Non togliermi il tuo amore

Non togliermi il tuo amore,

le tue parole, il tuo sorriso.

Toglimi il vino e il vizio del fumo,

toglimi le scarpe, la maglia, il cuore

ma restami accanto nel dolore.

Portati via le cicatrici,

i tagli e l’aria delle mie narici,

ma non togliermi il tuo sapore,

perché è la fonte del mio vivere.

Prenditi le mie poesie

ma non togliermi il tuo amore,

perché come Amore amava Psiche,

così io amo te. 

Levami tutto e tutto prenditi,

ma non togliermi il tuo amore.

 

Gaetano Aspa

 

*immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Vite nascoste

Il fiore era stupendo, si ergeva con tutta la sua magnificenza. Sembrava che non potesse morire mai. Non era come i classici fiori mortali, che alla fine del loro ciclo di vita appassiscono. Questo gli attribuiva un’aura di bellezza collaterale: il tempo scorreva, ma i petali non perdevano il colore rosso intenso. Ma ecco che ad un certo punto Denise iniziò a percepire qualcosa. Una mano si allungava per prendere il fiore e cominciava a staccarne i petali, che cadevano così per terra. Tutti i petali caddero e perirono, ma solo uno rimase attaccato al ricettacolo. La mano scomparve, al suo posto ne apparirono migliaia e Denise non riusciva a riconoscerne l’appartenenza. All’improvviso quel luogo, inizialmente cosi soave e puro, non le apparve più familiare e lei cercò di fuggire. Ma tornò la mano minacciosa, che voleva stritolare il fiore e questa volta Denise non poté più scappare.

Si destò improvvisamente. Attorno contorni poco chiari, ma a poco a poco la stanza assunse i suoi colori. Lo sguardo si posò sull’orologio: le 05:18, praticamente l’alba. Si alzò, si lavò e si vestì. Non prendeva mai caffè, poiché la notte faceva fatica a dormire. Accese la televisione e trovò le repliche di un programma di cucina. Passati dieci minuti si abbandonò di nuovo sullo schienale della poltroncina. Non voleva riaddormentarsi per paura degli incubi, ma il morbido della stoffa la cullava ed era caldo come….

Le sue labbra e lei si lasciò andare a quella sensazione. Le loro labbra si staccarono dopo una ventina di secondi e lei incrociò di nuovo il suo sguardo. Era bello abbandonarsi a quella sensazione, che la trascinava lontano dalla vita e dai problemi. “Hai incontrato mio padre ieri?” gli chiese. Suo padre era stato arrestato alcune settimane prima e ora il suo fidanzato, che si preoccupava sempre per lei, si era offerto di andare a fargli visita al suo posto. Dal canto suo, Denise non provava il desiderio di vedere un uomo che non sentiva più come genitore. Non dopo ciò che era successo, non dopo quello che aveva fatto. Aveva, però, bisogno di sapere se il suo fidanzato era andato ad incontrarlo. “Sai che certe cose non te le posso raccontare, Denì. Lo faccio per farti sentire al sicuro. Però si, ieri sono dovuto andare, perché era importante” concluse lui. Un triste pensiero attraversò il volto della ragazza e la ricondusse alla realtà. Sua madre era scomparsa, lei l’aveva cercata insistentemente, senza riuscire ad avere sue notizie, ed era giunta alla triste conclusione che probabilmente non c’era più. L’unico che poteva sapere qualcosa era suo padre, che ora si trovava dietro le sbarre. Lei era rimasta con i dubbi e la sola compagnia del suo ragazzo a consolarla. “Andiamo in spiaggia” le propose lui, per smorzare la tensione. Effettivamente era proprio ciò di cui avevano bisogno. La spiaggia era satura dell’odore della salsedine ed entrambi rimasero stesi sulla sabbia per un paio d’ore. Ma qualcosa interruppe quel momento, unica nota positiva di una canzone che pareva annunciare solo tragedie. In lontananza si sentirono le sirene di due volanti. “E ora che cosa succede?” disse Denise. Lui posò lo sguardo prima sul mare, poi su di lei e nuovamente verso il mare. “Quello che ti potevo dire te l’ho detto, ma il resto non te l’ho mai rivelato perché non ne avevo il coraggio” disse. “Che cosa c’é di così grave che non mi hai detto? Perché mi nascondete sempre tutto?” rispose frustrata, mentre le volanti si fermavano sul ciglio della strada antecedente la spiaggia. Scesero dei carabinieri e, senza proferire parola, presero il suo fidanzato, che nemmeno reagì, in custodia. Uno di loro le parlò. “Denise, mi dispiace molto per quello che sta succedendo, ma per motivi di sicurezza devi venire con noi”. Scossa e in lacrime, si lasciò andare sul sedile dell’altra volante, con lo sguardo ancora posato su quelle sirene.

Il rumore della televisione la scosse all’improvviso. Si era di nuovo addormentata, mentre in tv andava in onda un poliziesco. C’era una volante impegnata in un inseguimento e il volume era alto, si sentivano suonare le sirene. Non ricordava esattamente il nome della fiction, ma osservando l’orologio si rese conto che erano le nove del mattino. Aveva dormito un po’ alla fine. Fece le pulizie e verso le undici si sedette con in mano un libro. Un suono, proveniente dalla porta, scosse la quiete del mattino. Potevano essere solo loro. Aprii, salutò il capitano, il quale le chiese se andasse tutto bene, se avesse bisogno di qualcosa. I carabinieri erano sempre a disposizione per qualsiasi esigenza, le ricordò. Lei confermò che era tutto ok, che davvero, aveva già fatto colazione e, salutato il capitano, tornò al suo romanzo. Lesse un altro paio di pagine, poi si dedicò alla lavatrice. Mise il detersivo, avviò il tutto e contemplò i giri della centrifuga…

Che non funzionava. Lea aveva dovuto chiamare un tecnico per ripararla. Mentre preparava la colazione e la figlia Denise era ancora a letto, suonò il campanello. Entrò il tecnico, si salutarono e lui si recò a dare un’occhiata alla lavatrice. Quindi Lea, dopo aver preparato il caffè, lo offrì al tecnico, il quale le chiese di passargli un attrezzo. Lei si chinò a rovistare dentro la borsa, ma non si accorse che il tizio si era voltato e si ergeva alle sue spalle. Le afferrò la gola all’improvviso e iniziò a stringere. Lea fu colta di sorpresa, ma non vacillò. Ci fu una colluttazione, durante la quale lei andò a sbattere la testa contro il muro, facendo volare la tazzina, che andò in frantumi riversando il caffè sul pavimento. Quando sembrava sul punto di perdere i sensi, qualcosa intervenne e fermò il tizio. Era Denise, che, probabilmente svegliata dal rumore, si era accorta che qualcosa non andava ed era intervenuta, lanciandosi addosso all’uomo. Lea si accasciò a terra, mentre l’aggressore fuggì. Una volta rialzatasi, corse a verificare le condizioni della figlia. “Stai bene?” le domandò, visibilmente preoccupata. “Si, mamma, sto bene. Ma tu sanguini!!” esclamò con voce tremante Denise. Dopo aver medicato la fronte, dovette rispondere ai molti interrogativi della figlia. “Chi era quello? Ha cercato di farti del male!! Voleva ucciderti? E perché?”. Lea le spiegò i motivi per i quali erano sempre in fuga, perché lei non poteva avere una vita normale e che per fortuna il tipo non aveva aggredito anche lei. Dopo la spiegazione e la medicazione alla testa, Denise fece colazione masticando toast…

Al formaggio. Dopo un piatto di pasta, ogni tanto ne preparava uno. Almeno c’erano Giorgio e Carla a tenerle compagnia. Denise ripensò a quando i toast li preparava sua mamma, la mattina a colazione, ma anche a quei momenti che passava insieme a lei, a quando ridevano insieme ed erano spensierate. Giorgio e Carla erano, oltre che amici, i carabinieri della scorta. Lui, diplomato ragioniere, a 22 anni aveva deciso che la sua carriera era destinata alle forze armate, e lei, invece, aveva iniziato quel percorso già all’età di 18 anni, dopo essersi diplomata al liceo Classico. Oggi, entrambi sulla cinquantina, la proteggono da una decina d’anni. Quando lei era in vena, Giorgio si esibiva in delle imitazioni. Era davvero bravo, in un’altra vita avrebbe potuto fare quello di mestiere. Sarebbe stato fantastico anche per lei, pensare di poter vivere un’altra vita, onesta e libera. Era quello che avrebbe voluto sua madre, lasciarsi alle spalle tutto e ricominciare, magari in…

“Australia!!! Dovremo andare lì!! Ripartire da zero, così che tu possa veramente andare a scuola, uscire con le amiche, avere una vita normale!!”. Lea si lasciò andare sul divanetto di una delle tante case che avevano cambiato da quando lei, nel 2002, aveva deciso di farsi mettere sotto protezione. Ma secondo Lea questa protezione non serviva a molto, perché aveva subìto qualche attacco e spesso era agitata perché aveva paura per lei e sua figlia. Sapere che non potevano incontrare e vedere nessuno, che non potevano nemmeno fare la spesa senza guardarsi le spalle. Tutto questo lei non lo voleva più. Non voleva che sua figlia vivesse una vita di fughe e nascondigli continui. Dal canto suo, Denise non sapeva cosa fare. Non voleva che sua madre soffrisse in quel modo, ma adesso era più consapevole del pericolo che correvano. “Basta, non possiamo andare avanti così. Bisogna trovare una soluzione, dobbiamo uscire da questo paese”. Si recarono allora a Milano, dopo aver rifiutato il programma di protezione. Lea aveva deciso di incontrare suo padre e mettere fine alla fuga e alla relazione una volta per tutte. Si incontrarono così una sera a Milano e suo padre invitò sua madre a cena. “Non preoccuparti, Denise, ci vedremo tra poco” le disse sua madre. Denise però aveva un brutto presentimento. Non sapeva che quella era l’ultima volta che avrebbe visto sua madre. Lei rimase a cenare con la zia e verso le 23 inviò un sms a Lea. C’era però un problema, che Lea non rispondeva, mentre il tempo passava. “Magari si starà godendo la serata, non essere infantile, lasciali in pace per una volta” le disse la zia. Ancora, verso mezzanotte, Denise non ricevette risposta. Allora chiamò. Nessuna risposta. Dov’era sua madre? Era successo qualcosa, Denise ne era certa. Di lì a una decina di minuti sentì il motore di una macchina, scese di sotto e vide suo padre, che la salutò. “Tutto bene la cena? Dov’è mamma?” gli chiese. “Mamma è andata un secondo a comprare le sigarette” rispose lui. A quell’ora era assai improbabile. A quel punto, Denise iniziò a urlare il suo nome ovunque. Niente da fare, la mamma non tornava e lei aveva paura. “Tranquilla, Denise, ora mamma torna. Puoi già salire in macchina, così ti accompagno in albergo”. A lei non rimase altro che salire sull’auto…

Che si fermò sul vialetto di fronte l’abitazione. I due agenti che le avevano tenuto compagnia a pranzo avevano il cambio. Ce n’erano già altri quattro fuori, davanti e sul retro. Lei, dopo averli salutati, li osservò allontanarsi. Rimasta di nuovo sola, mise i piatti nella lavastoviglie e accese la televisione. Solo telegiornali a quell’ora. La richiuse e tornò a immergersi nella lettura. Presto però si assopì e scivolò in una sorta di dormiveglia, perché non ce la faceva proprio ad addormentarsi.

Non aveva dormito quella notte. Come poteva, dal momento che stava andando a testimoniare contro suo padre e altre persone, tra le quali il suo stesso fidanzato, che erano state accusate dell’omicidio di sua madre? Come poteva riprendersi dal fatto che quel ragazzo, di cui si era fidata, era in realtà un aguzzino? Sua madre era stata uccisa, questo lo aveva capito da molto tempo. Aveva anche compreso chi era stato e nonostante sapesse i fatti era rimasta in silenzio, per paura che potessero uccidere anche lei. Fino a quando non aveva incontrato il pubblico ministero, i carabinieri, persone che le avevano dato una speranza per affermare che sua madre non era morta invano, che la giustizia in qualche modo bisognava pur farla trionfare. Ora, che si trovava nell’aula bunker dove si sarebbe tenuto il processo, realizzava appieno ciò che stava accadendo. Da quel momento in poi la sua vita sarebbe cambiata, ma del resto non era mai stata una vita normale. Ricordava i pochi momenti in cui lei e sua madre erano felici, quando l’aveva colta a fumare e ridendo l’aveva rimproverata. Al giudice disse tutto quello che sapeva e alla fine la condanna fu confermata. Non provava più nulla ormai, non gioiva per quella piccola vittoria appena ottenuta. Quanto gli era costata! L’unica cosa che poteva fare era riposare e lasciarsi finalmente alle spalle quell’esistenza. Adesso sua madre sarebbe stata orgogliosa? Lei voleva un futuro migliore per la figlia e aveva lottato tanto per questo. Ora, però, mentre osservava il giudice leggere la sentenza definitiva, la sua mente vagò in quei ricordi, così particolari e tornò all’abbraccio con sua madre, lasciandosi trasportare da quel calore che l’aveva sempre protetta, a modo suo.

Roberto Fortugno

*immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Immagina

Immagina di essere solo, nascosto sotto un muro retto da una trave arrugginita, con la polvere addosso che ti sgorga dagli occhi insieme alle lacrime, che serpeggia tra le tue dita, che si mischia al sangue delle ginocchia sbucciate.

Immagina di essere uomo, donna, vecchio o bambino. Di respirare, bere e mangiare come ogni essere umano, ma sentendo dentro di te un vuoto, qualcosa che ti manca, che fa di te qualcosa di dimezzato.

Immagina di ascoltare la radio in un lurido scantinato, ascoltando il grande uomo bianco, il padrone dei padroni, affermare che è dovere aiutare chi viene aggredito, chi è vittima del bullo, chi è soggetto a persecuzione.

Immagina un cielo oscuro illuminato da fiori in fiamme, tempeste di pollini, rombi di api, e poi il silenzio. Mortale silenzio, per un attimo o due, e poi urla levarsi nella notte.

Immagina di essere un puntino nella folla oceanica, in processione dietro una bara bianca. Con le ambulanze che scorrazzano qua e là, e due schiere di cavalieri di carta con scudi di plastica a spingerti ora da una parte, ora dall’altra.

Immagina di essere un padre, una madre, un nonno o un figlio, e di riuscire a contare nella tua vita più funerali che feste di compleanno. Di avere almeno un lutto in casa, un martire laico da ricordare o vendicare.

Immagina di essere figlio di nessuno, padre di niente, cittadino del nulla. Essere vivente solo perché ancora in grado di respirare, ma privato d’ogni cosa che rende l’uomo un uomo.

Immagina di esserti fidato dell’uomo bianco. Delle sue promesse mancate, delle sue prese di posizione, dei suoi finti moti di sdegno.

Immagina di essere tu l’aggredito. Tu la vittima del bullo. Tu la persona da sostenere. E immagina il tuo volto nel vedere che no, il grande uomo bianco sostiene l’aggressore, sostiene il bullo.

Immagina di essere un Gazawi. Padre, figlio e fratello di uomini senza diritti né patria. Senza una bandiera intorno a cui raccogliersi, una terra da difendere e tramandare, un governo da sostenere o contestare.

Avresti potuto immaginarlo.
Ma ieri casa tua è stata colpita da un missile.
Sei morto tu, tua moglie, tua figlia di sei anni e tuo figlio di tre.

Diranno che eri un terrorista. O che nascondevi un terrorista o che in ogni caso, in quanto palestinese, eri un potenziale terrorista.

Non è poi così difficile prendere un uomo, spogliarlo di ciò che è, vestirlo di ciò che non è, ucciderlo per ciò che lo si è fatto diventare.

Ora che hai finito di soffrire, libero dalle catene bianche e azzurre, lontano dai cavalieri dagli elmi stellati, scommetto che puoi vedere noi, uomini bianchi, riempirci la bocca di buone intenzioni e le mani di banconote insanguinate.

“Hai visto?” ti immagino dire a tuo figlio “Quanto sono poveri quegli uomini bianchi, che pur essendosi arricchiti d’ogni cosa hanno perso il bene più importante: la coscienza”.


Giuseppe Libro Muscarà

*immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Aspettando Sanremo: la storia di sette insoliti vincitori

Finalmente il Festival di Sanremo è alle porte, è l’aria si riempie già di frenesia e musica, in attesa di sentire i 30 artisti che calcheranno il palcoscenico della 74° edizione della kermesse più attesa d’Italia. Nel corso della storia sono state tantissime le canzoni vincitrici che hanno fatto successo e segnato la storia dell’immaginario musicale italiano, ma sono altrettante le canzoni che sono state meteore, vincitrici subito cadute nel dimenticatoio collettivo.

E noi, nel nostro piccolo, vogliamo ripercorrere la storia del Festival di Sanremo, scegliendo sette brani, uno per decennio, alternati tra canzoni più celebri ad alcune chicche di nicchia.

Sanremo 1951/1959: Modugno – Piove (ciao ciao bambina) (1959)

Il primo decennio del Festival di Sanremo viene caratterizzato dalla presenza di canzoni che si rifanno alla musica lirica della tradizione italiana. Infatti, i protagonisti sono per lo più cantanti dalla voce possente e da canzoni tristi dai toni i drammatici ma, per questo decennio, la scelta ricade su quello che potrebbe definirsi il fautore di un nuovo modo di fare musica, più leggera e melodica, stiamo parlando dell’intramontabile Domenico Modugno. Già vincitore nel 1958 con la famosa nel Blu dipinto di blu, vince anche l’anno successivo con Piove (ciao ciao bambina), sempre in coppia con Johnny Dorelli. La canzone in gara parla di un amore al capolinea dove, nonostante il sentimento sia forte, non si può che fare altro che dirsi addio.

Come una fiaba, l’amore passa:C’era una volta poi non c’è più

Canzone commovente che fa ancora scendere parecchie lacrime.

Sanremo 1960/1969: Sergio Endrigo – Canzone per te (1968)

Per gli anni ’60, più precisamente per gli anni della Rivoluzione, la scelta è caduta su Sergio Endrigo e la sua Canzone per te. Il brano portato Sanremo e, accompagnato da Roberto Carlos, ci parla, con toni struggenti, di una storia d’amore finita ma dove il sentimento resiste.

È stato tanto grande e ormai non sa morire

Anche qui, nonostante la poco profondità del testo, ci lascia con l’amaro in bocca e con la tristezza nel cuore.

Sanremo 1970/1979: Peppino di capri – Un grande amore e niente più (1973)

Negli anni del boom economico e, come amava definirli Pasolini, gli anni del neo-edonismo consumistico, dove l’Italia andava via via perdendo la propria identità culturale a favore di uniformazione di massa, Sanremo si mantiene sempre vivo e uguale, con un unico comune denominatore: è sempre l’amore a trionfare. Quell’amore cantato in tutte le sue sfaccettature, così la scelta è caduta su una poesia tenue, leggera che ti sfiora la pelle ed è Un grande amore e niente più di Peppino di Capri. Anche qui non è andata proprio bene, ma è il racconto di quel tempo d’amore vissuto a pieno, tra ricordi teneri e struggenti che, una volta andati, non tornano più.

Ma non risale l’acqua di un fiumeE nemmeno il tuo amore ritorna da me

 

Sanremo 1980/1989: Tiziana Rivale – Sarà quel che sarà  (1983)

Spesso confusa con la più famosa Che sarà dei Ricchi e Poveri, è il grido di un amore che nonostante le innumerevoli difficoltà che la vita possa porci davanti, tra cui l’incertezza del futuro, si ha la consapevolezza che è l’altro il fattore salvifico e che, nonostante tutto, bisogna saper prendere l’amore per come è, senza idealizzazioni.

Se anche l’acqua poi andasse all’insù
Ci crederei perché ci credi anche tu
Una storia siamo noi
Con i miei problemi e i tuoi
Che risolveremo e poi

Il brano appena descritto è di Tiziana Rivale, vincitrice dell’edizione del 1983, con questa canzone purtroppo poco conosciuta e ancor di più lei, un’altra meteora del panorama musicale italiano.

Sanremo 1990/1999: Riccardo Cocciante – Se stiamo insieme ci sarà un perché (1991)

Cosa succede quando Riccardo Cocciante incontra un pianoforte? Nasce poesia!

Se stiamo insieme ci sarà un perché, ci racconta di quell’amore vissuto, dove ad un certo punto tutto sembra logorarsi, in quel momento in cui ci si scorda perché si sta insieme, in cui è necessario riscoprirsi e riscoprire, per non lasciare morire quel fiore. E Cocciante ci ricorda che al lasciare morire quel sogno sognato insieme, c’è sempre un’altra via fatta di dialogo, cura e tanta pazienza.

Non è quel sogno che sognavamo insieme, fa piangereEppure io non credo questa sia l’unica via per noi

 

 

Sanremo 2000/2009: Giò di Tonno e Lola Ponce – Colpo di fulmine (2008)

Da molti considerata una delle canzone vincitrici più brutte di sempre, cantata dai protagonisti dello spettacolo  Notre-Dame de Paris, scritto da Luc Plamondon con le musiche di Riccardo Cocciante. Con questo brano, cantato appunto da Giò di Tonno (Quasimodo) e Lola Ponce (Esmeralda), veniamo riportati ad una musica più scenica, più teatrale, che ci apre alla potenza dell’amore, fulmine a ciel sereno che si abbatte furioso su di noi e che ci fa vivere, a volte, in una favola che sembra non finire mai

D’amore e d’incoscienzaPrendimi sotto la pioggiaStringimi sotto la pioggiaLa vita ti darò

 

Sanremo 2010/2019: Roberto Vecchioni – Chiamami ancora amore (2011)

La classe non è acqua, lo sa di certo l’edizione del Festival di Sanremo del 2011, che ha visto calcare e trionfare una delle divinità della musica cantautoriale italiana, il grande prof. Roberto Vecchioni. Chiamami ancora amore è una preghiera all’umanità, ricordandoci che  è l’amore a renderci umani e che non bisogna mai avere paura di amare e di lottare per ciò che si ama, che sia una persona, un pensiero o per la vita in sé. 

Chiamami sempre amoreIn questo disperato sognoTra il silenzio e il tuonoDifendi questa umanitàAnche restasse un solo uomo

Sanremo 2020/2023: Diodato – Fai Rumore (2020)

Nell’anno che segna un cambiamento epocale, in cui tutto il mondo si è fermato nel silenzio più assoluto, è stato il “Rumore” di Diodato a riecheggiare, colpendo dritto al cuore di ognuno di noi. Il brano scritto è una carezza che riconcilia l’anima, un rumore che diventa musica e ci scalda il cuore, quel rumore prodotto nella nostra vita dalla persona amata, perché possiamo finalmente guardare negli occhi quel qualcuno e dirgli:

E non ne voglio fare a meno oramai
Di quel bellissimo rumore che fai

 

Chiudiamo così questo Aspettando Sanremo, con la voce di Diodato che ci accompagna nel rumore della quotidianità. 

Gaetano Aspa

Pioggia di spine

Piove a dirotto sull’angelo del campanile,

mentre cammino sotto un cielo terso,

vengo trafitto da migliaia di spine,

nessun segno di Dio,

ma solo un altro singhiozzo.

Ogni minuto è un pugno di terra

gettato sulla mia tomba,

guarda come lotto,

guarda ciò che perdo,

sono fatti di lacrime e sangue

i miei giorni all’inferno.

Mentre Messina sembra sparire,

vorrei solo amarti per sempre

sotto questa pioggia

che non vuole finire.

 

Gaetano Aspa

 

*Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Gibellina: La Land Art più grande del mondo le dà nuova vita

Il terremoto e la ricostruzione

Gibellina, un comune della provincia di Trapani, situato nella suggestiva Valle del Belice, è il protagonista di una storia di rinascita straordinaria che affonda le radici nel tragico terremoto del 1978. Quell’evento devastante, che provocò centinaia di vittime e migliaia di feriti e senzatetto, segnò profondamente la comunità, lasciando dietro di sé solo macerie e ricordi dolorosi di perdita e distruzione.

Dopo il terremoto, Gibellina si trovò a dover affrontare la difficile sfida della ricostruzione e del recupero della propria identità. Ludovico Corrao, il sindaco del comune ormai distrutto, avvertì un profondo desiderio di riscatto tra gli abitanti. Fu lui a riconoscere nell’arte un potente mezzo per riportare dignità e speranza in un luogo che sembrava aver perso ogni cosa.

Difatti, Gibellina Vecchia si trovava in una posizione geografica scomoda, su una collina abbastanza isolata, motivo per cui, al di là del terremoto, stava subendo un inevitabile spopolamento. Si decise, dunque, di dedicare quel luogo esclusivamente alla memoria e di creare un nuovo nucleo abitativo a pochi minuti da essa, ma allo stesso tempo più vicino all’autostrada e, di conseguenza, decisamente più accessibile.

Il potere dell’arte

Il compito di trasformare le rovine in un simbolo di rinascita fu affidato all’artista Alberto Burri. Quest’ultimo, con grande sensibilità, concepì il monumento noto come il “Grande Cretto“. Utilizzando il cemento come medium, Burri creò un velo che avvolge le macerie degli edifici e percorre le strade del paese, trasformando il dolore in un’opera d’arte imponente. La semplicità dell’architettura lascia spazio alla memoria del luogo che diventa la protagonista dell’opera. Il Grande Cretto non solo rappresenta la più grande land art del mondo, grande orgoglio Siciliano, ma incarna anche un significato profondo, simbolo di resilienza e forza di una comunità determinata a emergere dalle sue ceneri.

Cretto di Gibellina
Cretto di Gibellina. Fonte: https://www.artwort.com/2016/07/20/speciali/cult/cretto-burri-gibellina/

Gibellina Nuova

Gli abitanti, intanto, diedero vita a Gibellina Nuova. Anche questa nuova comunità lascia ampio spazio all’arte, venendo concepita come un grande museo a cielo aperto. Si distingue per l’uso creativo del cemento, con cui sono formate gran parte delle strutture, che funge da collegamento tangibile con il Cretto di Gibellina Vecchia. Artisticamente curata, Gibellina Nuova ospita più di 60 opere ed installazioni realizzate da artisti e architetti di fama internazionale.

Arco d’ingresso a Gibellina Nuova. Fonte:https://www.quotidianocontribuenti.com/belice-e-altre-storie-la-stella-di-consagra-brilla-per-il-centenario/

All’ingresso un arco, la Stella del Belice, accoglie i visitatori, diventando il simbolo distintivo della città nuova.

Vi sono poi la Montagna del sale, una struttura in cemento, vetroresina e pietrisco con all’interno 30 statue di cavalli in legno, nata come scenografia dello spettacolo “La sposa di Messina”;

Il MAC, Museo Civico di Arte Contemporanea, che racchiude circa 400 opere di varie recenti correnti artistiche;

il Tappeto volante, realizzato con quasi 50 mila cordicelle di canapa che riproducono un effetto simile alle Muquarnas della Cappella Palatina di Palermo, oggi situato al Museo delle trame mediterranee, dedicato al sindaco che rese possibile una ripresa per il paese, Ludovico Corrao.

Il 2019 ha segnato un ulteriore passo avanti con l’inaugurazione del Museo del Grande Cretto di Gibellina, ubicato all’interno dell’unica struttura sopravvissuta al terremoto: la Chiesa di Santa Caterina.

La Chiesa Madre di Ludovico Quaroni – Gibellina Nuova. Fonte: https://www.spaghettievaligie.it/gibellina-museo-cielo-aperto/

Conclusioni

Arrivare alla collina che ospita questa grande opera non è semplice, ma il silenzio del luogo, immerso nella campagna dell’entroterra trapanese, lascia spazio ad una malinconica bellezza.

In conclusione, Gibellina oggi, oltre ad essere un vero e proprio simbolo di rinascita, in grado di mostrare il potere dell’arte e di una comunità unita per far risplendere il proprio territorio, si mostra anche come grande attrazione turistica che, ogni anno, accoglie eventi culturali di vario genere.

 

Antonella Sauta

Fonti:

https://luoghidelcontemporaneo.beniculturali.it/grande-cretto-

https://luoghidelcontemporaneo.beniculturali.it/gibellina-nuova-

Marco Bellocchio: il grande cinema a Messina

Lo scorso 7 dicembre 2023, Marco Bellocchio, noto regista, sceneggiatore, produttore e docente di cinema, è stato insignito dall’Università di Messina del dottorato di ricerca honoris causa in Scienze Cognitive, curriculum Teorie e tecnologie sociali, territoriali, dei media e delle arti performative. Nel pomeriggio della stessa giornata, è stato ospite al Messina Film Festival Cinema & Opera ed ha partecipato alla consegna del premio per miglior cortometraggio a tema, vinto dalla giovane regista Maria Francesca Monsù Scolaro con il filmCon-Divise.

Biografia di Marco Bellocchio

Marco Bellocchio nasce il 9 novembre 1939 a Bobbio, in provincia di Piacenza ed è durante la frequentazione delle scuole salesiane che scopre la sua grande passione per il cinema, che lo porta a frequentare il Centro sperimentale di cinematografia di Roma, dove si diploma come regista nel 1962, sotto la guida di Andrea Camilleri. Il suo primo lungometraggio, I Pugni In Tasca, realizzato alla giovane età di ventisei anni, gli garantisce la selezione al Festival del film Locarno e vince il premio  Vela d’argento nel 1965. In questa e in altre pellicole come La Cina è Vicina (1967), premiato con il Leone D’Argento al Festival di Venezia, ha dimostrato il suo anticonformismo, mettendo a nudo l’ipocrisia borghese e facendo riferimento ai moti del’68.

In moltissimi dei suoi lungometraggi, caratterizzati da un procedere piuttosto calmo e lento, traspaiono i suoi interessi sociali e politici. Alcuni tra i titoli più noti sono Buongiorno, Notte (2003) in cui racconta il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro; Il Traditore (2019), relativo al mondo della mafia. Il culmine della sua carriera è stato raggiunto proprio quest’anno con Rapito, in cui racconta il caso di Edgardo Mortara.

 

Il regista Marco Bellocchio con il prof. F.Vitella. Ph. © Ilaria Denaro

Dottorato honoris causa a Marco Bellocchio

Non ho più l’età per perdere la testa, ma sono estremamente felice

Sono queste le parole pronunciate da Bellocchio, una volta insignito del dottorato. Egli è stato accolto come membro dell’Università di Messina dai docenti Alessandra Falzone, Coordinatrice del Dottorato in Scienze Cognitive; Carmelo Maria Porto, Direttore del Dipartimento di Scienze Cognitive; il Prorettore Vicario Eugenio Cucinotta; il Direttore Generale Francesco Bonanno e il Decano Antonio Panebianco.

Marco Bellocchio
Da sx Carmelo Maria Porto, Direttore del Dipartimento di Scienze Cognitive,il Prorettore Vicario Eugenio Cucinotta, il Decano Antonio Panebianco, il Direttore Generale Francesco Bonanno. Ph.©Ilaria Denaro

 

La Laudatio, invece, è stata affidata al professore Federico Vitella, ordinario di Cinema, fotografia e televisione, che è stato il primo sostenitore del conferimento del titolo a Bellocchio e che, con il suo discorso, ha ripercorso le tappe principali della carriera del regista.

Abbiamo l’onore di consegnare il dottorato – ha esordito – al più grande regista italiano vivente. Esponente del nuovo cinema italiano degli anni Sessanta, ha saputo innovare l’arte cinematografica, svecchiandone la narrazione e spalancando le porte al cinema moderno. Ha saputo anche rinnovare costantemente sé stesso, pur rimanendo fedele a uno stile inconfondibile, come la scelta dell’inquadratura lunga o della teatralità dello spazio, ed alcuni temi che definiscono il suo orizzonte poetico.

Queste, invece, le parole di Bellocchio:

Questo titolo, che arriva dopo la Laurea Honoris Causa alla Iulm, non sarà qualcosa che metterò al muro e lascerò impolverare, ma un segno davvero importante, una conferma e una soddisfazione che mi dà ancora più voglia di lavorare e creare. […] Stiamo mettendo a fuoco questo progetto che è una serie in sei episodi su Enzo Tortora. In questi mesi cerco di non distrarmi in nessun altro progetto, poi vedremo, prima di tutto vediamo di farlo e di farlo bene. Poi se uno ci pensa, ci sono tanti progetti da realizzare, da Giovanni Pascoli o storie molto internazionali come il processo di Norimberga, per esempio, però il nostro lavoro è molto concreto, bisogna capire se ci sono anche le possibilità economiche per poterlo fare; quindi, ci misuriamo sempre con il possibile. […] Il Dottorato Honoris Causa ricevuto in questo affascinante contesto mi inorgoglisce molto e mi impegna a rispondere ad una responsabilità in più. Dovrò compiere una meticolosa ricerca, al di là della gloria, dei traguardi o degli onori, che possa essere fortemente umana nell’ambito di un mestiere molto pratico, abituato a mediare tra diverse esigenze per produrre i suoi risultati. Il riconoscimento odierno testimonia l’entusiasmo per il mio lavoro e mi dona ancora più forza e convinzione per continuare a fare ciò che mi piace. Ai giovani, dico di essere entusiasti e di indagare a fondo per comprendere se il cinema è davvero la loro più grande passione da inseguire con tutte le energie di cui dispongono.

Nel pomeriggio, poi, come detto in precedenza, il regista è stato ospite al Messina Film Festival Cinema & Opera, ed in questa occasione, sono stati proiettati quattro dei suoi lavori: I pugni in tasca (1965); Vincere (2009); Addio del passato (2002); Pagliacci (2016).

 

Giorgio Maria Aloi

Sanremo Giovani: racconti di vita e sfumature d’amore

Dicembre porta con sé, oltre i profumi di pan di zenzero e dolciaria varia, un lieve odore di fiori freschi, i fiori di Sanremo. Perché sì, è vero che siamo a Natale, ma la nostra mente comincia a volare a quei giorni in cui tutta l’Italia si riunisce per cinque intensi giorni di musica.

Per questo, noi di UVM, in mezzo a questo clima natalizio, vogliamo trasportarvi sul palco dell’Ariston, puntando i riflettori sulle 12 canzoni dei giovanissimi autori che, giorno 19 dicembre, si sfideranno per stabilire i 3 fortunati vincitori che completeranno la rosa dei big in gara. Scopriamole insieme!

Bnkr44 – Effetti speciali

In questo brano, il gruppo di Villanova, ci racconta la difficoltà dell’amore giovanile pieno di sfumature contrastanti, attraverso il racconto di una storia ormai al declino.

Si lo so è stato bello però
abbiamo solo vent’anni

La cornice narrativa, posta su una serie di parallelismi tra il mondo cinematografico e la realtà della fine di una relazione, ci rimanda ad un distacco dolceamaro ma non drammatico.

Suoni elettronici e acustici si fondono in questo pezzo pop fresco ma mai banale.   

Voto 5/5. 

GrenBaud – Mama

Un pezzo frenetico che ci porta in una vita sfrenata, fatta di desideri lussuosi e l’incostante incertezza di farcela, di riuscire a tornare a casa. Il tutto mentre la madre sta a casa in ansia.

La canzone dello streamer non convince, non dice niente di diverso da quello che dice ormai ogni rapper/trapper della scena musicale, ma fatta peggio.

Voto 2/5.

Lor3n – Fiore d’inverno

Può un fiore sbocciare d’inverno? Purtroppo, la risposta è no!

Un passato ormai tramontato, che va via via sfumando ma che continua ad occupare un posto nella memoria, il continuo rimpianto di ciò che poteva essere ma non è stato.

se ho dato speranza ad un fiore
che in fondo nasceva in un tempo sbagliato
d’inverno

Tutto questo è Fiore d’Inverno, il singolo in gara di Lor3n, una dichiarazione d’amore suonata al pianoforte che, con una serie d’immagini dal sapore poetico, ci riporta al tempo vivo di una relazione matura ma concepita in un tempo sbagliato.

Voto 5/5

Tancredi – Perle

La nuova canzone di Tancredi, giovane cantautore uscito dal talent Amici, ci racconta una storia d’amore dai forti contrasti. Da un lato troviamo lei, una ragazza sognatrice che si perde nel blu del cielo, dall’altro lato lui, pieno di paranoie e insicurezze che guarda il pavimento.

ma io non sono niente
quando guardi il cielo azzurro io guardo le piastrelle

Mix tra indie e pop, tra sogno e realtà, dove in un rapporto altalenante, incontriamo l’eco della solitudine.

Voto 5/5

 

Dipinto – Criminali

Vita vissuta nelle periferie campane, le condizioni in cui crescono molti giovani nei quartieri difficili tra criminalità e voglia di riscatto sociale.

Dipinto, in questo brano old school, ci racconta una storia a lieto fine, dove queste cose “anormali” sono totalmente superate.

Voto 3/5

Nausica – Favole

Come nelle favole, cerchiamo sempre un lieto fine che tarda ad arrivare, che non arriva, troppo spesso desiderato e mai pienamente compiuto.

Favole, il brano di Nausica, parla proprio di questo, della ricerca della felicità, di quel lieto fine tanto atteso per dire che, a volte anche le favole hanno ragione.

La voce di Nausica accompagnata dal suono dell’arpa rende questa canzone davvero unica.

Voto 4/5

Clara – Boulevard

Diventare grandi, essere adulti, non ci da il dono dell’infallibilità anzi, ci fa rendere conto che tutti i nostri punti di riferimento sono esseri umani come noi, ognuno con le proprie fragilità.

Un racconto intimo quello portato sul palco da Clara che, con la sua Boulevard, vuole rendere omaggio alla madre che l’ha resa la donna che è oggi, ma è anche un invito per tutti coloro che si trovano in difficoltà a chiedere aiuto, perché “nessuno si salva da solo”.

Voto 4/5

JacopoSol – Cose che non sai

Pressioni, stress, paura di non farcela, pressioni e stimoli che ci portano a sentirci schiacciati, privi del tempo per noi, di fare quello che ci piace.

È di questo che ci parla JacopoSol, con la sua Cose che non sai, attraverso un flusso di coscienza, si mette a nudo mostrandoci le fragilità della nostra generazione.

Voto 3/5

Santi Francesi – Occhi tristi

Per quanto possa essere buio il presente, nessuna notte è troppo lunga per impedire al sole di sorgere, e di conseguenza al girasole di alzare la testa verso di esso.

Occhi tristi è la descrizione perfetta di un rapporto d’amore in cui, nonostante le insicurezze, la necessità di abbandonarsi nelle braccia dell’altro è più forte di tutto.

E con me porterò quel fiore che ti piace
Sarebbe bello disegnare la tua voce

La musica con l’aggiunta di componenti elettronica unita alla profondità del testo, ci catapultano nelle tormente dell’anima quando tutto sembra opporsi, ma il legame amoroso è così forte da non infrangersi.

Perché è bello sapere che il lieto fine può esistere.

Voto 5/5

Vale LP – Stronza

Un brano intimo che si evolve in qualcosa di più universale, il racconto della presa di coscienza di una personalità tossica, che tende a distruggersi e a distruggere.

E trovo mille modi per poterci ferirePer non sentire mai che sta arrivando una fine

Senza peli sulla lingua, Vale LP, ci racconta la storia di un amore dalle dinamiche tossiche, attraverso il punto di vista e la presa di coscienza della persona narcisista.

Voto 4/5

Fellow – Alieno

In una società sempre più conformista e conformata, dove l’unica cosa che conta è essere fighi, Fellow va controtendenza, parlandoci di alienazione sociale unita alle dinamiche d’amore, andando dritto al cuore di chi si sente fuori dal mondo.

E lo sai che ho già piantato una bandiera
su ogni mia nuova insicurezza

Un brano che parla di solitudine, ma anche della bellezza del creare legami con persone che ci capiscono veramente.

Voto 5/5

 Omini – Mare Forza 9oi

Attraverso suoni carichi di esplosivo rock dal ritmo incalzante, gli Omini ci raccontano della tempesta che può nascere tra due individui che, come il mare che può raggiungere forze distruttive, così la passione può arrivare a decuplicare questa forza, facendo diventare esplosivo il “noi”

Voto 4/5 

Gaetano Aspa

Il passaggio

Si alzò dal letto svogliato quella giornata. Quei giorni gli sembravano passare senza che neanche se ne accorgesse, tra rotture e amici lontani che non senti mai.
L’aroma del caffè lo aiutò un po’ a riattivarsi, quel poco che gli bastava per andare avanti. Portò la tazzina alle labbra. Lasciò andare un sospiro. Guardò fuori dalla finestra e vide uno stormo di uccelli danzare nel cielo in cerchio.
«Accese la tv mentre incominciava a vestirsi per la giornata. Il telegiornale oggi era monotematico.
Da due anni a questa parte siamo stati abituati a strani eventi che hanno coinvolto ogni persona al mondo. Sono dopo tutto questo tempo ancora un mistero per qualunque scienziato sul pianeta. Abbiamo continuato a vivere le nostre vite in maniera normale e le autorità ci hanno assicurato che le analisi di questi eventi ciclici. Ciononostante molti pensano che questi eventi abbiano un significato maggiore: le autorità religiose riuniscono i fedeli in preghiera, mentre sette stanno nascendo ovunque convinte che tutto questo sia un messaggio da chissà dove che annuncia la fine del mondo o l’inizio di uno nuovo».

Prese le chiavi e uscì di casa. Chiuse il vecchio portone dietro di sé spingendolo con forza. Non ricordava dove aveva lasciato la macchina la sera prima. Si strinse nel cappotto per evitare il freddo umido e si mise a camminare. Arrivato alla macchina aprì di corsa lo sportello e si ficcò dentro sfregandosi le mani.
Mise in moto e andò via. La strada era vuota ma si notava una certa agitazione e le volanti della polizia erano più presenti del solito. Qualcuno urlava per strada e persone vestite in maniera stravagante andavano in giro in gruppo.

La giornata fu abbastanza complicata. C’era forte nervosismo tra i suoi colleghi e si percepiva una forte aura di tensione. Tornò a casa più stanco del solito, passando per vie sempre più piene di paura e urla.
Il cielo era sempre più pieno di stormi che coprivano il cielo. Il sole stava cominciando a calare oltre l’orizzonte.
L’aria sembrava più pesante.

Andò in cucina per vedere con cosa cenare, ma aperto il frigo vuoto gli passò la voglia di cucinare e si buttò a letto. Da lì vedeva la finestra e il cielo rosso, con le nuvole sfumate dal tramonto e mosse via dal vento.
Si alzò per respirare un po’ d’aria fresca, e si mise ad osservare i tetti delle case: da alcuni partivano delle colonne di fumo, su altri si raggruppavano persone con lo sguardo rivolto in su.
Su una delle case vide una persona da sola, con lo sguardo rivolto all’orizzonte. Lo osservò per un po’, immobile nonostante il vento e il freddo.
Il sole toccò la linea del mare. Lo vide alzare il braccio destro verso l’alto e cambiare in viso: occhi spalancati, bocca aperta.

L’aria sembrò fermarsi immediatamente, tutto sembrava immobile. Poi di colpo venne il boato.
Un suono lancinante, sia armonia che caos. Il sole sembrava diventare sempre più rosso e muoversi verso l’alto, mentre quella melodia continuava a salire d’intensità.
Le nuvole cominciarono a muoversi verso il sole durante la sua risalita, e mentre questo raggiungeva lo zenith, quelle si andavano a mettere in cerchio tutto attorno.
Una grande sfera rossa osservava tutto l’alto, e le nuvole che lo circondavano in cerchio cominciarono ad allontanarsi. Ora le stelle brillavano in cielo con al centro un sole rosso che ricopriva quasi completamente la volta. La melodia di prima era adesso diventata il suono assordante della stella che bruciava.

Alcuni dei puntini in cielo sembrò che cominciassero a calare: delle piccole stelle incandescenti, di una pallida luce bianca, cominciarono a calare verso la superficie. Si arrestarono alte nel cielo ma adesso abbastanza vicine che il loro suono armonico raggiungeva la terra. Il suono si intensificò e la loro superficie cominciò a creparsi.
Da quelle sfere uscirono delle ali dello stesso colore abbagliante. I gusci caddero verso il suolo, senza mai arrivare però al suolo. Dei serpenti alati stavano adesso nei punti dove erano prima quelle stelle cadute. Stavano immobili, con le ali spiegate ma con il corpo in posizione fetale.

Restarono così per qualche secondo, poi cominciarono a riunirsi in cerchio esattamente al centro del gigantesco sole rosso. Il rumore che emettevano cambiò e divenne una vera melodia: un suono rivolto a qualcosa, struggente, che sovrastava qualsiasi altra cosa.

Le creature andarono contro la stella diventando impercettibili mentre si muovevano verso l’alto. Si vide solo una piccola e minuscola increspatura sul rosso quando sparirono del tutto.
Tornò il crepitio del sole, e questo sembrò avvicinarsi e ricoprire il mondo.
Tutto divenne bianco, mentre tutto veniva inghiottito.

Non seppe cosa successe tra il momento della visione e il momento in cui si rese conto di vedere di nuovo il mondo come era prima. Si rese solo conto che ad un certo punto il cielo era azzurro e che le rondini tornavano di nuovo verso sud. Si sentivano sirene in lontananza, scoppi.
Andò sul tetto. Il mare era rosso sangue, le onde si sbattevano contro la spiaggia.

Matteo Mangano

Immagine in evidenza: Illustrazione di Marco Castiglia

Lorraine e l’angelo

Quando si pensa all’aldilà, che sensazione si prova? Cosa potrebbe mai esserci dall’altra parte? Paradiso o Inferno? Angeli o demoni? Almeno questo era ciò che si credeva in genere. Lorraine non conosceva la risposta esatta a quelle domande, né tantomeno sapeva perché mai una persona, soprattutto giovane, avrebbe dovuto chiederselo, con tutti gli interrogativi che già offriva la vita terrena. Come vive un ateo? Se lo chiede spesso, questo. Per lei è inconcepibile l’ateismo. Lei, che sin da piccola vedeva cose strane, assisteva a fenomeni inspiegabili, che nemmeno lei capiva all’inizio. Quando era piccola, aveva paura di ciò che vedeva. Nessuno le credeva, ovviamente. Pensavano fosse una pazza svitata, una da manicomio. Aveva comunque cercato di vivere una vita normale, si era fatta delle amiche. Certo, poi aveva conosciuto Ed, e tutto era cambiato. La sua vita non era mai stata semplice, sin dall’infanzia, e da quella volta in ospedale…

…- Scendi dalla macchina, Lorraine. Dai, che andiamo a trovare la zia-. La zia aveva avuto un problema di salute, Lorraine non sapeva per certo di cosa si trattasse, ma la mamma era andata in ospedale a trovarla, ed ora che la zia stava meglio, lei poteva andare a farle visita. Quel giorno, Lorraine aveva saltato la scuola. Questo non faceva felice sua madre, ma allo stesso tempo andare a trovare la zia era la cosa giusta. Entrarono nella hall, una sala grande, con tanti pazienti che attendevano il loro turno, chi per visitare parenti come loro, chi per farsi fare una visita. C’erano un paio di infermieri, che annotavano costantemente ogni informazione su un quaderno. Le mandarono in un reparto al piano superiore dell’ospedale, che da poco tempo si era ammodernato con l’aggiunta dell’ascensore. Lorraine non capiva come avessero fatto i pazienti precedenti a salire senza ascensore fino al 1935. Pigiò il bottone per il secondo piano, e salirono. Quel giorno sua madre indossava un abito lungo, stretto in vita, e con una lunga gonna che le scendeva fin quasi alle caviglie. Dalla vita in su, invece, indossava una camicia bianca, maniche lunghe, con sopra una giacca blu, chiusa fino al merletto che copriva il collo. –Buongiorno- Salutarono l’infermiera presente in reparto, che le condusse fino alla stanza dove stava la zia, che appena la vide, il volto le si allargò in un sorriso. –Ciao, Lorraine. Niente scuola oggi? Sei venuta a trovarmi con la mamma? Ma quanto sei cresciuta, e da quando avevi 5 anni che non ti vedo!! Quanti anni hai adesso?-. – Otto- rispose lei. – Stai crescendo in fretta!!- le disse la zia. – Non tanto da dormire sola di notte. Questa notte è corsa da me piangendo, perché ha avuto un incubo- disse sua madre. In effetti, ora che ci pensava, Lorraine soffriva spesso di incubi durante le notti, poi correva nel letto dei genitori. Non riusciva a capire il motivo di quegli incubi. E inoltre, a volte le sembrava di estraniarsi dalla realtà. Percepiva cose strane, aveva delle sensazioni. Era in grado di capire quando una persona stava per cadere ancora prima di vederlo con i propri occhi. Non sapeva come era in grado di farlo, né perché. La mamma non lo sapeva questo, Lorraine non voleva dirlo. Le avrebbe creduto? Aveva dubbi a tal proposito. A scuola, una mattina, era successo che durante una lezione di matematica, scorrendo le pagine del libro, aveva sollevato un attimo lo sguardo, con lo sguardo rivolto alla lavagna, per seguire la lezione della maestra. Fu allora che lo notò. Un’ombra nera si stagliava accanto alla maestra. Pensava a un effetto di luce, ma quando la maestra si spostò sotto la finestra per consentire loro di leggere la lavagna, l’ombra la seguì. Lorraine era stupita. Inoltre, l’ombra aveva assunto i contorni di una figura umanoide, cosa che non era possibile. La seguì con lo sguardo mentre si spostava sul muro, e si posizionava vicino al banco di un compagno. Dal muro si sollevarono due piccole nuvole nere, probabilmente braccia, e comparvero due mani nere, scarne, che si allungarono verso il banco, presero una gomma, e la tirarono addosso a un compagno. Lorraine corse fuori dall’aula improvvisamente, di fronte allo stupore dei compagni e della maestra stessa. L’aveva ritrovata una suora. Si era rifugiata in bagno, e piangeva. Sembrava uno dei suoi sogni. – Lorraine, non avere paura. La mamma mi ha raccontato del brutto sogno che hai fatto la notte scorsa. Non avere paura degli incubi, perché non possono farti nulla. Sii forte, torna in classe che la maestra è preoccupata-. Col tempo, Lorraine aveva provato ad essere forte, ma anche quando passava accanto alle compagne, quelle fuggivano da lei. Pensavano fosse pazza, probabilmente. E ora che sua madre e sua zia chiacchieravano, Lorraine si distrasse, uscì un attimo dalla stanza e vagò nel lungo corridoio del reparto. Il suono delle sue scarpe risuonò nel corridoio, fino a che non giunse a una stanza in cui riposava un anziano signore. Titubante, entrò, senza avere un motivo preciso. L’anziano riposava serenamente, ed era biancastro in volto. Un breve raggio di luce filtrava dalla piccola finestra, e illuminava un uomo seduto sulla sedia accanto al letto. L’uomo posò lo sguardo su di lei, e le parlò- Ciao, Lorraine.- la salutò. Lorraine non lo conosceva, e non sapeva come quell’uomo potesse conoscere il suo nome. Ma rispose timidamente al saluto. L’uomo, giacca e cravatta bianchi, ora giovane ora anziano (Lorraine non riusciva a capire che età potesse avere), le disse-Quest’anziano signore sta per lasciare l’ospedale, vuoi recitare una preghiera con me?- Lorraine annuì, pregarono insieme, e di nuovo l’uomo le rivolse la parola –Quando ne avrai bisogno, non esitare a chiamarmi- Lorraine non capiva come mai avrebbe dovuto rivolgersi a un tizio che nemmeno conosceva, però annuì comunque. -In realtà ci conosciamo già, ma questo lo capirai più avanti. Ci sono cose che non appartengono a questo mondo, e tu le dovrai affrontare.-  All’improvviso, quel bagliore di luce divenne accecante, e quasi Lorraine non ci vedeva più. Spostò leggermente la mano, e vide in piedi di fronte a lei, l’uomo che si stagliava ora a un metro da terra. Levitava, volava? Non credeva ai suoi occhi. Alzò lentamente lo sguardo, timorosa, e vide che il tipo indossava una tunica bianca(al posto dell’abbigliamento precedente) e dalle spalle si allargavano da ambo i lati due enormi ali bianche e candide, che toccavano le estremità della stanza, che a malapena le conteneva. Il volto era ora di un giovane ragazzo ora di un uomo di mezz’età(Questo non era cambiato). Capelli biondi, volto luminoso. Era un angelo quello che aveva davanti. L’anziano signore coricato sul letto non respirava più adesso, Lorraine capì. D’improvviso, come era comparso, l’angelo sparì in un bagliore…

… Da lì era cambiò ogni cosa, Lorraine comprese che ciò che vedeva e percepiva era reale, e anche se nessuno le credette andò avanti. A dire il vero, qualcuno che le credette ci fu. Un giovane ragazzo di nome Edward,che lei conobbe otto anni dopo, e assieme al quale avrebbe vissuto l’intera vita. Ma questo Lorraine ancora non lo sapeva.

Roberto Fortugno

Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia