Bianco come Dio: una storia di grande ispirazione

La storia di un ragazzo risvegliato. Voto UvM: 5/5

 

 

 

 

 

 

Ho diciott’anni e mi sento vecchio.

Lo avete mai pensato? Avete mai provato questa sensazione?

Abbiamo tutto ciò che un ragazzo o una ragazza di 18-25 anni potrebbe desiderare. Una famiglia, un ragazzo/a, studiamo, magari siamo già economicamente indipendenti. Eppure, anche se non vogliamo ammetterlo, qualcosa manca.

Non te lo sai spiegare.

Questa società è profondamente sbagliata.”

Sì, avete pensato anche questo. Molte volte. Tante volte.

Chi non lo pensa?

Organizziamo la nostra intera vita sulla base di questo concetto.

È vero, chi crede il contrario si sta prendendo in giro.

Abbiamo tutti rinunciato ai nostri sogni, e ci va bene così. Ci va bene questa vita preconfezionata. Ci va bene non esistere. Ci va bene arrenderci, e accontentarci e scegliere un dolore facile anziché un’impervia vittoria.”

Forse qualcuno è arrivato a questa conclusione. Sono le nostre stesse vite a comunicarcelo, lo vediamo nelle vita degli altri, il clima della società ne trabocca.

Non c’è alcun giudizio in tutto questo, è solo una fotografia della nostra realtà. Lo stile di vita predominante in questo momento storico.

C’è chi accetta volentieri e chi con un sentimento di impotenza.
Quale la bussola in questa situazione?

Io merito di meglio” è la risposta che si dà Nicolò Govoni in questo mare di incertezze.

Lui, giovane ventenne come noi, decide di giocare secondo le sue regole in un mondo privo di promesse per generazioni come la nostra.

Nel 2013 organizza la sua fuga e parte per un orfanotrofio dell’India meridionale.

Ricerca risposte, ma soprattutto ricerca sè stesso. È di una manciata di mesi la sua permanenza nella parte più povera del paese (Raccontata in un altro libro, “Uno”).

Tornato in Italia si ritrova cambiato: non è più lo stesso ragazzo.

Il vuoto, avvertito prima della partenza, è stato colmato dai bambini di Davayavu Home.

Nicolò ha trovato le risposte che cercava, ha trovato sè stesso.

Il pensiero di aver migliorato un’altra vita per un po’, ma poi lasciarsela alle spalle è per lui insopportabile.

Torna da loro, torna a Casa.

 

 

È da qui che ha inizio la narrazione di “Bianco come Dio”, pubblicato il 30 ottobre 2018 edito Rizzoli.

Una storia profonda, ricca di atti d’amore e resilienza.

Una lettura adatta a tutti, ma di grande impatto per la giovane generazione che può, senza ombra di dubbio, rispecchiarsi in Nicolò.

Lo stile, estremamente coinvolgente, affronta temi di notevole importanza con quella genuina semplicità che riesce a dare valore agli argomenti trattati più di tanti paroloni e ragionamenti stilistici.

La comunicazione di Govoni trascina il lettore in delle esperienze di vita vissuta facendolo entrare in risonanza con i protagonisti degli eventi narrati.

Per Nicolò la risposta è stata aiutare gli ultimi, ma questo libro non parla solo di volontariato.

Nell’opera è possibile individuare alcune tappe che ognuno di noi che crede di “meritare di meglio” si troverà a compiere. Eccole di seguito:

 

Risveglio. 

Già largamente argomentato nell’introduzione, è qui ripreso brevemente.

È dura ammettere che viviamo da “addormentati”, ebbri e accecati da uno stile di vita mediocre venduto da pubblicità e televisione.

Le massime aspirazioni del nostro tempo sono trovare un partner, avere un lavoro che ci permetta di divertirci nel weekend e trascorrere gli ultimi anni della nostra vita in tranquillità.

Non c’è nulla di sbagliato in tutto questo, è solo lo stile di vita della vecchia generazione.

Rendeva felici i nostri nonni e i nostri genitori. Siamo sicuri che funzionerà anche per noi?

Nicolò percepisce questa precarietà e fugge in India. Allontanandosi dalla realtà sgangherata in cui viviamo riesce a coglierne le falle.

 

Non lo so, papà” faccio dopo un po’. “Non so nulla. Nessuno di noi sa nulla, a casa, nè i miei coetanei, nè gli adulti, e questa incertezza ci sta facendo sbiadire giorno dopo giorno.
Questo perchè la gente cerca conferme in fattori esterni.” Si sfrega le mani. “La famiglia, il denaro, l’amore, la carriera…
Mi sento vecchio” lo interrompo. “Ho vent’anni e mi sento vecchio

 

La scelta. 

Conosciuta la verità è quasi impossibile fingersi ciechi e sordi.

Non è facile remare contro il modo di essere che ci è stato insegnato, ed è difficile accettare che sia infruttuoso. Tuttavia nasce una scintilla; si sente il dovere di farsi carico della responsabilità di cambiare le cose.

Govoni affronta le ferite del suo passato e combatte contro quei dubbi che silenziosamente assillano ognuno di noi ogni giorno. Una scelta è per sempre? Che ruolo ha il tempo nelle nostre vite? Si può tornare indietro?

 

Ma dobbiamo scegliere ugualmente.” Mio padre sospira, eppure la sua voce risuona nitida.
Come possiamo prendere decisioni se la posta in gioco è tanto alta?
Se non prendi alcuna decisione, stai comunque già scegliendo, no? Scegli di restare fermo.

 

La missione. 

La scelta implica un impegno. Un impegno che va onorato con tutti se stessi, ogni giorno, per tutta la vita.

È solo trovando noi stessi che scopriamo di poterci dedicare a qualcosa più grande di noi.

 

Fai in modo che ogni tua decisione” mi dice Piriya in una delle nostre lunghe passeggiate dopo la scuola “ti porti di un passo più vicino al tuo obiettivo finale.
E se non lo conosco, il mio obiettivo finale?
Passa un istante prima che risponda. “In che mondo vorresti vivere?

 

Anche noi, chiediamoci in che mondo vorremmo vivere, e poi mettiamo al servizio il nostro impegno per realizzare un cambiamento.

 

 

Il servizio come stile di vita. 

Il mondo ha tanti problemi, da un estremo all’altro.
Ignorarli “pensando in positivo” non li risolverà.

Migliorare la situazione non è così semplice come si crede. Tuttavia un modo c’è, e Nicolò è di grande ispirazione per tutti noi.
Sarebbe sufficiente mettere al servizio di una missione, che sentiamo ci appartenga, i nostri talenti e il nostro impegno. Tutto questo, perchè ci siamo compresi davvero.
I risultati non tarderebbero ad arrivare.

 

Sono solo un venticinquenne con un sogno: lasciare il mondo un po’ migliore di come l’ho trovato. Dopotutto, celebrare la vita significa farne il miglior uso possibile, e alleviare il dolore altrui è la miglior vita che io possa vivere.

 

Angela Cucinotta

Quando ci si trasforma da studente a giudice in pochi secondi: simulazione dinanzi l’ABF

©GiuliaGreco “Seminario: Diritti dei consumatori e sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie” – Dipartimento di Giurisprudenza, Messina 2019

Diritto dei consumi  è una materia complementare del corso di laurea  magistrale in Giurisprudenza, di cui è docente la prof.ssa Maria Astone, ma ha una particolarità: i ragazzi la seguono con singolare attenzione per l’attualità dei temi trattati, riguardanti i diritti dei consumatori, e per la particolare attività svolta dagli studenti, ai quali quest’anno è stato chiesto di simulare una procedura di risoluzione di una controversia dinnanzi all’ABF, Arbitro Bancario Finanziario. Questo è organismo indipendente ed imparziale che opera attraverso sette Collegi giudicanti. É stato introdotto dalla legge 262/2005 come un sistema di risoluzione stragiudiziale delle controversie, modificando il Testo Unico Bancario in materia creditizia e bancaria.

Gli allievi sono stati preparati dalla professoressa con l’ausilio dei suoi collaboratori – le dott.sse di Ricerca Simona Scuderi e Valeria Restuccia, e il dott. Calogero Leanza – presentando un caso reale che si è svolto dinanzi all’ABF. Gli studenti sono stati divisi in gruppi, rappresentando rispettivamente le parti in causa ed il collegio arbitrale. Ogni studente ha collaborato scrivendo specifiche parti dei temi affrontati suddividendosi il lavoro ed affrontando gli argomenti da sottolineare per “portare acqua al proprio mulino” e vincere la controversia.

©GiuliaGreco prof.ssa Maria Astone e prof.ssa Lara Modica – Dipartimento di Giurisprudenza, Messina 2019

Un lavoro di cooperazione e sinergia tra la didattica e la pratica che si riflette sugli studenti, all’inizio spaesati, per una prova non del tutto comune nell’attività universitaria. La lezione della prof.ssa Maria Astone, infatti, inizia con la classica impostazione di lezione frontale, per poi terminare con la trasformazione dei frequentanti del corso in avvocati e giudici.

L’anno 2019 è stato l’anno “fortunato” per gli studenti, i quali hanno avuto l’opportunità di simulare il processo davanti due componenti del collegio arbitrale di Palermo: la prof.ssa Lara Modica, docente dell’Università di Palermo, ed il prof. Francesco Ciraolo, docente dell’Università di Messina.

©GiuliaGreco prof. Francesco Ciraolo – Dipartimento di Giurisprudenza, Messina 2019

Ad introdurre la simulazione, il seminario “Diritti dei consumatori e sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie ABF” giorno 17 Aprile presso il dipartimento di Giurisprudenza organizzato dalla prof.ssa Astone. Dopo i saluti del direttore del dipartimento il prof. Francesco Astone e della prof.ssa Concetta Parrinello – docente di Diritto Privato e Coordinatrice Dottorato di ricerca in Scienze Giuridiche –  l’introduzione della prof.ssa Astone si è concentrata sulla tutela dei diritti dei consumatori, temi attualissimi che sfortunatamente vengono spesso poco considerati, facendo inciampare i consumatori in spiacevoli situazioni. Passata la parola al prof.ssa Modica, ha sviluppato il proprio intervento sulla tutela del contraente debole e sulla struttura dell’ABF.

<< È una grande occasione poter parlare della funzione dell’arbitro tra le aule universitarie. È un argomento che coinvolge tutti in realtà ma ancora, essendo una disciplina relativamente giovane, è difficile inserirla nel panorama accademico>>  ha detto la prof.ssa Modica.

Il prof. Ciraolo ha concentrato il suo intervento sulla Tutela dell’utente di servizi di pagamento e ABF, attraverso slide che potessero raccogliere i concetti di diritto bancario e della, appunto, tutela del soggetto consumatore dei servizi finanziari.

È seguita la simulazione con l’intervento sviluppato da ogni studente dinanzi gli ospiti del seminario. Con qualche approfondimento tecnico dei membri (reali) del collegio nei confronti dei partecipanti alla simulazione, si è concluso il seminario e l’esperienza degli studenti.

©GiuliaGreco gli studenti durante la simulazione – Dipartimento di Giurisprudenza, Messina 2019

Mettere in pratica immediatamente ciò che si studia, specie se in ambito giuridico, è un chiarimento ed un passo in avanti per i futuri giuristi.

©GiuliaGreco gli studenti durante la simulazione – Dipartimento di Giurisprudenza, Messina 2019

 

 

Giulia Greco

 

Caso Cucchi: la procura di Roma riapre il processo

A quasi dieci anni dalla morte del giovane geometra romano, si riapre l’indagine grazie alla deposizione dell’imputato Francesco Tedesco.

Un pestaggio violento, con Cucchi a terra e due carabinieri che in un’ “azione combinata” infieriscono sul geometra a poche ore dal suo fermo. Poi le minacce, il tentativo di insabbiamento e infine il coraggio di parlare, di dire tutto; per non sentirsi più “solo contro una sorta di muro, come se non ci fosse nulla da fare“.

Dopo nove anni di silenzi, congetture e false testimonianze, arrivano le prime parole di un testimone oculare su ciò che subì Stefano Cucchi, nella notte tra il 15 e il 16 Ottobre 2009,  mentre era nelle mani dello Stato: trattasi di pestaggio.

Il racconto di quegli attimi di violenza arriva da Francesco Tedesco, uno dei tre militari imputati al processo, che lo scorso Luglio di fronte al pm accusa gli altri due colleghi accusati come lui di omicidio preterintenzionale, Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro.

 

 

Chiedo scusa alla famiglia Cucchi.Comincia così l’interrogatorio del vicebrigadiere, che poi continua esponendo il racconto del terribile pestaggio al quale ha assistito. “Basta, finitela, che cazzo fate, non vi permettete”, queste le parole per cercare di metter fine a ciò che per nove anni è rimasto sconosciuto a tutti. Nove anni di silenzio in cui è stato minacciato sia dai suoi due colleghi (i carabinieri D’Alessandro e Di Bernardo) accusati del pestaggio, i quali gli dissero di non intromettersi; sia dal suo superiore, il comandante Roberto Mandolini, accusato di falso e calunnia, il quale, prima dell’interrogatorio, gli consigliò di dire che Cucchi stava bene. Nove anni di silenzio alla fine dei quali Tedesco ha deciso di parlare. “All’inizio avevo molta paura per la mia carriera, poi mi sono reso conto che il muro si stava sgretolando e diversi colleghi hanno iniziato a dire la verità“, queste le parole rilasciate alla fine dell’interrogatorio.

Tra questi risulta il collega Riccardo Casamassima, che con la sua testimonianza ha contribuito a riaprire l’inchiesta e che oggi dice a Tedesco “Bravo, ti sei ripreso la tua dignità.”.

In merito alla questione, arrivano anche le dichiarazioni del premier Conte, il quale ha fatto sapere che “il ministero della Difesa è favorevole a costituirsi parte civile nel processo per la morte di Stefano Cucchi.”.

Il muro è crollato”, commenta con queste parole la sorella Ilaria Cucchi, la quale, ha portato avanti in questi anni una dura battaglia per cercare di risalire alla verità e ottenere giustizia, andando a chiudere, forse, dopo quasi dieci anni, uno dei casi più bui della cronaca italiana.

 

                                                                                        Eleonora Genovese

 

 

 

Juve – Ajax: la vecchia signora impara dai piccoli

Fine dei giochi per la Juventus, battuta in casa dagli olandesi dell’Ajax che volano in semifinale.

Un’altra apocalisse, ma questa volta prevalentemente juventina, che ai quarti è fuori dalla Champions; addirittura dopo il miracolo compiuto ai danni dell’Atletico, impresa che era riuscita a riattivare il circuito delle emozioni e delle ambizioni tifose, allontanando ombre e scetticismi diffusi. Ieri è stato sfatato il tabù della rosa più forte, di chi spende più soldi; ieri finalmente si è rivisto il calcio. Il dominio del gioco, della tattica e anche il divertimento hanno fatto innamorare nuovamente i nostalgici di questo sport.
Nonostante un primo tempo equilibrato con la Juventus che passa in vantaggio con il “re” dei quarti di finale Cristiano Ronaldo (24 gol nei 21 quarti disputati in UCL) e il pareggio fortunoso di Van de Beek, la squadra dei “ragazzacci” di Erik ten Hag disputa un secondo tempo che difficilmente dimenticheremo. Velocità, tecnica e dinamicità sono la sintesi di quello che hanno fatto vedere ieri questi giovani: il tridente di attacco Ziyech, Tadic, Neres ha seminato il panico nella difesa Juventina, la quale è considerata una delle più solide d’europa , per poi disintegrala completamente al minuto 67’ dallo stacco imperioso del capitano diciannovenne Matthijs De Light, che porta i lancieri in vantaggio. Da quel momento i bianconeri, che per passare il turno ne devono segnare due, accusano il colpo e invece che cercare il pari, sono proprio i ragazzi di Ten Hag a sfiorare più volte il tris. Kean e Cr7 ci provano, ma senza fortuna. Il triplice fischio spegne il sogno Champions della Juve e dà il via libera alla festa dei giocatori olandesi che adesso si sfideranno, in una semifinale di lusso, contro la vincente di Manchester City-Tottenham.
Questo degli olandesi è un successo oltre che sportivo, culturale: dimentichiamo per un istante il denaro, i milioni bruciati, ma piuttosto pensiamo al calcio e alla bellezza infinita di questo sport.

 

Antonio Gullì

 

 

Parigi: Cattedrale di Notre-Dame in fiamme

 

 

 

 

Attimi di sgomento e paura per le fiamme che dal tardo pomeriggio hanno avvolto la Cattedrale.

Un grande incendio è divampato nel pomeriggio di ieri nella Cattedrale di Notre-Dame a Parigi, capolavoro gotico e patrimonio dell’umanità.

La sua guglia, uno dei simboli della capitale francese, e il tetto, sono stati distrutti dalle alte e imponenti fiamme, fino a farli crollare.

 

 

La struttura, la facciata e i tesori che custodisce invece sono stati salvati essendo all’interno della sagrestia.

Fumo e fiamme sono stati notati improvvisamente intorno alle 19 del pomeriggio, avvolgendo quasi interamente la parte superiore della cattedrale, tanto è che per una lunga e preoccupante fase era sembrato che l’incendio potesse distruggere l’intera cattedrale, ipotesi questa subito scongiurata, soprattutto grazie al tempestivo intervento e ottimo lavoro da parte dei pompieri.

L’incendio è stato definitivamente domato intorno alle 2, ma la stabilità della cattedrale e la profondità strutturale del danno sono ancora incerti e per questo è stata convocata alle 8 una riunione di esperti.

 

 

Sul posto sono ancora al lavoro un centinaio di vigili del fuoco con otto mezzi antincendio”, queste le dichiarazioni rilasciate da Laurent Nunez, segretario di Stato presso il Ministro dell’Interno.

Ancora ignote le cause che hanno innescato questo terribile incendio, motivo per cui la Procura di Parigi ha aperto un’indagine per incendio colposo.

 

 

Moltissime le dichiarazioni e le azioni attuate in merito a questo tragico evento.

Dal presidente Emmanuel Macron, il quale ha affermato: “Con Notre-Dame brucia una parte di noi”, e che, al tempo stesso, ha istituito una raccolta fondi per ricostruire il monumento; ai numerosi colossi del lusso, come Francois Pinault, che ha donato 100 milioni di euro, o come Bernard Arnault, proprietario e CEO del gruppo del lusso LVMH, che ha messo a disposizione un contributo record di 200 milioni di euro per aiutare la ricostruzione.

“Mi impegno, da domani lanceremo una raccolta fondi, anche Oltralpe. Lanceremo un appello affinché i grandi talenti vengano a ricostruire la cattedrale”, queste la dichiarazioni rilasciate dal premier francese.

“Il Papa è vicino alla Francia, prega per i cattolici francesi e per la popolazione parigina”, così in un tweet il direttore della Sala Stampa vaticana, Alessandro Gisotti.

Solidarietà e partecipazione al dolore sono arrivate da tutto il mondo, anche dall’Italia e dalla Germania con la rispettiva vicinanza da parte del premier Conte e dal cancelliere Merkel.

Con Notre-Dame in fiamme, Parigi e tutta la Francia, hanno assistito ad un altro evento che va a macchiare la loro storia, evento che non dimenticheranno mai più.

 

Gianluca Vitale

 

 

Mutilavano arti per ottenere risarcimenti dalle assicurazione. Un morto a Palermo

auto guardia di finanza e polizia

La banda adescava persone con gravi difficoltà economiche disposte a farsi mutilare in cambio di denaro.

 

Palermo. Si è conclusa stamane la maxi operazione portata avanti dalla Polizia di Stato e Guardia di Finanza che ha portato al fermo di quarantadue uomini.

I componenti del gruppo criminale avrebbero fratturato e mutilato gli arti di oltre cinquanta persone al fine di ottenere sostanziosi risarcimenti dalle assicurazioni.

Agghiaccianti i dettagli forniti dalla Procura di Palermo: dischi di ghisa, simili a quelli utilizzati in palestra, e blocchi di cemento gli strumenti utilizzati dai “boia” dell’organizzazione criminale.

L’operazione della Polizia di Stato, denominata “Tantalo bis“, rappresenta il prosieguo di una precedente operazione che si era conclusa nell’agosto 2018.

Fondamentale è stata in questo senso la collaborazione degli uomini arrestati lo scorso anno, che hanno deciso di fornire informazioni utili per lo sviluppo delle indagini.

Secondo AdnKronos gli indagati sarebbero più di cento; ma spicca un dettaglio importante: tra le persone in stato di fermo figurerebbero anche un medico e un perito assicurativo. Il gruppo criminale non si occupava quindi solo della parte “pratica”, ma anche di quella burocratica.

Lesioni gravi, usura, estorsione, peculato, truffe assicurative e autoriciclaggio sono solo alcuni dei capi d’accusa dei quali dovranno rispondere i membri dell’organizzazione.

Il meccanismo d’azione era semplice. Le vittime venivano adescate in luoghi sapientemente scelti; luoghi, non a caso, frequentati da persone ai margini della società: tossicodipendenti, persone affette da dipendenza da alcol, portatori di disabilità mentali e, più in generale, persone con gravissime difficoltà economiche.

 

 

Le pessime condizioni di vita e la grande necessità di denaro spingevano le vittime a prestarsi alle torture sopracitate.

Una gamba rotta valeva trecento euro e un braccio rotto ben quattrocento. Peccato che questi soldi non arrivassero mai. Così le persone restavano su una sedia a rotelle, mentre i criminali godevano dei proventi derivanti dalle truffe alle assicurazioni: somme di gran lunga maggiori di quelle promesse alle vittime.

Alla questione si ricollega anche la vicenda di Hadry Yakoub, cittadino tunisino trovato morto su una strada nella periferia di Palermo nel gennaio 2017. La sua morte, inizialmente imputata a un incidente stradale, era in realtà stata causata dalle fratture multiple procurategli dai membri dell’associazione per inscenare un incidente. I malviventi gli avevano inoltre procurato diverse dosi di crack per non farlo sottrarre alle lesioni.

 

Francesco D’Agostino

Gotham: tra corruzione e James Gordon

Aspettiamo che questa serie ci sorprenda ancora per valutarla al massimo. Voto UvM: 4/5

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lunedi 1 aprile è uscita su Netflix la quarta stagione di Gotham, sorprendentemente nuova, con i classici toni ironici ma con un livello più alto riguardo i personaggi e l’intreccio della storia.

Partendo dal principio, la serie rappresenta un prequel concentrato sull’origine dei personaggi, buoni o cattivi, che ruotano attorno all’universo di Batman.

Non è una serie che propone un’alternativa televisiva ai fumetti, ma un nuovo punto di vista, molto più umano e interessante anche per chi non ha una passione per i supereroi della DC, poiché racconta, in modo preciso e attento, l’evoluzione dei numerosi personaggi che quasi si affollano sullo schermo.

 

 

Essendo un prequel relativo al mondo del Cavaliere Oscuro, possiamo tutti immaginare che la storia inizia con l’omicidio di Thomas e Martha Wayne, genitori del giovane Bruce che, rimasto orfano si affida alla figura del suo maggiordomo Alfred.

La storia di Bruce Wayne (David Mazouz), destinato a diventare Batman, è raccontata e approfondita seguendo il punto di vista di un bambino traumatizzato che durante tutte le puntate cerca di vendicare l’assassinio dei suoi genitori e si affatica verso la ricerca di una propria identità.

In questa situazione risulta fondamentale la figura di Alfred (Sean Pertwee), l’immortale maggiordomo/tutore/maestro di vita di Bruce, che ritroviamo nella serie con un forte carattere, irruento e decisamente coinvolgente.

 

 

In realtà il vero protagonista non è il giovane Batman, ma la serie si presenta come un giallo in cui il detective James Gordon (Benjamin McKenzie) tenta di combattere il crimine fortemente radicato nelle fondamenta della città, cercando di rimanere aggrappato alla parte del giusto.

Accanto a lui vediamo il comandante della GCPD Harvey Bullock (Donal Logue), un personaggio che non riesce mai ad allontanarsi definitivamente dalla malavita e rimane, almeno all’inizio, quasi debole ma sempre estremamente divertente.

La malavita a Gotham è un problema che sembra non risolversi mai e durante tutta la serie viene gestita da diversissimi personaggi, ognuno con una propria storia e un proprio modo di agire. Da Don Falcone a Fish Mooney, l’unico che sembra essere sempre presente è Oswold Cabblepot (Robin Lord Taylor), il fantastico Pinguino, in continua lotta contro chi vorrebbe prendere il suo trono.

Ogni personaggio ha un proprio spazio nella serie.

 

 

Di ogni personaggio, che sia per due intere stagioni o per due sole puntate, si comprende l’evoluzione psicologica, il passato quasi sempre traumatico, ma importantissimo.

È da queste vicende che nasceranno infatti i cattivi o gli eroi che noi tutti conosciamo: è interessante notare il rapporto morboso di Oswald con l’adorata madre; la continua ricerca da parte di Selina Kyle, l’evidentissima futura Catwoman, di qualcuno di cui fidarsi; o le tragiche storie d’amore finite decisamente male di Edward Nigma, che già nelle puntate alterna la sua personalità con quella del cattivo Enigma; o ancora le vicende all’interno del manicomio di Arkham (in cui tutti sono entrati e da cui tutti sono poi magicamente usciti) di un morto e poi resuscitato Jerome Valeska (Cameron Monaghan), (ma riguardo al principale antagonista di Batman ci fermiamo qui per evitare pesanti Spoiler).

D’altra parte non è possibile dimenticare quello che tra tutti questi personaggi è il protagonista, ed è altrettanto impossibile non notare la sua continua e difficile lotta verso il male che non rispecchia solo la citta di Gotham, ma anche il suo stato d’animo.

Insomma vediamo una città piena di super cattivi, di pazzi, di corrotti contro cui James Gordon e tutta la sua squadra ha limitate possibilità.

Chissà quindi se al termine della serie riusciremo a vedere Bruce con maschera e mantello, o se Gordon riuscirà da solo a sconfiggere tutti i disastri che come funghi spuntano a Gotham.

La serie non si conclude però con la quarta stagione, dobbiamo attenderne una quinta, appena uscita negli Stati Uniti e che uscirà in Italia il 5 maggio, sulla piattaforma Mediaset Premium.

 

Federica Cannavò

La storia dell’uovo pasquale

Sotto le festività pasquali il regalo più tipico è l’uovo di Pasqua, uova di cioccolato, decorate e non con all’interno quasi sempre una sorpresa.

 

 

E’ una di quelle tradizioni per cui bisogna andare indietro nel tempo per trovarne il vero significato.

In tutte le tradizioni del mondo con poche esclusioni, esiste il concetto di “uovo cosmico”, simbolo del mito cosmogonico della creazione dell’universo.

 

 

Nell’ Orfismo, come per molte altre religioni, è proprio dall’uovo che scaturisce il concetto di universo, che anticipa di molti millenni la teoria del Big Bang .

L’usanza di regale uova nasce fra le popolazioni iraniche per la festa zoroastriana di Nowrùz (il capodanno, all’equinozio di primavera).

Già gli antichi Persiani si scambiavano uova decorate, e questa usanza si è diffusa sia in Oriente che in Occidente, entrando a far parte a tutti gli effetti dell’immaginario e della simbolicità equinoziale-Primaverile.

Dalila De Benedetto 

La sessione invernale

Edvard Munch – Notte a Saint-Cloud

 

Gli occhi del professor Corelli erano verdi e aspri. Quando si posavano su di me, io li evitavo sempre.
Allora, gli esami di diritto privato si tenevano in un’auletta cupa e umida al primo piano. Le pareti erano colme di vecchi tomi traboccanti dalle massicce librerie, ed emanavano un odore polveroso e caratteristico che suscitava in me qualcosa di simile a una sensazione anticamente familiare e ormai, chissà come, solo parzialmente accessibile. Una lunga cattedra era piazzata proprio in fondo all’aula e, davanti a questa, diverse file di sedie venivano occupate dagli studenti in attesa.

Corelli era solito arrivare con almeno un’ora di ritardo, e se questo poteva infastidire i miei colleghi, per me era invece fonte di sollievo perché avevo così tutto il tempo per prendere confidenza con l’ambiente. Quando egli entrava in aula, un silenzio improvviso decapitava il brusio dei colleghi, e subito iniziava il traffico muto di quei volti pallidi che raggiungevano intimoriti la cattedra.

Quando finalmente mi decisi a presentarmi all’appello, avevo già saltato diverse sessioni d’esame – un po’ per pigrizia, un po’ perché la materia era oggettivamente lunga e complessa. Quel giorno ero l’ultimo dell’elenco e Corelli era visibilmente stanco. Io invece ero stranamente eccitato: la collega che mi precedeva non aveva fatto in tempo a riporre il libretto in borsa che già prendevo il suo posto alla cattedra. Avevo impresso sul volto quel sorriso mesto e bonario che si è soliti mostrare quando si vuole placare un cane arrabbiato; tuttavia, il mio mastino pareva non avere intenzione di degnarmi della minima attenzione. Mi decisi allora a sussurrare: «Buongiorno professore».

Corelli alzò il capo di scatto, come se, invece del mio tremulo saluto, avesse appena udito un boato provenire da un luogo imprecisato a pochi centimetri dal suo naso. Non appena mi ebbe visto, il suo sguardo, fino ad allora addolcito dalla stanchezza, si tramutò in quella livida severità a cui ero abituato e che ero solito temere.
«Buongiorno professore» ripetei, sforzandomi d’ignorare il senso di sconforto che progressivamente m’invadeva.

Allungai  il libretto verso di lui continuando a sorridere con aria affabile,e avvertii che quello sguardo arcigno si era finalmente staccato dal mio volto per osservare ciò che le mie mani gli tendevano. Con un gesto rapido, ma gentile, Corelli prese il mio libretto e iniziò a sfogliarlo con uno sguardo che non gli avevo mai visto prima d’allora e che, forse, non era nemmeno concepibile su quel volto: le due fessure verdi si erano adesso aperte e apparivano smarrite in un vuoto d’incertezza quasi infantile. Tutto durò pochi secondi. Subito si riebbe, e tornò il professor Corelli. Non ricordo cosa mi chiese esattamente, ricordo solo che la mia voce cominciò a scorrere in un flusso di parole e termini tecnici che avevo parecchio faticato a memorizzare nei mesi precedenti. Dopo neanche un minuto il professore m’interruppe facendo strisciare verso di me il libretto. Disse: «Alla luce di ciò che sento e vedo non posso promuoverla. Mi dispiace, buona giornata». Rimasi folgorato da quella sentenza brutale, che percepivo ingiusta e gratuitamente punitiva.

Corelli, con lo sguardo basso, sistemava rumorosamente la pila di fogli su cui aveva appuntato i nomi dei suoi studenti coi loro rispettivi destini. Notai dolorosamente che non si era neanche preoccupato di scrivere il mio nome tra gli esaminati. Mi allontanai velocemente dall’aula, come se lo spazio che fino a poco prima mi accoglieva fosse stato corrotto da una distorsione che lo rendeva, adesso, perverso e ripugnante. L’incredulità si tramutò ben presto in amarezza. Avevo studiato davvero tanto per l’esame ed ero convinto di aver risposto in modo corretto alla domanda del professore.

Raggiunsi casa, stremato, e dormii fino a sera inoltrata. Sognai di trovarmi ancora nell’auletta del primo piano in attesa di sostenere l’esame. Mentre attendevo, mi rendevo improvvisamente conto di non aver studiato e di sconoscere, nel modo più assoluto, la materia. Ad un tratto mi trovavo seduto innanzi al professore, ma non era il solito Corelli: questa improbabile figura onirica mi chiamava affettuosamente per nome, sorridendomi. Io sbagliavo ogni parola e ogni articolo, ma lui, placido, mi correggeva con paterna pazienza.

Alla fine mi promuoveva a pieni voti, e ogni piega del suo volto brillava d’un compiaciuto orgoglio. Mentre mi alzavo dalla sedia notavo che, improvvisamente, la sua espressione era mutata: mi rivolgeva adesso uno sguardo di rimprovero, carico di disgusto. Un senso di profondo disagio mi accompagnò ben oltre il risveglio. L’alba violava già la mia finestra, e io mi trovavo ancora disteso nella medesima posizione in cui mi ero svegliato. La luce sanguigna proiettava un unico fascio nella stanza, e questo aveva capricciosamente deciso di riversarsi proprio sulla scrivania di fronte al mio letto; le lettere dorate del prolisso “istituzioni di diritto privato” scintillarono d’una folgore luciferina. Mi bruciavano gli occhi e la gola. Cos’era accaduto il giorno prima? Possibile che avessi commesso qualche errore grossolano di cui non m’ero accorto? Mosso da un istinto di sopravvivenza disperato e maldestro, strisciai dal letto fino alla finestra di fronte e abbassai rumorosamente la serranda. Dormii per il resto della mattina, senza sognare. Quando mi svegliai, decisi che mi sarei ripresentato all’appello successivo.

Quindici giorni dopo, mi trovai nuovamente in attesa nell’ormai odiata aula – e stavolta non sognavo mica – il baccano prodotto dai colleghi testimoniava la vita cosciente in quell’anfratto di universo che, per puro caso, ci trovavamo a condividere. Quando arrivò Corelli io sudavo e sorridevo, perché avvertivo che la mia rivalsa era prossima a realizzarsi. Continuai a sorridere e – beninteso – a sudare per parecchio tempo, fino a quando non notai quasi per caso che il collega prenotato prima di me si era appena alzato. Subito mi fiondai sul posto lasciato vuoto. Mentre tiravo fuori il libretto, Corelli si alzò sbottonandosi la vecchia giacca: il velluto nero gli ingabbiava quella flaccida rotondità che, negli uomini della sua specie, costituisce un autentico segno distintivo, e che viene coltivata non senza un certo impegno. Tutto, in quell’aggregato di baffi, adipe e velluto, suggeriva una personalità rigida e limitata dalla propria severità: nella vita non avrebbe potuto far altro se non insegnare diritto privato. Per un attimo provai una profonda pena per lui; l’attimo successivo provai pena per me, e rabbia nei suoi confronti. Chi gli dava il diritto di trattarmi in quel modo? Dopotutto, non era pagato per trattare con sufficienza i suoi studenti, ma per verificare che avessero appreso ciò che lui stesso gli aveva insegnato. Che mi esaminasse, dunque! Ma Corelli sostava in tutta la sua mole di fronte alla finestra, perso in chissà quale lontana malinconia.

Dissi: «Salve professore», in un certo tono cupo che voleva suonare più come un rimprovero che come un saluto. Dovetti esagerare col volume, perché Corelli si girò di scatto, con lo stesso sguardo allarmato che avevo già visto due settimane prima. Mi guardò perplesso e venne cauto a sedere di fronte a me,protetto dalla giacca che aveva prontamente abbottonato per intero. Esordì a bruciapelo: « Può la nullità essere rilevata d’ufficio? Risponda solo si o no.». Risposi di si. Continuò: «E l’annullabilità?». Risposi di no. Distolse lo sguardo e, guardando verso la finestra pronunciò delle parole ormai a me tristemente familiari: «Mi dispiace, ma allo stato attuale delle cose non posso promuoverla. Arrivederci.». Sentii il sangue tramutarsi in onde bizzose e le vene delle mie tempie dovevano essere visibili: turgide e simili a rami bluastri, le avvertivo pulsare veloci, sincrone al cuore.

Senza che avessi il tempo di rendermi  conto del potenziale guaio in cui mi stavo cacciando, esclamai:« No! Ho studiato duramente per l’esame, e ho risposto in modo corretto! Perché non vuole promuovermi? Mi risponda! Perché? ». Subito dopo aver dato adito a quella tempesta miscellanea di collera e frustrazione mi resi conto che Corelli stava guardandomi con due occhi verdi e grandi, da bambino. Sussurrò, dolcemente: «Mio caro ragazzo, io non posso promuoverla per il semplice motivo che lei non esiste.». Pensai di aver sentito male. Continuò: «Pur volendolo, non potrei. E mi dispiace molto, mi creda. Povero, povero ragazzo, ascolti finalmente il mio consiglio, torni a casa.». Inizialmente, dovetti contenermi con tutte le mie forze per non scoppiare in una fragorosa risata; notando che Corelli non scherzava affatto, sentii il sangue abbandonare il mio volto per tramutarlo in una desolata maschera di anemico terrore. Afferrai di scatto il mio libretto, come per ribellarmi a quella nuova e crudele realtà che mi era stata imposta, e iniziai a sfogliarne le pagine: erano tutte bianche. Anche l’intestazione e la matricola erano occupate solo da spazio vuoto.
– « È impossibile, io sono uno studente di questa facoltà e, in quanto tale, ho il diritto di sostenere l’esame! Sono regolarmente iscritto, il mio nome è…»
–  «Qual è il suo nome, ragazzo? ».
Mi resi conto di non saperlo. Tremando, portai le mani a quello che avrebbe dovuto essere il mio volto, ma non vi trovai né naso, né occhi, né bocca. Lanciai uno sguardo supplicante in direzione di Corelli, sperando di incrociare quegli occhi severi e familiari, ma trovai invece solo il volto di un vecchio commosso e usurato dalla stanchezza. «Torni a casa», ripeté in un sospiro.

Reggendomi a malapena sulle gambe, feci ritorno in quella che, ormai da tempo immemore, era divenuta la mia casa. Silenziose, le pagine gialle e rattrappite del vecchio tomo di diritto privato mi accolsero dalla scrivania, simili alle braccia aperte di una madre anziana e comprensiva.
Mi distesi sul letto che ancora tremavo, ma mi addormentai quasi subito.

Da allora, il professor Corelli viene spesso a visitarmi in sogno, e a volte riesco a sostenere il suo sguardo.

                                                                                                                                                      Fabrizio Bella

 

Allarme lupi. Viminale: Sì all’abbattimento

Sì all’abbattimento, ma “solo a condizione che sia stata verificata l’assenza di altre soluzioni praticabili“, dei lupi, razza tutelata dalla legge 357 del 1997.

 

 

Questo è ciò che prevede una circolare del Viminale, inviata ai commissari di Governo delle Province di Trento e Bolzano ed al presidente della Regione Valle d’Aosta.

Secondo la suddetta, di recente, in alcune aree del territorio nazionale, vi è stato è un aumento della presenza di lupi, che avvicinandosi ai centri abitati causano, non solo panico tra gli abitanti, ma anche importanti danni economici agli allevatori, attaccando ovini, caprini e talvolta bovini nelle zone di pascolo e di ricovero.

Da qui, continua la circolare :

l’esigenza di adottare interventi di carattere preventivo ai fini della tutela della pubblica incolumità e della salvaguardia delle attività tradizionalmente legate alla montagna, all’agricoltura e alla zootecnia“.

La notizia ha subito fatto scalpore e scatenato l’ira del WWF e di tutti gli animalisti.

 

 

Gli esperti del Large Carnivore Initiative for Europe della IUCN, hanno dichiarato che non esiste alcun allarme lupo, la circolare sarebbe solamente un attacco gratuito ed ingiustificato a questa specie. I dati più recenti dimostrano infatti che il numero dei danni dovuti ai lupi e alla loro gestione, in Trentino Alto Adige, è estremamente ridotto.

Se la norma venisse realmente attuata si rischierebbero quindi, una serie di uccisioni insensate ed ingiuste, contro “la specie simbolo della natura e della biodiversità“.

Benedetta Sisinni