Shadow and Bone: torna con la sua seconda stagione

Per chi non ha letto i libri, la narrazione della serie tv, risulta frettolosa e confusionaria. Voto UVM 3/5

 

Shadow and Bone è una serie di genere fantasy, distribuita sulla piattaforma Netflix, scritta e creata da Eric Heisserer. Basata sui libri di Leigh Bardugo

La trama

La storia è ambientata a Ravka, una città ispirata alla Russia zarista dei primi anni del 1800. Ravka è divisa da una striscia di oscurità detta Faglia d’Ombra – una nube oscura abitata da mostri chiamati Volcra –

L’unica persona in grado di distruggere la Faglia è Alina Starkov (Jessie Mei Li) in quanto ella è un’evocaluce, il suo potere consiste nell’emanare un potente raggio di luce in grado di uccidere i Volcra.

Dove ci eravamo lasciati?

La prima stagione si conclude con l’apparente morte del generale Aleksander Kirigan (Ben Barnes), rivelatosi essere il creatore della Faglia, conosciuto anche come l’Oscuro, il suo obiettivo è espanderla.

Durante un’intervista con Deadline, Ben Barnes, ha rivelato che interpretare Aleksander Kirigan nella seconda stagione di “Shadow and Bone” sia stato molto più interessante rispetto alla prima.

Tenebre e ossa 2
Aleksander Kirigan interpretato da Ben Barnes. Casa di produzione 21 Laps Entertainment. Casa di distribuzione: Netflix

 

Nel mentre, una combattiva Alina accompagnata dale suo amico d’infanzia Mal (Archie Renaux) sono alla ricerca della frusta marina – un animale mitologico, che una volta catturato servirà da amplificatore, quindi in grado di intensificare i poteri dell’evocaluce – devono tenere un profilo basso in quanto i Grisha – persone in grado di manipolare gli elementi e il corpo umano a loro piacimento – sono ritenute persone pericolose e perseguitate in tutta Ravka. 

In questa loro impresa fanno la conoscenza del principe Nikolai Lantsov (Patrick Gibson), secondogenito del re, che in un primo momento si presenta loro come il corsaro Sturmhond. Nikolai è un personaggio che ha catturato da subito l’interesse, tanto che la Bardugo decise di dedicargli una dilogia. 

Nikolai e Alina decidono di stringere un’alleanza politica e il miglior modo per farlo è sposarsi.

Che fine hanno fatto i Corvi?

I “Sei di Corvi” un gruppo di malviventi formato da Kaz Brekker (Freddy Carter), Jesper Fahey (Kit Young) e Inej Ghafa (Amita Suman) dopo aver aiutato Alina tornano a Ketterdam, ad aspettarli però c’è Pekka Rollins – nemico di Kaz – il quale ha preso il comando e accusato i “Corvi” con una falsa accusa di omicidio. Kaz, deciso a vendicarsi di Pekka Rollins recluta Wylan (Jack Wolfe), in grado di realizzare ordigni esplosivi e una già nota al pubblico, la Spaccacuori Nina Zenik (Danielle Galligan) decisa a ritrovare il cacciatore di Grisha, Matthias Helvas (Calahan Skogman). Detenuto in carcere poiché Nina lo accusò di essere uno schiavista, solo per evitargli la cattura da parte degli uomini dell’Oscuro.

I “Corvi” in una scena della serie. Fonte Tvserial

Shadow and Bone: in conclusione?

La seconda stagione riprende la narrazione degli ultimi due libri della trilogia: “Assedio e Tempesta”, “Ascesa e Rovina” unendo alcuni passaggi della dilogia di “Sei di Corvi”.

Jessie Mei Li in un’intervista a Entertainment Weekly

Con la seconda stagione sapevamo che sarebbe stata molto diversa dai libri. Per me è stato eccitante perché è quello che più mi piace degli adattamenti: prendere ciò che piace nei libri e dargli nuova forma. Penso che ci sia stata un po’ di pressione per compiacere i fan, ma abbiamo anche mostrato loro qualcosa di nuovo, come una versione remixata di tutti i loro libri preferiti.

La storyline dei personaggi risulta priva di empatia. Chi guarda vuol capire i motivi che hanno portato a determinate scelte. Fatta eccezione per Kaz Brekker, viene alla luce il motivo per tanto odio nei confronti di Pekka Rollins.

Nonostante tutto, la serie ha riscosso successo e sebbene la terza stagione non sia stata ancora confermata, è altamente probabile si faccia.

 

Gabriella Pino

Immigrazione, il governo ha attivato lo “stato d’emergenza”. Che significa?

Dal giorno uno al giorno attuale di governo il tema dell’immigrazione s’è pian piano arroventato. Il “surriscaldamento” ha avuto inizio con i primi contenziosi Francia-Italia sulla gestione delle navi migranti, è proseguito con le particolari operazioni di distribuzione degli sbarchi operate dal Viminale e ha avuto il suo culmine nella triste tragedia di Cutro.

Quindi ora, dopo che ulteriori eventi “minori” hanno ricordato che nulla è stato risolto, l’amministrazione Meloni ha deciso di ufficializzare la questione come “un’emergenza”, aprendosi un fronte di nuove possibilità gestionali. Particolarmente, cosa comporterà la nuova definizione? Cos’è uno “stato d’emergenza”? E quante “emergenze” sono riconosciute tali nel panorama nazionale? Di seguito le risposte a ogni domanda.

 Immigrazione, mezzi speciali per “l’emergenza”

Riporta le informazioni Il Sole 24 Ore. Lo scorso martedì, in seno al Consiglio dei ministri, il governo ha deliberato lo stato di emergenza per l’intera Nazione a causa dell’incontrollabile incremento dei flussi di persone migranti attraverso le rotte del Mediterraneo. Almeno, questa è stata la motivazione formalmente concessa per attuare una modifica dello status quo, fondata principalmente su un dato: nel 2023 i migranti giunti in Italia sono 31.200, il +300% rispetto all’anno scorso.

La nuova definizione è stata voluta per sbloccare l’utilizzo di mezzi e poteri straordinari, utili ad affrontare la questione. L’atto amministrativo che la regola avrà valore almeno per sei mesi, oltre i quali potrà essere prorogato. L’effetto immediato della sua entrata in vigore è stata la liberazione di una tranche pari a cinque milioni di euro, subito disponibili per il contenimento della criticità.

La delibera stabilisce uno stanziamento di risorse finanziarie da destinare agli interventi urgenti. Istituisce inoltre, come fonte finanziaria da cui attingere, il Fondo per le emergenze nazionali, che può essere progressivamente incrementato nel corso della durata dello stato di emergenza. Il provvedimento può avere anche un rilievo solo locale o regionale. Quando è di tipo nazionale non può superare i dodici mesi ed è prorogabile per altri dodici mesi al massimo.

Dopo il primo stanziamento di cinque milioni, si prevede che l’esecutivo ne stanzierà altri quindici. Il totale sarà impiegato prevalentemente per creare nuovi posti d’accoglienza e favoreggiare azioni di rimpatrio.

Immigrazione
GNV Azzurra. Fonte: Giornale di Calabria

Storia delle “emergenze” in Italia, c’è un precedente sull’immigrazione

Riporta le informazioni Openpolis. In Italia al momento sono in vigore circa una ventina di provvedimenti di questo tipo. Ma, cosa più sconvolgente, dal 2013 ad oggi nel nostro Paese lo stato di emergenza è stato dichiarato ben 127 volte. In 102 casi si è trattato di danni causati da eventi meteorologici, in 8 di eventi sismici o di origine vulcanica, in 7 emergenze internazionali, in 6 di eventi ambientali e sanitari (tra cui l’emergenza Covid-19) e in 4 di emergenze non gestite direttamente dalla protezione civile.

Esiste anche un precedente in materia di migranti. Nel 2011, infatti, il governo Berlusconi aveva varato un piano di equa distribuzione nelle regioni dei profughi provenienti dal Nordafrica, fruendo della stessa base legislativa, allora leggermente diversa nella sostanza.

“Emergenze”: lo strumento normativo che le definisce

Lo stato d’emergenza nazionale è regolato dall’articolo 24 del Codice della Protezione civile sulla base di alcuni requisiti definiti nell’articolo 7:

Emergenze di rilievo nazionale connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo che in ragione della loro intensità o estensione debbono, con immediatezza d’intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo“.

Gabriele Nostro

Dagli studenti per gli studenti: la sclerosi multipla e le sue cause

La sclerosi multipla è una malattia demielinizzante, dovuta ad una risposta anomala da parte di linfociti e cellule infiammatorie nei confronti della mielina, per questo definita patologia autoimmune. La mielina è parte integrante delle cellule del sistema nervoso (neuroni), la quale risulta essere danneggiata in più punti al livello neuronale, portando così alla demielinizzazione e all’evoluzione delle prime fasi di malattia. La demielinizzazione causa un rallentamento del segnale che si propaga al livello assonico, nei casi più gravi l’impulso del segnale risulta interrotto.

Indice dei contenuti

 

  1. I neuroni
  2. Le cellule gliali costituiscono la mielina
  3. Come riconoscerla
  4. Sclerosi multipla solo un fattore genetico?
  5. Depressione e sclerosi multipla
  6. Possiamo parlare di rigenerazione degli oligodendrociti e quindi della mielina?

I neuroni

Tra le cellule del sistema nervoso esistono i neuroni, costituiti da un corpo centrale definito soma, dal quale dipartirà un prolungamento con direzione centrifuga, il quale risulta avvolto dalla guaina mielinica. La mielina non risulta avvolgere in maniera continua l’assone; infatti, nelle interruzioni di mielina si trovano i nodi di Ranvier in cui avviene l’impulso saltatorio; questi neuroni sono costituiti: dal soma all’interno del quale ritroviamo il nucleo e vari organuli; dei prolungamenti definiti dendriti, la parte di contatto con la cellula bersaglio è definito terminale assonico fornito, appunto, dall’assone.

 

Le cellule gliali costituiscono la mielina

Al livello del sistema nervoso centrale, troviamo gli oligodendrociti cellule gliali, deputate alla produzione di mielina, la quale risulta importante per la protezione degli assoni. Gli oligodendrociti risultano essere attaccati dal sistema immunitario nell’esordio della sclerosi multipla provocando una demielinizzazione dell’assone, riducendo così le funzionalità della mielina stessa.

Cellule SN. Fonte: oligodendrociti

Come riconoscerla?

I primi sintomi della sclerosi multipla comportano disabilità fisica (affaticamento), problemi di apprendimento e memoria, dovuti principalmente a danni diffusi e presenza di lesioni al livello celebrale. Difatti la maggior parte delle immagini celebrali, pervenute da esami radiologici, dimostrano la presenza di placche focali della sostanza bianca prettamente del sistema nervoso centrale. Il farmaco utilizzato in prima linea per la SM è l’interferone, rientra all’interno della famiglia delle citochine, che permette il rallentamento del decorso della malattia, e del processo di allargamento delle placche focali al livello delle placche celebrali.

Sintomatologia. Fonte: sintomi principali SM

Sclerosi multipla solo un fattore genetico?

Il fattore genetico nella sclerosi multipla non risulta essere l’unico coinvolto nella manifestazione della malattia. In quanto tra i fattori non genetici sono presenti il fumo e l’obesità. Nella sua manifestazione patologica tra i motivi scatenanti troviamo quella virale, in cui  il virus EBV entra a contatto con i geni HLA, andando così ad inficiare l’immunità adattiva. Quindi le tecniche preventive da attuare, con persone predisposte geneticamente alla SM, possono riguardare lo stile di vita quotidiano.

Possiamo parlare di rigenerazione degli oligodendrociti e quindi della mielina?

I macrofagi del sistema nervoso centrale esprimono il recettore della fractalina (CX3CR1). La carenza di fractalina all’interno delle cellule porta ad una disgregazione delle cellule causandone, appunto, quelle che sono le malattie neurodegenerative, in questo caso, la sclerosi multipla. La fractalina è una molecola proteica appartenente alla famiglia delle citochine, le quali intervengono all’interno dei meccanismi di riparazione.

Rigenerazione oligodendrociti. Fonte: fractalina

Elisa Bentivogli

Bibliografia

https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/ene.13819

https://link.springer.com/article/10.1007/s00011-018-1185-0

https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/j.1750-3639.2007.00064.x

https://nn.neurology.org/content/3/2/e202

https://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/09540261.2017.1322555?journalCode=iirp20

https://www.cell.com/stem-cell-reports/fulltext/S2213-6711(21)00316-7?_returnURL=https%3A%2F%2Flinkinghub.elsevier.com%2Fretrieve%2Fpii%2FS2213671121003167%

https://www.nature.com/articles/nn1715

 

Assegnazione borse di studio Erasmus 2023/ 2024

Il 30 marzo 2023 è stato pubblicato il bando dedicato all’assegnazione delle borse di studio mobilità Erasmus per l’anno accademico 2023/2024.

Assegnazione borse di studio Erasmus 2023/ 2024/ Qui alcune novità

Tra le news spiccano due scadenze per presentare le candidature: la 1° call è per coloro i quali intendono svolgere la mobilità nel primo semestre o nel corso dell’anno accademico o nel corso del secondo semestre 2023-24. La scadenza è il 28 Aprile 2023 alle 13. La 2° CALL è per gli studenti non partecipanti o idonei ma non assegnatari alla 1° CALL. In questo caso le partenze avverranno esclusivamente nel 2° semestre 2023-24. Questa 2° CALL avrò inizio il 9 Giugno 2023 e la scadenza per presentare la suddetta domanda è il 23 Giugno 2023 alle 13. Le domande dovranno essere effettuate esclusivamente online dal profilo personale di ess3.

Che documentazione è richiesta?

Lo studente potrà dimostrare di essere in possesso del livello di conoscenza linguistica richiesto dalla sede ospitante grazie alla possibilità di presentare l’attestazione del livello linguistico. Per dimostrarlo sono necessari:

  • L’inserimento in piattaforma di una delle certificazioni internazionali riconosciute dal MUR
  • autocertificando il superamento, e registrazione in carriera, dell’esame di lingua previsto nel piano di studio, che nel caso dei corsi triennale è previsto con l’esame di lingua superato, livello B1, mentre nei corsi magistrale è necessario il livello B2.
  • Autocertificando il superamento del test CLAM per la partecipazione ai bandi di mobilità Erasmus+ Studio/Erasmus+ Traineeship (tirocinio) negli anni solari 2021-22
  • Autocertificando il superamento del test Online Linguistic Support (OLS), nel caso in cui sia stata già effettuata una mobilità Erasmus precedentemente
  • Autocertificando di essere studenti madrelingua e gli studenti iscritti a corsi di studio interamente effettuati in lingua inglese possono autocertificare il livello di competenza linguistica

Si può partecipare senza un’attestazione linguistica?

Si, è ammessa la partecipazione al bando anche senza una specifica competenza linguistica. Tuttavia per la partecipazione al bando sarà necessario inserire in piattaforma la “Lettera di impegno al raggiungimento del livello linguistico”. Nella piattaforma lo studente si impegna a raggiungere il livello linguistico richiesto dalla Sede estera entro 30 GIUGNO 2023 per le partenze del 1° semestre (e intero anno) ed entro il 30 NOVEMBRE 2023 per le partenze del 2° semestre (e intero anno), pena la revoca della borsa e successiva riassegnazione. Per maggiori info clicca qui.

Bando per l’assegnazione di borse di mobilità Erasmus
Fonte: https://www.freepik.com/

Assegnazione borse di studio/ Quali sono le tipologie di mobilità?

Sono due:

  • La long mobility rivolta a tutti gli studenti di 1°, 2°, 3° ciclo con durata minima di 2 mesi e massima di 12.
  • La short mobility riservata ai Dottorandi, con minimo di 5 giorni a massimo 30 giorni.

Il contributo finanziario per la prima mobilità è costituito da 3 voci:

  • voce A: borsa mensile comunitaria stanziata da Agenzia Nazionale Erasmus+ Indire per tutti gli studenti vincitori del Bando. Dal valore variabile tra 200-350€.
  • voce B: contributo integrativo per situazioni economiche svantaggiate erogate sulla base del possesso di specifici requisiti inerenti al merito/situazione economica.
  • voce C: contributi comunitari integrativi per studenti con esigenze speciali, destinate a studenti con specifiche condizioni fisiche/mentali/sanitarie.

Invece, il contributo finanziario per la short mobility è costituito da 3 parti:

  • Supporto individuale: importo giornaliero in funzione del periodo di mobilità.
  • Top-up: contributo una tantum per i dottorandi con minori opportunità in possesso di ISEE secondo le disposizioni ministeriali.
  • Contributo viaggio: riconoscimento di specifico contributo viaggio a cui si accede in forma esclusiva sempre sulla base dei valori ISEE previsti dalle Disposizioni ministeriali.

Come partecipare:

E’ possibile presentare la candidatura del presente bando (clicca qui) Inoltre, saranno organizzati dei webinar per la presentazione del Bando (il primo in italiano ed il secondo in inglese). La partecipazione dei potenziali candidati è fortemente richiesta. Le date e le modalità di partecipazione al webinar saranno rese note a breve.

Per ulteriori informazioni clicca qui.

Invece, per visualizzare il bando clicca qui. 

per qualsiasi informazione chiedere a erasmus@unime.it, o per telefono 09067685328349

 

 

Gaia Ilacqua

 

Messina al fianco delle famiglie arcobaleno alla manifestazione “DisObbediamo”

“È l’amore che crea una famiglia” lo slogan della protesta che ha avuto luogo a Piazza Cairoli, Messina il 1 aprile. Scese in piazza centinaia di persone, riunite alla manifestazione promossa dall’Associazione Genitori OmosessualiFamiglie Arcobaleno“, che con la campagna “DisObbediamo” protestano contro la scelta del governo di impedire ai Comuni la registrazione automatica dei figli delle coppie dello stesso sesso.

Non solo: vuol essere anche un appello che si rivolge proprio ai sindaci e alle sindache di questo Paese che hanno sostenuto queste famiglie riconoscendo ai loro figli la loro identità familiare, invitandoli a disobbedire coraggiosamente.

Logo famiglie arcobaleno
© Victoria Calvo

Famiglie come tutte le altre

Ad aprire la manifestazione l’avvocata Maristella Bossa, socia di Famiglie Arcobaleno, con la quale, insieme alla compagna Isabella, lancia il forte appello.

La richiesta principale delle mamme, dei papà e degli alleati delle famiglie arcobaleno è il diritto al riconoscimento formale del rapporto di filiazioni di entrambi i genitori, sia quello biologico che quello intenzionale.

In questi anni, come sottolineano più volte, vi è un proprio vuoto legislativo, tappato parzialmente dal buon senso della magistratura e dei sindaci di molti comuni che hanno trascritto di loro spontanea volontà entrambi i genitori.

Un vuoto legislativo che, molto spesso, la stessa Corte europea dei diritti dell’uomo, e più recentemente, Didier Reynders, commissario europeo per la Giustizia, ha chiesto all’Italia di provvedere per rimanere in linea con i principi dell’Unione Europea. Ribadita, quindi, la necessità di tutelare l’identità familiare del minore a prescindere dall’orientamento sessuale dei genitori.

È chiaro che si tratta di un’azione meschina e ideologica, un’azione che il governo ha posto in essere sulla pelle dei bambini, che ha lo scopo di screditare la capacità genitoriale delle coppie dello stesso sesso e che si inserisce in un contesto più ampio di discriminazione contro tutta la Comunità LGBTQIA+.

Una manifestazione di protesta pacifica, come spiega Maristella Bossa, «volta a fare sentire la propria voce, come in tutte le piazze d’Italia, esortando ognuno di essi ad esprimere la propria sensibilità di padre, di madre, di figlio, di nonno, di zio contro quest’ingiustizia e questa discriminazione, perché non esistono genitori di serie A e genitori di serie B».

Bandiera LGBTQIA
© Victoria Calvo

Le parole della madre arcobaleno Egle Doria

La testimonianza di una famiglia arcobaleno è al centro della manifestazione. Egle Doria, referente interna di Famiglie arcobaleno Sicilia, racconta dell’unione civile nel 2019 con sua moglie Maria Grazia Pironaci. Dal loro amore è nata la figlia Marina Demetra, concepita in una clinica in Spagna tramite la fecondazione medicalmente assistita.

Come racconta Egle «in Spagna, insieme, abbiamo firmato un consenso informato che attesta per la Spagna che noi siamo le sue mamme. Lo stesso hanno fatto tutte le altre, lo stesso hanno fatto tutti gli altri papà, i papà che viaggiano per riuscire a coronare il sogno di genitoriali, che è un diritto di ciascun cittadino, di ciascun essere umano».

Definisce questa giornata come un momento di festa, perché solo grazie all’aggregazione e alla riunione di esseri umani si può lottare per i diritti, contro le discriminazioni. Devono comunque essere non solo momenti di lotta, ma momenti di festa, guerre di pace.

Egle però attira l’attenzione su una questione: secondo la legislazione italiana, se il genitore biologico dovesse venire a mancare, il figlio risulterebbe adottabile perché non avrebbe più un genitore o un tutore.

Nel momento in cui uno di noi genitori viene a mancare, nostro figlio diventa adottabile. Questo che cosa significa? Significa far entrare in casa tutti. Assistenti sociali, giudici, l’avvocatura in genere…

Egle doria che parla alla manifestazione famiglie arcobaleno
© Victoria Calvo

Siamo ancora troppo indietro

Secondo un’indagine Censis del 2021, quasi 20 milioni di persone in Italia reputa le persone omosessuali come malate.

Se è vero che nel corso degli anni il pensiero del nostro Paese stia andando via via “svecchiando”, d’altro canto è impensabile che nel 2023 l’attuazione dell’articolo 3 della nostra Costituzione – che riconosce e garantisce i diritti di tutti senza far alcuna distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali – sia ancora così lontana e incompleta.

Quanto ai papà, in media si pensa ancora che due papà non possano crescere un figlio per via della “incapacità” dell’uomo di prendersi cura della prole. E tuttavia, crescere un bambino va al di là del sesso dei genitori, prime guide nella sua vita, coloro che ne permettono lo sviluppo e la realizzazione personale. L’unica differenza è il riconoscimento da parte di uno Stato che non mette a pari livello i diritti di tutti i cittadini.

Gli organismi aderenti a Messina

Hanno aderito all’iniziativa organismi quali il Comitato Pari Opportunità del Consiglio Ordine Avvocati di MessinaAGEDO Reggio CalabriaANPI Sezione Comunale Aldo NatoliARCI Circolo Thomas SankaraARCI Circolo Paradiso per tuttiARCI MessinaARCIGAY MessinaAPS EIMI’Associazione Luca CoscioniCeDAV Centro Donne AntiviolenzaCentro Antiviolenza EVA LUNACentro Antiviolenza UNA DI NOI di Villafranca TirrenaNonUnaDiMeno MessinaPosto OccupatoClinica Legale e SocialeDiritti Umani CLESDUComitato Donne, Vita e LibertàEmergencyEumans!LELATPiccola Comunità Nuovi OrizzontiStretto PrideTenda della Pace e della Non ViolenzaTutrici e Tutori Volontari MSNAUna famiglia per amicoVeglie per le morti in mare.

Anche sindacati, CGIL e UIL, partiti e formazioni politiche: Cambiamo Messina dal BassoMessinAccomunaPartito Democratico+EuropaMovimento 5 StellePotere al PopoloRifondazione Comunista.

Victoria Calvo

Strage a Nashville, 28enne spara all’interno di una scuola elementare

Audrey Elizabeth Hale di anni 28, ex studente transgender, ha fatto irruzione nell’istituto elementare presbiteriano Covenant School uccidendo tre bambini e tre adulti. Hale aveva frequentato in passato tale scuola e, secondo le indagini, aveva pianificato nei dettagli il massacro. L’ennesima strage all’interno di una scuola che porta, ancora una volta, in alto il dibattito sul possesso delle armi negli Stati Uniti. La 129/a dall’inizio dell’anno, oltre una al giorno da gennaio.

Ricostruzione dei fatti

Lunedì, verso le 10 del mattino, l’ex studente dell’istituto Audrey Elizabeth Hale, irrompe all’interno di una scuola elementare cristiana; frantuma il vetro dell’entrata laterale e fa il suo ingresso. Ha con sé due armi d’assalto e una pistola, indossa gilet, pantaloni militari e un cappellino rosso, in base alle immagini fornite dalle telecamere di sicurezza. Con sè, anche le mappe dell’edificio. Un attacco di 14 minuti, poi la prima chiamata di soccorso alle 10:13 e la conclusione alle 10:27, con la morte di Hale ad opera della polizia. Le vittime sono tre bambini di 9 anni, un supplente, un amministratore della scuola e un custode.

 Penso che i genitori di Audrey siano scioccati come tutti noi nel vicinato. Non c’è nulla che mi avrebbe mai portato a pensare che sarebbe stato capace di un gesto simile o che la sua famiglia avesse accesso a una pistola.

Ha dichiarato un vicino di casa ad alcuni media americani.

Le indagini

Fonte: Rainews

La Polizia ha dichiarato che Hale non aveva precedenti penali e che l’attacco è frutto di premeditazione: ha studiato nei dettagli le piantine e le mappe della scuola. Il movente? Secondo gli inquirenti, il soggetto provava un forte risentimento nei confronti della scuola per essere stato costretto a frequentare una scuola cristiana dove probabilmente non si è mai sentito accettato identificandosi come transgender.  Dai primi accertamenti, le armi erano state ottenute legalmente, quanto meno due su tre. Hale è stata identificato per mezzo della sua auto posteggiata vicino alla scuola.

A seguito di una perquisizione è stato ritrovato un disegno minuzioso della mappa della scuola dove aveva segnato i punti “migliori” per entrare. Inoltre, sono stai trovati dettagli relativi ad un’altra possibile scuola dove forse si sarebbe recata se non fosse stata uccisa dagli agenti intervenuti sul luogo, oppure, un’altra ipotesi è che si tratterebbe di un bersaglio alternativo scartato perché la scuola attaccata aveva minori misure di sicurezza.

Qualcosa di brutto sta per accadere. Sentirai parlare di me quando sarò morto. Questo è un messaggio di addio. Ci vedremo in un’altra vita.

Queste sono le ultime parole di Hale ad una sua ex compagna di basket.

Le dichiarazioni del Presidente Biden

Il Presidente Biden è stato fortemente criticato per una battuta detta durante la sua prima apparizione pubblica a seguito della strage, all’inizio di un vertice sulle imprese femminili.

«Mi chiamo Joe Biden. Sono il marito della Dott.ssa Jill. Mangio il gelato Jeni’s con gocce di cioccolato. Sono sceso perché ho sentito che c’era il gelato con le gocce di cioccolato. A proposito, ne ho un frigorifero pieno al piano di sopra. Pensate che stia scherzando? Non è così». Ha affermato tra le risate del pubblico. Dichiarazioni ritenute inopportune in un momento come quello.

Il Presidente americano Joe Biden si è poi espresso su quanto accaduto.

È straziante, il peggior incubo di una famiglia. Dobbiamo fare di più contro la violenza di armi da fuoco. Sta facendo a pezzi le nostre comunità. Sta lacerando l’anima stessa della nazione. Dobbiamo fare di più per proteggere le scuole affinché non diventino prigioni.

Anche la First Lady ha invitato ad alzarsi e a stare in preghiera con Nashville.

Biden ha, inoltre, invitato il Congresso ad approvare il divieto di armi d’assalto e ordinato che vengano messe bandiere a mezz’asta alla Casa Bianca e in tutti gli edifici pubblici fino al 31 marzo in onore e memoria delle vittima della strage.

Di seguito il discorso del Presidente Biden:

Le armi d’assalto, come il fucile utilizzato da Hale, sono le armi più utilizzate nelle stragi di massa. I democratici quindi spingono per il divieto e per norme più stringenti, attente e puntuali sui controlli. I repubblicani, in gran parte contrari all’approvazione di una legislazione di controllo sulle armi, hanno puntato il dito contro la comunità Lgbtq+.

«Visto il numero crescente di trans e non binari che compiono sparatorie di massa, invece di parlare armi non sarebbe meglio parlare di questi lunatici che spingono la loro riaffermazione di genere sui nostri figli?» ha postato su Twitter il figlio di Donald Trump.

Anche Marjorie Taylor Greene si è espressa con lo stesso tono sulla strage.

Quanti ormoni come il testosterone prendeva la killer di Nashville? Tutti dovrebbero smetterla ora di prendersela con le armi. La donna che ha sparato a Nashville si identificava come un uomo. Quindi dovremmo ancora puntare il dito contro gli uomini bianchi?

La portavoce della Casa Bianca Karine Jean-Pierre, riportando il focus sulla questione, ha dichiarato:

Le scuole dovrebbero essere luoghi sicuri dove imparare e insegnare. Quando è troppo è troppo: il Congresso deve agire contro la violenza delle armi da fuoco. Quanti bimbi devono ancora morire prima di agire?.

 

Marta Zanghì

Tortura, la proposta in Parlamento per l’abolizione del reato

Fratelli d’Italia, il partito guidato dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, recentemente ha presentato una proposta di legge per abrogare il reato di tortura, con prima firmataria la deputata Imma Vietri. Nello specifico, con il provvedimento assegnato in Commissione Giustizia della Camera, si intendono di fatto abrogare gli articoli 613-bis e 613-ter del Codice penale che introducevano il reato di tortura e l’istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura.

La legge n. 110 del 14 luglio 2017

In Italia, il reato di tortura arriva solo nel 2017, dopo un lungo e complesso iter parlamentare presentato in aula dallo schieramento politico PD-AP. Venne, quindi, introdotto dalla legge n. 110 del 14 luglio 2017, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.166 del 18 luglio 2017.

Nello specifico, la tortura è un reato previsto e punito dall’art. 613-bis del codice penale;

Art. 613-bis (Tortura). – Chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa, è punito con la pena della reclusione da quattro a dieci anni se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona.

La pena è inasprita se a commetterlo è un pubblico ufficiale:

Se i fatti di cui al primo comma sono commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, la pena è della reclusione da cinque a dodici anni. Il comma precedente non si applica nel caso di sofferenze risultanti unicamente dall’esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti. Se dai fatti di cui al primo comma deriva una lesione personale le pene di cui ai commi precedenti sono aumentate; se ne deriva una lesione personale grave sono aumentate di un terzo e se ne deriva una lesione personale gravissima sono aumentate della metà. Se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte quale conseguenza non voluta, la pena è della reclusione di anni trenta. Se il colpevole cagiona volontariamente la morte, la pena è dell’ergastolo.

Non solo, la legge contempla il delitto di istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura (art. 613-ter):

Art. 613-ter (Istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura). – Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio il quale, nell’esercizio delle funzioni o del servizio, istiga in modo concretamente idoneo altro pubblico ufficiale o altro incaricato di un pubblico servizio a commettere il delitto di tortura, se l’istigazione non è accolta ovvero se l’istigazione è accolta ma il delitto non è commesso, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

Nonostante la legge di per sé presenta alcune criticità, poco dettagliata e troppo astratta, ha come motore principale la dignità umana: non è infatti giustificabile che, il fatto che una persona sia sottoposta a una limitazione della libertà personale, possa essere sottoposta a trattamenti inumani o degradanti. La legge, nella sua interezza, rappresenta difatti un reato comune, ovvero non indirizzato specificamente contro le forze dell’ordine, sebbene venga prevista un’aggravante nel caso in cui a commettere il reato siano agenti delle forze dell’ordine.

Abrogare la legge contro il reato di tortura non è la soluzione

Tale proposta di questa portata non è una novità tra le dichiarazioni del partito di destra. Infatti, Giorgia Meloni lo aveva annunciato già nel 2018, dichiarando che il reato di tortura “impedisce agli agenti di fare il proprio lavoro e per questo ne era necessaria l’abolizione.

Ora che è al governo, la proposta diviene realtà. Gli esponenti firmatari di Fratelli d’Italia spiegano le ragioni della proposta soprattutto a difesa delle Forze di polizia:

L’incertezza applicativa in cui è lasciato l’interprete potrebbe comportare la pericolosa attrazione nella nuova fattispecie penale di tutte le condotte dei soggetti preposti all’applicazione della legge, in particolare del personale delle Forze di polizia che per l’esercizio delle proprie funzioni  è autorizzato a ricorrere legittimamente anche a mezzi di coazione fisica. Se non si abrogassero gli articoli 613-bis e 613-ter, potrebbero finire nelle maglie del reato in esame comportamenti chiaramente estranei al suo ambito d’applicazione classico, tra cui un rigoroso uso della forza da parte della polizia durante un arresto o in operazioni di ordine pubblico particolarmente delicate o la collocazione di un detenuto in una cella sovraffollata.

In poche parole, il rischio di subire denunce e processi penali disincentiva e demotiva l’azione delle Forze dell’ordine, privandoli dello slancio necessario per portare avanti al meglio il loro lavoro, con conseguente arretramento dell’attività di prevenzione e repressione dei reati.

Dopo una prima ondata di polemiche, soprattutto provenienti dall’opposizione di sinistra, Tommaso Foti, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, dichiara che «non vi è volontà da parte di Fratelli d’Italia di abrogare il reato di tortura, ma di tipizzarlo in modo molto nitido così come è nelle convenzioni internazionali». A prima vista un retro-front strategico, ma non abbastanza per placare il movimento di critica…

In prima linea, la deputata di Sinistra Italiana-Alleanza Verde Ilaria Cucchi ha dichiarato che «Questo è un fatto gravissimo. Sostenere che la tortura in Italia non esista è una bugia. Più di un giudice, prima dell’introduzione di questa legge si è trovato a non poter procedere perché la legge non esisteva. Abbiamo lottato per la sua introduzione e ora rivolgo un appello a tutte le forze politiche, soprattutto al presidente della Repubblica: giù le mani dalla legge che punisce la tortura

Alfredo Bazoli, capogruppo Pd in commissione Giustizia, ritiene «Il reato di tortura c’è in tutti gli ordinamenti democratici, è richiesto dalle convenzioni internazionali a tutela dei diritti umani, siamo uno degli ultimi paesi occidentali che l’hanno introdotto. L’idea di abrogarlo rivela un’idea preoccupante e pericolosa dell’uso del potere e della forza da parte della destra. La difesa dello stato di diritto, e la difesa delle nostre forze dell’ordine, non può tollerare che lo si metta in discussione».

Cosa dice il rapporto del CPT riguardanti le carceri italiane

Solo un anno fa il Comitato Europeo per la prevenzione della tortura (CPT) aveva fatto visita nelle carceri italiane, e nello stesso giorno in cui è stata annunciata l’intenzione di abrogare il reato, è stato pubblicato il rapporto. I risultati fanno il punto della situazione sullo stato di salute degli istituti di privazione della libertà personale: violenze e intimidazioni tra detenuti sono alcune delle realtà riportate dall’organo europeo, insieme a una quota di sovraffollamento in tutte le strutture visitate, e che in particolare nella prigione di Monza, raggiunge picchi del 152%. Alla luce di quanto raccolto, Strasburgo chiede anche di migliorare le condizioni di vita dei detenuti e misure urgenti e specifiche per le donne e per le persone transessuali carcerati.

Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione Antigone, parla di una vera e propria riforma del sistema penitenziario, che guardi alla pena come elemento di risocializzazione della persona. Favorevole al sistema delle celle aperte, in cui il detenuto non passa 20 ore su 24 chiuso nella propria cella, ma, al contrario, ha la possibilità di usare il proprio tempo in attività formative ed educative, che non si limiti ad una mera «passeggiata per le sezioni senza poter far altro».

A commentare il rapporto del Cpt è stato il ministro della Giustizia Carlo Nordio: «È vero che le nostre carceri sono sovraffollate, ma abbiamo ampi progetti per ridurre questa criticità. Un progetto a lungo termine riguarda la dismissione delle vecchie carceri, come Regina Coeli che può essere venduto sul mercato, prevedendo la costruzione di nuove case, ma anche un progetto a lungo termine, soluzione più ambiziosa e definita, di utilizzare una serie di edifici, a cominciare da caserme dismesse, che hanno struttura compatibile con il carcere».

Victoria Calvo

Banksy, bloccata la sua “opera” galleggiante

È una nave – la Louise Michel – una delle ultime opere del noto artista senza volto Banksy. Un’imbarcazione dell’ex marina francese che si batte per salvare i migranti in mare, ma che rimarrà ferma a tempo indeterminato. Infatti, è stata sottoposta a controlli e ad un fermo amministrativo a Lampedusa domenica scorsa.

La nave Louise Michel. Fonte: Wikimedia Commons. Autore: DerPetzi

Secondo le autorità italiane, l’equipaggio avrebbe violato l’obbligo di recarsi al porto di Trapani dopo il primo salvataggio, per compierne altri. Ciò, secondo la Guardia Costiera, avrebbe «rallentato il raggiungimento di un porto di sbarco per i migranti salvati nel primo intervento».

A bordo ci sono 180 persone soccorse nella traversata lungo il Mediterraneo, durante cinque operazioni differenti. A detta della ONG, non sarebbe stata fornita nessuna spiegazione ufficiale riguardo al fermo. Secondo i membri dell’equipaggio, il fermo sarebbe dovuto ad una serie di norme contenute nell’ultimo decreto del governo su «Disposizioni urgenti in materia di transito e sosta nelle acque territoriali delle navi non governative impegnate nelle operazioni di soccorso in mare».

I membri della ONG hanno espresso il loro malcontento affermando che:

«Ci impediscono di lasciare il porto e prestare soccorsi in mare. Questo è inaccettabile»

La spiegazione dettagliata della Guardia Costiera

«Le disposizioni impartite alla nave ONG, valutate le sue piccole dimensioni, erano altresì tese a evitare che la stessa prendesse a bordo un numero di persone tale da pregiudicare sia la sua sicurezza che quella delle imbarcazioni di migranti a cui avrebbe prestato soccorso».

L’arrivo della Ong, per motivi di sicurezza e di urgenza, era stato «già peraltro sollecitato dai numerosi arrivi di migranti di questi ultimi giorni».

A tale comportamento, che già di per sé complicava il delicato lavoro di coordinamento dei soccorsi, «si sommavano le continue chiamate dei mezzi aerei Ong che hanno sovraccaricato i sistemi di comunicazione del centro nazionale di coordinamento dei soccorsi, sovrapponendosi e duplicando le segnalazioni dei già presenti assetti aerei dello Stato».

Origine e significato dell’imbarcazione

La nave è stata intitolata a Louise Michel, un’anarchica francese che mira a combinare il salvataggio con i principi di femminismo, dell’antirazzismo e dell’antifascismo, ed è stata acquistata con gli introiti provenienti dalla vendita di un’opera d’arte di Banksy, che l’ha poi decorata con un estintore e personalizzata con dei graffiti.

Inaugurazione di una targa dedicata a Louise Michel a Bobigny. Fonte: Flickr. Autore: choudoudou

È stato proprio l’artista a contattare tramite mail Pia Klemp, la capitana, dove comunicava di volerla sostenere economicamente. La nave, come la Sea Watch e la Open Arms, appartiene ad organizzazioni non governative che si occupano di salvataggi in mare ed è gestita ed equipaggiata da attivisti specializzati in soccorso che provengono da tutta Europa.

I naufragi non tendono a diminuire

Proprio ieri quasi un migliaio di persone sono sbarcate sulle coste italiane, quasi tutti provenienti dalla Tunisia. D’altro canto, i morti non sembrano cessare: sono almeno 29 i corpi recuperati dalla Guardia Costiera tunisina, provocati da due barconi affondati nei giorni precedenti.  E anche per le vittime di Cutro la parola “fine” sembra ancora lontana. Ad un mese esatto dalla tragedia, il mare ha restituito il novantunesimo cadavere, ma all’appello mancano ancora dieci persone.

Luca Cesarini, capomissione di Mediterranea Saving Humans, ha così commentato gli ultimi eventi:

«Con la situazione che c’è in mare, trattenere una nave di soccorso in porto mentre donne, uomini e bambini rischiano di morire, è una cosa assurda: qui non si tratta di slogan, ma vite di vite umane che si possono e si devono salvare».

Sull’altro fronte il Ministro degli Interni Piantedosi, che in una recente intervista ha affrontato il tema dell’incremento e del record di sbarchi, affermando che: «I migranti sono attratti dall’Italia anche perché c’è un’opinione pubblica favorevole, mentre in altri Paesi sono intransigenti». Parole che sono state oggetto di polemiche soprattutto sui social.

Serena Previti

Per una tazzina di caffè: in libreria arriva “Ci vediamo per un caffè”

Una lettura fresca, come una coccola sotto i fiori di ciliegio primaverili, capace di trasportare il lettore attraverso le vite, le sfide e le conquiste di ogni personaggio, caratteristici ma specchi della realtà.– Voto UVM: 4/5

 

Dalla fortunatissima serie “Finchè il caffè è caldo”, di cui solo il primo romanzo ha totalizzato 100mila copie vendute, ritorna tra gli scaffali delle librerie italiane il 28 Febbraio con il quarto romanzo “Ci vediamo per un caffè“, edito da Garzanti per la collana Narratori moderni. Pubblicato in Giappone il 14 settembre 2021 col titolo “Prima che io possa dire addio”, Toshikazu Kawaguchi ritorna con il quarto capitolo della serie del cafè giapponese più amato dai lettori, pronto a far scoprire sempre nuove storie e nuovi viaggi da intraprendere.

“Finché il caffè è caldo”: la serie che ha conquistato l’Italia

L’autore, nato a Osaka nel 1971, inizia a lavorare come sceneggiatore e regista, per poi prendere la carriera da romanziere. Il suo romanzo d’esordio, Finché il caffè è caldo, ha venduto solo nel suo paese natale oltre 2 milioni di copie. Non solo in Giappone, anche l’Italia ha apprezzato la sua penna, diventando uno scrittore amato negli scaffali tra i romanzi di Haruki Murakami e di Banana Yoshimoto.

La serie non ha di per sé un nome ufficiale, nonostante i romanzi di Kawaguchi siano accumunati dalla stessa ambientazione e da alcuni personaggi ricorrenti. Proprio per questo, la serie prende il nome dal primo titolo pubblicato nel 2015 in Giappone, tradotto letteralmente “Prima che il caffè si raffreddi“, in Italia edito da Garzanti nel 2020 col titolo “Finché il caffè è caldo”. 

Nel 2017 viene pubblicato in Giappone il secondo volume della saga “Prima che questa bugia venga rivelata“, editato in Italia nel 2021 come “Basta un caffè per essere felici”.

Solo l’anno dopo esce il continuo “Prima che i ricordi scompaiano“, pubblicato in Italia l’anno scorso con il titolo “Il primo caffè della giornata”.

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Copertine dei quattro romanzi della serie “Finchè il caffè è caldo”, edito da Garzanti. Fonte: Garzanti.

Prima che il caffè si raffreddi

Siamo in Giappone, precisamente tra i vicoli di Tokyo, dove si trova una piccola caffetteria molto particolare, probabilmente aperta nel 1874, come ci suggerisce il suo aspetto antico e non molto curato, vicino alla stazione di Jinbocho. Il nome di questo piccolo locale è Funiculi Funicula, ed ha una curiosa caratteristica: per raggiungerlo, basta seguire l’aroma intenso del caffè, varcare la soglia della porta, dove si verrà accolti dai vecchi proprietari, sedersi in un preciso tavolino, e ordinare una tazza di caffè fumante.

Ha una peculiarità che la rende speciale: è possibile tornare indietro nel tempo, rivivendo eventi passati in cui si è, probabilmente, si è presa una scelta alla quale si continua a ripensare, in cui si è rimasto in silenzio quando si sarebbe voluto dire la verità, in cui si è dato la risposta sbagliata, con il rigido limite che non si potrà andare nel passato per cambiare il presente e il futuro. Tutto ciò, deve accadere ad una sola condizione: bisogna tornare prima che il caffè si raffreddi.

Tra di loro ci sono il professor Kadokura, che ha trascurato la famiglia per il lavoro; i coniugi Sunao e Mutsuo, addolorati per la scomparsa dell’amatissimo cane; Hikari, pentita di non aver accettato la proposta di matrimonio del fidanzato Yoji; e infine Michiko, che è tornata nel locale in cui aveva incontrato il padre. Ognuno ha una storia diversa, ma tutti hanno lo stesso sguardo rivolto all’indietro, verso il momento in cui avrebbero potuto agire diversamente.

Nella vita ci sono tanti bivi. Tutti i rimpianti derivano da ciò che è accaduto in un momento che non avremmo mai immaginato potesse accadere. Quando una nostra azione porta a un risultato inaspettato, come possiamo non provare un grande rimpianto? Dopotutto, quando mai capita di avere un’altra possibilità?

L’Italia d’ispirazione

La scelta di chiamare la caffetteria “Funiculi Funicula” è stata una decisione curiosa e particolare, che rimanda alla tradizionale canzone napoletana. Non è stato di certo, però, una casualità.

Infatti, lo scrittore, in un’intervista, dichiara che:

È una canzone che ho imparato durante le lezioni di musica quando ero alle elementari. Ed esiste una famosa parodia, che è la preferita di tutti i tempi dai bambini giapponesi, che, ovviamente, non ha nulla a che fare con il testo originale. Però, quando pensavo al nome del caffè, desideravo che fosse nostalgico, e Funiculì Funiculà è stata la risposta. Questa canzone è molto conosciuta e, se inizi a cantarla, potresti iniziare a ripensare ai ricordi d’infanzia

Inoltre, Toshikaze sembra essere anche molto legato al Bel Paese. Non solo per la canzone, ma sogna di viaggiare in Italia e visitare Napoli, fare un giro per le strade partenopee e, in particolare, scalare il Vesuvio.

Intervista dello scrittore Toshikazu Kawaguchi al salone internazionale del libro di Torino 2022. Fonte: La Stampa

La caffetteria che cambia la vita

Lasciando da parte questa chicca, possiamo dire con certezza che la penna di Kawaguchi potrebbe benissimo essere paragonata ad una carezza su un foglio. E’ un racconto di vita quotidiana, che parla di persone e non di personaggi, proprio perchè non sono tanto diversi dalla realtà. Ognuno ha la propria storia, i propri dolori e i propri dubbi, e l’autore ce li propone con gentilezza, con la delicatezza di chi non vuol far rumore ma, allo stesso tempo, irrompere con fermezza nella nostra realtà costruita piano piano a fatica e voler accompagnare tra i meandri dei nostri ricordi.

Kawaguchi racconta relazioni di amanti, coppie di fidanzati, di fratelli, coniugi, rapporti tra padri e figli; di situazioni difficili, di sensi di colpa, di malinconia, di fallimenti. Tornano indietro nel tempo, consapevoli di non poter fare la differenza, ma è anche un piccolo pretesto, un modo per riavvicinarsi agli altri anche quando ormai sono già andati via. La narrazione è secca, spontanea, ma allo stesso tempo dolce e commovente, con la capacità di poter affrontare con leggerezza, senza cadere nel banale, temi dolorosi e profondi, creando personaggi umani, sfaccettati, ricchi di vulnerabilità e difetti.

Ci si chiede a quale pro dover affrontare un viaggio nel proprio passato se poi non è possibile cambiarne il destino: una cosa è certa, è molto difficile rassegnarsi all’idea che il passato non possa cambiare. Quando ognuno affronta i problemi da solo, non si riesce ad accettare un possibile fallimento, magari causati da una parola di troppo, di qualcosa detta fuori posto, di sentimenti e pensieri nascosti nel proprio intimo. Proprio per questo, l’intervento e l’aiuto di altre persone nella vita sono la chiave per superare i rimpianti.

Kawaguchi è consapevole del fatto che è davvero difficile immaginare che siano gli altri la nostra ancora di salvezza, soprattutto in un periodo così attuale in cui è sempre più raro e difficile stare vicini. La vita è piena di fallimenti, battute d’arresto e rimpianti, ma è fermamente convinto che tutti possano essere salvati con l’aiuto degli altri.

Ci vediamo per un caffè è un romanzo di conquista, capace di catturare l’attenzione e tener ancorato il lettore alla scoperta di vite di tutti i giorni. Un viaggio che supera i confini della realtà, toccando le vette della magia, che trasmette serenità e spensieratezza, tipica dell’atmosfera narrativa giapponese nata sotto profumati fiori di ciliegio. Certo, una lettura perfetta per godersi la bellezza sfuggente della primavera appena inoltrata.

 

Victoria Calvo

Guerra ucraina: le due potenze ai conti con i “proiettili all’uranio impoverito”

La guerra in Ucraina procede e l’Occidente, determinato, protrae i suoi aiuti a Kiev. Il Regno Unito, in particolare, ha deciso per l’invio di un nuovo, letale tipo di equipaggiamento: i proiettili all’uranio impoverito. Vediamo ora le loro caratteristiche, quindi perché possono essere parecchio incisivi e pericolosi, tanto per chi li utilizza quanto per chi ne subisce l’impiego.

Le ambiguità dei proiettili “speciali”

Riporta le informazioni L’Indipendente. Il 20 marzo, durante un’audizione alla Camera dei Lord, la baronessa Annabel Goldie, viceministra della Difesa, ha dichiarato:

Assieme a uno squadrone di carri armati pesanti da combattimento Challenger 2 manderemo anche le relative munizioni, inclusi proiettili perforanti che contengono uranio impoverito poiché altamente efficaci per neutralizzare tank e blindati moderni russi

Un annuncio importante per tutto il mondo, che dal conflitto sovietico è preso in causa. Scioccante per chi conosce la natura di questi mezzi, provocante forse più sgomento che gioia. Perché c’è una cosa che la baronessa ha omesso; cioè che l’impatto delle pallottole genera la diffusione di microparticelle di uranio, sì impoverito, ma diversamente radioattivo, per le persone e le cose circostanti gli spari.

La storia dei proiettili all’uranio impoverito

La storia vede i proiettili all’uranio impoverito protagonisti degli assalti occidentali in Iraq, in Kuwait e nei Balcani. E fu proprio all’epoca dei fatti, nel 2001, che Carla del Ponte, allora procuratrice capo del Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia, definì “crimine di guerra” l’utilizzo di quegli strumenti.

Invece oggi? Per il motivo succitato, il dibattito internazionale sulla fruizione delle armi all’uranio impoverito è più che mai vivo, e queste munizioni non sono ancora state messe al bando. Solo un ristretto numero di paesi, tra cui il Regno Unito, impiega questi mezzi senza considerare i danni ambientali e fisici che possono generare.

D’altronde, pochi studi riescono efficacemente a dimostrare il legame consequenziale tra proiettili e malattie da essi scaturite; perché pochi studi sono stati condotti in merito e la correlazione non è semplice da dimostrare. Dulcis in fundo: non esistono trattati restrittivi a proposito.

Proiettili. Fonte: PxHere

La notizia incattivisce il Cremlino

Alla luce di quanto scritto, si spiegano le reazioni di Putin e del suo ministro della Difesa Sergei Shoigu alle parole della Goldie. «La Russia sarà costretta a reagire alle forniture occidentali di munizioni all’uranio» ha affermato il Presidente, mentre il membro del governo ha definito oramai «a pochi passi» lo scontro nucleare.

Tutto questo è avvenuto nel momento in cui il Capo del Cremlino e il Presidente cinese Xi Jinping si trovavano a Mosca per un dialogo, bigotto, su “negoziati e piani per la pace”. Un dialogo basato su dodici punti redatti dall’amministrazione di Jinping.

I dodici obiettivi di Xi Jinping

Di seguito elencati i dodici obiettivi, qui concentrati in brevi frasi, contenuti nel piano “per la pace” del Presidente Xi Jinping:

  1. Rispettare la sovranità di tutti i paesi.
  2. Abbandonare la mentalità della guerra fredda.
  3. Cessare le ostilità.
  4. Riprendere i colloqui di pace.
  5. Risolvere la crisi umanitaria.
  6. Protezione dei civili e dei prigionieri di guerra (POW).
  7. Mantenere sicure le centrali nucleari.
  8. Riduzione dei rischi strategici.
  9. Facilitare le esportazioni di grano.
  10. Stop alle sanzioni unilaterali.
  11. Mantenere stabili le catene industriali e di approvvigionamento.
  12. Promuovere la ricostruzione postbellica.

Gabriele Nostro