Lorraine e l’angelo

Quando si pensa all’aldilà, che sensazione si prova? Cosa potrebbe mai esserci dall’altra parte? Paradiso o Inferno? Angeli o demoni? Almeno questo era ciò che si credeva in genere. Lorraine non conosceva la risposta esatta a quelle domande, né tantomeno sapeva perché mai una persona, soprattutto giovane, avrebbe dovuto chiederselo, con tutti gli interrogativi che già offriva la vita terrena. Come vive un ateo? Se lo chiede spesso, questo. Per lei è inconcepibile l’ateismo. Lei, che sin da piccola vedeva cose strane, assisteva a fenomeni inspiegabili, che nemmeno lei capiva all’inizio. Quando era piccola, aveva paura di ciò che vedeva. Nessuno le credeva, ovviamente. Pensavano fosse una pazza svitata, una da manicomio. Aveva comunque cercato di vivere una vita normale, si era fatta delle amiche. Certo, poi aveva conosciuto Ed, e tutto era cambiato. La sua vita non era mai stata semplice, sin dall’infanzia, e da quella volta in ospedale…

…- Scendi dalla macchina, Lorraine. Dai, che andiamo a trovare la zia-. La zia aveva avuto un problema di salute, Lorraine non sapeva per certo di cosa si trattasse, ma la mamma era andata in ospedale a trovarla, ed ora che la zia stava meglio, lei poteva andare a farle visita. Quel giorno, Lorraine aveva saltato la scuola. Questo non faceva felice sua madre, ma allo stesso tempo andare a trovare la zia era la cosa giusta. Entrarono nella hall, una sala grande, con tanti pazienti che attendevano il loro turno, chi per visitare parenti come loro, chi per farsi fare una visita. C’erano un paio di infermieri, che annotavano costantemente ogni informazione su un quaderno. Le mandarono in un reparto al piano superiore dell’ospedale, che da poco tempo si era ammodernato con l’aggiunta dell’ascensore. Lorraine non capiva come avessero fatto i pazienti precedenti a salire senza ascensore fino al 1935. Pigiò il bottone per il secondo piano, e salirono. Quel giorno sua madre indossava un abito lungo, stretto in vita, e con una lunga gonna che le scendeva fin quasi alle caviglie. Dalla vita in su, invece, indossava una camicia bianca, maniche lunghe, con sopra una giacca blu, chiusa fino al merletto che copriva il collo. –Buongiorno- Salutarono l’infermiera presente in reparto, che le condusse fino alla stanza dove stava la zia, che appena la vide, il volto le si allargò in un sorriso. –Ciao, Lorraine. Niente scuola oggi? Sei venuta a trovarmi con la mamma? Ma quanto sei cresciuta, e da quando avevi 5 anni che non ti vedo!! Quanti anni hai adesso?-. – Otto- rispose lei. – Stai crescendo in fretta!!- le disse la zia. – Non tanto da dormire sola di notte. Questa notte è corsa da me piangendo, perché ha avuto un incubo- disse sua madre. In effetti, ora che ci pensava, Lorraine soffriva spesso di incubi durante le notti, poi correva nel letto dei genitori. Non riusciva a capire il motivo di quegli incubi. E inoltre, a volte le sembrava di estraniarsi dalla realtà. Percepiva cose strane, aveva delle sensazioni. Era in grado di capire quando una persona stava per cadere ancora prima di vederlo con i propri occhi. Non sapeva come era in grado di farlo, né perché. La mamma non lo sapeva questo, Lorraine non voleva dirlo. Le avrebbe creduto? Aveva dubbi a tal proposito. A scuola, una mattina, era successo che durante una lezione di matematica, scorrendo le pagine del libro, aveva sollevato un attimo lo sguardo, con lo sguardo rivolto alla lavagna, per seguire la lezione della maestra. Fu allora che lo notò. Un’ombra nera si stagliava accanto alla maestra. Pensava a un effetto di luce, ma quando la maestra si spostò sotto la finestra per consentire loro di leggere la lavagna, l’ombra la seguì. Lorraine era stupita. Inoltre, l’ombra aveva assunto i contorni di una figura umanoide, cosa che non era possibile. La seguì con lo sguardo mentre si spostava sul muro, e si posizionava vicino al banco di un compagno. Dal muro si sollevarono due piccole nuvole nere, probabilmente braccia, e comparvero due mani nere, scarne, che si allungarono verso il banco, presero una gomma, e la tirarono addosso a un compagno. Lorraine corse fuori dall’aula improvvisamente, di fronte allo stupore dei compagni e della maestra stessa. L’aveva ritrovata una suora. Si era rifugiata in bagno, e piangeva. Sembrava uno dei suoi sogni. – Lorraine, non avere paura. La mamma mi ha raccontato del brutto sogno che hai fatto la notte scorsa. Non avere paura degli incubi, perché non possono farti nulla. Sii forte, torna in classe che la maestra è preoccupata-. Col tempo, Lorraine aveva provato ad essere forte, ma anche quando passava accanto alle compagne, quelle fuggivano da lei. Pensavano fosse pazza, probabilmente. E ora che sua madre e sua zia chiacchieravano, Lorraine si distrasse, uscì un attimo dalla stanza e vagò nel lungo corridoio del reparto. Il suono delle sue scarpe risuonò nel corridoio, fino a che non giunse a una stanza in cui riposava un anziano signore. Titubante, entrò, senza avere un motivo preciso. L’anziano riposava serenamente, ed era biancastro in volto. Un breve raggio di luce filtrava dalla piccola finestra, e illuminava un uomo seduto sulla sedia accanto al letto. L’uomo posò lo sguardo su di lei, e le parlò- Ciao, Lorraine.- la salutò. Lorraine non lo conosceva, e non sapeva come quell’uomo potesse conoscere il suo nome. Ma rispose timidamente al saluto. L’uomo, giacca e cravatta bianchi, ora giovane ora anziano (Lorraine non riusciva a capire che età potesse avere), le disse-Quest’anziano signore sta per lasciare l’ospedale, vuoi recitare una preghiera con me?- Lorraine annuì, pregarono insieme, e di nuovo l’uomo le rivolse la parola –Quando ne avrai bisogno, non esitare a chiamarmi- Lorraine non capiva come mai avrebbe dovuto rivolgersi a un tizio che nemmeno conosceva, però annuì comunque. -In realtà ci conosciamo già, ma questo lo capirai più avanti. Ci sono cose che non appartengono a questo mondo, e tu le dovrai affrontare.-  All’improvviso, quel bagliore di luce divenne accecante, e quasi Lorraine non ci vedeva più. Spostò leggermente la mano, e vide in piedi di fronte a lei, l’uomo che si stagliava ora a un metro da terra. Levitava, volava? Non credeva ai suoi occhi. Alzò lentamente lo sguardo, timorosa, e vide che il tipo indossava una tunica bianca(al posto dell’abbigliamento precedente) e dalle spalle si allargavano da ambo i lati due enormi ali bianche e candide, che toccavano le estremità della stanza, che a malapena le conteneva. Il volto era ora di un giovane ragazzo ora di un uomo di mezz’età(Questo non era cambiato). Capelli biondi, volto luminoso. Era un angelo quello che aveva davanti. L’anziano signore coricato sul letto non respirava più adesso, Lorraine capì. D’improvviso, come era comparso, l’angelo sparì in un bagliore…

… Da lì era cambiò ogni cosa, Lorraine comprese che ciò che vedeva e percepiva era reale, e anche se nessuno le credette andò avanti. A dire il vero, qualcuno che le credette ci fu. Un giovane ragazzo di nome Edward,che lei conobbe otto anni dopo, e assieme al quale avrebbe vissuto l’intera vita. Ma questo Lorraine ancora non lo sapeva.

Roberto Fortugno

Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Istanbul

La città che odora di spezie
Di tè alla mela e baklava col miele

La città dei canti
all’ora della preghiera due moschee
rispondono al loro dio
La prima con sei minareti blu oceano
La seconda dei musulmani,
Santa Sofia
ricostruita sulle macerie dei cristiani.

Un acquedotto sotterraneo
rapisce i turisti
quanto il palazzo del Sultano
Colonne si estendono sull’acqua in un percorso di luci alla Cisterna

Una via di gioielli, pietre e spezie
è il Bazar egiziano,
più piccolo e più adorato
del Gran Bazar che non ha inizio né fine

La città di un Oriente
maldipinto di paura
Separata dal Bosforo in antica e nuova
Per chi non ha voluto
capirne la cultura
Istanbul rubi l’anima a chi ti assapora

Alessandra Cutrupia

*Immagine in evidenza: Illustrazione di Marco Castiglia

L’uomo nel carro

Villa Von Stein apparve all’improvviso all’orizzonte dopo che ebbero superato un ultimo tornante

Era una struttura immensa, incastonata tra le montagne, nascosta da una fitta boscaglia che copriva l’intero primo piano, circondandolo in ogni lato

“Un luogo tetro e dimenticato da Dio” disse Pietro, non più giovane scrittore sulla quarantina, mentre conduceva la sua 500 Nera Dolcevita attraverso quei colli aspri e selvaggi

“Ti è sempre piaciuto drammatizzare” rispose Antonella, sua moglie, più giovane di lui di cinque anni, dottoressa in archeologia.

“Drammatizzare è il mio mestiere.”

Si erano spinti fin lassù dopo aver ricevuto l’invito di Franz Von Stein, un anziano nobiluomo tedesco, che aveva deciso di trascorrere gli ultimi anni della sua vita nell’Italia che aveva conosciuto da giovanissimo

“Come se la situazione non fosse già abbastanza drammatica” riprese sua moglie con fare indispettito

“Suvvia, volevo creare un po’ d’atmosfera”

“Atmosfera? Essere convocati…”

“Invitati” provò a correggerla Pietro;

“Invitati…da un ex nazista nella sua lugubre tenuta di montagna per valutare i suoi preziosi trofei di guerra non crea già abbastanza atmosfera?”

“Innanzitutto non era un nazista…”

“Ah no? Nella sua biografia io leggo Colonnello tedesco dal ’43 al’45 sul fronte italiano”

“Non tutti i tedeschi erano nazisti” rispose Pietro scrollando le spalle “O almeno, lui non lo era”

“Pensa ciò che vuoi” tagliò corto lei come sempre faceva quando in realtà aveva voglia di mettersi ad urlare.

Giunti alla villa parcheggiarono l’auto in uno dei grandi giardini antistanti, poi vennero accolti da un maggiordomo alto e smilzo

“Herr Vitelli und Frau Germanà?” domandò questi tirandosi su gli occhiali con l’indice

“Siamo noi”

“Seguitemi”

Camerata Franz s’è circondato di teutonici” disse scherzando Pietro

“Che strano! Un inquietante ex nazista quasi novantenne…”

“Ha ottantasette anni…” la corresse Pietro.

“Ottantasettenne…che si circonda di suoi connazionali altrettanto inquietanti”

“E da me cosa vuoi? Sei tu quella ingaggiata dal vecchietto. Io sono qui solo come accompagnatore…”

“E allora perché ha nominato prima te?”

“Che cosa?”

“Perché ha detto Herr Vitelli und Frau Germanà e non il contrario?”

“Sono tradizionalisti qui. Non farti queste domande. Valuta i maledettissimi gingilli del vecchiaccio, prendi i cinquantamila che ci ha promesso e filiamo via.”

“Avrebbe dovuto dire “Frau Germanà und Herr Vitelli”…” mormorò ancora Antonella mentre entravano nella villa

“Già, ma dubito che da queste parti conoscano l’espressione parità di genere. E non a causa della scarsa padronanza dell’italiano.”

L’interno di Villa Grandi sembrava un enorme mausoleo della Seconda Guerra Mondiale comodamente racchiuso nel personale “buen ritiro” del Colonnello Von Stein

Elmetti arrugginiti, fucili d’ogni foggia, financo qualche granata in bella mostra, e questo solo nell’anticamera del primo piano.

“Inquietante…” mormorò ancora Antonella

“Sono solo armi.”

“Armi americane. E’ tutta roba che ha preso dai cadaveri dei suoi nemici. Riesci a pensare a quanta gente abbia sulla propria coscienza questo vecchio?”

La domanda rimase senza risposta, poiché si accorsero, con loro grande sorpresa, di essere gli ultimi arrivati all’asta indetta da Von Stein.

Non meno di una ventina di persone avevano già preso posto sulle tribunette allestite lungo la sala grande della villa, tutte o quasi coetanee del vecchio colonnello

Ma ciò che lasciò Pietro e Antonella senza fiato fu vedere cosa si trovava al centro della sala: un M4 Sherman o ciò che ne restava. La carcassa annerita di un vecchio carro armato americano degli anni’40, sulla cui carena era ancora ben visibile la stella bianca

“Herr Vitelli?”

Una voce debole e stridula, proveniente dal fondo della sala, richiamò la loro attenzione

Sordi rumori si fecero sempre più vicini, come il ticchettio di un vecchio orologio morente.

Franz Von Stein apparve di fronte a loro reggendosi a fatica al suo bastone, mentre una signora corpulenta sulla quarantina lo sosteneva dal braccio.

“È un piacere conoscerla…” sussurrò in perfetto italiano “…questa è sua moglie? Frau Germanà, ja?”

“È lei” confermò Pietro mentre Antonella annuiva timidamente

“Mi hanno detto grandi cose di lei” riprese Von Stein stringendo la mano prima a Vitelli e poi a sua moglie “Spero siano tutte vere”

“Lo speriamo tutti” disse un uomo con spalle larghe e postura militare.

“Ingaggiarla è stato assai oneroso.”

“I soldi non sono un problema, Ludwig, non per me” lo redarguì il vecchio.

“Papà, devi capire che…”

“No! No! No! Sei tu che devi capire!” esclamò Von Stein volteggiando il bastone e puntandolo verso l’uomo dalle spalle larghe “Questa casa, questo carro, tutto ciò che vedi e anche quello che non riesci a vedere appartiene a me! E mi apparterà finché non tirerò le cuoia. Poi potrai sperperarlo come meglio potrai. Ma fino ad allora, taci e sta al tuo posto, chiaro?”

“Certo padre…” mormorò con freddezza Ludwig Von Stein abbassando lo sguardo

“Ed ora, Frau Germanà, il carro…”

“Il carro?”

“Lo valuti, su!” la invitò il vecchio Colonello

“Non ho competenze in questioni militari” si schermì Antonella

“Quando analizza una biga d’epoca imperiale lo fa perché si intende di ippica? No di certo. Lo fa valutandone il valore storico. Ed io questo le sto chiedendo…”proseguì il colonnello in pensione dando alcuni pugnetti alla carena ferrata dello Sherman “…quanto vale un carro americano della Seconda Guerra Mondiale, dal punto di vista storico?”

“Ebbene…” rispose Antonella dopo aver deglutito intimorita “…dovrei guardare gli interni.”

“Facciamolo subito!” esclamò Franz Von Stein schioccando le dita verso il suo maggiordomo “Aprilo”

Il maggiordomo raggiunse il carro portando con sé una scaletta di legno, vi salì, e cominciò maldestramente a maneggiare il cupolino dello Sherman

“Levati!” urlò a quel punto Von Stein spingendolo via e prendendo il suo posto sulla scaletta “Qui dentro devo fare sempre tutto io…”

Nonostante l’età e il fisico precario, il vecchio colonnello riuscì rapidamente ad aprire il cupolino del carro

“Eccoci qua…Così…Ma che cosa!?”

Un tonfo sordo squassò la placida calma della sala grande. Il vecchio trasalì, scivolò all’indietro e cadde rovinosamente a terra

Suo figlio Ludwig fu il primo a raggiungerlo, seguito poco dopo dagli altri ospiti, inclusi Pietro e Antonella.

“Papà, papà…” ripeté l’erede dei Von Stein agitando il padre privo di conoscenza, mentre il maggiordomo tastava il polso del vecchio

“Mio signore, Herr Von Stein è morto.”

“E non è l’unico” disse Pietro guardando con disgusto all’interno del carro “C’è anche lui”

All’interno dello Sherman giaceva senza vita Daniel Von Stein, secondogenito del colonnello e fratello minore di Ludwig

“Il signor Von Stein è morto di crepacuore” dissero qualche ora dopo i medici accorsi nella villa.

“Alla vista del cadavere del figlio il suo cuore non ha retto” commentò Antonella.

“Ok, il vecchio è morto di crepacuore. Ma Daniel? Com’è morto?” domandò Pietro al medico legale.

“Asfissia.”

“Asfissia?”

“L’hanno chiuso dentro il carro” rivelò il medico

“La morte risale a circa 24 ore fa” aggiunse il collega

“Quindi possiamo escludervi dai sospettati” intervenne il commissario di Polizia Paride Ferri

“Sia voi due che i partecipanti all’asta siete liberi di andare. Il signor Ludwig invece…” proseguì Ferri voltandosi verso il rampollo dei Von Stein, il quale era tenuto sotto torchio da diversi agenti.

“Crede sia stato lui?” chiese Vitelli al Commissario

“E chi altri potrebbe essere stato? I romani dicevano cui prodest, e qui l’unico che trarrà vantaggio dalla morte del padre e del fratello è proprio Ludwig Von Stein.”

“Sembra proprio uno dei tuoi romanzi” sussurrò Antonella a Pietro

“Nei miei romanzi però i morti sono finti. E alla fine si scopre sempre chi è stato.”

“Lo sappiamo anche adesso.”

“Ma chi, Ludwig? E’ troppo scontato…”

“A volte la vita lo è. Non dev’essere tutto colpi di scena e cliffhanger. A volte banalmente è il figlio rancoroso con la famiglia che stermina la famiglia per prendersi l’eredità”

“E il movente?” domandò ancora Pietro alla moglie.

“La villa, il carro, i pezzi d’antiquariato e il mezzo miliardo di franchi svizzeri del vecchio sono un ottimo movente.”

“E tutte queste cose le avrebbe comunque ricevute. Se non oggi, tra qualche mese o anno. Era già l’erede universale dei beni del padre. Perché ucciderlo e rovinarsi con le proprie mani?”

“Stupidità?”

“Forse. Oppure…”

“Molto bene signori Vitelli, questa è una scena del crimine”li interruppe Paride Ferri.

“Dovreste andarvene, lasciate fare alla Polizia.”

E così fecero, lasciarono fare alla Polizia. La quale incriminò Ludwig Von Stein per l’omicidio del fratello Daniel, e sequestrarono tutti i beni del vecchio Franz

Il processo andò avanti per mesi, divenendo appuntamento fisso sulle prime pagine dei principali giornali, sia tedeschi, sia italiani, e si concluse con la condanna di Ludwig Von Stein a 26 anni di carcere, da scontare in Germania, sua patria d’origine.

Pietro e Antonella dimenticarono quel caso, proseguirono con le loro vite, affrontarono altri casi altrettanto se non più articolati.

Finché un giorno, a bordo della loro 500 Nera Dolcevita non udirono alla radio che il testamento di Franz Von Stein era stato miracolosamente ritrovato proprio il giorno successivo alla chiusura del processo di Ludwig.

“Con un colpo di scena degno del miglior thriller hollywoodiano, il testamento del magnate Franz Von Stein, morto di infarto due anni fa, è riemerso tra le carte dell’ufficio ormai abbandonato dell’ex colonnello della Wermacht, gettando un’ombra sinistra sul metodo investigativo del Commissario Ferri”

“Lasciate fare alla Polizia” lo schernì Pietro.

“Zitto! Lasciami ascoltare” lo redarguì Antonella alzando il volume della radio.

“Dal testamento, emerge la figura di Thomas Kramer quale unico beneficiario delle ricchezze di Von Stein.”

“Thomas Kramer? Chi è Thomas Kramer?” si domandò sua moglie.

“Il maggiordomo di Villa Von Stein sarà felice di sapere che l’uomo che per tanti anni ha accudito, si è rivelato essere così generoso nei suoi confronti.”

Pietro ed Antonella si guardarono per qualche secondo, poi scoppiarono a ridere sguaiatamente.

“Allora è vero che il colpevole è sempre il maggiordomo…”

Giuseppe Libro Muscarà

Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Radici di cemento

Aveva solo un braccio davanti, una mano da studiare attraverso il percorso sbiadito di vene ancora coperte.

La sua stanza si trovava al centro esatto di Torino, dal suo edificio si diramavano vie sempre piene, case ornate di urla, camere dove i sogni si accatastavano.
Il sole stava per scomparire, ma teneva la luce spenta. Le sue mani divenivano meno nitide e stavano già iniziando a mischiarsi all’oscurità. Quanto era grande in quel momento il letto su cui sopravviveva, simile a un gomitolo inanimato.
Si assopì, ma dentro aveva un ammasso che proiettava nella mente dormiente mostri neri. Si svegliava a occhi chiusi e senza respiro. Così per un paio di volte fin quando non arrivava l’ora di avviarsi verso il luogo di lavoro.
Accarezzò un cane solitario che ormai era diventato suo amico. Ogni giorno si salutavano e pareva che ciò, in qualche modo, li legasse.
Finita la giornata lavorativa si rese conto di non aver fatto abbastanza. La sua trasformazione in macchina non riusciva ad avvenire, la pelle era ancora troppo morbida e fragile. Dentro aveva qualcosa che da sempre cercavano di strappare. Parlavano di una certa sensibilità, ma chi era questa presenza, questa intrusa, che non permetteva di spegnersi e lavorare? L’avrebbe soppressa con piacere, ma non riusciva mai a staccarsela di dosso. Ucciderla significava suicidarsi.

Adesso camminava con gli occhi rivolti verso il basso, mentre ripensava a ciò che non aveva saputo fare. D’improvviso sentì un colpo alla gola e si ritrovò ad essere un tutt’uno con le strisce pedonali che stava attraversando. Si fermò non riuscendo più a comandare le gambe.
Poi vide il nero dell’asfalto lasciare la strada e risalire dai piedi, scalare le gambe fino allo stomaco. Sentì un forte dolore che partiva dalle caviglie e guardando in giù si accorse con orrore che la sua pelle si stava spaccando. La pece nera squartava persino i muscoli e si infilava con prepotenza. Il sangue scivolava su ciò che rimaneva della sua epidermide e scendeva a bagnare la terra.
Era difficile quantificare il dolore che stava provando. Avrebbe voluto allungare le mani e chiudere quegli squarci, ma non riusciva a muoversi, a stento spostava gli occhi per fargli avere una panoramica di quello spettacolo raccapricciante.
Dalle mani, poi, iniziò ad assorbire il fumo dell’aria e, quando le persone iniziarono a intimare di spostarsi con vari insulti, aspirò anche le loro parole e se le chiuse nel petto. Chissà se si erano accorti di come anche la loro oscurità si era riversata come un fiume di fango al suo interno. In ogni caso non lo diedero a vedere. Urlarono e, poi, si sentirono meglio. Presi di premure e ansie attesero che se ne andasse per tornare di corsa alle loro abitazioni o a lavoro alla ricerca di qualcun altro cui buttarsi addosso.

Tornò a casa e quel nerume, che prima circolava lungo il corpo, si rintanò nel cervello. Lì girava viscido e vomitevole.
Eventi di questo tipo erano del tutto nuovi, ma non rimasero tali per molto. Iniziarono a susseguirsi in modo periodico, senza preavviso.
La sua vita aveva subito un grosso cambiamento, ma col tempo iniziava ad abituarsi a quella nuova routine fin quando non avvenne, nuovamente, qualcosa di inaspettato.

In uno dei suoi giorni liberi decise di fare una passeggiata. Si ritrovò in una campagna verde ed estesa. Il manto di piante copriva una terra viva, piena di insetti e microsistemi.
Il sole rendeva il colore di quella rigogliosa natura brillante e riscaldava tutto, senza bruciarlo. Più in fondo un ruscello violento correva e a ogni sconto con i sassi che lo percorrevano le sue acque saltavano e si dividevano.
Mentre si guardava intorno finì ad osservare le sue mani da dove un fumo nero usciva propagandosi come nebbia.
Un desiderio si fece strada nella sua mente, la voglia di spaccare la sua stessa pelle ed abbracciare, infine, la libertà. La brama di smettere di essere non era più accompagnata dalla paura della fine. Adesso opporsi era impensabile.
Si accasciò con fiumi di una sostanza verde che dipartivano dai suoi occhi. La sentiva uscire come lacrime e mentre un sorriso disperato si allargava sul suo volto stravolto l’euforia gli scorreva dentro.
Strappò tutto, qualsiasi bacio fosse stato depositato sulla sua pelle, ogni carezza e schiaffo. Dai suoi polsi uscì uno spruzzo della stessa sostanza, le gambe erano ormai completamente dilaniate. Non vi era più nulla di umano in quella creatura che si contorceva, il cui volto e corpo erano completamente coperti di quella sostanza indefinita che si muoveva scorrendo. Avvolse la carne da cui in origine era uscita, si insinuò nelle narici e nella gola; coprì i capelli e si diramò in foglie che pendevano verso il basso. Quello che prima era un corpo divenne un tronco, i suoi piedi scesero a scavare la terra alla ricerca di acqua, una chioma copriva tutto.

Da allora quella collina venne abitata da una nuova presenza. Era nata dal dolore, ma adesso donava ombra nelle calde giornate estive ed era il rifugio di chi stanco fuggiva dalla vita.
Ogni giorno un cane veniva a far visita a quella pianta e, l’uno accanto all’altro, riposavano per sempre.

Alessia Sturniolo

*immagine in evidenza: illustrazione di marco castiglia

Castello Gallego – Storia del simbolo di Sant’Agata Militello

L’inizio della leggenda

Come molti luoghi della suggestiva Sicilia, Sant’Agata Militello affonda le sue radici in un mito avvolto nel fascino dell’antico, attribuendo la sua fondazione a uno dei figli di Eolo, sovrano dei venti e delle isole che portano il suo nome. Questi esseri, provenienti da Lipari e migrati sulla ‘terraferma’, plasmarono il territorio assegnato loro dai Sicani, dando vita a una cittadina originariamente chiamata Agatocle, un nome che col tempo si trasformò in Agata.

Un alone di segretezza avvolge anche la leggenda secondo cui coraggiosi navigatori di Catania, colti da una tempesta impetuosa, cercarono rifugio sulle spiagge di Sant’Agata. In seguito, per adempiere a un voto di gratitudine verso la santa protettrice della loro città, trasportarono con sé una statuetta di Sant’Agata, da cui la località avrebbe tratto il suo nome, conservando così gli antichi segreti di un passato avvolto nella suggestione.

In effetti, sembra che l’origine del nome del paese sia da attribuirsi a una modesta chiesa situata nelle vicinanze della zona marina, anche se le tracce di quest’ultima sono ormai irrimediabilmente perdute nel tempo. Tuttavia, la presenza di tale chiesa è attestata da un resoconto di un antico viaggiatore, il quale annotò con cura

“segue appresso a ½ miglio e fondago di Santa Agatta posseduta dall’Illustre signor Barone di Militello […] et li è una chiesa antica pur nominata Santa Agatta”.

Purtroppo, al momento, non si dispone di ulteriori informazioni riguardo a questa misteriosa chiesa. Tale mancanza di dettagli contribuisce a mantenere avvolta nel mistero la storia di Sant’Agata e delle sue origini. Ad oggi, la principale testimonianza della storia santagatese è la presenza del Castello Gallego.

 

Storia del castello

La struttura si presenta come l’evoluzione della cittadina attraverso le varie epoche. Come la maggior parte dei castelli della zona (Castello Larcan-Gravina di Acquedolci), esso nasce prima come torre di avvistamento che aveva lo scopo di difendere e avvertire, in caso di pericolo, le cittadine situate nella zona montana. La prima torre venne edificata intorno al XIV secolo per volontà dei regnanti aragonesi. Nella seconda metà del ‘500 venne affiancata alla prima una seconda torre.

Nel 1573, i nobili aragonesi Gallego, dal quale il castello prende e mantiene il nome, ottengono la baronia dello stesso e dedicano un particolare interesse verso questa struttura. Si nota anche dalla diminuzione degli attacchi pirateschi in quel periodo.

Nel 1628 inizia la costruzione del palazzo circostante alle due torri, destinato ad ospitare i discendenti del Principe Luigi Gallego di Militello per oltre un secolo. L’ultimo erede vendette l’edificio e le terre al Principe Lanza Branciforte di Trabia, che lo adoperò come residenza estiva e mantenne la proprietà anche dopo l’abolizione della feudalità. Nel secolo scorso, il castello ha avuto varie destinazioni, tra cui un’azienda agricola e un ristorante. Solo nel 1991 il Comune di Sant’Agata lo acquisì, riportandolo al suo antico splendore attraverso opere di restauro tra il 2006 e il 2008.

 

Architettura

Il Castello Gallego, con il suo perimetro quadrangolare, delinea un ampio cortile interno. La facciata, caratterizzata dal portale d’ingresso in pietra calcarea bianca locale, è affiancata a destra dalla Chiesa di Maria Santissima del Carmelo. L’androne, accessibile sia a piedi che da carrozze e cavalcature, costituisce l’ingresso principale. Da qui, si accede a due spazi laterali dedicati alla guardia e a una scalinata che conduce all’ala meridionale.

La sala delle guardie offre l’accesso a un ambiente sotterraneo con quattro piccole prigioni.

 

La sala delle guardie, ingresso sotterranei. ©Benedetto Lardo

 

Il vasto magazzino, pavimentato in ciottoli in parte e caratterizzato dal ritrovamento di giare durante il restauro, testimonia la conservazione dei prodotti.

 

Giare rinvenute durante il restauro del magazzino. ©Benedetto Lardo

 

Proseguendo, si trova la scuderia di palazzo, con pavimentazione e mattonelle in ceramica di Santo Stefano di Camastra che rivestono le mangiatoie, mentre un passaggio esterno consentiva l’accesso dei cavalli a questa stanza.

 

Scuderie con mangiatoie rivestite con mattonelle in ceramica di S.Stefano di Camastra. ©Benedetto Lardo

La Torre

La Torre Aragonese, o Torre Saracena, costituisce la parte più antica dell’intero complesso architettonico, con mura dallo spessore imponente di quasi due metri e un pavimento originale in cotto. Al centro di quest’ultimo si trova la bocca di una piccola cisterna d’acqua.

L’anticorpo di questa torre, eretto nei primi anni del XVII secolo, sorge sul luogo della scala in legno retrattile utilizzata per accedere al piano superiore. In caso di minaccia, i milites custodi potevano facilmente salire attraverso una botola ancora visibile.

La seconda torre fu concepita come fortino, ma forse rimase incompleta, presentando uno spessore murario inferiore alla prima.

Il fondaco della carrozza, originariamente la residenza della carrozza principesca ai tempi dei Gallego, successivamente, con il passaggio del castello ai Lanza di Trabia, fu destinato alla lavorazione dell’uva e alla conservazione del vino. Sulle pareti di questa stanza si possono ammirare disegni raffiguranti antiche navi a vela.

La corte costituisce il cuore pulsante del palazzo, fungendo da fulcro per molte attività del castello e offrendo un punto di contatto con il mondo esterno.

Da qui si accede a una scala a chiocciola, sovrastata dallo stemma originale della casata dei Lanza di Trabia. Nonostante le dimensioni ridotte, la scala ha mantenuto a lungo la sua importanza come l’unico mezzo di comunicazione con il piano superiore.

 

Stemma della casata dei Lanza di Trabia. ©Benedetto Lardo.

 

Infine, la Chiesetta di Maria Santissima del Carmelo funge da cappella del palazzo ed è accessibile al pubblico attraverso un’entrata esterna. Da essa prende il nome il Duomo della cittadina.

Oggi

Attualmente, il Castello Gallego si erge come un autentico polo culturale, ospitando la biblioteca comunale, una sala congressi, un ambiente dedicato allo scrittore Vincenzo Consolo, il museo etnoantropologico dei Nebrodi e la pinacoteca d’arte Nino Franchina. Ogni anno, i suoi ambienti sono animati da una variegata serie di eventi culturali.

Benedetto Lardo, Antonella Sauta

 

Fonti:

http://www.comune.santagatadimilitello.me.it/hh/index.php?jvs=0&acc=1

https://visitme.comune.messina.it/it/luoghi/castello-gallego-s-agata-militello

 

Prematurità: la forza travestita da fragilità

Il 17 novembre, non celebriamo la prematurità in se, ma l’immensità di un bambino microscopico che, nonostante tutto, si aggrappa alla vita. Diamo voce alle famiglie.

Quando parliamo di prematurità? 

Prematuro

Parliamo di prematurità quando un feto nasce prima delle 37 settimane di gestazione. I neonati prematuri sono suddivisi in:

  • Estremamente pretermine: prima delle 28 settimane
  • Molto pretermine: tra 28 e 31+6 settimane
  • Moderamente pretermine: tra 32 e 33+6 settimane
  • Tardo pretermine: tra 34 e 36+6 settimane

In base al loro peso alla nascita, i neonati pretermine possono essere ulteriormente classificati in:

  • Neonati di peso basso (LBW), con peso inferiore ai 2.500 grammi.
  • Neonati di peso molto basso (VLBW), con peso inferiore ai 1.500 grammi.
  • Neonati di peso estremamente basso (ELBW), con peso inferiore ai 1.000 grammi.

Fattori che possono condurre ad un parto prematuro

Rischio

I fattori che possono condurre ad un parto prematuro sono svariati. L’American College of Obstetricians and Gynecologists (ACOG) raccomanda il parto elettivo a partire da 32 settimane in casi selezionati che comportano complicazioni materne gravi e/o fetali. Nel caso del parto spontaneo, le cause possono  riguardare l’anamnesi personale, tra cui:

  • Precendenti parti prematuri (principale fattore di rischio)
  • Precedenti gravidanze multiple
  • Precedenti aborti terapeutici multipli e/o aborti spontanei

Oppure, problemi insorti o dovuti all’attuale gravidanza, come: Fecondazione in vitro, fumo di sigaretta, età materna giovane o avanzata (< 16 anni, > 35 anni), gravidanza gemellare, distacco di placenta, preeclampsia, tra le più comuni.

Rischi di un neonato pretermine

I rischi principali per un neonato pretermine sono strettamente correlati alla settimana di gestazione. Più precoce è la nascita, maggiore sarà il grado di immaturità fetale e ridotto il peso:

  • Gli estremamente pretermine risultano essere i più fragili. Presentano maggiore rischio di problematiche cardiovascolari e respiratorie. Risulta fondamentale  monitorare e valutare costantemente le funzioni e l’attività cerebrale.
  • Per i nati tra le 28 e le 31 settimane, i rischi neurologici risultano essere ridotti, ma risulta ancora aumentato il rischio di problematiche respiratorie e la suscettibilità alle infezioni.
  • Superate le 32 settimane, i rischi si riducono ma potrebbe essere posizionato, preventivamente, nei primi giorni di vita, un supporto respiratorio e nutrizionale, perché spesso in questa fase le funzioni di suzione e deglutizione non sono perfettamente sviluppate.
  • I nati tra le 34 e le 36 settimane rappresentano circa il 70% dei prematuri, e pur essendo stabili dal punto di vista cardiovascolare e respiratorio sono molto delicati sotto l’aspetto neuroevolutivo e immunitario.

Problematiche più comuni

neonato

Le condizioni patologiche riscontrabili in un prematuro, possono essere diverse, sia per gravità che per trattabilità. Viene prestata molta attenzione alle funzioni respiratorie, soggette alle maggiori problematiche a breve termine in caso di prematurità. Altre condizioni caratterizzanti il prematuro, possono essere:

  • Sindrome da distress respiratorio e displasia broncopolmonare
  • Entero-colite necrotizzante
  • Sepsi
  • Condizioni neurologiche
  • Difficoltà di alimentazione
  • Problemi cardiaci
  • Problemi visivi e uditivi

Complicazioni e sequele a lungo termine

Un Neonato prematuro avrà bisogno di cure mediche e controlli regolari; i medici, di solito, effettuano dei monitoragi a lungo termine per evitare complicazioni in futuro. Alcune delle complicazioni a lungo termine che un bambino prematuro può avere sono:

  1. Sequele neurologiche: lo stress a cui sono sottoposti i bambini prematuri può causare alterazioni nel cervello. I sintomi del danno cerebrale possono apparire nel tempo.
  2. Problemi di vista e udito: la mancanza di ossigeno nel cervello può danneggiare la retina, dato che è la parte dell’occhio che si collega con il cervello. L’eccesso di ossigeno che, può verificarsi a causa della respirazione artificiale, può anche generare alterazioni come la retinopatia. I bambini prematuri hanno un alto rischio di perdita dell’udito.
  3. Problemi di sviluppo e di comportamento: la prematurità e il basso peso aumentano il rischio di problemi di attenzione o di iperattività. La stimolazione precoce dei bambini prematuri aiuta a prevenire i problemi di apprendimento legati alla prematurità.

Prendersi cura dei genitori, per curare i bambini

coppia

Ben noto, come il divenire genitori richieda sempre nuovi apprendimenti, ma diventare genitori di un bambino nato pretermine amplifica ancora di più questa sfida. Uno studio ha indicato come lo stress dei genitori dei nati pretermine si riduca sensibilmente se, messi nelle condizioni di poter agire per la loro cura e di ricevere informazioni e istruzioni da parte degli operatori sanitari.

Ciò che si consiglia è il coinvolgimento dei gentori nei primi approcci al gavage (alimentazione tramite sondino gastrico) e poi all’allattamento vero e proprio, nel tenere in braccio, lavare e cambiare il loro bambino. Tutte azioni che tendono a ridurre i livelli di stress e ansia. Per un bambino prematuro i genitori sono come farmaci naturali, prendersi cura di loro significa prendersi cura del piccolo.

Un neonato prematuro, verrà sottoposto, ancora prima della nascita, ad una serie di trattamenti farmacologici; come per esempio la somministrazione di glucocorticoidi per la maturità polmonare. Tuttavia la sensibilizzazione va effettuata sulle procedure assistenziali svolti proprio dai genitori, piuttosto che sulla somministrazione farmaceutica.

Un affare di famiglia

genitori

La marsupio terapia; modalità di assistenza in cui il bambino, svestito, viene posto in posizione verticale sul petto nudo del genitore in modo che si crei un contatto pelle a pelle continuo e prolungato. L’orecchio del bambino poggia sul cuore del genitore, e lo riporta ai suoni della vita intrauterina. È stata dimostrata la sua efficacia nell’aumentare la capacità di termoregolazione, nel prolungare il sonno, nel migliorare i parametri respiratori e nello stabilizzare la funzione cardiaca.  Oltre a rinsaldare il legame genitore-bambino, il contatto col neonato attiva una serie di risposte neuro-ormonali (tra cui l’incremento dei livelli di ossitocina e prolattina) che aumentano la produzione di latte. Ne deriva una maggiore fiducia, autostima e senso di realizzazione per le madri, che si associa al fatto di poter fare qualcosa di positivo per i loro bambini.

La possibilità di accesso prolungato delle madri in reparto coi loro bambini, permette di stimolare l’allattamento al seno, grazie al contatto fisico e alla correlata riduzione dello stress in entrambi. Occorre sostenere le madri nell’allattamento prima, durante e dopo il parto, coinvolgendo attivamente anche la figura del partner. Egli può sostenere la compagna sedendosi accanto a lei durante le poppate o l’estrazione di latte, massaggiandola, valorizzando le occasioni in cui riesce a tirare anche solo poche gocce, comunque preziose per il neonato. Siccome l’immaturità neurologica, respiratoria e orogastroenterica del bambino ne ostacolano, in un primo momento, la suzione al seno, le madri andrebbero incoraggiate all’estrazione manuale di latte o con tiralatte, possibilmente in un luogo in cui possono vedere e toccare il figlio. È sulla base di queste evidenze che la presenza dei genitori in TIN andrebbe considerata, più che come una possibilità, un diritto fondato su dati scientifici.

Mortalità in Italia e nel mondo

Secondo la neonatologa María Isabel de las Cuevas, i progressi in neonatologia hanno ridotto drasticamente la mortalità e le conseguenze nei prematuri. Lei crede che il “rischio zero” non esista mai, nemmeno con un bambino nato a termine.

L’Italia oggi è uno dei Paesi con il più basso tasso di mortalità al mondo per neonati di peso inferiore a 1500 grammi con il 13,8% rispetto al 15% a livello mondiale (negli anni ‘70 era il 60%)”.  Risulta essere fondamentale, che questi piccoli nascano in Ospedali dotati di Terapie Intensive Neonatali (TIN) con attrezzature moderne e personale altamente specializzato, per garantire loro un’assistenza adeguata.

Miglioramenti per la salute dei piccoli

Tin

Dovrebbero consentire l’accesso dei genitori 24 ore su 24, con il loro coinvolgimento diretto e favorendo il contatto pelle a pelle, anche allo scopo di facilitare l’avvio dell’allattamento materno. Sarebbe fondamentale, inoltre, attivare presso questi reparti percorsi di sostegno psicologico, per i genitori che si accingono ad affrontare la prematurità del proprio figlio, attualmente presenti in non tutti i reparti e non sempre ben strutturati. I progressi scientifici hanno migliorato molto la sopravvivenza e la prognosi a breve termine dei neonati prematuri, ma alcuni di questi bambini sono a rischio di sviluppare problemi durante la crescita.

“Per migliorare la prognosi a lungo termine di questi neonati e sostenere attivamente le loro famiglie, dovrebbero essere tenuti sotto osservazione costante per valutarne i parametri vitali e di sviluppo, con accertamenti ripetuti nel tempo fino all’inizio dell’età scolare.”

Per la Società Italiana di Neonatologia è fondamentale che il Follow-up del Neonato Pretermine venga ufficialmente riconosciuto dal nostro Sistema Sanitario, in modo da garantire risorse umane ed economiche che lo configurino come una Rete di Servizi specifica e multidisciplinare per soddisfare le complesse esigenze post-dimissione del neonato a rischio evolutivo e della sua famiglia.

Conclusioni

La prematurità è un filo sottile tra il non illudersi e il non abbattersi; Dove ogni grammo in più è un traguardo e ogni goccia di latte è importante. Un enorme senso di impotenza di fronte alle loro  sofferenze e fatiche, è paura, rabbia ma anche speranza.

Dalla pagina instagram “Tincoraggio”

Alice Pantano

www.msdmanuals.com

www.salute.gov.it

www.quotidianosanita.it

simri.it

 

In questa terra arida

In questa terra arida
che era la mia vita,
hai scavato a fondo con le dita
una buca dritta e profonda,
che hai riempito con tanti
piccoli semi di te.

In questa terra arida
che era il deserto del mio cuore,
da quei piccoli semi di te
è nata, nel sole di maggio,
una distesa d’amore,
fatta di frutti e di fiori,
verde di speranza e
profumata di petricore.

In questa terra arida
era sbocciata la primavera,
ma ora è tornato l’autunno
che mi spoglia di ogni cosa,
lasciandomi inerme al gelo,
e nella solitudine del dolore,
vorrei solo essere ancora
quella nuda terra che t’accoglie.

 

Gaetano Aspa

 

Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Il Giorno dei Morti in Sicilia

Non vive ei forse anche sotterra, quando
Gli sarà muta l’armonia del giorno,
Se può destarla con soavi cure
Nella mente de’ suoi? Celeste è questa
Corrispondenza d’amorosi sensi.

Dei sepolcri, Ugo Foscolo

 

In Sicilia, il pellegrinaggio al cimitero del 2 novembre è sacrosanto. Nell’ottica di una sorta di religione della famiglia, risulta essere fondamentale affinché gli antenati ricevano i meritati ossequi.

Non è, però, una sola questione di dovere e di rispetto quella che ci spinge nei luoghi dell’eterno riposo: la celebrazione dei defunti è pregna di significato e sentimento e parte importante della nostra tradizione.

Si dice delle tombe che siano fatte per i vivi, quanto più per i morti: un mezzo fisico per perpetuarne la memoria, in una continuità di affetti che rende l’uomo immortale.

❝ Chi vive nel cuore di chi resta non muore ❞

Il ricordo di chi ci ha lasciati è purtroppo alquanto labile nelle menti dei bambini, e le visite al camposanto lugubri e angosciose anche per i più grandi.

Da secoli, quindi, noi siciliani siamo ricorsi ai più vari stratagemmi per permettere che il legame con il passato non svanisse.

Dolciumi, giocattoli e monete spianano la strada per il nostro cuore, rendendo gioioso quello che, dal nome stesso, tutto suggerisce tranne che felicità: il Giorno dei Morti.

 

Il Giorno dei Morti

… a Messina

Frutta martorana
Fonte: Valeria Vella ©, 2023

È usanza a Messina, nella notte che precede il 2 novembre, che i bambini sistemino un bicchiere ricolmo d’acqua accanto ai propri letti, affinché i morticini possano abbeverarsi e ristorarsi dopo tanto vagare.

Per la gentile premura, le anime beate non mancano mai di lasciare, al loro passaggio, sorprendenti doni con cui allietarne il risveglio.

Non sono soltanto i balocchi ad essere ambiti: gli zuccheri non devono mai mancare!

In questo, la nostra isola offre le leccornie più disparate.

Ossa dei Morti
Ossa dei Morti
Fonte: https://blog.giallozafferano.it/passioneperilcibo/wp-content/uploads/2015/10/ossa-dei-morti-V.jpg

Se la frutta martorana è il dolce per eccellenza di questa ricorrenza in tutta la Sicilia, i messinesi possono vantare nel loro repertorio una specialità tutta loro: le ossa dei morti.

Da non dimenticare, inoltre, le nzuddi!

La parte più divertente di ricevere questo ben di Dio?

Trovarlo.

… ad Agrigento

U cannistru
U cannistru, con dentro taralli, ciambelli allatti, nzuddi e frutta martorana 
Fonte: Valeria Vella ©, 2023

Anche qui, la caccia al tesoro è all’ordine del giorno.

Grandi e piccini, appena svegli, balzano fuori dai propri giacigli, carici di impazienza ed entusiasmo per ciò che li aspetta: la ricerca du cannistru.

U cannistru è un cesto di vimini, come tanti se ne vedono. Questo, però, ha una particolarità; non viene usato per portare panni o pagnotte, ma è stracolmo di cioccolato, caramelle e biscotti, accompagnati alla classica frutta martorana.

Ad Agrigento, sono i taralli e le ciambelli allatti a fare da principi.

Taralli del Giorno dei Morti Fonte: Valeria Vella ©, 2023

 

 

A vegliare sui pargoletti vi sono, infine, i ritratti, scatti dei defunti imbastiti fra i vari ninnoli, che consentono loro di prendere familiarità e riconoscere gli artefici di quei regali.

Scovato il bottino e fatta razzia di saccarosio, non resta alle madri che appropriarsi di quel canestro per il proprio piacere.

 

… a Palermo

❝ Armi santi, armi santi 
Io sugnu unu e vuatri siti tanti:
Mentri sugnu ‘ntra stu munnu di guai 
Cosi di morti mittitiminni assai ❞

A Palermo si suole cantare questa filastrocca, un invito ai morti di essere generosi ad elargire omaggi.

Palermo, quindi, non fa eccezione e, come le altre città sicule, per il Giorno dei Morti si rimbocca le maniche e dà il suo meglio.

Una cosa è certa: i giocattolai possono restare tranquilli.

Anche nel capoluogo, si evince, giochi – e dolciumi – sono una costante. Come per la sorella Agrigento, è tradizione preparare u cannistru.

Qui, però, fa bella mostra di sé, solitamente posta al centro, la pupaccena o pupa i zuccaro, una statuetta di zucchero raffigurante dame, ballerine, pastorelle, contadini, cavalieri o eroi.

Per garantire che ai frugoletti non manchi la loro dose di frutta, ecco aggiunti fichi secchi, melograni, noci e castagne.

 

… a Catania

Se fino ad ora abbiamo visto i defunti nelle vesti di un Babbo Natale funereo, un Jack Skeletron che ce l’ha fatta, per la città etnea è un altro bel paio di maniche: quelle di Robin Hood.

È credenza, infatti, che i morti, nel loro giorno, derubino i pasticceri e i giocattolai più ricchi per donarne i profitti ai bambini.

Chiaramente, i regali non sono davvero frutto di un saccheggio, né tantomeno hanno come messaggero un viaggiatore dall’oltretomba. Bisogna sempre e solo ringraziare mamma e papà.

In passato, vi era un luogo dove i genitori solevano acquistarli: Piazza Vittorio Emanuele, da tutti chiamata a tal proposito a chiazza de motti.

Fra le bancarelle, esposti in attesa di deliziare i palati: ossa di morto, rame di Napoli e nzuddi.

Rame di Napoli
Rame di Napoli
Fonte: https://www.raciliashop.com/wp-content/uploads/2023/04/Rame-di-Napoli-catanesi.webp

Chissà che, invece, questa festa non l’abbiano inventata dentisti e dietologhi!

Valeria Vella

Fonti: https://www.palermoviva.it/la-festa-dei-morti/
https://www.mimmorapisarda.it/Morti.HTM#:~:text=La%20tradizione%20vuole%20che%20nella,e%20che%20li%20abbiano%20pregati.

Occasioni

Pensò: “Nella vita si presentano occasioni che è bene cogliere per poter usufruire a pieno dei vantaggi che ne derivano.” Glielo aveva insegnato suo nonno.
Poggiò a terra la valigia che presentava un motivo moresco e fece una rassegna visiva della gente che camminava con la testa un poco bassa e i cappotti scuri. Nessuno si spostava con particolare entusiasmo, eccetto i confusi clan di bambini che inveivano un “dolcetto o scherzetto” contro ogni portone aperto. Una volta raccolte le forze, prese su la valigia e fece ansiosa slalom tra i passanti per poter finalmente trasferirsi nella sua nuova stanza in affitto. Era un’occasione. L’appartamento era un gioiellino deprezzato in centro città e, in cambio dell’offerta, avrebbe soltanto dovuto ascoltare alcune storie del proprietario ogni sera. Avanzò con passo nervoso sino alla sua destinazione, poi più lentamente esitò di fronte la vetrina di una profumeria per specchiarsi. Fece infine un salto deciso sulla scalinata accanto e suonò al citofono il Dott. Severino, quarto piano. Attese. Si voltò a destra perché si sentiva osservata, ma poi pensò bene fosse soltanto un po’ di paranoia causata dalla città nuova. Il suono gracchiante del citofono fu seguito dal suo ingresso nell’androne austero. Era poco illuminato, pieno di specchi e ogni suo passo mutava in eco.

Una volta su, non rimase stupita nel vedere che il padrone di casa fosse un vecchio uomo sulla settantina.

“La prego, entri.”

Iris si guardò intorno. “Grazie.” Venne chiuso il portone alle sue spalle e rimase fulminata dalla bellezza del salotto art déco ed era sorpresa dal fatto che le foto dell’annuncio non gli rendessero certo giustizia. Tanti dettagli attirarono la sua attenzione: un giradischi d’epoca, un’immensa libreria di legno e un pianoforte posto di fronte la finestra del salotto che, come un quadro, rifletteva la luna calante.

“Che casa meravigliosa…” Sospirò avanzando per il corridoio. Il vecchio la superò con una curiosa agilità, mentre gli occhi di lei si soffermavano sulla carta da pareti blu e verde, ricca di rombi e altre geometrie bizzarre. Aveva qualcosa di misterioso quella casa, a tratti lugubre, ma riusciva comunque ad essere accogliente. Il Dott. Severino si fermò di fronte una porta chiusa e la aprì con la grossa mano rugosa.

“Questa è la sua stanza.”

Ammirò lungamente il letto di legno nero e la poltrona classicheggiante rossa posta di fronte e volse poi lo sguardo sulle rotondità del lampadario moderno.

“Questa era la stanza di mio figlio.” La informò l’uomo e si sedette sulla poltrona senza smettere di osservarla con gli occhi stanchi e azzurri. “Iniziamo?”

Trovò la situazione strana, ma poi pensandoci meglio capì si trattasse di imbarazzo, quindi abbandonò la valigia a fianco del letto e si sedette.

“Si metta comoda. Tolga le scarpe. Avrà fatto un lungo viaggio.” La voce graffiata le suscitò grande tenerezza, perché le ricordava il nonno, ed eseguì. L’uomo iniziò a parlare della sua infanzia, famiglia, finanze ed ex moglie per ore. Poi pianse, confidandole fosse solo al mondo.

“Credevo avesse un figlio, caro signore, non pianga.” Si dispiacque la giovane e gli strinse la mano.

“È morto.” Il pianto non si fermava e provò una certa inquietudine. Indagò qua e là e notò la foto di un bambino sul comodino.

“Forse dovrebbe cambiare casa, è piena di ricordi.”

Ci fu silenzio per un attimo. “Buonanotte cara.”

Le baciò la fronte e un sonno pesante la trascinò con sé immediatamente. Si svegliò dopo un po’ frastornata, ma sentendosi piena di forze, e si mise in piedi per accendere la luce per affrontare il nuovo giorno. Non c’era corrente. Tentò di aprire le serrande con l’interruttore, ma invano e a tentoni riuscì a raggiungere l’abat-jour che non dava segni di vita.

“Signore!” Gridò. “Non c’è luce!”

Una luce lenta fece il suo ingresso e intravide il volto spettrale del Dott. Severino illuminato da una candela.

“Non si preoccupi, capita. Siamo al sicuro. Si sieda.”

Obbedì.

“Signorina Citati, vuole da bere?” Il volto in penombra era senza dolore alcuno, come se il male della sera prima fosse caduto nel totale oblio.

Pensò, disse di no inizialmente, poi annuì.

“Tè? Whiskey? Rum?”

“Tè, grazie.”

Il vecchio si allontanò e Iris si sentiva diversa, perché non riusciva a controllare il suo respiro che era sempre meno ritmico. Allo stesso tempo era come se fosse all’interno di una bolla, le orecchie avevano dei lievi acufeni oppure erano completamente chiuse. L’abat-jour si accese sola e così comprese fosse ritornata la corrente, ma sentì all’istante una puzza di bruciato nauseante che la spinse a chiedere a voce alta se andasse tutto bene, infine però razionalizzò la sua suggestione.

L’uomo fece ritorno con le bevande.

“Tè per te, rum per me.” Rise e lei lo ringraziò quando le venne porta la tazza. Il dottore si sedette nuovamente sulla poltrona porpora che appariva ora più alta e splendida. Iris per un momento ebbe l’impressione di vederlo seduto su un enorme palco e che le luci fossero puntate su di lui. Sorseggiò il tiepido tè, percependo il suo respiro più leggero che mai.

“Io ero un chirurgo, di quelli bravi. Ero un cardiochirurgo. Ho visto tanti miei amici morire. Un incubo. A vedere i tuoi pazienti morire ci fai l’abitudine, a vedere chi ami mai.”

Ecco che tornò la puzza di bruciato. “Scusi se la interrompo…”

“Prego.”

“Lei è sicuro di aver chiuso i fornelli? Sento uno strano odore.” Quando lo disse fu come se la puzza decise di nascondersi per non essere scoperta. Andò via. Si sforzò per risentirla, ma nulla.

“Non la sento.” Non avrebbe potuto dargli torto. Ci furono pochi secondi di silenzio mentre l’anziano ingeriva tutto in un sorso il bicchierino di rum. In quella assenza totale di suono, poteva sentire il percorso che il liquido tracciava all’interno della gola e poi dell’esofago. “Mio figlio si è dato fuoco. Aveva tanti debiti e un usuraio lo ha spinto alla rovina.”

Provò terrore e volle aprire la pesanti finestre per prendere aria.

“Ferma!” Il grido addolorato le fece raggelare il sangue, mentre la puzza di bruciato continuava con il suo vai e vieni. Il vecchio pianse e anche lei. “Ha mai perso qualcuno di caro?”

“Mio nonno. Recentemente.”

“Era malato?”

“No.”

“Com’è morto?”

“Di infarto.”

“L’Onorevole Citati… Oh Sergio… Il tuo amore per il denaro è stato tanto grande da farti scoppiare il cuore.”

Iris raggelò. Conosceva alcuni misfatti del nonno, ma non tutte le conseguenze insorte.
Il nome sul citofono era falso. L’uomo, in realtà, era il Dott. Romano, padre di un ex imprenditore di nome Vincenzo, la cui vita terminò tragicamente quindici anni prima, dopo una lunga depressione causata dalla bancarotta indotta dall’On. Sergio Citati, dandosi fuoco proprio nel balcone di quella casa. La sua anima stanca danzava nella notte con la fiamma del figlio e, delusa dalla giustizia, cercava vendetta. Non era un caso che proprio lei fosse lì.
Iris tutta questa storia non la conosceva, nonostante ciò decise fosse arrivato il momento di togliere il disturbo. Sentiva che probabilmente il nonno defunto avesse a che fare con la morte del figlio del proprietario di casa e il fatto che lei si fosse ritrovata ad affittare l’appartamento lo trovava assolutamente uno scherzo del destino e, soprattutto, di cattivo gusto. Si alzò e iniziò a piegare le coperte.

“Vuoi andare via?” Domandò piano.

“Sì!” Gridò senza rendersene conto, terrorizzata. Tirò da sotto il letto la valigia e le lacrime le bagnavano le guance. Pensò a suo nonno e a quanto male avesse fatto in giro per avere le sue occasioni e i suoi vantaggi. Un po’ le dispiaceva, ma aveva fatto tanto bene alla sua famiglia. Percepì un brivido, ma di amarlo comunque più che mai. Era un amore triste, tenero e proibito. “Ogni suo errore lo ha fatto per amore– pensò – Il mondo è degli egoisti. Sopravvive il più forte.”

“Avrei voluto solamente che qualcuno mi ascoltasse fino alla mia morte. Ti prometto che dopo quest’ultima storia, ti lascio andare.”

Si mise nuovamente a sedere, quasi controvoglia, perché fu il suo corpo a ritenere fosse corretto, in onore dell’ospitalità, prestare orecchie un’ultima volta. Nel giro di pochi istanti i nervi erano di nuovo inspiegabilmente saldi.

“In ospedale danno delle fascette identificative di colori diversi. Lo sapevi?Quando nasci, ad esempio: blu se sei maschio e rosa se sei femmina. Ne danno altri anche in occasioni differenti. Grigio se fai un day ospital. Giallo se devi fare un intervento importante.”

Non comprese perché le stesse facendo questa rassegna, ma si sentiva di nuovo tranquilla. Voleva rimanere. In fondo perché se ne sarebbe dovuta andare? Si trattava di un compromesso così vantaggioso. Occasioni.

“Mio figlio quando è morto non ne ha avuto nessuno.”

“Ne danno uno anche a chi muore?”

“Sì. Tuo nonno lo ha avuto. Non rammenti?”

Si sforzò per ricordare. “Rosso, sì.”

Nel momento in cui lo disse, sentì di nuovo puzza di bruciato e il vecchio parve giovane, bello e affascinante. Gli occhi rimanevano azzurri e pietrificati.

“Come questo?” Scoprì il braccio destro stretto in una fascetta rossa. Iris si sentì morire ed emise un urlo di dolore, indietreggiando verso la testata del letto. Dovette respirare più profondamente quando l’uomo impassibile si alzò e puntò l’indice verso il suo braccio.
Disperata abbassò gli occhi, tenendoli chiusi e, pur non essendo credente, iniziò a pregare chissà quale Dio.

”Apri gli occhi, bambina mia, guarda il tuo amato nonno dove ti ha portato. Questa sì che è un’occasione!” La voce, la voce era familiare. Era la sua.

Piangeva ininterrottamente quando si fece forza per riaprire gli occhi e, con l’orrore più agghiacciante, constatò che anche il suo scarno polso era stretto con una fascetta rossa.

Isabel Pancaldo

*Immagine in evidenza: illustrazione di Isabel Pancaldo

Il miele: non solo un alimento

L’arrivo dei primi freddi porta con sé anche le classiche influenze stagionali e le abitudini per combattere i malesseri sono, ancora oggi, molto spesso basate su rimedi addottati dalle nostre nonne! Tra questi rientra l’uso del miele. Oro giallo tanto importante quanto sottovalutato, possiede proprietà nutrizionali e curative formidabili.

Miele

Miele

Il miele viene prodotto solo ed esclusivamente dalle api e si ricava dal nettare dei fiori o dalla melata.
Fin da bambini ci è stato insegnato che una delle funzioni svolte degli insetti riguarda l’impollinazione: più precisamente, il polline, per garantire la fecondità, dovrà passare da un fiore all’altro, e per farlo ha bisogno del prezioso aiuto degli insetti.
Ma perché gli insetti si posano sui fiori? Grazie al nettare; si tratta di una sostanza zuccherina che le piante producono proprio per attirare gli insetti. Ogni fiore ha un nettare diverso è per questo che esistono molte varietà di miele. La melata invece è la linfa delle piante, anche questa zuccherina, nutrimento principale di molti insetti.

Come viene prodotto dalle api

Lavorazione

Il miele è un alimento di riserva. In pratica è una scorta di cibo per l’inverno. Infatti le api si nutrono con il nettare dei fiori, ma quando non ne hanno di fresco a disposizione, attingono al miele che hanno prodotto.

In un alveare e/o arnia troveremo solo 1 ape regina e tra le 25.000 e le 40.000 api con compiti differenti. La quantità di api  può variare a seconda del tipo di ape, del tipo di alveare, della gestione dell’apicoltore e delle condizioni meteorologiche (stagione dell’anno, temperatura esterna, fioritura, ecc.).

Le api bottinatrici, sono le api che escono dall’alveare e vanno a prelevare il nettare. Quando rientrano all’alveare passano la goccia di nettare alle api immagazzinatrici che se la passano tra loro per 15-20 min per far si che il nettare raccolto si arricchisca di secrezioni ghiandolari ricche di enzimi. In questa fase, inoltre, all’interno dell’alveare le api ventilatrici sbattono le ali per far circolare l’aria e riscaldarla. Questo favorisce la disidratazione del nettare che perde gran parte della sua acqua.

Dopo di che viene depositato nel favo che è stato edificato dalle api produttrici di cera e sono queste stesse api che richiudono con la loro cera la cella . Dopo pochi giorni la percentuale di acqua del nettare scenderà sotto il 18% e il miele sarà pronto.

Da cosa dipende la diversità del miele

Polline e ape

Il colore e il profumo del miele dipendono dalla pianta frequentata dalle api, e quindi, dal tipo di polline utilizzato per produrlo. Il miele viene definito monoflora se il nettare di cui è composto proviene prevalentemente da un tipo di fiore o da un solo tipo di melata, altrimenti si tratta di miele millefiori.

Dal tipo di nettare dipende la colorazione che varia dal giallo chiarissimo al marrone scuro, ma anche la sua composizione in zuccheri, che ne determinano la permanenza allo stato liquido (prevalenza di fruttosio) o la cristallizzazione (prevalenza di glucosio).

Attenzione alla differenza tra nettare e polline

Pur avendo due ruoli totalmente diversi, c’è un legame strettissimo tra polline e nettare, entrambi elementi fondamentali nel processo di riproduzione. Il polline, spermatozoo della piante, è la sostanza proteica che rende possibile la fecondazione dei fiori e che contiene proteine, grassi e nutrienti di cui le api hanno bisogno. Il nettare, prodotto dal fiore, dà energia alle api grazie a vitamine, zuccheri e nutrienti aggiuntivi ed è la base per la produzione del miele.

Proprietà dei prodotti dell’alveare

  • Polline: utilizzato dall’uomo come integratore alimentare in quanto è una sostanza energizzante in grado di migliorare l’attività celebrale, il livello di attenzione, la memoria e le performance fisiche in generale.
  • Pappa reale: è una secrezione derivante da particolari ghiandole delle giovani api nutrici. Solo la regina si nutre esclusivamente di pappa reale durante tutta la sua vita. Alimento molto energetico e ricchissimo di vitamine.
  • Propoli: resina che le api raccolgono sulle gemme e sui giovani rami delle piante. Viene utilizzata dalle api, assieme alla cera, come materiale da costruzione, per rivestire le celle del nido nonchè per rivestire i cadaveri di animali morti all’interno dell’alveale e troppo pesanti per essere spostati dalle api. La propoli ha proprietà antibatteriche e balsamiche.
  • Cera: Ulizzata dalle api per costruire le celle dove verranno cresciute le larve e depositati miele e polline. La cera d’api è usata in commercio per la produzione di candele, prodotti cosmetici e farmaceutici, per lucidare materiali e altri svariati campi.
  • Veleno: prodotto dall’apparato velenifero dell’ape posto nell’addome delle api operaie e costituisce un’arma di difesa della colonia. L’ape muore nel giro di quattro minuti dal distacco del pungiglione. Il veleno d’ape ha proprietà antireumatiche, antinfiammatorie e anticoagulanti.

Benefici del miele 

Benefici

Il Miele costituisce, assieme al polline e alla pappa reale, il nutrimento per l’intera colonia.  A seconda del tipo di miele cambiano anche le proprietà terapeutiche:

  • il miele di acacia agisce positivamente sull’apparato digerente
  • il miele di bosco è indicato negli stati influenzali
  • il miele di arancio ha proprietà cicatrizzanti
  • il miele di girasole è antinevralgico, febbrifugo, consigliato contro il colesterolo
  • il miele di erica è ad azione antireumatica, antianemica
  • il miele di tiglio seda i dolori mestruali, è calmante, diuretico e digestivo
  • il miele millefiori ha un’azione disintossicante sul fegato.

Tra i diversi benefici del miele citiamo quella antibatterica e antibiotica, legati alle notevoli quantità di perossido di idrogeno, cioè di acqua ossigenata, la stessa che si usa  per disinfettare le ferite. Purtroppo, le alte temperature cui viene sottoposto il miele durante la pastorizzazione neutralizzano alcune sostanze benefiche: per ottenere il massimo effetto battericida, l’ideale è il miele grezzo. Motivo per il quale viene sconsigliata, anche, l’assunzione del miele sciolto nelle bevande calde, pratica svolta da molti durante stati influenzali.

Oltre a fermare le infezioni superficiali, il miele attenua i sintomi delle ulcere gastriche ed è utilizzato per il trattamento della diarrea che, soprattutto nei bambini, può essere pericolosa perché causa disidratazione.

Particolarmente efficace contro la stipsi, poiché contiene grandi quantità di fruttosio, zucchero capace di arrivare nell’intestino crasso senza essere stato digerito. Il fruttosio inoltre conferisce un potere dolcificante particolare e un prolungato effetto energetico perché, mentre il glucosio viene bruciato immediatamente, il fruttosio è dotato di proprietà emollienti restando più a lungo a disposizione del corpo.

Review

Millefiori

Una review (A Comprehensive Review of the Effect of Honey on Human Health) da un team di ricerca dell’Università di Granada (Spagna) e pubblicata su Nutrients, si è posta come obiettivo quello di analizzare le prove disponibili dell’effetto del miele sull’uomo.

Dall’analisi è emerso che una dose di circa 70 g di miele non trattato industrialmente, assunto quotidianamente per almeno 30 giorni, possa determinare effetti benefici sui fattori di rischio cardiovascolare, riducendo i livelli di trigliceridi, di colesterolo (sia totale, sia LDL) e di glucosio a digiuno. Inoltre, aumenta il livello di colesterolo HDL.

È stato evidenziato che anche nei soggetti con obesità, l’assunzione regolare di miele porta a una riduzione dei livelli di colesterolo e trigliceridi, favorendo la riduzione di peso, grasso corporeo, proteina C-reattiva e indice di massa corporea. Sembra, inoltre, che vi sia un’accelerazione della guarigione delle ferite grazie all’applicazione topica di creme al miele, negli ascessi di tosse nei bambini, nelle ferite e nelle ulcere del piede diabetico, anche se questi effetti non superano i trattamenti convenzionali.

È stato dimostrato, che l’integrazione con miele di trifoglio produce effetti sazianti. Dosi di 1-1,25 g di miele per chilo di peso riducono l’intossicazione dovuta all’assunzione di alcol. Nei pazienti affetti da leucemia e cancro della testa e del collo, sono stati osservati miglioramenti della mucosite e diminuzione della perdita di peso laddove sono state utilizzate soluzioni di diversi tipi di miele (miele di bosco, di timo, di trifoglio) per sciacqui o collutori con ingestione.

Secondo alcuni studi il miele potrebbe  portare qualche beneficio alle persone affette da diabete. Infatti, i ricercatori hanno notato che il miele probabilmente porta sui pazienti diabetici un naturale innalzamento dei livelli di insulina nel sangue. Questa supposizione nasce dal fatto che subito dopo l’assunzione di miele il glucosio nel sangue dei pazienti è aumentato molto, per poi scendere e mantenersi stabile, più di quanto ci si potesse aspettare.

Inoltre, su uno studio condotto su 50 candidati affetti da diabete di tipo 1, si è potuto notare che il miele, rispetto allo zucchero, ha avuto un effetto glicemico inferiore su tutti i partecipanti. Ha inoltre aumentato i loro livelli di C-peptide (sostanza rilasciata nel flusso sanguigno quando il corpo produce insulina). Un livello normale di C-peptide indica che il corpo sta producendo abbastanza insulina.

Controindicazioni

Neonato

Nonostante i potenziali benefici per la salute, il consumo di miele presenta alcune controindicazioni :

  •  Botulismo infantile: il miele non dovrebbe essere dato ai bambini di età inferiore a 1 anno; poichè potrebbe contenere spore del batterio Clostridium botulinum. Dopo il primo anno di vita, il sistema digestivo dei bambini è di solito abbastanza maturo da prevenire il rischio di botulismo
  • Alte calorie e zuccheri: il miele è ricco di zuccheri naturali, che forniscono calorie. Un consumo eccessivo di miele può contribuire all’aumento di peso e all’incremento del livello di zucchero nel sangue.
  • Reazioni allergiche: alcune persone possono essere allergiche al polline presente nel miele e potrebbero sviluppare reazioni allergiche come prurito, eruzioni cutanee o gonfiore.
  • Interazione con farmaci: in alcune situazioni, l’assunzione di grandi quantità di miele potrebbe interferire con l’efficacia di alcuni farmaci come, ad esempio, alcuni antibiotici.

Conclusioni

In conclusione, possiamo affermare che Il miele non è semplicemente un “rimedio popolare”, ma possiamo riconoscerlo come,  prodotto di alta qualità  dai mille usi. Se si è affetti da particolari patologie o problematiche, è bene sempre, prima parlarne con il medico. Da non sottovalutare l’economicità, particolarmente rilevante nei paesi in via di sviluppo dove costosi farmaci non sono sempre disponibili.

www.cure-naturali.it

www.calabreat.com

Utilità del miele

blog.3bee.com

proprietà del miele

Miele e diabete

www.farmacianews.it

Pubmed