Giorgio Poi- Schegge: frammenti sonori di un’anima in evoluzione

Giorgio Poi
Schegge non è un album facile, ma è necessario per chi ha ancora voglia di ascoltare davvero, senza saltare tracce, senza cercare solo il ritornello. Un album che non ti consola, ma ti capisce. E a volte basta quello. Voto UVM: 4/5

Nel panorama dell’indie italiano, Giorgio Poi è sempre stato un equilibrista raffinato, un autore capace di camminare sul filo che separa l’introspezione dalla leggerezza, la melodia pop dall’inquietudine sottile. Con Schegge, il suo nuovo album, sembra aver lasciato cadere quel filo per frantumarlo, e raccoglierne poi i pezzi più taglienti e lucenti. Il risultato è un disco che non chiede di essere capito, ma attraversato.

Un viaggio tra le tracce

Il titolo non è casuale: Schegge è davvero un insieme di frammenti non disordinati, piuttosto pagine strappate da un diario con gli angoli bruciacchiati, ancora pieni di verità. Ogni canzone è un microcosmo, una fenditura nel tempo in cui Giorgio fa passare la luce delle sue emozioni: l’ironia, la malinconia, la paura della fine e l’incanto delle piccole cose. Il suono si è evoluto, più stratificato, più ampio, ma mai sovraccarico. C’è un’eleganza sottile nella produzione, che unisce tastiere spaziali a ritmiche leggere, e una voce sempre vicina, sussurrata, come se stesse cantando solo per te.  L’album racconta questo tempo rallentato, questa sospensione emotiva che rende Schegge un’opera coerente: non un concept album, ma una mappa emotiva tracciata con delicatezza. I testi, come sempre, sono ellittici, pieni di immagini spiazzanti e quotidiane (“Il bottone è sbagliato in un’asola”, “Sfogliavo i tuoi capelli con le mani”).

   

Schegge: frammenti di un tempo sospeso

L’album si apre con giochi di gambe, brano dove l’ironia incontra la sensualità. È una canzone sull’attrazione e sulla goffaggine che accompagna l’intimità. I riferimenti stilistici vanno dal funk leggero anni ’70 al cantautorato indie italiano contemporaneo. L’arrangiamento è sinuoso, con un basso quasi parlante. La frase “Sulle tue gambe batte un sole che mi fa morire” ha la forza ambigua di una carezza sotto una luce al neon.

Una ballata liquida e rarefatta che scivola sotto pelle come un sogno d’estate dimenticato, Nelle tue piscine affonda in un immaginario acquatico per raccontare lo smarrimento identitario, ma senza mai alzare la voce. Le piscine diventano qui metafora ambigua — rifugio e prigione, specchio e abisso — di una ricerca di sé che non approda mai a una riva definitiva. È la dolcezza inquieta di chi si perde senza volersi davvero ritrovare.

 La scrittura di Giorgio Poi — che già nei dischi precedenti giocava con le immagini e la sospensione del senso — qui si fa ancora più ellittica, rarefatta, frammentaria. Non è un caso che  Uomini contro insetti, brano che sembra una lunga visione allucinata, tra critiche ecologiche, surrealismo urbano e umori pasoliniani. Il tono è dimesso, ma le immagini sono visionarie: “Mi hai lasciato sulle labbra il rosso dell’alchermes, e il tuo herpes”.

 

Il titolo, enigmatico e quasi scientifico, evoca una soglia oltre la quale la vita — e forse anche l’amore — non può più sopravvivere. Non c’è vita sopra i 3000 Kelvin è un brano che fonde inquietudine cosmica e tenerezza domestica, dove la fisica del calore si trasforma in metafora affettiva: il cuore, quando arde troppo, rischia di non sentire più. Il verso chiave, «Metti un orecchio sul mio petto / e all’improvviso hai capito tutto», ricorda da vicino la poetica di Lucio Dalla — quella capacità di condensare la vertigine dell’amore in un gesto minimo, quotidiano, quasi infantile.

Nel paesaggio emotivo del disco, Les jeux sont faits rappresenta il momento della resa elegante, dell’abbandono lucido, in cui la perdita diventa anche una forma di maturazione. La melodia è rarefatta, trattenuta, come se ogni nota esitasse prima di cadere, mentre il testo affonda in una forma di confessione trattenuta, in cui la voce sembra parlare tanto a un altro quanto a sé stesso. L’introspezione si carica di una dolce rassegnazione, che richiama certi finali felliniani: tutto è già accaduto, e non resta che guardarlo scorrere come un film che conosciamo a memoria.

Estetica della frantumazione

Già la title track, schegge, colpisce per economia espressiva: un minuto e mezzo che è dichiarazione poetica e gesto zen. Qui ogni canzone è un frammento che non vuole ricomporsi: è la bellezza dell’incompiuto.

Tutta la terra finisce in mare è invece un picco emotivo. La canzone osserva la vita dall’alto, come se cercasse un punto di fuga nel dolore. C’è qui un’intimità che non si chiude in sé, ma si espande, ricordando certe pagine di Lettere a un amico lontano di Franco Arminio, o i lunghi campi larghi del cinema di Alice Rohrwacher: la lentezza come forma di rispetto, la distanza come dichiarazione d’amore.

 

Un aggettivo, un verbo, una parola, probabilmente il brano chiave dell’album, sembra dialogare a distanza con Cara di Dalla. Lì c’era la costruzione progressiva del desiderio; qui, l’addio diventa un esercizio di grammatica, in cui ogni strumento è punteggiatura e la voce diventa silenzio. Un addio scritto “nell’attimo esatto in cui accade”, come dice lo stesso Poi.

Chiude il disco delle barche e i transatlantici, brano che potrebbe essere scambiato per una novella di Buzzati musicata da Battiato. Protagonista è la metafora del viaggio, del trasloco interiore, dell’andarsene senza clamore. La leggerezza qui non è evasione, ma scelta consapevole. È il punto d’approdo dopo una navigazione incerta.

Conclusioni

Con Schegge, Giorgio Poi non rivoluziona se stesso, ma affina la sua poetica. È un disco che non si consuma, ma si lascia abitare. Non è per chi cerca canzoni da canticchiare, è per chi ha ancora voglia di perdersi nei dettagli, negli echi, negli spigoli. In un’epoca che ci vuole sempre interi e performanti, lui ci ricorda che anche le schegge possono riflettere la luce.

Gaetano Aspa

SostenibilMEnte: Messina diventa protagonista della sostenibilità

Dal 10 al 16 maggio 2025, Messina si prepara a diventare il centro del dibattito sulla sostenibilità con SostenibilMEnte, una settimana ricca di iniziative promosse in sinergia tra Comune di Messina e Università degli Studi di Messina, nell’ambito del Festival dello Sviluppo Sostenibile promosso a livello nazionale da ASviS – Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile.

Un evento di portata nazionale che coinvolge enti pubblici, scuole, università, associazioni e cittadini in un percorso comune di conoscenza, consapevolezza e azione concreta sui temi della sostenibilità ambientale, economica e sociale, in coerenza con gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.

Una settimana di confronto e partecipazione

Il programma della manifestazione si articolerà in una pluralità di appuntamenti, tra cui seminari, laboratori, challenge, visite guidate, tornei e incontri divulgativi, pensati per coinvolgere attivamente cittadini, studenti e professionisti in un dialogo intergenerazionale e interistituzionale.

Cuore simbolico dell’iniziativa saranno i due eventi conclusivi previsti per il 16 maggio: da un lato “Messina 2030 – Festival della Sostenibilità 2025”, promosso dal Comune presso Villa Dante, e dall’altro la VII edizione dell’“UniMe Sustainability Day”, ospitata al Plesso Centrale dell’Ateneo.

In particolare, l’UniMe Sustainability Day vedrà il coinvolgimento diretto di scuole, studenti universitari, docenti e rappresentanti istituzionali in attività suddivise in cinque aree tematiche chiave: Risorse e Ambiente, Mobilità, Energia, Inclusione e Salute.

Le parole delle istituzioni

A sottolineare il significato profondo dell’iniziativa sono le parole della Rettrice dell’Università di Messina, prof.ssa Giovanna Spatari, che ha dichiarato:

Sono orgogliosa di poter affermare che l’Università di Messina si conferma ancora una volta protagonista attiva e responsabile nella promozione della sostenibilità, al fianco del Comune. L’università ha il dovere non solo di produrre conoscenza, ma anche di guidare il cambiamento. SostenibilMEnte è una preziosa occasione di impegno e confronto, per costruire una cultura fondata sul rispetto dell’ambiente, sull’inclusione sociale e sulla responsabilità civica.

Dello stesso avviso è il Sindaco di Messina, Federico Basile, che ha evidenziato l’importanza della collaborazione istituzionale come leva per un cambiamento concreto e duraturo:

Con SostenibilMEnte diamo continuità al percorso avviato con Messina 2030 – Green Events. È una sfida culturale che mira a radicare nei cittadini, soprattutto nei più giovani, una nuova visione del presente e del futuro. La collaborazione con l’Università è il segno tangibile che le istituzioni possono e devono fare rete per accompagnare la transizione ecologica, sociale ed economica del nostro territorio.

Una città in cammino verso il futuro

Il programma dettagliato degli eventi verrà diffuso nei prossimi giorni e prevede il coinvolgimento attivo di scuole, associazioni, imprese, enti pubblici e cittadini in momenti di confronto, gioco, approfondimento e partecipazione attiva.

Messina si conferma così laboratorio vivo di sostenibilità, con uno sguardo al futuro e l’impegno concreto delle sue istituzioni a favore di una transizione che mette al centro la comunità, il territorio e le nuove generazioni.

SostenibilMEnte

Il calendario degli appuntamenti che coinvolge cittadini, istituzioni, studenti e associazioni attraverso tornei, challenge, seminari, visite guidate e momenti di approfondimento sarà così articolato:

10 maggio:  visita guidata “Le sorgive della Valle dei Mulini e la sua cascata”- Comune Messina, AMAM, FAI https://www.facebook.com/share/p/1FPfkwptH9/(link is external);
“Spontanea: La natura intorno a noi” – Università di Messina /Orto Botanico https://newsletter.ortobotanico.messina.it/wp-content/uploads/sites/2/2025/05/Locandina_Spontanea.pdf(link is external);

11 maggio: “Spontanea: La natura intorno a noi” – Università di Messina /Orto Botanico https://newsletter.ortobotanico.messina.it/wp-content/uploads/sites/2/2025/05/Locandina_Spontanea.pdf(link is external);

12 maggio: Torneo universitario pallavolo -Università di Messina e SSD Cittadella Sportiva UniMe https://www.unime.it/sites/default/files/2025-04/Locandina%20sustainability%20day%2025%20pallavolo.pdf(link is external) ; Pulizia spiagge -Comune Messina, Messinaservizi Bene Comune;

13 maggio: Challenge didattica tra studenti universitari: “Cinque Continenti, Cinque Elementi per la Sostenibilità” (Università di Messina, COSPECS)

15 maggio: Firma Accordo quadro CONAI (Comune Messina, Università di Messina e Messinaservizi Bene Comune); La Forza di un Gesto: la Rettrice e il Sindaco piantano insieme un albero;

16 maggio: Messina 2030 – Festival della Sostenibilità 2025 – Villa Dante https://youngme.comune.messina.it/messina-2030/(link is external);

UniMe Sustainability Day 2025 – Università di Messina, Campus centrale https://www.unime.it/notizie/vii-edizione-unime-sustainability-day#:~:text=L’edizione%202025%20dell’Unime,%2C30%20alle%2013%2C30

 

Gaetano Aspa

OpportunityDay: tre giornate dedicate a orientamento, formazione e lavoro per i giovani under 35

Dal 6 all’8 maggio 2025, Messina diventa capitale delle opportunità per i giovani con OpportunityDay, un evento che animerà il cuore della città dalle ore 9.30 alle 17.30, offrendo tre giornate interamente dedicate all’orientamento, alla formazione e all’inserimento nel mondo del lavoro.

L’iniziativa, promossa dal Comune di Messina in collaborazione con l’Università, e patrocinata dalla Camera di Commercio e dall’Ente Teatro, nasce con l’obiettivo di costruire un ponte concreto tra studenti, istituzioni, agenzie formative e aziende. Il traguardo è ambizioso ma chiaro: supportare i giovani under 35 nell’individuazione del percorso più adatto alle proprie inclinazioni, fornendo strumenti utili per affrontare in modo consapevole e attivo le scelte post diploma.

Fulcro dell’evento sarà Piazza Unione Europea, dove l’Università di Messina sarà presente con i propri Dipartimenti per presentare l’offerta formativa per l’anno accademico 2025-2026, insieme ai numerosi servizi rivolti agli studenti. Parallelamente, nella vicina Sala Laudamo, si terranno talk e miniconferenze tenute da docenti, ricercatori ed esperti, su temi di grande attualità, pensati per stimolare riflessioni, visioni e scelte.

Dove inizia il tuo futuro

La rete di contatti che si attiverà durante Opportunity Day Messina coinvolgerà Università, Scuole, Imprese e Istituzioni in un dialogo costruttivo. I partecipanti potranno confrontarsi direttamente con docenti universitari, professionisti, aziende e rappresentanti istituzionali, in momenti dedicati al networking e allo scambio di esperienze. Ampio spazio sarà riservato anche agli stand informativi sui progetti rivolti agli under 35, che mettono al centro approcci personalizzati alla formazione e al lavoro, in linea con le passioni individuali e i trend del mercato.

Opportunity Day Messina si configura così come un’occasione preziosa per valorizzare il territorio e le sue risorse, stimolando nei giovani scelte consapevoli e percorsi costruiti su misura. “Inizia da qui il tuo futuro”, recita lo slogan dell’evento — un invito che è anche una promessa concreta di crescita e possibilità.

Gaetano Aspa

Drowning in the Search

The thirst in my eyes won’t fade away,
What can I do? You don’t show the way.
Though I plead, my heart won’t bend
The leash of my mind won’t hold or mend.

I’ve drifted into a tangled haze,
Like one gone mad, lost in a daze.
In search of You, I slowly drown,
And drop the keys that calm me down.

Exhausted, hopeless, I curse my name,
Then suddenly, I see Your flame.
Within myself, You gently gleam
A waking truth, a living dream.

My search dissolves into my soul,
The storm of questions finds its role.
Now that truth has touched my chest,
I hold the world in warm embrace.

A well was always deep inside,
Yet for two drops, I nearly died.
Now carrying You in every breath,
I wander free, in joy, in depth.

At last, I sleep in peace.
At last, I sleep in peace.

(Too close to be lost
Too far to be found).

                                           Eklavya Sihag

L’Amore nell’epoca della fluidità

Viviamo un tempo liquido, come lo avrebbe definito Zygmunt Bauman, in cui nulla sembra destinato a durare, in cui la velocità ha sostituito la profondità, e le connessioni permanenti non garantiscono più la presenza reale.

È l’epoca della fluidità, in cui anche l’amore si è fatto liquido: scorre, sfugge, evapora senza forma, come un fiume che non ha argini né sponde, anche le relazioni sembrano dissolversi prima ancora di prendere forma.

Ma cos’è l’amore oggi?

È una parola usata con leggerezza eppure caricata di attese antiche. È un bisogno profondo di contatto, ma anche una paura del legame. Nell’epoca del matching, del ghosting e del poliamore, l’amore è diventato un’esperienza a  intermittenza. Ci si cerca e ci si sfugge. Si desidera la fusione e insieme l’autonomia. L’intimità è desiderata quanto temuta. Come scrive Byung-Chul Han:

Il vero amore è solo quello che accetta la necessità di annullarsi affinché l’Altro possa giungere.

Tuttavia, l’amore ha sempre avuto a che fare con la contraddizione. È desiderio e limite, come ci ha insegnato Platone nel Simposio, è l’impulso a completarsi, a cercare nell’altro ciò che in noi è incompiuto. Anche oggi, in questa era dove tutto è provvisorio, l’amore conserva la sua forza archetipica: è ciò che ci strappa al narcisismo, ci espone, ci rende vulnerabili, ma anche vivi.

Nel Novecento, Roland Barthes scrisse:

L’altro è assegnato a un habitat superiore, a un Olimpo ove tutto si decide e da cui tutto emana su di me.

 

René Magritte, Les Amants (Gli Amanti), 1928, olio su tela, 54×73 cm, MoMA, New York

 

Ma come si interpreta un amore che si dissolve nell’istantaneità? Dove tutto può essere sostituito da uno swipe?

Oggi dire “ti amo” ha perso il suo peso. Troppo spesso lo si dice senza voler davvero restare, o senza nemmeno sapere cosa significhi voler restare. L’amore, quello vero, non è perfetto: è costruzione. È conflitto che non distrugge, ma insegna. È fiducia che si rinnova. “Amare non è guardarsi l’un l’altro, ma guardare insieme nella stessa direzione”, scriveva Saint-Exupéry. E in questa condivisione di orizzonti si fonda la forza del legame.

Molti oggi rivendicano il diritto alla libertà emotiva, alla molteplicità, al non dover definire ciò che provano. Ma l’amore chiede coraggio. E proprio in questo scenario di incertezza, l’amore resiste, sopravvive sotto le ceneri dell’epoca postmoderna. Più ancora: ha bisogno di nuove forme di coraggio. Il coraggio di rallentare, di sostare, di essere fedeli non per dovere ma per scelta. Perché l’altro è diventato un mondo che vogliamo abitare, non attraversare. Perché in un mondo dove tutto è consumo, amare davvero è un atto di resistenza.

 

L'Amore
Henri de Toulouse-Lautrec, A letto, il bacio, 1892-1893 circa, collezione privata.

 

C’è chi dice pure che l’amore sia morto. Ma forse è solo mutato. Si è fatto più fragile, più mutevole – ma anche più consapevole. Non cerca più la fusione totale, ma una comunione di libertà. Un dialogo continuo tra due differenze che si rispettano. Un legame che non stringe ma accompagna. Come scriveva Rainer Maria Rilke: “L’amore consiste in questo, che due solitudini si proteggono a vicenda, si toccano, si salutano”.

L’amore fluido non è meno profondo, se ha radici nella verità. Non è meno autentico, se è capace di restare anche nella mutevolezza. Forse oggi l’amore più forte non è quello che promette per sempre, ma quello che sceglie ogni giorno. Nonostante il caos. Nonostante la paura. Perché l’altro, tra mille, è ancora l’unico volto in cui ci riconosciamo davvero.

Certo, la fluidità ha anche i suoi pregi, ci insegna ad accettare la trasformazione, a non irrigidirci in modelli passati. Ma se tutto diventa flusso, se non ci sono più argini, rischiamo di annegare nella precarietà. L’amore ha bisogno di tempo, di ascolto, di pazienza. Di parole vere. Di silenzi condivisi. E sì, anche di fatica.

Forse allora la sfida oggi è proprio questa: imparare ad amare in un tempo che ha paura dell’amore. Riconoscere nell’altro non solo un riflesso, ma una persona intera, distinta, reale. Rinunciare alla ricerca del “perfetto” per scoprire la bellezza del possibile.

Ecco, forse l’amore, oggi più che mai, è un atto di resistenza. Una forma di poesia. Un atto politico. Un ritorno alla verità. Nonostante tutto.

 

Gaetano Aspa

 

Freddie – The Show Must Go On: i Queen rivivono al Palacultura

Sabato 19 aprile, presso il Palazzo della Cultura di Messina, i cittadini hanno potuto assistere alla rappresentazione Freddie – The Show Must Go On,  un omaggio al celebre cantante Freddie Mercury e alla storica band rock britannica Queen.

La raffigurazione scenica, purtroppo, non ha reso particolarmente onore al gruppo, così come, alle volte, si sono rivelate  poco convincenti le coreografie dei ballerini. Tuttavia, questi aspetti sono passati in secondo piano grazie alle doti canore di Luca Villaggio, performer che ha interpretato la grande stella degli anni ‘70.

Villaggio ha fatto viaggiare il pubblico tra le canzoni più acclamate della band: da The Show Must Go On, canzone che dà anche il titolo allo spettacolo, a Bohemian Rhapsody capolavoro del rock progressivo, divenuto colonna sonora degli anni ‘70 e ‘80, ancora oggi ritenuto uno dei più importanti nel suo genere, passando per hit come We Will Rock You e Another One Bites the Dust.

 

Luca Villaggio nei panni di Freddie Mercury

Un’altra nota di merito va data a Giuseppe Viola, che ha interpretato il mitico chitarrista Brian May in modo adeguato. Durante lo spettacolo sono stati ricordati e interpretati alcuni personaggi cult dell’epoca, come David Bowie, ampliando così il tributo all’intera scena musicale di quegli anni. 

Nonostante alcune imperfezioni nella messa in scena e nelle coreografie, Freddie – The Show Must Go On si è comunque rivelato uno spettacolo apprezzabile, capace di coinvolgere il pubblico grazie all’energia dei brani storici dei Queen e alla notevole performance vocale di Luca Villaggio.

Un tributo che, pur non eccellendo sotto ogni aspetto, è riuscito a trasmettere l’emozione e la grandezza di una delle band più iconiche della storia del rock.

 

Agnese Trovatello

Giuseppe Micari

“La casa degli sguardi”: Luca Zingaretti per la prima volta alla regia

“La casa degli sguardi” ci insegna a rielaborare un dolore facendo pace con la vita. Voto UVM: 4/5

 

L’11 Aprile è uscito al cinema “La casa degli sguardi”, un film in cui vediamo Luca Zingaretti, uno degli attori italiani più amati, in una posizione diversa dal solito, ovvero quella di regista oltre che di attore. Questa sua opera prima, presentata in anteprima alla Festa del cinema di Roma, è tratta dal romanzo d’esordio (oltre che autobiografico) di Daniele Mencarelli (pubblicato nel 2018), stessa penna di “Tutto chiede salvezza”, dal quale è stata tratta la serie Netflix di grande successo, divisa in due stagioni (la prima uscita nel 2022 e la seconda nel 2024) per la regia di Francesco Bruni.

Trama de “La Casa degli Sguardi”

Marco (interpretato da una delle “nuove leve” del cinema italiano, Gianmarco Franchini), 23enne romano rimasto solo col padre dopo la perdita della madre avvenuta qualche anno prima, causa un incidente con il rischio di finire in galera. A seguito di ciò, proprio grazie al padre (Luca Zingaretti) e un suo amico editore (Filippo Tirabassi) riuscirà a trovare un lavoro da inserviente presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. Proprio sul posto, dopo un accoglienza non proprio calorosa, conoscerà i suoi compagni di lavoro e/o di turno, che inizialmente lo metteranno alla prova, ma che presto si riveleranno essere anche degli amici, ovvero Giovanni (Federico Tocci), Claudio (Alessio Moneta), Luciano (Riccardo Lai) e Paola (Chiara Celotto).

Fonte: Today
Fonte: Today

Tra le varie amicizie di Marco c’è quella con un bambino (di nome Alfredo detto “Toc Toc”) ricoverato nella struttura. I due riescono a comunicare dalla finestra della sua stanza, attraverso disegni e/o gesti. Non si conoscono molto bene, ma questo non impedisce all’affetto di prendere il sopravvento.

L’elaborazione del dolore

“Secondo me questa storia parla della capacità straordinaria che hanno tutti gli esseri umani di rialzarsi dopo che la vita gli ha dato una bastonata”

Così l’attore e regista si è espresso durante la presentazione del suo film a Messina. La storia di Marco, impersonificato strepitosamente da Gianmarco Franchini (conosciuto per il ruolo di Manuel in “Adagio”, diretto da Stefano Sollima, uscito nel 2023) può essere la storia di ognuno di noi. Questo, prima ancora di Zingaretti con il film, lo fa intendere molto bene Daniele Mencarelli con il romanzo, poiché è proprio grazie alla storia del protagonista che lui racconta un momento difficile della sua vita.

La vita di Marco, a seguito della perdita della madre, è un pendolo che oscilla tra l’abuso di alcool e droga e la passione per la poesia. A causa della dipendenza, sviluppa uno stato di incoscienza così profondo da non lasciar trasparire nemmeno l’angoscia di esistere. Si ritrova ad essere un ragazzo in fuga da se stesso prima ancora che dal dolore, e proprio per questo viene abbandonato dagli amici e dalla fidanzata. A stargli accanto, nonostante le difficoltà, c’è il padre, che prova ad aiutarlo in ogni modo possibile.

Fonte: Lucky Red
Fonte: Lucky Red

 

La Casa degli Sguardi: fare pace con la vita

Quello che “La casa degli sguardi” ci insegna, attraverso la penna di Mencarelli prima e la regia di Zingaretti poi, è che osservare da vicino il dolore può aiutare ognuno di noi a riappacificarci con la vita. E’ proprio attraverso l’accettazione del dolore, parte ineludibile della nostra esistenza, che è possibile ritrovare  la voglia di vivere e di andare avanti, inseguendo i nostri sogni e le nostre passioni. Non è poi un caso se il film si conclude con un pezzo, composto appositamente da Michele Brega, dal titolo “Fate largo ai sognatori”, lasciando così nessuna certezza ma grandi speranze per un ragazzo che ha voglia di riprendere in mano le redini della sua vita.

 

 

Rosanna Bonfiglio

#NonCiFermaNessuno: torna a Messina il tour di Luca Abete

Mercoledì 7 maggio, alle ore 10.00, l’Aula Magna del Rettorato dell’Università degli Studi di Messina, in Piazza Pugliatti, si trasformerà in un luogo di emozioni e di confronto grazie al ritorno di Luca Abete e del suo tour motivazionale #NonCiFermaNessuno.

Un appuntamento ormai consolidato — da oltre undici anni sulle strade d’Italia — che ha saputo dare voce agli studenti e alle studentesse, raccontando storie vere, fatte di sfide, paure e conquiste.

Accanto ai giovani, tra studenti universitari e liceali,  sarà presente anche la Rettrice Giovanna Spatari.

Momento centrale dell’evento sarà la consegna del Premio #NonCiFermaNessuno a una storia di resilienza universitaria particolarmente significativa. Una testimonianza concreta che la forza di non arrendersi è capace di generare ispirazione.

Quando la solitudine diventa una compagna di viaggio

Quest’anno il claim del tour — “Nessunə è solə” — tocca un tema delicato e urgente: la solitudine, soprattutto quella che attraversa i giovani.


«È questa la nostra mission — spiega Luca Abeteaccorciare distanze e riscoprirci più vicini, figli magari della stessa paura».

Un’affermazione che coglie in pieno una delle grandi contraddizioni contemporanee: siamo iperconnessi, ma spesso profondamente soli.

La solitudine, in particolare tra gli universitari, si annida silenziosamente tra gli esami, le ansie per il futuro e il senso di inadeguatezza che talvolta prende forma nella quotidianità.

Eppure, non è solo un nemico da combattere. Imparare a riconoscerla e ad ascoltarla può diventare un primo passo per costruire legami autentici. Momenti come quello offerto dal tour #NonCiFermaNessuno diventano allora spazi preziosi in cui sentirsi visti, ascoltati, accolti.

Un progetto di comunicazione fuori dagli schemi

L’approccio di Luca Abete non è quello tradizionale di una conferenza frontale, ma un incontro vero, un talk vibrante in cui i ragazzi e le ragazze sono chiamati a raccontarsi, a condividere emozioni senza filtri.
Perché sentirsi parte di qualcosa, anche solo per la durata di un racconto, può cambiare il modo in cui si affrontano le proprie difficoltà.

Non basta ripetersi di non essere soli: serve esperire la vicinanza degli altri. Serve accorgersi che quel senso di isolamento non è un fallimento personale, ma un’esperienza che accomuna. E che, proprio come una ferita, può diventare un ponte verso l’altro.

Le prossime tappe del tour

Dopo Messina, il tour #NonCiFermaNessuno proseguirà il suo cammino toccando altre città italiane:

  • 9 ottobre – Roma, Università Sapienza – Facoltà di Economia

  • 5 novembre – Catanzaro, Università Magna Graecia

  • 19 novembre – Cagliari, Università degli Studi di Cagliari

  • 5 dicembre – Milano, Università degli Studi di Milano-Bicocca

Tutti gli aggiornamenti saranno disponibili sul sito ufficiale noncifermanessuno.it e sui canali social del progetto.

Un messaggio per chi si sente solo

Partecipare a un evento come questo non è solo un’occasione per ascoltare storie motivazionali. È un invito a ricordarsi che, anche nei momenti più bui, c’è sempre qualcuno disposto ad ascoltare, qualcuno che, come noi, porta il peso delle proprie paure e delle proprie speranze.
Perché forse è proprio da questa consapevolezza che nasce il coraggio di ripartire.

Gaetano Aspa

L’arpa

Danza
su corde d’arpa
piedi nudi su fili spogli
melodia incalzante 
d’ira senza fine.

Passione che arde,
corpo che muore,
vene straripanti 
d’amore incompreso
per te medesimo.

E meno comprendi
più dal suono pendi
come un fantoccio
ch’è l’proprio mastro.

Ti guardi e t’osservo,
stesso cuore 
con occhi diversi.


Silvia Bruno

The Chosen: La Serie su Gesù che Sta Cambiando la Narrazione Religiosa

The Chosen Gesù
The Chosen è molto più di una serie biblica. È un’esperienza che emoziona, avvicina e ispira. Jenkins trasforma il racconto evangelico in un viaggio intimo e potente, che parla al cuore di credenti e non. – Voto UVM: 5/5

Un Progetto Rivoluzionario Nato nel 2017

Nel 2017 nasce The Chosen, la prima serie TV interamente dedicata alla vita di Gesù e dei suoi discepoli. Creata, scritta e diretta dal regista texano Dallas Jenkins, la serie ha conquistato milioni di spettatori in tutto il mondo grazie a un linguaggio innovativo e a una narrazione coinvolgente.

Un Team Creativo Unico nel Suo Genere e un Nuovo Modello di Produzione

Alla base del progetto, un team formato da un evangelico, un cattolico e un ebreo. Questa collaborazione inedita garantisce una rappresentazione fedele delle Scritture, arricchita da profondità psicologica e contesto storico. Non ci si limita ai miracoli: The Chosen esplora emozioni, conflitti interiori e quotidianità dei personaggi biblici.

Dopo una prima stagione su Netflix, Jenkins decide di abbandonare le piattaforme tradizionali. Dalla seconda stagione in poi, la serie viene finanziata tramite crowdfunding, coinvolgendo direttamente il pubblico e arrivando a raccogliere più di 70 milioni di dollari.

Grazie a un’app gratuita, gli spettatori possono guardare ogni episodio senza abbonamenti, creando un rapporto diretto e partecipativo tra creatori e fan.

The Chosen:Una Serie che Divide ma Fa Riflettere

The Chosen ha generato dibattiti: alcuni critici ritengono che la figura di Gesù sia “troppo umana”, lontana dal modello tradizionale. Tuttavia, proprio questa umanizzazione di Cristo ha emozionato spettatori di ogni fede – cristiani, agnostici, atei – che si sono riconosciuti in una figura più vicina, reale e accessibile.

Con The Chosen, Dallas Jenkins ha dato voce e spessore ai personaggi dei Vangeli. Come Euripide nel teatro greco, inserisce introspezione; come Caravaggio, rappresenta un Cristo terreno, tra volti segnati e mani callose.

La serie non si limita a raccontare eventi del passato, ma fa rivivere il mondo di Gesù, rendendolo vicino, umano e attuale.

Anche il Vaticano e varie chiese riformate hanno espresso apprezzamento per la qualità e l’intento del progetto.

The Chosen al Cinema: L’Arrivo sul Grande Schermo

Nel 2025, in occasione della Pasqua, The Chosen approda per la prima volta al cinema. Vengono proiettati i primi due episodi della quinta stagione, che raccontano l’ingresso di Gesù a Gerusalemme e l’episodio del rovesciamento dei tavoli nel Tempio.

The Chosen
Una scena tratta da The Chosen – l’ultima cena di Jenkins (2017)

La narrazione si sofferma anche sui conflitti politici e religiosi che precedono la Passione, mantenendo sempre uno stile realistico e coinvolgente.

L’episodio dell’Ultima Cena, recentemente portato sul grande schermo, è uno dei momenti più potenti della serie. Viene rappresentata una Gerusalemme vivida, in fermento per la Pasqua e attraversata da tensioni religiose e politiche.

I dialoghi tra Caifa, Pilato ed Erode mostrano le dinamiche di potere nella Giudea del I secolo, mentre le reazioni della popolazione e dei discepoli contribuiscono a creare un’atmosfera di attesa e conflitto imminente.

The Chosen: Produzione Cinematografica e Qualità in Crescita

Grazie al supporto dei fan, The Chosen ha raggiunto una qualità visiva e narrativa sempre più alta. Scenografie, costumi, fotografia e colonna sonora si avvicinano agli standard del cinema.

Anche la recitazione è un punto di forza: gli attori, scelti per talento e presenza scenica, danno vita a personaggi intensi, autentici e memorabili.

Verosimiglianza e Vita Quotidiana: Le Chiavi del Successo di The Chosen

Il vero punto di forza della serie è la verosimiglianza. Ogni episodio alterna eventi miracolosi a momenti di vita quotidiana: Gesù che scherza, riposa, gioca con i bambini. I discepoli mostrano la loro umanità: Pietro ha problemi familiari, Matteo affronta il suo passato, ognuno vive un percorso personale di trasformazione.

Per approfondire la psicologia dei personaggi, Jenkins ha creato scene inedite ma coerenti con i testi evangelici. Vediamo, ad esempio, la vita di Maria Maddalena posseduta dai demoni, prima dell’incontro con Gesù, i dialoghi di Nicodemo con sua moglie e con i discepoli o i ricordi di Matteo.

The Chosen
Gesù che dialoga con un abitante della Decapoli

Ogni personaggio – anche secondario – è ben caratterizzato. Le ambientazioni, dai villaggi ebraici alla Decapoli pagana, offrono un mondo ricco e credibile.

Marco Prestipino