Metal Gear: i 3 momenti migliori che vorremmo nel film

La saga di Metal Gear è una di quelle saghe videoludiche talmente longeve e conosciute che chiunque nel mondo dei videogames ci ha avuto a che fare. Il primo capitolo risale al 1987 sviluppato per la macchina MSX ed il NES e si “conclude” nel 2015 con Metal Gear Solid V: The Phantom Pain.

Qui, però, si analizzerà un altro aspetto: riporteremo le scene che reputiamo essenziali per una eventuale trasposizione cinematografica della famosissima saga ideata dal game designer Hideo Kojima. Del film si è molto parlato negli ultimi decenni, ma fino ad ora solo 2 notizie sono trapelate: il regista sarà Jordan Vogt Roberts (già alla regia per The Kings of Summer e Kong: Skull island) e ad interpretare Solid Snake avremo il talentuoso Oscar Isaac (Dune, Moon Knight).

Null’altro è dato sapere, la Sony sta tenendo tutto per sé. Anche Konami sta facendo lo stesso con i suoi giochi dato che, grazie ai meme e alla perseverante passione dei fan, sembra che ci siano in programma dei remake dei primi 3 capitoli.

Metal Gear
Lo scontro tra The Boss e Snake in un concept art per il film; fonte: https://twitter.com/VogtRoberts/status/

Metal Gear Solid 3: Snake Eater – La morte di The Boss

Il finale del terzo capitolo della saga è tra le scene più iconiche, sia da un punto di vista di trama sia per la giocabilità in sé. Il combattimento più sofferente per Snake poiché affronta quella che è stata la sua mentore e adesso la sua nemesi: The Boss.

Conosciuta anche come The Joy o Voyevoda, The Boss è un personaggio molto interessante e fondamentale nella saga . Nel gioco sfida e combatte Snake, finché, in un luogo colmo di fiori candidi detto Rokovoj Bereg, muore sotto i suoi colpi. Nella scena, rivela a Snake la causa scatenante della Guerra Fredda, e l’elemento fulcro che ha portato l’intera trama al suo sviluppo. 

Dunque, si scopre che  le scelte di The Boss derivano dalla missione segreta assegnatale dalla CIA e dal Presidente: fingersi una spia russa e morire per mano del suo discepolo come traditrice della patria. La morte di The Boss provoca un forte impatto emotivo a Snake poiché realizza qual è la verità dietro la missione della sua mentore. La verità, dunque, è che fu una vera patriota, una vera eroina che sacrificò la sua vita e il suo onore, e che passerà alla storia, ufficialmente, come una criminale di guerra. Snake diventa Big Boss per aver portato l’Eredità indietro e aver sconfitto il suo mentore,  ma il suo rapporto da soldato con gli Stati Uniti viene per sempre compromesso. 

Metal Gear Solid: Peace Walker – La nascita di un villain

“Con il tempo, tutti gli eserciti devono essere completamente aboliti.”

Immanuel Kant, “Per la pace perpetua” cap.1

Nel primo finale del capitolo MGS: Peace Walker il nostro Snake si troverà davanti al Peace Walker, un carro armato movente con al suo interno l’intelligenza artificiale della sua mentore The Boss. Dopo averla uccisa, si troverà ad affrontare nuovamente il suo ricordo, per salvare il mondo da una catastrofe nucleare.

 E’ bene sottolineare quanto Snake fosse interessato al Peace Walker. Cosciente di trovarsi davanti ad una IA basata sulla mente di The Boss, cerca prove del motivo del tradimento della sua mentore. Dalle cassette audio  Snake capisce che in realtà lui è stato usato dalla sua mentore. The Boss non voleva altro che trovare quella pace che il mondo non riusciva più a darle, stanca della guerra ormai voleva solo sparire, piuttosto che continuare a combattere. Snake cambia obiettivo e decide di non voler rinnegare sé stesso come soldato, a differenza della sua maestra, e da quel momento in poi abbraccerà il nome in codice che la stessa Casa Bianca gli aveva affibbiato, Big Boss. E’ qui che nasce il vero villain che conosceremo nel primo Metal Gear: un guerrafondaio pragmatico che vede come unica ragione della sua esistenza e quella del mondo fondamentalmente nella guerra. 

Metal Gear
Il peace Walker in uno dei trailer di Metal Gear Solid Peace Walker; fonte: https://www.instagram.com/spdrmnkyxxiii/

Metal Gear Solid 2: le conseguenze dell’informazione digitale

Metal Gear Solid 2 può essere considerato un capolavoro per un particolare motivo: riesce a sovvertire completamente le aspettative del videogiocatore trasmettendo un importante messaggio di denuncia. Uscito nel 2001 affrontava il tema dell’informazione digitale in una maniera ottima se consideriamo soprattutto il fatto che internet era appena diventato una tecnologia di massa.

Il protagonista della storia risulta da subito inetto ed un emulo dell’ eroe del primo capitolo della saga.  Siamo costretti nei suoi panni durante tutta la trama e manovrati dalle mani di più burattinai, fino a renderci conto assieme al protagonista della realtà.

È proprio il finale di questa storia che noi consideriamo importante. Speriamo davvero che non venga tralasciato il messaggio che veniva trasmesso ai tempi, anzi, speriamo che venga ancora più ribadito.  Il ruolo del protagonista, marionetta nelle mani di una intelligenza artificiale, è  fondamentale; crediamo che ancora oggi rimanga una figura d’impatto.

L’intera trama del secondo capitolo è un pretesto per parlare al giocatore ed affrontare certi temi come l’accettazione del proprio io e della necessità di relazionarsi con gli altri. Già nel 2001 molti si sono lanciati contro Metal Gear Solid 2, criticandolo per l’aver disatteso le aspettative di chi voleva una storia puramente action, salvo essersi ricreduti nel tempo.

Metal Gear
Raiden, protagonista del secondo capitolo: fonte https://www.youtube.com/watch?v=E5zFtlGeqhg

Non solo fatti, ma interpretazioni

E’ vero che la saga di Metal Gear Solid si caratterizza di simbolismi e stratagemmi anticonvenzionali non trasponibili in un film diretto a un pubblico di massa. Ciononostante, queste scene sono per noi tra quelle immancabili per un film sulla storia delle Les enfaints terribles. Speriamo che il regista e Oscar Isaac ci mettano passione in questo progetto fantasma, distinguendosi da altre trasposizioni poco dignitose a cui siamo stati abituati noi videogiocatori.

Salvatore Donato,

Federico Ferrara,

Matteo Mangano

Firenze, estremisti di destra aggrediscono due studenti davanti scuola

Lo scorso 18 Febbraio, davanti al Liceo Classico Michelangiolo di Firenze, alcuni studenti membri di un collettivo di sinistra sono stati ferocemente aggrediti con pugni e calci prima dell’inizio delle lezioni. Fra gli aggressori sono stati identificati sei membri del collettivo giovanile di estrema destra Azione Studentesca.

Il blitz di matrice fascista

Grazie alle testimonianze e alle immagini riprese in diretta dell’episodio, si è potuta ricostruire la dinamica su cui avrebbe avuto origine l’aggressione: tutto sarebbe partito da un volantinaggio in una via adiacente alla scuola da parte dei giovani di Azione studentesca, movimento studentesco italiano di estrema destra, non direttamente affiliato, ma molto vicino al partito di Fratelli D’Italia, proprio perchè, nella sede di Firenze, ne condivide la sede amministrativa con il centro sociale Casaggì. Non solo: Giorgia Meloni è stata anche responsabile nazionale di Azione Studentesca dal 1996 al 2000.

Rappresentanti di Azione Studentesca che presentano il movimento in Emilia-Romagna con la deputata di Fratelli d’Italia Gaetana Russo. Fonte: Facebook.com

 

Qui, alcuni studenti del Sum, collettivo studentesco antifascista, si sarebbero avvicinati invitandoli a gettare via i volantini in un cestino e a sospenderne la distribuzione. Si sono quindi accesi gli animi a causa delle due visioni politiche opposte e dalle parole si è passati ai fatti: sei ragazzi di età compresa tra i 16 e i 20 anni, come dimostrano i video caricati sui social, hanno attaccato due studenti del collettivo sferrando calci e pugni. Identificati poco dopo, tra gli aggressori fisici ripresi in video è presente anche il responsabile locale del movimento di destra.

Mentre alcuni rappresentanti degli studenti in consiglio d’istituto parlano di un “attacco terrificante e premeditato“, la Digos sta facendo gli accertamenti del caso per capire cos’è accaduto prima dell’aggressione e se tutto fosse stato preordinato.

Il sindaco di Firenze Dario Nardella si è recato nel primo pomeriggio dello stesso giorno al liceo classico per parlare con gli studenti, definendo l’accaduto “un’aggressione squadrista”. Nardella ha poi detto di aspettarsi una condanna “da tutte le forze politiche“, riferendosi in particolare modo a Fratelli d’Italia, il principale partito del governo, con cui i militanti di Azione Studentesca condividono varie posizioni politiche.

Nella giornata del 20 febbraio, alcune centinaia di studenti si sono riuniti in un presidio davanti l’ingresso del liceo Michelangiolo, nel quale si è poi tramutato in corteo. Hanno già aderito numerosi rappresentanti politici, sindacali e centri sociali, quali Firenze città aperta, Anpi, Potere al Popolo, Usb Firenze, oltre ovviamente ai collettivi scolastici di sinistra.

Bloccando il traffico per strada, i manifestanti hanno srotolato e sventolato uno striscione con scritto “il 25 aprile scendi in piazza”, ripetendo a gran voce lo slogan “Firenze è solo antifascista“. Gli studenti sono poi entrati a scuola e si sono riuniti in assemblea. Un altro striscione è apparso davanti al liceo scientifico Castelnuovo, situato di fronte al Michelangiolo, con scritto “Fuori Casaggi dalle scuole“.

La preside del liceo Michelangiolo, Rita Gaeta, ha spiegato che la manifestazione avvenuta nella mattinata non era stata preavvisata. Ha, inoltre, affermato che:

stamattina mi hanno avvisato che c’erano ragazzi davanti al portone con uno striscione, sono andata giù e siccome c’erano megafoni, fumogeni, e assembramento di massa di studenti che impediva anche la circolazione del traffico ho chiamato la Digos che ha mandato degli agenti.

Le risposte dalla politica

A portare la questione sull’agenda politica del giorno è il parlamentare di Alleanza Verdi-Sinistra Nicola Fratoianni, con un’interrogazione parlamentare al ministro dell’Interno Piantedosi e al ministro dell’istruzione Valditara, condannando l’aggressione violenta davanti al liceo, definendo il gruppo di Azione Studentesca “gruppetto di fascisti“, esortando la destra al Governo a prendere posizione e duri provvedimenti.

Al fronte dell’ulteriore interrogazione parlamentare da parte di Federico Mollicone, deputato di Fratelli d’Italia e presidente della Commissione Cultura della Camera, in cui parla di “scontri” e non di “aggressione squadrista“, Fratoianni ribatte:

Vedo che FdI di Firenze parlando dell’aggressione agli studenti del liceo fiorentino Michelangiolo parla di “scontri”? Ma con quale coraggio dicono queste cose? Se vogliono possiamo rimandargli il video dell’episodio. È stata un’aggressione, non cerchino di confondere le acque.

Prima di questo, però, le dichiarazioni tempestive dei segretari dei partiti d’opposizioni non si sono fatte attendere. Lo stesso Enrico Letta, segretario del Partito Democratico, di fronte al silenzio della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, dichiara che “un silenzio prolungato da parte del Governo li fa complici“.

Anche il leader di Italia Viva Matteo Renzi parla di “un atto di violenza squallido e vigliacco compiuto da alcuni militanti di destra nei confronti di alcuni ragazzi del collettivo di sinistra“.

Se dall’alto del partito in questione vige il silenzio stampa, il presidente del coordinamento cittadino di Fratelli d’Italia Jacopo Cellai fa sapere che:

Fratelli d’Italia esprime profondo rammarico per gli scontri avvenuti nei pressi del liceo Michelangiolo e condanna ogni forma di violenza da chiunque esercitata. La politica deve essere strumento di confronto anche aspro e duro ma non può e non deve travalicare mai in scontro fisico e limitazione della libertà di espressione altrui. E nessuno ha nostalgia della stagione della violenza politica che ha segnato troppo a lungo la storia d’Italia. Al contempo auspichiamo che venga fatta chiarezza sull’episodio con la corretta ricostruzione dei fatti e auspichiamo che tutti, soprattutto coloro che rivestono incarichi istituzionali come il Sindaco di Firenze, abbiano accortezza nel commentare l’accaduto senza additare responsabilità prima che le stesse siano acclarate, cosa che rischia soltanto di alimentare ulteriormente un clima già troppo pesante

Victoria Calvo

Sylvia Plath: la voce nella tormenta

Sono passati sessant’anni dalla tragica morte della poetessa dall’anima di cristallo, Sylvia Plath, divenuta simbolo di ribellione femminista e pilastro della cultura letteraria americana.

Addentriamoci e ripercorriamo la vita, la poetica e l’arte del genio Plath, rendendo omaggio alla bell’anima senza tempo che continuerà a farci riflettere ed emozionare con i suoi scritti.

Io sono, io sono, io sono…

La poetessa di Boston nasce in un distretto della città da genitori immigrati tedeschi il 27 ottobre 1932. Dal talento precoce, pubblica la sua prima poesia a soli 8 anni, anno in cui perde il padre a causa delle complicazioni dovute al diabete diagnosticato tardi. Questo lutto segnerà l’anima della piccola Sylvia, che in futuro scriverà proprio una poesia dedicata al padre, caricandola di tutto l’odio e dolore che questa perdita comportò per lei.

Papà, ammazzarti avrei dovuto, Tirasti le cuoia prima che ci riuscissi.

Continuò a cercare di far pubblicare le sue poesie, riuscendo ad ottenere un successo marginale, in questo periodo cominciano i suoi gravi disturbi depressivi che l’accompagneranno per tutta la sua vita. Nel 1950, entra a studiare allo Smith College ma, al penultimo anno della sua carriera universitaria, tenta per la prima volta il suicidio. Questa esperienza verrà raccontata nel suo romanzo semi-autobiografico, La campana di Vetro (1963).

Mi sentivo inerte e vuota come deve sentirsi l’occhio del ciclone: in mezzo al vortice ma trainata passivamente

Dopo il tentato suicidio venne ricoverata presso l’istituto psichiatrico Mclean Hospital, dove incontrò la psichiatra che la seguirà per tutta la vita, la dott.ssa Beuscher. Successivamente ottenne una borsa di studio Fullbright per l’università di Cambridge (Inghilterra).

Ogni donna adora un fascista

Fu proprio a Cambridge che conobbe il suo futuro marito, il poeta inglese Ted Hughes, la cui burrascosa storia venne raccontata nei Diari. Dopo gli studi, la giovane coppia visse per due anni negli Stati Uniti, dove la Plath insegnò allo Smith College. Fare l’insegnante le assorbiva tempo ed energie, tanto da non lasciarle il tempo per scrivere, che era la vera ed unica aspirazione di Sylvia.

Voglio scrivere perché sento il bisogno di eccellere in uno dei mezzi di interpretazione ed espressione della vita

Abbandonato il posto da insegnante, optò per un lavoro part-time come receptionist nel reparto psichiatrico del Massachusetts General Hospital. Questa esperienza la portò a scrivere uno dei suoi racconti più famosi, “Johnny Panic and The Bible of Dreams” Ritornati a Boston, la Plath partecipò ai seminari di scrittura creativa di Robert Lowell, che ebbe una profonda influenza sul suo stile e conobbe quella che fu la sua più grande eterna amica/rivale Anne Sexton.

 

Sylvia Plath e il marito Ted Hughes. Fonte: pangea.news

Io sono nevrotica all’ennesima potenza

Alla fine degli anni ’50, visse per un breve periodo alla famosa colonia per artisti Yaddo, in cui Sylvia iniziò a far uscire la sua vera voce poetica, scrivendo molte poesie che verranno contenute nella sua prima raccolta, Il Colosso (1960). Rimasta incinta, tornarono a Londra, luogo dove nacque la prima figlia Frieda Rebecca.

Altra data che comincia a segnare il definitivo declino della Plath, è il febbraio 1961. In seguito all’ennesimo episodio di violenza da parte del marito, subisce un aborto spontaneo, come la stessa Sylvia scrisse in una lettera al suo terapista e come verrà raccontato in più poesie. I coniugi si trasferiscono in campagna ma dopo la fine della relazione con Hughes, la Plath torna a Londra. In queste breve felice periodo, scrive innumerevoli poesie e completa la sua seconda raccolta, Ariel, pubblicata postuma e alterata dal marito nel 1965.

Solo nel 2004, la figlia diede alle stampe la versione originale.

Morire è un’arte, come ogni altra cosa… Ammetterete che ho la vocazione

La mancanza di soldi, la solitudine e la salute cagionevole dei figli spesso malati, segnarono la sua veloce ricaduta nell’oblio della depressione. Si consumò l’ultimo ed estremo gesto della tragica vita di Sylvia Plath. Dopo aver sigillato porte e finestre della cucina, inserì la testa nel forno a gas, lasciandosi morire.

Sylvia aveva lasciato pronta la colazione per i suoi bambini, aveva lasciato la loro finestra aperta, aveva lasciato un  biglietto con scritto il numero di telefono del medico e le parole: “Per favore chiamate il dottor Horder”. Questi segni portarono molti studiosi ad affermare che la Plath non aveva intenzione di uccidersi, ma era solo un’estrema richiesta di aiuto, purtroppo mal riuscita.

 

Sylvia Plath: la voce nella tormenta
Sylvia Plath sorridente al lago. Fonte: eroicafenice.com

Cosa ci resta di Sylvia Plath?

Ridurre Sylvia Plath a mero simbolo di angoscia femminile e leggere le sue opere solo nell’ottica della sofferenza, significa relegarla ancora una volta a tutti quei canoni che ella tentava di fuggire.

I suoi scritti parlano forte e chiaro, di lei e di chiunque riesca ad immedesimarsi nei suoi personaggi, creandosi e  ricreandosi infinite volte. La sua grande capacità di raccontarsi attraverso alter-ego mitici capaci di trascendere il tempo e lo spazio, portando il suo immaginario letterario in moltissime direzioni. Scriveva e sapeva scrivere, a prescindere dalla sua biografia, dall’esperienza dei disturbi mentali e dal suo vissuto di donna.

Sylvia Plath, ancora oggi, viene spesso semplificata sotto la lente ottica della disinformazione e della discriminazione sui temi sociali della malattia mentale e di genere. Eppure, ella è una figura ambivalente, simbolo di ribellione femminile dalla potente scrittura immaginifica, che la rende impossibile da definire in un solo senso. Sylvia Plath era insieme rabbia e rassegnazione, impossibilità e movimento, morte e  sopravvivenza. Nonostante le numerose limitazioni che dovette subire durante tutta la sua vita, in quanto donna affetta da disturbi mentali, non l’hanno fermata da raccontarci svariati mondi i cui limiti non esistono.

Forse è proprio questa la sua più grande eredità che ci ha lasciato e che non siamo pronti ad accogliere.

 

Gaetano Aspa

USA, dubbi amari e tensioni sui “palloni-spia” cinesi

USA e Cina hanno ravvivato le tensioni reciproche. Le insolite “escursioni” di due “palloni-spia” di provenienza asiatica sul territorio statunitense, e nelle sue prossimità, hanno schiuso dubbi piuttosto amari. Per quale motivo degli strumenti d’analisi bellica hanno sorvolato i cieli americani? Perché il loro passaggio è stato così manifesto e spudorato? Che tutto sia propedeutico alla valutazione di uno sconfinamento cinese verso Taiwan? Di seguito una panoramica delle vicende con i loro dettagli controversi.

USA, il percorso dei “palloni-spia”

Riporta le informazioni Rainews. Il Pentagono ha annunciato di aver notato un primo “pallone-spia” (pallone aerostatico) sorvolare gli Stati Uniti lo scorso martedì, e che da allora ne ha monitorato gli spostamenti. Il suddetto oggetto avrebbe percorso le isole Aleutine (in Alaska), il Canada e infine il Montana.

Dato che in quest’ultimo spazio il governo statunitense possiede alcune delle sue centrali nucleari e dato che lo strumento è apparso attrezzato per raccogliere informazioni di genere militare, la presenza è stata immediatamente indagata con sospetto dalla parte violata. Così anche il Presidente Joe Biden si è interessato direttamente della questione.

Un secondo “pallone-spia” è stato ravvisato un giorno più tardi nei cieli sudamericani. Di questo si è detto che non fosse diretto verso il territorio statunitense, ma solo in transito su quello latinoamericano.

Pallone-spia
Pallone-spia. Fonte: Corriere della sera

Le (dure) reazioni di Washington

Il Presidente, apprese le notizie, ha richiesto l’abbattimento dei due palloni con veemenza. A primo impatto, valutando pericolosa la mossa, la Difesa ha deciso di attendere: i detriti dei palloni avrebbero potuto danneggiare i civili a terra. Il primo pallone è stato quindi distrutto una volta giunto sulle vie dell’Oceano Atlantico e ora i sui resti sono sotto l’analisi di alcuni esperti; il secondo pallone scorrazza ancora integro.

Parallelamente, il segretario di Stato americano Antony Blinken ha deciso di rinviare la sua visita in Cina, prevista per ieri. Blinken ha posto una peso sulla questione affermando che la priorità fosse «allontanare il pallone-spia dai cieli Usa». Successivamente ha comunque rassicurato di aver rimandato il bilaterale a un momento in cui vi sarebbero state «le condizioni per una visita».

Il messaggio dell’amministrazione Biden è stato perentorio: nessuno crede che la sonda cinese sia stata inviata in buona fede.

La difesa-offesa di Pechino

La Cina si è dapprincipio difesa facendo trapelare che il presunto «pallone spia» avvistato fosse in verità un «aeromobile civile» usato per «ricerche meteorologiche e scientifiche». A detta del ministero degli Esteri di Pechino, tale “aeromobile civile” sarebbe giunto nell’estremo occidente a causa di forti venti imprevisti. Per questo, il ministero ha subito dichiarato rammaricazione «per il suo ingresso involontario nello spazio aereo statunitense per cause di forza maggiore».

Dopo le (dure) reazioni di Washington, però, anche Pechino ha scelto di cambiare il registro del dialogo.

La Cina ha alzato i toni, esprimendo «la sua forte insoddisfazione e protesta contro l’abbattimento del suo dirigibile civile senza pilota». Poi aggiungendo, tramite una nota del ministero degli Esteri, che la parte americana avrebbe insistito «nell’usare la forza, ovviamente reagendo in modo eccessivo e violando gravemente la prassi internazionale» malgrado non ci fossero i requisiti di pericolo e l’affermato “uso civile del dirigibile.

Ora la Cina «salvaguarderà risolutamente diritti e interessi legittimi delle società interessate, riservandosi il diritto di effettuare ulteriori reazioni necessarie». Una sigla guerrigliera che apre a scoraggianti scenari.

Bandiera della Cina
Bandiera della Cina. Fonte: Cina in Italia

USA e Cina, gli elementi di contesa

Il principale tema di tensione tra USA e Cina è probabilmente la questione dell’isola di Taiwan.
Gli equilibri hanno subito un brutto colpo lo scorso agosto, con la visita di Nancy Pelosi all’isola, attraverso cui gli USA hanno confermato il sostegno all’idea d’indipendenza taiwanese.

La visita è stata giudicata da Pechino come «una grave violazione della sovranità e dell’integrità territoriale della Cina», e ha portato a crescenti tensioni militari nei pressi di Taiwan.

Altro motivo rilevante di disputa è il rapporto indefinito che la Cina ha con la Russia. La plurivocità di Pechino infastidisce notevolmente l’alleanza Nato.

A fronte di tutto ciò, si può pensare che la Cina voglia scandagliare l’arsenale USA per avere migliore contezza del suo potenziale militare, o che voglia punzecchiare la Federazione per cambiare, inasprendoli, i rapporti. Un passo falso di Biden potrebbe diventare un espediente azionante Jinping, e chissà se addirittura l’occasione per aggredire una regione ideologicamente contesa.

 

Gabriele Nostro

Altri libertini: il romanzo ad episodi di Tondelli

Tondelli, visionario della letteratura contemporanea, per primo ha saputo raccontare il disagio giovanile. – Voto UVM: 5/5

È claustrofobico il contesto sociale e culturale che fa da scenario alle vite dei libertini descritti nell’opera prima di Pier Vittorio Tondelli.

Altri libertini è una raccolta di sei racconti o come direbbe l’autore, un vero e proprio romanzo ad episodi. Pubblicato nel 1980 fu dapprima sequestrato per oscenità e poi assolto dal tribunale, venendo giudicato dalla critica odierna come una delle opere migliori dell’ultimissimo decennio.

Ehi, ma ce l’hai, l’hai portata la mia “via di fuga”?

Siamo negli anni delle ribellioni giovanili alle impostazioni del “tardo capitalismo” e in un contesto del genere, governato dal rischio e dall’incertezza, se non hai vie di fuga devi essere in grado di crearle.

E il metodo prediletto dagli anti-eroi tondelliani è la droga: l’unica possibilità di evasione, capace di dilatare l’ormai “squallida” realtà.

“La droga prende bene e subito e comincia dalle gambe e poi sale sale e prende lo stomaco che ti senti come dopo un pranzo di famiglia e poi la testa e finalmente sballi e allora son tutte rose e fiori, davvero, no problem no cry”. (Senso contrario)

Quello descritto dal protagonista del “terzo episodio” del romanzo è un esempio di come il trip prodotto dalla droga, riesca a distorcere gli umori e la reale visione del mondo.

Ma è comunque il viaggio ad essere il vero protagonista di questo “film su carta”: è fuori casa che si realizza l’idillio tondelliano. In particolar modo l’Europa del Nord è la meta più ambita dai nostri personaggi.

“Scopriamo tutt’insieme la birra, il sesso, les trous”. (Viaggio)

Storie di un “verismo allucinato”

Tondelli con questo viaggio ha uno scopo ben preciso, quello di filmare gli altri. E non dimentica proprio nessuno: hippy, lesbiche, filosofi ed eroinomani, femministe, depressi, angosciati, nostalgici, dipendenti, studenti e figli. La sua intenzione è quella di raccontare le loro vite, i loro amori, le loro lacrime ed i loro sorrisi.

“E questi caromio, saranno i personaggi e le figure del nuovo cinema mio, il Rail Cinema, il DRUNK, very-drunk, CINEMA, ok?”. (Autoban)

E nel farlo cerca di immedesimarsi nella loro vita, un po’ come Verga ed altri esponenti del verismo fecero in passato.

Tondelli
Copertina “Altri libertini” di Pier Vittorio Tondelli. Casa editrice: Feltrinelli

Una ribelle umiliazione del corpo

Bisogna però evidenziare il fatto che Tondelli percepiva il corpo come un involucro, cosparso di vergognosa individuazione.

“Non ero proprio complessato ma terribilmente disturbato di avere un corpo”. (Pier Vittorio Tondelli)

E in tutta la raccolta ma ancora di più in Senso contrario, troviamo il tentativo da parte dell’autore di “fondere i corpi”, come ulteriore via di fuga dalla realtà.

In Altri libertini i personaggi vanno per tutto il tempo alla ricerca di loro stessi, utilizzando il loro corpo come un mero strumento: l’uso e il consumo del proprio corpo è una forma di conoscenza.

E lo fanno assumendo alcol e sostanze ma anche dando sfogo ai loro istinti sessuali. Tutti atti di violenza nei confronti di un io che a quanto pare non basta alla vita e che loro evidenziano disprezzando se stessi.

Tondelli: precursore di un espressionismo pop

Evidente è il richiamo che l’autore postmoderno fa alle altre arti, e in particolar modo non passa inosservato l’uso di esclamazioni onomatopeiche da fumetto.

Quindi non c’è da stupirsi se durante la lettura, ad un certo punto, iniziano a capitarci davanti scritte come: WoooWwww, aaaggghhh, BUUUUM!, scrash scrash; che pur non commentando l’azione ne diventano parte integrante.

Ma Tondelli, ideatore così di un espressionismo pop, lascia spazio anche ad un linguaggio più spinto. Così, proprio le bestemmie e il linguaggio grezzo dei protagonisti, diventano lo schiaffo più potente nei confronti di quella letteratura e quella poetica “elitaria” sconosciuta ai suoi libertini.

 

Domenico Leonello

“Concerti dell’Ateneo Messinese”: la 33° edizione

L’ateneo messinese è giunto alla trentatreesima edizione dello storico evento musicale: “I Concerti dell’Ateneo Messinese”. Quest’anno, per l’Ateneo, sarà un traguardo storico. Infatti, dall’anno della fondazione dell’Università, si è a ben 500 eventi. Un evento importantissimo e da sempre amato, se paragonato alla precarietà di molte altre iniziative. Con orgoglio la comunità messinese, invece, lo celebra ed è ancora molto affezionata a questo importante evento.

I concerti dell’Ateneo Messinese/ Gli spettacoli

L’Ateneo messinese, nel corso del programma, proporrà una serie di eventi di alto livello artistico organizzati in 12 appuntamenti affidati a musicisti di fama internazionale.

Dopo anni di forzate restrizioni, finalmente la città di Messina è pronta a riabbracciare lo storico evento che accompagna la città e la cittadinanza da oltre trent’anni. Infatti, oltre ai concerti che si svolgeranno nell’Aula Magna, si terranno, come di consueto, due eventi. Il primo di apertura e l’ultimo, di chiusura, presso l’Auditorium Polifunzionale del Polo Papardo.

Si tratterà rispettivamente di una serata dedicata alle Canzoni dei mitici Anni ’60 il 2 febbraio e di un Gran Galà della Lirica, con la partecipazione di affermati cantanti che calcano abitualmente i palcoscenici dei più importanti Teatri d’Opera nazionali ed esteri, il 4 maggio.

Inoltre, oltre a questi appuntamenti, ci saranno anche due concerti che vedranno, per la prima volta nelle nostre programmazioni, nonostante i tanti anni di attività, un coro Gospel, il 23 febbraio ed un gruppo di Ottoni il 30 marzo.  F

ra gli appuntamenti ci sarà, anche, un omaggio ad Ennio Morricone, condotto dall’attore Bruno Gambarotta il 2 marzo.

Ateneo messinese
Fonte: freepiks.com

La possibilità di ottenere CFU

Si ricorda a tutti gli studenti UniMe che si tratta di un’iniziativa che permetterà anche il riconoscimento dei Crediti Formativi Universitari extra. Sarà sufficiente assistere ai concerti, per poter ottenere,  fino a un massimo di 3 CFU. Si ricorda, inoltre, che tutti gli spettacoli avranno inizio alle ore 21 e sono completamente gratuiti.

Per ulteriori informazioni clicca qui

Di seguito il programma completo di tutta la stagione.

Alex Rozzato

Unime: Avvio dei laboratori di potenziamento

E’ stato predisposto l’UCT “Orientamento e Placement”, un progetto volta a supportare gli studenti universitari. Si tratta di laboratori di potenziamento per studenti volti a far riflettere circa le difficoltà riscontrate.

Laboratori di potenziamento/ Quando si svolgeranno queste attività?

Queste attività saranno svolte in presenza nei locali di Palazzo Mariani in via Consolato del mare n.41 nella nell’Aula Ausilioteca. Si svolgeranno 4 incontri da 12 ore totali. Agli studenti partecipanti verrà riconosciuto 1CFU. Potranno partecipare al progetto fino a 15 fino ad esaurimento delle richieste.

Le date disponibili, nei mesi di gennaio e febbraio sono le seguenti:

Il 27 gennaio 2023 dalle 10 alle 13, a cura della dott.ssa Laura Zanghì in collaborazione con le dottoresse Lucia Guerrisi e Laura Culicetto si terrà il laboratorio “Scelta universitaria – motivazioni, interessi e aspettative” . Quali sono le finalità dell’incontro? Gli obiettivi sono i seguenti: lo sviluppo e il consolidamento delle capacità di riflessione inerenti alle scelte ed impegni assunti.

Il secondo laboratorio dal titolo “Consapevolezza di sé: gestione delle emozioni e dello stress” avverrà il 3 febbraio 2023 dalle 10 alle 13. Anche questo laboratorio sarà a cura delle dott.ssa Laura Culicetto in collaborazione con le dottoresse Lucia Guerrisi e Laura Zanghì. Gli obiettivi di questo secondo incontro sono  favorire la consapevolezza emotiva e l’autovalutazione delle abilità di “problem solving” e “coping” in situazioni molto stressati, come le sessioni d’esami.

Laboratori di potenziamento
Fonte: www.freepik.com

Gli incontri di febbraio

Il terzo laboratorio si svolgerà il 10 febbraio 2023 dalle 10 alle 13sempre a cura della dott.ssa Lucia Guerrisi in collaborazione con le dottoresse Laura Zanghì e Laura Culicetto. Il nome di questo laboratorio sarà “Autoriflessione sulle problematiche che contrastano il successo negli studi”.  Gli obiettivi di questo terzo incontro,  sono il contrastare il ritardo nel raggiungimento dei traguardi formativi del percorso di studio. Quest’ultimo si coniuga con la volontà di far emergere problematiche connesse ad autostima, autoefficacia e stili attributivi.

L’ultimo laboratorio  quale “Take home message: riflessioni conclusive” si terrà il 17 febbraio 2023 dalle 10 alle 13 sarà a cura del dottore Alberto De Luca in collaborazione con dottoresse Laura Zanghì, Lucia Guerresi e Laura Culicetto. Gli obiettivi di questo quarto ed ultimo, ma non per importanza, incontro sono il riflettere sui laboratori precedenti, promuovendo la costruzione di strategie pratiche per poter affrontare e superare gli ostacoli che si incontrano facilmente negli ambienti universitari durante il proprio percorso.

Per iscriversi, inoltre, è necessario inviare un’email a orientamento@unime.it.

Per accedere alla locandina, clicca qui.

Gaia Ilacqua

Sbocciano nuovi artisti: l’esibizione al Messina Music contest è un concerto di passione

Meritata vittoria al “Messina Music Contest” per i tre finalisti: Arianna Nicita (prima classificata); Laura Celi (seconda classificata) e il gruppo Taurus Void (terzi classificati). La sera del 20 gennaio al Palacultura di Messina si sono esibiti all’insegna della musica dieci giovani artisti locali (Domenico Ieni, Laura Celi, Ludovico Parisi, Giuseppe Lo Presti, Ester Falzea, Skilla, Arianna Nicita, Paolo Muscarà, Fabio Porcino, Alex Fazio) e due gruppi (“AstriOpposti” e “Taurus Void”). Un divertimento a cielo aperto tra balli, scene teatrali, performance, imitazioni, giochi e sorprese.

Presentatori, giurie e pubblico. Tutti i protagonisti della serata

All’evento hanno partecipato come ospiti speciali Annalaura Princiotto (cantautrice) con Giorgio Alberti (chitarrista), e una giuria che, attraverso la propria valutazione, ha determinato la classifica grazie alla quale vari artisti hanno ricevuto un premio, una targa o premi in palio da parte degli sponsor (Greengea, il Bho, MyLillo, La Pineta Sport Club e molti altri). La giuria era composta da Paride Acacia, Sarah Lanza, Teresa Impollonia, Floriana Sicari e Nino Pipitò. L’evento è stato organizzato dall’associazione Crescendo Incubatore insieme alla collaborazione dei ragazzi facenti parte della Testata Multimediale UniVersoMe. Sono stati quest’ultimi a intrattenere il pubblico del Palacultura rendendolo non spettatore passivo bensì parte integrante della serata. I presenti hanno cantato la prima strofa del brano “La canzone del sole” scritta da Lucio Battisti, risolto degli indovinelli, ed infine fatto da giuria esprimendo la propria preferenza attraverso un link indicato dai presentatori. La platea si è dimostrata molto interessata, concentrata, attenta e divertita, pronta a battere le mani e a incoraggiare gli artisti.

 

Le interviste di UVM ai ragazzi in gara

Il team della redazione UniVersoMe ha inoltre effettuato delle interviste agli artisti in gara, i quali si sono dimostrati cordiali e soddisfatti delle domande insolite e curiose.

Ai quesiti “se dovessi andare a Sanremo di chi vorresti fare la cover? e con chi vorresti fare il duetto? puoi farci una lista di almeno cinque persone famose che vorresti fra il pubblico ad un tuo concerto? una canzone che avresti voluto scrivere tu?” gli artisti si sono sbizzarriti con l’immaginazione.
Paolo: se dovesse andare a Sanremo vorrebbe fare la cover dei Stills o dei Pink Floyd e duettare con Andy Timmons. Le persone famose che vorrebbe a un suo concerto sono: il suo maestro di chitarra, David Gilmour, Andy Timmons, Stills e i suoi genitori. Mentre la canzone che avrebbe voluto comporre lui è “Il Testamento di Tito” di Fabrizio De Andrè;
Ludo: se dovesse andare a Sanremo vorrebbe fare la cover di Lazza e duettare con Laura Pausini. Le persone famose che vorrebbe a un suo concerto sono: Sfera Ebbasta, Marracash, Guè Pequeno, Eros Ramazzotti, Tha Supreme. Mentre la canzone che avrebbe voluto scrivere lui è “Niente canzoni d’amore” di Marracash. Afferma inoltre che il posto più bello in cui ha cantato è stato in Puglia, ad un contest precedente alla live di Salmo;
Domenico: se dovesse andare a Sanremo vorrebbe fare la cover al piano “You are the Reason” di Calum Scott e duettare con una voce femminile leggera per accompagnare il piano. Le persone famose che vorrebbe a un suo concerto sono la sua famiglia e i suoi amici. Ha composto due inediti, di cui uno intitolato “Leggerezza”, ispirato alla falsa sensazione della vita frivola ma altrettanto difficile;
Manuel: Se dovesse andare a Sanremo vorrebbe fare la cover di Nirvana e duettare con Michael Jackson. Le persone famose che vorrebbe a un suo concerto sono la sua famiglia, i suoi amici e Jimi Hendrix. Mentre la canzone che avrebbe voluto scrivere lui è “I Don’t Want to Miss a Thing” di Aerosmith. Il posto più bello in cui ha cantato è stato il Teatro ABC di Catania;
Antonella: se dovesse andare a Sanremo vorrebbe fare la cover dei Green Day e duettare con Chester Bennington. Le persone famose che vorrebbe a un suo concerto sono lo stesso Chester Bennington, oltre alla sua famiglia e ai suoi amici. La canzone che avrebbe voluto comporre lei è “Numb” dei Linkin Park. L’emozione più bella per Antonella è stata al Duomo di Messina mentre si esibiva con i Taurus Void.
Andrea: se dovesse andare a Sanremo vorrebbe fare la cover e cantare con Phil Collins. Le persone famose che vorrebbe al suo concerto sono ovviamente Phil Collins, ma anche Robert Plant, John bohnam, e Gianni Morandi. La canzone che avrebbe voluto comporre lui è “Every Breath You Take” dei The Police;
Gabriele: vorrebbe duettare con Salmo. Le persone famose che vorrebbe al suo concerto sono: Travis Barker, Peter Steele, Tony Iommi, Danny De Vito. La canzone che avrebbe voluto comporre lui è “Bleed” dei Meshuggah;
Annalaura e Giorgio: se dovessero andare a Sanremo vorrebbero fare la cover di Claudio Baglioni “Questo piccolo grande amore”. Annalaura vorrebbe duettare con Ultimo. Le persone famose che vorrebbe a un suo concerto sono: un produttore della Sony, Giovanni Caccamo, Guns N’ Roses, Claudio Baglioni e Laura Pausini. Giorgio come persone famose al suo concerto vorrebbe Slash, Guns N’ Roses, Laura Pausini, Prince. La canzone che Annalaura avrebbe voluto scrivere è “I just died in your arms” di Cutting Crew; invece Giorgio avrebbe voluto scrivere lui “November Rain” di Guns N’ Roses. Anche Annalaura afferma che il posto più bello in cui ha cantato è stato Sanremo mentre Giorgio presume Militello Rosmarino e Piazza Duomo di Acireale.
Infine per concludere l’intervista è stata fatta la fatidica domanda “Pensate che con l’evento di questa sera potreste essere di ispirazione ai ragazzi di oggi? Tutti gli artisti intervistati hanno affermato che il loro obiettivo è essere di ispirazione a tutti i giovani che si cimentano in questa arte, scoprire nuovi talenti e accendere passioni.

 

 

 

Formica Myriam

Calandra Giulia

Babylon: gli eccessi della Hollywood dei roaring twenties

Babylon è tutto: eccentrico, a tratti eccessivo, fedele alla realtà, ma soprattutto mantiene salda l’attenzione dello spettatore. Voto UVM: 5/5

 

In un turbinio di luci, musica, balli e piaceri, Babylon è un’esperienza audiovisiva che porta lo spettatore in un’epoca di sfarzo e lussuria: la Hollywood degli anni ’20. Scritto e diretto Damien Chazelle, più giovane vincitore del premio Oscar per miglior regia fino ad ora (Whiplash, La La Land), Babylon è, con i suoi 189 minuti, un’opera imponente. Il film ha riscontrato già da subito una buona accoglienza da parte della critica, aggiudicandosi numerose candidature ai Golden Globe, Critics’ Choice Awards e BAFTA. Ciononostante, la pellicola non ha riscontrato il successo sperato in fatto di incassi, probabilmente per via del grande successo di Avatar- la via dell’acqua.

Nel cast si ritrovano alcune delle più grandi stelle del cinema Hollywoodiano contemporaneo: Brad Pitt (Mr e Mrs Smith) nei panni di Jack Conrad, Margot Robbie (Amsterdam) nel ruolo di Nellie Leroi e Tobey Maguire in quello di James McKay.

Babylon
Nellie Leroi in una scena del film. Fonte: Paramount Pictures, Marc Platt Productions, Material Pictures, Eagle Pictures

Babylon: dal cinema muto all’avvento del sonoro

Il film si apre nel culmine degli eccessi: in una strabiliante festa. Tutta la ricca Hollywood si rifugia la sera in un circolo di droghe di ogni tipo, libertà sessuale ed eccessi di ogni tipo; qui si intrecciano le storie di tre figure focali del film. Jack Conrad è una stella del cinema muto, con una certa passione per l’alcol ed alcuni problemi nelle relazioni di coppia; Manuel Torres è un giovane cameriere di origini messicane, con l’ambizione di lavorare nel cinema, di sentire di far parte di qualcosa di più grande. Come Manuel anche Nellie Leroi, bella e determinata, vuole farsi strada nel mondo del cinema, fino a diventare una star.

Proprio nel quieto devasto dopo la festa, Nellie otterrà il suo primo ruolo, trampolino di lancio per la sua carriera. Anche Manny (Manuel) ottiene un biglietto di entrata al parco giochi, che è il set cinematografico, grazie allo stesso Conrad, che lo prende in simpatia e lo aiuta a raggiungere le sue aspirazioni. Ma in una società che cambia, in un cinema che cambia con l’avvento del sonoro, anche le grandi star possono tramutarsi in stelle cadenti e finire nel dimenticatoio.

La parabola del successo

“Ti è stato fatto un dono, avevi i riflettori. Vivrai per sempre nella pellicola.” – Elinor St John a Jack Conrad

Babylon presenta quattro differenti storie di successo: quattro figure che, una volta raggiunto l’apice, decadono miseramente dimenticate dal pubblico. Prima fra tutte Jack Conrad; attore desiderato da tutti i registi, star del cinema muto, non riesce ad adattare il suo talento con l’avvento del sonoro. Determinante è la scena in cui Conrad, osservando gli spettatori in una sala di un cinema guardare un momento particolarmente commuovente della pellicola, semplicemente ridono. La stessa critica amica dell’attore Elinor St John (Jean Smart) lo abbandona, dipingendolo come una star decaduta. La St John considera il destino di Conrad ormai segnato: ciò nonostante, pur avendo perso il suo successo, l’attore rimarrà impresso nella storia del cinema grazie ai suoi film.

La stessa Nellie non riesce a sopportare il peso delle critiche e finisce in un vortice di alcol, droga e gioco d’azzardo, trasportando con sé Manny, innamorato di lei. L’unico che si mantiene indenne dalle influenze dell’ambiente hollywoodiano è il trombettista Sidney Palmer (Jovan Adepo).

Babylon
Manny e Nellie alla festa. Fonte: Paramount Pictures, Marc Platt Productions, Material Pictures, Eagle Pictures.

Da Babilonia ad una società moralista

Un altro fattore focale in Babylon è l’evoluzione che si crea nella Hollywood dagli anni ’20 agli inizi degli anni ’30. Se prima vigevano gli eccessi e la libertà assoluta nei piaceri, si nota come, con l’avvento del sonoro, anche la società tende a modificarsi. Il pubblico stesso inizia a richiedere una maggiore moralità nel cinema e negli attori, e molte figure, come Nellie, hanno difficoltà ad adattarsi ad una nuova società moralista ed ipocrita. Pur cercando di modificare il proprio comportamento, considerato ora rozzo e volgare, l’attrice finirà per rigettare la nuova moralità.

Il cambio di rotta a Hollywood si può notare ancora più chiaramente dagli eventi: se prima le feste erano tanto sfarzose da sembrare quasi delle sorta di orge, in un secondo momento si preferiscono eventi più pacati, caratterizzati da una visione snob e classista.

Un tripudio di colori

In questa lunga dedica alle origini del cinema, Babylon è costellato da varie tecniche cinematografiche e sperimentazioni da parte del regista, che rendono il film alquanto originale. Le scene delle vecchie pellicole mute vengono portate sul grande schermo in bianco e nero, rispettando le inquadrature e lo stile dell’epoca.

Ma ciò che rende veramente unica la pellicola è il finale: senza fare alcuno spoiler, si anticipa solamente la presenza di una totale esplosione di colori, con una sequenza di scene che hanno fatto la storia del cinema. Come dice la stessa St John a Conrad nel film “ è più grande di te, è più grande di tutti noi”: non si tratta di un singolo attore, o di una singola pellicola, ma del cinema in se.

A dare un tocco di colore in più contribuisce anche la grande performance di Margot Robbie nel ruolo di Nellie: l’attrice costruisce una nuova diva, dalla bellezza magnetica ed accattivante, ma pur sempre autonoma nelle proprie scelte e dall’animo forte e determinato.

Babylon: tratto da una storia vera

Ciò che rende la pellicola di Chazelle ancora più strabiliante ed un po’ sconvolgente per lo spettatore è il fatto che ci sia un certo grado di verità nei fatti del film. Si pensi alla figura di Nellie Leroi: lo stesso regista ammette di aver costruito la figura della star sul modello della diva Clara Bow. Altro esempio di personaggio realmente esistito è la scrittrice Elinor St. John, nella realtà Elinor Glyn, mentre l’attore Jack Conrad sembra essere ispirato all’attore John Gilbert.

Ma ciò che sorprende più di tutto è la veridicità della Hollywood-Babilonia: questa espressione, coniata dal regista Kenneth Anger, sembra rappresentare la realtà di una Hollywood fuori controllo. Dopo lo scandalo che coinvolse il comico Fatty Arbuckle per l’omicidio di un’attrice durante una festa, gli studios decisero di cambiare rotta, ristabilendo l’ordine. Il sentimento per un maggiore contegno da parte delle star sfociò infine in un vero e proprio Codice di produzione.

 

Ilaria Denaro

La vita bugiarda degli adulti: una realtà spigolosa ma vera

 

Un dramma di formazione. Una realtà dura, cruda e vera quella raccontata dalla serie tv. Una sola pecca: il ritmo dei primi due episodi che rallenta di poco l’iniziale coinvolgimento. Voto UVM: 4/5

 

Tra dolci bugie e amare verità! È finalmente disponibile dal 4 gennaio la nuova serie italiana originale Netflix, tratta dall’omonimo romanzo di Elena Ferrante: La vita bugiarda degli adulti. Dopo il successo della fiction L’amica geniale, un’altra opera della scrittrice, senza volto e identità, viene adattata al piccolo schermo.

La serie è suddivisa in sei episodi, ognuno di essi tratta una particolare tematica: la bellezza, la somiglianza, l’amarezza, la solitudine, l’amore e la verità. La regia del talentuoso Edoardo De Angelis e la sceneggiatura di Francesco Piccolo e Laura Paolucci, ci conducono in un’esperienza visiva più vicina alla realtà che alla finzione.

Un po’ come se fosse un racconto di formazione, la serie mette in risalto quel particolare passaggio dall’infanzia all’adolescenza di una ragazza ribelle come Giovanna Trada (Giordana Marengo), in una Napoli tutta anni ‘90. È continuo il confronto generazionale, tra fedeltà e tradimento, tra saggezza e ignoranza, tra ricchezza e povertà, tra ribellione e accondiscendenza. Il rapporto è perfettamente rappresentato da Giovanna e dalla zia Vittoria (Valeria Golino): figure diverse all’apparenza ma che in fondo si dimostreranno più simili del previsto.

La trama: da un’infanzia ovattata ad un’adolescenza rivelatrice

Quando si è piccoli tutto ci sembra grande. Quando si è grandi tutto ci sembra piccolo, quasi privo di senso!

Questa è una frase “mantra” della serie, ripetutamente proposta come a circostanziare le prospettive sfalsate dell’età. A pronunciarla è la protagonista tredicenne, Giovanna, nata e cresciuta nella “Napoli bene” (a Vomero, una zona ricca della città). Capelli corti, occhi penetranti e un look da vera ribelle: Giovanna è soltanto un’adolescente alla ricerca della propria identità.

Andrea e Nella sono i genitori, entrambi docenti di liceo. Il padre, interpretato da Alessandro Preziosi è un uomo colto, di sinistra, una persona ben costruita ma poco leale. La madre, Nella (Pina Turco), oltre ad essere insegnante, per arrotondare fa la traduttrice di romanzi stranieri. Follemente innamorata del marito, con la figlia è una madre attenta e comprensiva. Ma non accetterà poi il rapporto che quest’ultima instaurerà con la zia, vedendola come una minaccia per i successi di Andrea.

Uno scatto con alcuni personaggi della serie. Fonte: TvBlogo. Casa di produzione: Fandango. Distributore ufficiale: Netflix.

Il passaggio adolescenziale farà calare il rendimento scolastico di Giovanna che inizierà sempre più a prendere le sembianze di sua zia Vittoria. Infatti, proprio nell’incipit sia del romanzo che della serie, Giovanna sente il padre dire

si sta facendo la faccia di Vittoria…

Quest’ultima, sorella di Andrea, ha il volto censurato in tutte le foto di famiglia. È da sempre stata la zia innominabile, quella di cui la famiglia Trada non parla da anni. Mai conosciuta da Giovanna poiché rappresenta una figura “scomoda” per loro.

È proprio questa nube di mistero nei confronti della zia che incuriosisce Giovanna. Entrambe si incontrano, per concessione del padre, una domenica mattina in un quartiere malfamato della Napoli dei rioni (Poggioreale). Da quell’incontro Vittoria accompagnerà la nipote in un viaggio introspettivo, tra luci ed ombre, tra i primi amori e le prime esperienze sessuali: un nodo da dover sciogliere. In un mondo fatto di maschere, sarà proprio lei a rivelarle “la vita bugiarda degli adulti”.

Una città dai due volti: è una storia già vista, già sentita?

Da una parte una Napoli alta, borghese e costruita, dall’altra una Napoli bassa, malfamata ma vera. Sono due facce di una stessa medaglia che influenzeranno il percorso della protagonista. Napoli è una città dell’anima, anzi come direbbe la pungente Vittoria:

dell’anima ‘e chi v’è muorto

Per gli amanti della Ferrante si sa bene che molte tematiche e luoghi cari alla scrittrice, riecheggiano anche qui: il disagio adolescenziale, tra inquietudini e difficoltà; la condizione femminile, alla ricerca di un’identità da donna matura; la marginalità urbana, e il problema delle condizioni sociali.

La serie ci ricorda un racconto di formazione napoletana breve e coinciso ma simile, per alcune sfaccettature, al precedente successo internazionale, L’amica geniale, con la regia di Daniele Lucchetti. La timeline lega di certo i due racconti che convivono nello stesso emisfero, nonostante abbiano una linea temporale diversa. L’ambientazione, i colori, le musiche, la vita nei rioni forse ci potrebbero riportare all’epoca di Lila e Lenù. Anche la stessa zia Vittoria, col suo modo di fare e il suo linguaggio dialettale, ci ricorda un po’ con minore tragicità la Lila più matura dell’ultima stagione de L’amica geniale.

Il primo incontro tra Giovanna e la zia Vittoria. Casa di produzione: Fandango. Distributore ufficiale: Netflix.

Per l’atmosfera, i luoghi, i personaggi ci starebbe anche un paragone con l’opera di Paolo Sorrentino È stata la mano di Dio, candidata agli Oscar e distribuita sempre da Netflix. Tra adolescenti che scorrazzano sempre in motorino con cuffiette in testa e borghesi benestanti che si dichiarano comunisti.

La vita bugiarda degli adulti: non è una copia ma una realtà ribaltata!

Nonostante tutto il tono dato al romanzo e, alla serie, è allo stesso tempo diverso da delle possibili copie. Come ha affermato il regista De Angelis, in conferenza stampa a Roma:

In questa storia Elena Ferrante gioca con il paradosso della realtà sistematicamente ribaltata o aberrataseguendo la sola regola del proprio interesse. Nel vortice melmoso di adulti ossessionati dall’autorappresentazione di se stessi come giusti, onesti, sinceri. Giovanna scopre che la vita è sporca, puzza e certe volte è pure brutta.

Le bugie, come ben sappiamo, a forza di essere raccontate possono diventare verità. Queste menzogne truccate sono spesso alla base dei rapporti sociali, sia in famiglia che fuori. In fondo tutti, grandi e piccoli, abbiamo la necessità di dover crescere, sbagliare, imparare e riprovare. Questa storia vuole mettere in evidenza proprio questo!

Anche se non sei un* “Ferrante Fever” sono sicura che questa serie potrebbe contagiarti! Fai play, cosa aspetti? Ecco a te il trailer ufficiale.

 

Marta Ferrato