rischia la beffa su un contropiede dello Stromboli. Il tutto però si concretizza in un nulla da fatto e il match termina 0-0.

 

E’ chiaro come il Cus sia in uno stato psico fisico in calo, non è di certo il miglior momento della stagione e gli appena 2 punti negli ultimi 3 incontri ne sono la dimostrazione. Tuttavia ancora nulla è perduto,  mancano 3 partite alla fine del campionato e per di più vi sarà una lunga sosta di tre settimane. Sosta che può e deve servire ai ragazzi di Mister Smedile per riottenere la miglior forma fisica e ricominciare a non sbagliare più gli approcci in partite come queste. Prossimo match giorno 30 aprile, in casa della capolista Ludica Lipari.

 

Formazione Cus (4-5-1): 1 Zito; 2 Russo, 4 Iacopino, 5 Monterosso, 3 Insana; 11 Papale, 8 Lombardo, 6 Fiorello, 7 Vinci, 10 Creazzo; 9 Di Bella.

 

Panchina: 12 Bruno, 13 Cardella, 14 Tiano, 15 Iamonte, 16 Oliva, 17 Al Hunaiti, 18 Stassi.

 

Allenatore: Smedile

 

 

CLASSIFICA:

Ludica Lipari* 37

Cus Unime 34

SC Sicilia* 34

Real Zancle 33

Fasport 32

Arci Grazia 32

Casalvecchio* 27

Kaggi 25

Stromboli* 24

Cariddi* 14

Città di Antillo 13

Malfa* 10

 

*una partita in meno

 

 

Mirko Burrascano

Ai tempi dell’università (a)Social: Facebook

“Ma io uso di più Facebook… Non ti preoccupare, caro lettore. Arriverà anche il tuo momento, basta che aspetti la prossima settimana.”

 

Ci siamo lasciati la scorsa settimana con questa frase che FINALEDISTAGIONEBYSHONDARHIMESLEVATE, lasciandovi sospesi in un limbo di curiosità incontrollabile (leggi: non gliene frega un c***o a nessuno).

 

Prima di Instagram, prima di Snapchat, prima anche di Twitter ma dopo MSN, Dio ha creato il sole, il mare, il cielo e MARK ZUCKENBERG che, contro il volere del serpente, ha inventato FACEBOOK.

 

TA TA TAAAAAAAN. Il più potente mezzo di tentazione al mondo, è a lui che si devono addebitare tutti i 18 e i 4 degli studenti universitari e non.

 

E tu, sì TU, lettore di UniVersoMe… che tipo di studente sei?

Lo Studente su Facebook:

  • Il condivisore compulsivo di link ‘’amo il mio indirizzo universitario e non parlo d’altro’’

 

Qui, lo scenario è diverso. Ci stiamo spostando sul social che ha fatto di Zuckerberg l’uomo più odiato del pianeta (cazzo ci metti le storie? Coglione. Cazzo mi togli l’elenco di persone attualmente in linea? Crudele)

 

Su Facebook la situazione è un po’ diversa nella forma, ma non nella sostanza. Il Condivisore compulsivo di link, infatti, nella maggior parte dei casi non è esattamente un estimatore di selfie ed autoscatti. Diciamo che potremmo immaginarlo come un ufficio pubblicitario/ufficio stampa del proprio indirizzo di laurea.

 

Condivide con la stessa frequenza in cui un incontinente sente il bisogno di fare pipì (spero di aver azzeccato il paragone). Con una media di 10/15 condivisioni giornaliere, il condivisore compulsivo non perde un colpo.

 

Convegno scientifico da 0,5 CFU? Postato. Colombo è vivo ed ha fondato una nuova Università intitolata ad Amerigo Vespucci? Postato. Gli alieni credono che frequentare l’Università nuoccia gravemente all’equilibrio dell’Universo? Postato.

 

Insomma, più che personale e privato, il suo profilo sembra l’ufficio informazioni…. INUTILI. Nessuna foto in costume a Formentera dunque, solo saggi filosofici e ricerche sull’ultima pubblicazione di Einstein prima di esalare l’ultimo respiro.

 

Un consiglio, amico mio, prova a comprare uno strumento musicale; una TROMBA, magari…

 

  • L’invisibile

Houdini diceva “nella magia il trucco c’è ma non si vede”.

Ecco, l’utente definito ‘’l’invisibile’’ su Facebook, c’è ma non si vede. È iscritto, ha un mucchio di amici, ha messo mi piace a varie pagine, fa parte di vari gruppi… Ma non si vede. Non fa nulla. È una re- interpretazione moderna del fantasma formaggino.

Lui usa Facebook solo per controllare il gruppo universitario del suo anno. Infatti è sempre informatissimo su tutto. Qualche volta fa un giro pure sulla sua home quindi, caratteristica terribile, sa anche cosa fate voi ma voi non sapete cosa fa lui.

Una tantum, pubblica qualcosa. E là scatta la valanga di mi piace. 100, 200, 300 (che il decadente può pubblicare quante poesie struggenti vuole, otterrà solo il mi piace di sua mamma). Anche se il post è su una scimmia su un monociclo su un filo da equilibristi mentre mangia una banana (post al quale metterei mi piace pure io).

E poi scompare. Latita nell’internet.

C’è, ma non si vede.

  • Il decadente

Ve li ricordate, no? D’Annunzio, Pascoli, Pirandello e Svevo. Ognuno con vicissitudini e poetiche strane, con traumi infantili o  problemi col nido o gli uccelli.. Tutti, però,  accomunati da un enorme, immenso, infinito MAL DI VIVERE che Leopardi hai creato dei mostri (e fanculo li dobbiamo pure studiare..)

 

Il decadente è così, ha il mal di vivere e vuole lasciarne indelebile traccia come prima di lui fecero i suoi illustri predecessori sopracitati. E quale mezzo migliore se non il caro diario di Facebook?

 

Il decadente posta e condivide i suoi personali “Mai Na Gioia – University Edition”. Ogni cosa, sulla sua bacheca, racconta della disperazione di un esame andato male, di un pomeriggio di sole passato in casa a studiare, di una multa presa sul tram perché ha lasciato a casa il MAV (so che sapete di cosa sto parlando) “E come lo fa?” Vi starete sicuramente chiedendo.

 

Pubblica canzoni che Lana Del Rey SCELGO TE e frasi che Bukowski dammi un assist per lo stato.

Ragazzi miei belli, non per stroncare le vostre carriere da poeti degli anni duemila e più, ma a noi, che cazzo ce ne importa a noi?

 

 

 

  • Quelli di UniVersoMe

E poi ci siamo noi. Che ci vorreste cancellare un minuto sì e l’altro pure. Che pure io mi cancellerei, pure io mi sto sulle palle. Siamo degli spammatori accaniti. Non solo: siamo pure degli stalker che ogni due e tre vanno nei profili dei colleghi a controllare se è presente la condivisione.

I redattori e referenti del giornale e gallery/social, condividono ogni proprio articolo o post anche 6 volte al giorno. Prima o poi, per stanchezza, lo leggerai o metterai mi piace. Prendiamo le persone per sfinimento.

Gli speakers del canale radio, però, forse sono ancora peggio. Loro condividono tutto, a profusione: il post la mattina delle rubriche, i video delle dirette, il link della puntata, la foto fatta il giorno della puntata con il link del post-della diretta- della puntata.

La cosa peggiore è che siamo almeno 4 al giorno. Quindi bisogna moltiplicare tutte queste condivisione per 4, con rispettivi compagni taggati come se non ci fosse un domani. Un incubo.

Ah, poi arriva il lunedì. Il lunedì non importa che tu sia nell’area grafica, nella redazione, nella radio o sia Valeria Ruggeri: il lunedì si condivide l’editoriale. PUNTO.

E se non lo condividi, via, subito spedito ad Azkaban.

Come minimo.

Elena Anna Andronico

Vanessa Munaò

NMUN 2017 al nastro di partenza

NMUN (National Model United Nations) è un progetto indirizzato a studenti universitari di tutto il mondo il cui scopo è quello di consentire loro di confrontarsi su tematiche attuali di diritto internazionale, rispettando le regole di procedura che disciplinano le riunioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

La partecipazione al progetto è garantita agli studenti tramite l’intermediazione delle Università: ogni anno è possibile iscrivere una delegazione che andrà a rappresentare uno degli Stati Membri delle Nazioni Unite.
I delegati, immersi in un clima che promuove il rispetto reciproco e il lavoro di squadra, possono toccare con mano la complessità di far coincidere i divergenti e spesso contrastanti interessi degli Stati ma anche l’importanza di risolvere ogni controversia internazionale attraverso lo strumento del dibattito e della mediazione.
La referente del progetto per la nostra Università è la professoressa Marcella Distefano.
Anche quest’anno una delegazione studentesca parteciperà alla simulazione, dopo aver seguito nei mesi passati un corso di preparazione il cui obiettivo è fornire ai partecipanti gli strumenti necessari per poter agire come delegati nelle commissioni ONU, attraverso lo studio di nozioni essenziali sul funzionamento delle Nazioni Unite e i principi di diritto internazionale nondimeno la realtà socio-politico-economica dei paesi che si rappresenteranno.
Dal 9 al 13 aprile otto studenti (Aldo Ponticorvo, Alessandro Sciarrone, Fausto Consolo in qualità di Head Delegate, Giuseppe Parisi, Maria Antonietta Passari, Maria Giovanna Urso, Simone Greco e Umberto De Luca) rappresenteranno la delegazione della Repubblica di Nauru, e prenderanno parte ai lavori delle commissioni GA1, GA2, GA3, HLPF e UNEA che rispettivamente si occupano si disarmo nucleare, materie economiche, temi sociali, sviluppo sostenibile e tutela dell’ambiente.
(ndr. la delegazione messinese, già in viaggio, atterrerà nella Grande Mela intorno alla mezzanotte, ora italiana.)
Arianna De Arcangelis
Umberto De Luca

Ai tempi dell’università (a)Social: Instagram.

Sicura è solo la morte, diceva mia nonna. Cara nonnina, se tu ci fossi ora penseresti che siamo degli imbecilli (già lo pensavi all’epoca di MSN, quindi figurati).

Sicura è solo la morte… E gli studenti che procrastinano le loro giornate sui social. Quelli sono sicuri forse più dell’amica friz, là.

E qua subentriamo noi. In un momento di intesa riflessione shakespeariana, essere o non essere, dormire o non dormire, mangiare o mangiare fino a scoppiare, ci siamo chieste…

Facebook o Instagram? Questo è il problema.

Un problema davvero esistenziale (si vede che non ne abbiamo tanti di problemi, no?). Beh, guardiamo in faccia la realtà: è così.

Le nostre giornate di studio oscillano tra momenti di noia e dolore, con piccoli picchi di ‘’questa la pubblico su Instagram o su Facebook?’’

E, quindi, la vera domanda è: e TU, si tu, lettore di UniVersoMe… Che studente sei?

 

Lo Studente su Instagram:

  • L’instagrammer ‘’Solo Nature Morte’’

Questa è una delle categorie più atroci che descriveremo.

L’instagrammer “solo nature morte” vive in diretta streaming manco fosse al Grande Fratello speciale Università. Il suo profilo instagram è costantemente aggiornato; Foto, foto, foto e ancora foto ovunque e comunque. Se vi dicessi che il soggetto in questione vive costantemente con lo smartphone in mano, sarei banale (chi di noi non lo fa, dai.. su)

La sua particolarità, però, è quella di tenere sempre attiva la fotocamera. La mattina si sveglia? Foto del libro accanto alla tazza di premuta d’arancia. SCATTATO E POSTATO. Deve dare un esame? Foto del prima e del dopo al libretto (Anche qui… Scattato e Postato) Arriva in facoltà? Foto di sedie, banchi, penne, matite, cattedra e professore.. #LessonTime.

Si, perché gli hashtag sono forse la parte peggiore. Rigorosamente in inglese giusto per sentirsi un po’ più vicini ai colleghi di Oxford, che poi vorrei proprio vederlo uno che ad Oxford utilizza un hashtag del genere (Amici di Oxford vi lanciamo una sfida. Tutti con l’hashtag #ItaliansDoItBetter)

Il posto preferito degli Instagrammer “solo nature morte”? Senza dubbio le biblioteche, il miglior punto di ritrovo per gli scatti da 30 e lode.

  • L’influencer instastories compulsivo

Dai, ammettiamolo: a chi di noi non è piaciuta l’idea delle InstaStories? Quando MARK ZUCKENBERG, sempre il solito simpaticone, ha aggiornato l’app ha fatto un passo in avanti verso la nostra completa rovina (sono quasi sicura che faccia parte di un complotto internazionale per lavarci il cervello a tutti).

 

Da quel momento le persone si sono divise: chi ha continuato a postare in tranquillità e chi ha iniziato ad avere l’InstaStory compulsiva.

E qua entriamo in gioco noi studenti: similmente all’amichetto del punto 1, lo studente ossessionato dalle InstaStories mostra ogni singolo minuto della sua giornata di studio.

Autoproclamandosi regina delle celebrità (no bella, no magnifica MA senza pietà per noialtri), lo studente influencer ci rende perennemente aggiornati dei suoi spostamenti.

 

Non solo: fa l’update come le app. Si aggiorna. Prima erano solo video o foto di lui a lezione/mentre studia/ in biblioteca/ #pausacacca! Poi sono subentrati gli effetti. E i Boomerang. E i video da lontano che tanto c’è l’opzione senza mani (manco fossimo alle giostre). E gli adesivi. E gli adesivi con la posizione. E gli adesivi con l’orario. MA BASTA MARK TI PREGO ABBI PIETA’.

 

Speriamo solo che le sue conoscenze non si eliminino dopo 24h come le sue amate storie, sennò mi sa che finisce a #18&sto.

  • Il Chiara Ferragni dei Poveri

Ah meraviglia. Loro non sono studenti, sono degli sculati. VE LO GIURO. Sono i nostri Chiara Ferragni: viaggiano, ogni notte fanno serata, si rilassano con lo shopping e #Sushino?, che non guasta mai.

 

Che tu guardi i loro post e ti chiedi: MA COME CAZZO FAI, AMICO?

Sui loro profili l’università non è esistente, zero. Solo nuovi outfit, nuovi piatti, nuovi luoghi con #landascape da sogno. Ma PERCHE’?

 

Eppure studiano, vengono a lezione. Come lo sai? Perché LI VEDI. Cavolo, sempre abbronzati e rilassati, pronti per il prossimo hashtag, mentre tu fai schifo e ti sei ridotto come un verme insonne che dalla vita non ha niente.

 

ChiarE Ferragni: vogliamo sapere il vostro segreto. VI PREGHIAMO. Rendereste la nostra vita migliore.

 

  • L’incoerente

Avete presente quello che “no, le Nike le odio”, e poi le compra. “No, io a quella festa? Mai” e poi ci va. “No, io con quella non ci uscirei mai” e poi ci si fidanza (vabbè, diciamo che questo nei film succede tipo sempre)

 

L’incoerente è incoerente sempre, ma anche e soprattutto sui social. Odia e percula tutti quelli che ne fanno un utilizzo spropositato “Compà, cazzo ti posti?”. Finge di essere completamente disinteressato all’universo di like e commenti, si perché FINGE.

 

Prova particolare ribrezzo per coloro i quali sputtanano l’#UniversityLife su Instagram. Ma, ve l’ho già detto… FINGONO, FINGONO SEMPRE.

Con un po’ di attenzione riuscirete a scovare la loro reale ma segreta passione.

 

L’incoerente ha iniziato a seguire Università degli Studi di Messina, UniVersoMe, Vita Universitaria e Lo Studente Modello (con tutte foto di studenti a petto nudo in passerella) L’incoerente ha messo “mi piace” a una foto di Pietro Navarra. Ha lasciato un commento su una foto di “Studenti Disperati”… “Chi non si dispera non piglia CFU” ha scritto…

 

Poi si laurea e… Corone d’alloro, tesi di laurea, torte, champagne e regali. #AdMaiora. No… #AdFanculo.

 

“Ma io uso di più Facebook”… Non ti preoccupare, caro lettore. Arriverà anche il tuo momento, basta che aspetti la prossima settimana.

@elegram18  ( Elena Anna Andronico)

@vanemuna ( Vanessa Munaò)