The Crow – Il Corvo: l’eroe simbolo dell’underground può diventare mainstream?

The Crow - Il Corvo
Rupert Sanders con “The Crow” prende una direzione del tutto nuova. Ha saputo individuare e perfezionare le falle del film precedente ma, in quanto interpretazione originale, ha i propri punti deboli. – Voto UVM 4/5

 

Bill Skarsgård (IT, John Wick 4) è The Crow, il leggendario personaggio della graphic novel di James O’Barr, rivisitato in questa nuova versione cinematografica diretta da Rupert Sanders, nelle sale dallo scorso 28 agosto.

Sinossi

Eric Draven e Shelly Webster vengono brutalmente assassinati da una banda di criminali. Avendo la possibilità di salvarla dagli inferi sacrificando se stesso, Eric cerca vendetta, attraversando il mondo dei vivi e quello dei morti per “rimettere a posto le cose sbagliate”.

Il Corvo
Bill Skarsgård in The Crow – Il Corvo (2024) Larry Horricks/Lionsgate

Un remake necessario?

Eric Draven (Skarsgård) e Shelly Webster (FKA Twigs) ci sono ormai familiari con i volti di Brandon Lee e Sofia Shinas per la loro celebre performance nella versione della pellicola del 1994, un vero e proprio cult senza tempo.

Siamo però di fronte a un’arma a doppio taglio: se la fama che li precede stuzzica la curiosità degli appassionati, un remake si presta a inevitabili paragoni e basse aspettative.

C’è da tenere in conto che l’adattamento precedente, parlando specialmente ad un pubblico underground, risultava perfettamente inserito in una fetta della cultura della sua epoca. A chi si rivolge oggi il remake? La risposta è la Gen Z, ma stavolta si punta più al mainstream.

Un eroe “meravigliosamente a pezzi”

Interessante scelta d’interprete, che si accosta bene all’idea originale di O’Barr: il fumettista si era ispirato al volto di Peter Murphy e al corpo di Iggy Pop per caratterizzare Eric con tratti marcati.  Skarsgård poi, si è sempre distinto per ruoli psicologicamente complessi e sfaccettati, e l’ultimo non è da meno.

Il tenebroso vendicatore dal fascino gotico a cui ci ha abituati Brandon Lee ha lasciato il posto a un anti-eroe più contemporaneo, vulnerabile e pessimista. Il Non può piovere per sempre adesso si trasforma in un Piangi ora, piangi dopo.

Eric è “meravigliosamente a pezzi”, come lo definirà Shelly. Anche lei, spogliata della sua perfezione eterea e resa una donna moderna, incontra Eric in un centro di recupero.

The Crow - Il Corvo
Bill Skarsgård in The Crow – Il Corvo (2024) Larry Horricks/Lionsgate

Il male ha un nuovo volto

Ecco uno dei grandi meriti di questa versione: gli antagonisti, Vincent e Marian, non sono più una coppia di vampireschi delinquenti con il gusto per il macabro. Sono ricchi malavitosi, con una vera e propria armata di scagnozzi al loro servizio. C’è poi del soprannaturale: parliamo di un patto col diavolo. La vita eterna di Vincent in cambio della dannazione degli innocenti che uccide.

La melodia della vendetta

Largo spazio allo splatter, al sangue sulla cinepresa, ad organi in vista e a spettacolari scene d’azione. Il film raggiunge il suo acme in una sequenza pulp altamente “teatrale”. Ci troviamo, infatti, proprio all’interno di un teatro, in cui un massacro si alterna con l’opera  in atto sul palcoscenico.

Riuscitissimo l’uso del sonoro: l’orchestra, diegetica all’interno della scena, segue per intensità le dinamiche del combattimento. Si tratta di una tecnica che avevamo già visto nel film precedente, ma in un contesto meno scenografico e più sommesso: un night club con musica dal vivo, che in realtà era il covo segreto degli assassini.

The Crow
Bill Skarsgård in The Crow – Il Corvo (2024) Larry Horricks/Lionsgate

Nella colonna sonora, a cura del compositore tedesco Volker Bertelmann, è sempre presente il goth rock come omaggio alla cultura underground anni ‘90, in particolare della scena alternative rock e goth metal, di cui sia il fumetto che il primo film erano diventati i “manifesti”. Invece per le scenografie si tende più all’urban, con le immagini a vincere sui dialoghi.

È shitstorm per “Il Corvo”: quali sono i punti deboli?

La morale si è ribaltata: i sentimenti assoluti di amore e vendetta del Corvo del ’94, più favolistici, vengono corrotti dal peso del dubbio. Così tutto diventa relativo e incerto, in un certo senso anche più umano.

Questo dettaglio inedito risulta un po’ forzato per un personaggio che è l’incarnazione della vendetta, eppure aggiunge un tocco di realtà che facilita il rispecchiarsi nel personaggio. Passa però come un timido tentativo di sviluppo psicologico che, a conti fatti, resta abbastanza superficiale.

Ciò che lascia perplessi, è il suo continuo via-vai tra il nostro mondo e un aldilà dal gusto quasi distopico. Ad aspettarlo una guida, che gli chiede vendetta promettendogli in cambio il ritorno di Shelly. Questo compromesso sminuisce, se non addirittura cancella, l’elemento ossessivo e disturbante della storia, tipico sia delle le tavole di O’Barr che del primo film. Quello era il vero movente: trent’anni di inquietudine e dolore, di cui solo alla fine riesce veramente a liberarsi, restituendoli direttamente al mittente.

Insomma, si tratta di una produzione su cui si è puntato molto, che non ha preteso di riproporre al pubblico la copia carbone di una storia già fatta e finita. Invece ha preferito riesaminarla, proponendone una lettura tutta nuova.

Carla Fiorentino

L’eternità di J.R.R. Tolkien al MessinaCon 2024

Esattamente cinquantuno anni fa, il 2 settembre del 1973, moriva John Ronald Reuel Tolkien lasciando ai
posteri un patrimonio letterale di valore inestimabile.

Il professore di Oxford, filologo, glottoteta, linguista e scrittore, è ricordato ancora oggi, a distanza di
settant’anni dalla prima pubblicazione de Il Signore degli Anelli, come autore di uno dei più grandi cicli
narrativi del XX secolo.

Ma per quale motivo la materia tolkeniana è stata a lungo una tematica spinosa da affrontare nel nostro Paese?

In occasione del MessinaCon24 ne abbiamo discusso con Stefano Giorgianni, linguista di formazione,
traduttore dall’inglese e dal russo, caporedattore di Metal Hammer Italia e presidente e socio-fondatore
dell’Associazione Italiana Studi Tolkeniani.

«Diciamo che il discorso parte da molti, molti anni fa. È stata una tematica complessa da affrontare non dal punto di vista letterario, ovviamente, ma da un punto di vista socio-politico, se vogliamo metterla in questi termini. Come sappiamo, un po’ di anni fa Tolkien era stato preso come uno degli autori alfieri di una certa particolare destra, che lo aveva un po’ “strumentalizzato.

Per fortuna quegli anni sono passati e molti studiosi si sono impegnati per tirare fuori Tolkien da quel calderone; siamo riusciti a portarlo un po’ ovunque, e senza alcun pregiudizio. Ti racconto una curiosità: quando nel 2017 ho tentato di organizzare un convegno tolkeniano a Verona, me l’hanno respinto, perché pensavo fosse un autore collocato politicamente. Ed è stato pochi anni fa! Per fortuna il nostro lavoro come Associazione Italiana Studi Tolkeniani, ma anche di molti studiosi esterni, ha aiutato a riportare Tolkien dove deve essere, ovvero in un ambiente assolutamente neutrale. Per chi vuole leggerlo, amarlo ed approfondirlo in tutte le salse… però solo da un punto di vista letterario, ecco!»

Le opere di Tolkien, un classico da riconoscere

Sin dalla sua fondazione l’AIST (Associazione Italiana Studi Tolkeniani) pone al centro del proprio operato il riconoscimento delle opere di Tolkien come classici della letteratura, battendosi affinché esse arrivino a divenir parte della formazione degli studenti italiani.

«Se vogliamo ricordare i classici che ci propinano a scuola continuamente» ci ha detto Giorgianni «Possiamo far rifermento a “I Promessi Sposi”: tu arrivi ad odiarlo, quel libro, perché continuano ad importelo per forza… però se lo leggi a distanza di anni, vedi che ha delle caratteristiche perfettamente applicabili anche ad un tempo contemporaneo. Questa è, secondo me, anche la lingua immortale di Tolkien.»

Sono proprio quelle caratteristiche presenti all’interno de Il Signore degli Anelli – quegli eterni valori di lealtà, amicizia e coraggio – che lo rendono un classico della letteratura.

«Ci è servita da questo punto di vista la traduzione di Fatica, uscita ormai da qualche anno.» ha continuato il presidente AIST «È stata una rivisitazione utile a rinfrescare un po’ l’opera, anche se molti, essendo cresciuti con i film di Jackson, erano affezionati alla traduzione vecchia. Ma cosa fa una traduzione? Una traduzione serve anche per rivisitare il messaggio dell’originale, non serve soltanto a scatenare battaglie inutili, che non servono a nulla da un punto di vista socio-letterario.»

Stefano Giorgianni ci parla di Tolkien ai nostri microfoni. © UniVersoMe

Il caso delle traduzioni tolkeniane

Alla luce delle polemiche inerenti alla nuova traduzione di Ottavio Fatica, abbiamo chiesto a Giorgianni, nonché traduttore della History of Middle-earth edita da Bompiani, se nel suo operato temesse il giudizio dei lettori più “conservatori”.

«Non è che l’ho temuto, lo abbiamo ricevuto quando è uscito il sesto volume.» ci ha raccontato. «Noi siamo vincolati alle scelte di Bompiani da un punto di vista dell’onomastica, della toponomastica, eccetera, perché dobbiamo usare per forza quello che è stato deciso in riferimento alle scelte di Fatica. Noi non possiamo
inventarci ex novo delle cose, dobbiamo usare quello che c’è, ed in più tradurre quello che manca, ma dobbiamo partire da quello è già in commercio. Anche perché è necessaria un’uniformità da un punto di vista editoriale, cosa che è sempre mancata. Adesso uscirà la nuova traduzione de “Lo Hobbit” di Wu Ming 4 e sappiamo che ci saranno delle polemiche: è inevitabile. Il problema è – quello che dico sempre – non bisogna lasciare per troppi anni una traduzione in commercio, perché sennò poi la gente pensa che quello sia il libro originale.

Una traduzione, bene o male, è sempre un’interpretazione del traduttore, qualcosa che dipende dai tempi che corrono in quel momento, quando viene tradotto, ed il linguaggio che viene usato. Sempre nel rispetto del linguaggio dell’autore. Però il testo originale rimane. Puoi esserci attaccato affettivamente, perché ci sei cresciuto, ma la nuova traduzione è un nuovo capitolo. E fra quindici anni ce ne sarà un’altra e la generazione che cresce adesso, con la traduzione di Fatica, fra quindici anni magari protesterà…ma il libro di Tolkien resterà quello. Quindi la traduzione non deve essere un feticcio da adorare. Bisogna sempre far riferimento al testo originale.»

 

Tolkien
Il linguista Stefano Giorgianni con la redattrice Valeria Giorgianni. © UniVersoMe

L’opera di Tolkien, un saggio di estetica linguistica?

Nel parlarci della nuova traduzione de Il Signore degli Anelli, Stefano Giorgianni ci ha anche spiegato i motivi per cui la più celebre opera di Tolkien è, a tutti gli effetti, un saggio di estetica linguistica.

«Una cosa di cui ci ha fatto accorgere Ottavio Fatica durante la traduzione è che, ad esempio, quella di Tolkien non è una vera e propria prosa, ma è quasi sempre una poesia. Tolkien non viene mai considerato un poeta, invece – questo si vede soprattutto attraverso la History – lui era fondamentalmente un poeta. Se tu vai a leggerlo in inglese – cosa che Fatica ha tentato di riportare in italiano – c’è un metro anche nella prosa. Oltretutto Tolkien ha inventato delle lingue, quindi è anche un trattato linguistico. Ha inventato delle razze che parlassero quelle lingue. Ci sono diversi strati. Il Signore degli Anelli da questo punto di vista ha un livello di analisi che è molto stratificato e prima che si arrivi alla fine manca ancora molto.

La profondità e le sfaccettature dell’opera di Tolkien, da un punto di vista filologico e linguistico, lo portano assolutamente alla definizione di saggio di estetica linguistica.»

Ma cosa significa concretamente creare una lingua, come ha fatto Tolkien?

Ci ha risposto il presidente AIST:

«C’è da dire che, quello che ha fatto Tolkien, secondo me è abbastanza irripetibile. Si sono visti spesso, in altri romanzi fantasy, dei popoli che parlano delle lingue, ma spesso è la lingua funzionale al popolo. In Tolkien è accaduto un po’ l’inverso. La potenza di Tolkien è quella di essere riuscito, da filologo e linguista, ad applicare quello che noi potremmo chiamare un mondo scientifico delle lingue in un romanzo. Perché le lingue di Tolkien – non tutte sono così particolareggiate, però linguisti successivamente le hanno comunque approfondite – hanno una struttura che è veramente da lingua artificiale vera e propria.

Se leggi la History hai un profilo dei primi vocabolari che sono approntati da Tolkien. È difficile trovare questo in un altro universo che non sia il suo. Per non dire che le lingue di Tolkien si possono anche parlare, se si vuole. Per dirti: analizzando soprattutto il linguaggio nero, che non è tra quelli di cui abbiamo più informazioni, si scorgono anche tante doti ed influenze glottologiche e linguistiche di un Tolkien accademico. Non è sicuramente una cosa “rapportabile” ad un autore che non avesse la sua formazione linguistica, secondo me. Questo lo porta ad un livello superiore rispetto agli altri, ancora adesso.»

Ed è così che J. R. R. Tolkien continua ancora oggi ad emozionare e stupire i propri lettori che, di generazione in generazione, testimoniano l’unicità di questo eterno autore che non si smette mai di (ri)scoprire.

 

Valeria Giorgianni

 

  • L’intervista è stata effettuata durante l’evento organizzato da Eriador Messina durante il MessinaCon 2024. 

MessinaCon 2024: la Fiera del Fumetto che ti porta in un mondo fantastico

La città dello Stretto si appresta ad aprire le proprie porte al fantastico con il MessinaCon 2024, evento atteso con grande entusiasmo da appassionati di fumetti, cosplay, giochi di ruolo e cultura pop. La fiera del Fumetto e del Fantastico, fenomeno messinese in continua crescita, si terrà nel weekend del 30 agosto – 1 settembre, presso il PalaCultura di Messina.

Cultura Pop e Intrattenimento: Un Programma Ricco e Diversificato

Il MessinaCon è organizzato dall’Associazione StrettoCrea e parte di ReteFumetto, si presenta con un programma estremamente vario. Il cuore pulsante del MessinaCon è, come ogni anno, il mondo del fumetto. Gli appassionati potranno incontrare autori di fama nazionale e internazionale, partecipare a sessioni di autografi, e assistere a conferenze e workshop dedicati all’arte del disegno e della narrazione per immagini.

Ma non solo fumetti, previste innumerevoli attività per gli amanti dei giochi di ruolo e dei board games che troveranno pane per i loro denti. Immancabile è la gara Cosplay (qui il link per l’iscrizione) prevista per giorno 1 settembre, dove i cosplayer animeranno la manifestazione con i loro costumi spettacolari e performance artistiche.  

 

MessinaCon 2024: Ospiti eccezionali e personalità dirompenti

Per la prima volta a Messina, Ruggero de i Timidi (alter ego di Andrea Sambucco), cantautore e comico, ci farà ballare e cantare con i suoi pezzi più iconici: Timidamente io, Padre e Figlio e tante canzoni che compongono la sua nutrita discografia. Il concerto è previsto per il 30 agosto a partire dalle ore 18, mentre il giorno dopo si racconterà ai nostri microfoni alle ore 19.30.

Il secondo ospite invece a Messina è di casa che, dopo la sua partecipazione allo Stretto Games, ritorna sui nostri palchi, stiamo parlando dell’artista poliedrico (cantautore, performer e creatore di giochi) Immanuel Casto, che si racconterà in un meet&greet (targato UVM) previsto per il 31 agosto alle ore 18.

La terza e non per importanza, è il fenomeno del fumetto italiano, la catanese Fumetti Brutti, nome d’arte di Josephine Yole Signorelli. La fama di Fumetti Brutti la precede, artista che vanta nel suo palmares numerosi premi: Premio Micheluzzi con Romanzo Esplicito, e ben 2 Premi Gran Guinigi di Lucca con P. La mia adolescenza trans (2019) e l’anno dopo con Anestesia. L’autrice si racconterà in un doppio meet&greet (firmato UVM), nei giorni 30 e 31 alle ore 16.

Arte in mostra: Officina del Sole & Friends

Lunedì 26 Agosto alle ore 18.00, Palazzo Zanca a Messina apre le porte all’inaugurazione della mostra di fumetti e illustrazioni “Officina del Sole & Friends”, a cura di Officina del Sole.
L’esposizione, inserita nel circuito del MessinaCon, è  visitabile fino al 1 settembre e coinvolge 20 autori siciliani e calabresi, rendendo evidente come anche nella nostra terra si può fare dell’arte una mestiere. A tal proposito, nel discorso inaugurale, il presidente di StrettoCrea, Giuseppe Mulfari, ha espresso la sua volontà di voler trasmettere ai giovani l’importanza di credere nei propri sogni e che “la passione può essere un lavoro”.

MessinaCon2024
Inaugurazione mostra Officina del Sole & Friends. © Giulia Cavallaro

 

Il MessinaCon 2024 si annuncia come un appuntamento imperdibile per tutti gli appassionati del mondo geek, offrendo un mix perfetto di intrattenimento, cultura e creatività. Che siate fan di lunga data o nuovi curiosi del genere, il MessinaCon promette di regalarvi un’esperienza indimenticabile, immersi nel fantastico e circondati da persone che condividono le vostre passioni.

Non resta che segnare le date sul calendario e prepararsi a vivere un weekend all’insegna del divertimento e della scoperta.

 

Gaetano Aspa

Qui il programma completo https://www.messinacon.it/programma/

Antoine De Saint-Exupéry: lo scrittore con la testa fra le nuvole

Ottant’anni fa veniva a mancare Antoine de Saint-Exupéry, uno degli autori più influenti del ‘900 grazie al suo capolavoro: Il Piccolo Principe. Oggi, in occasione dell’anniversario della morte avvenuta durante una missione aerea, vogliamo ricordare lo scrittore e la straordinaria eredità delle sue opere.

Antoine de Saint-Exupéry, il poeta aviatore

Nasce a Lione il 29 giugno 1900 da una famiglia aristocratica. Fin da piccolo, nonostante si dimostri da subito un ragazzo intelligente, non riesce ad applicarsi ed essere disciplinato e attento a scuola. Non sono d’aiuto i rapporti con i compagni che lo prendono in giro per la forma del naso e per il suo stare con lo sguardo rivolto verso l’alto.

“È un poeta che fa l’aviatore. Di solito gli aviatori non scrivono poesie e di solito i poeti non fanno gli aviatori. […] Lui ha bisogno di stare nell’aria, è il suo elemento, ma l’aria e l’aeroplano senza una casa, un porto, un aeroporto verso il quale volare non ha senso” –Prof. Raniero Regni (Ordinario di Pedagogia Sociale presso il Dipartimento di Scienze Umane della LUMSA di Roma) su Antoine de Saint-Exupéry

Durante la sua vita, oltre a essere pilota civile e militare, ha scritto diverse opere, di cui molte dedicate proprio alla sua passione per il volo. Ricordiamo infatti L’aviatore (1926), Terra degli uomini (1939), Il pilota e le potenze naturali (1940) e  Pilota di guerra (1942). Molti suoi scritti furono pubblicati dopo la sua morte, come ad esempio Lettere alla madre (scritte tra il 1910 e il 1944 e pubblicate nel 1953) e Reportage (1982).

Antoine de Saint-Exupéry. Fonte: Duecento Pagine
Antoine de Saint-Exupéry. Fonte: Duecento Pagine

Il successo de “Il Piccolo Principe”

Ma l’opera di Saint-Exupéry che ha fatto innamorare il mondo è indubbiamente Il Piccolo Principe. Il libro esce negli Stati Uniti nel 1943, dove l’autore è esule dalla Seconda Guerra Mondiale, e nel 1945, un anno dopo la sua morte, spopola in Francia. Di questo racconto, dalla struttura simile a quella di una fiaba, sono state stampate 134 milioni di copie in tutto il mondo e in ben 220 lingue, facendolo diventare così il terzo libro più letto al mondo dopo Il Capitale di Karl Marx e La Bibbia. Ancora oggi sulle librerie di ragazzi e adulti compaiono nuove e vecchie edizioni del libro, a testimonianza del fatto che sia quasi un testo imprescindibile per la crescita dei lettori.

La trama e la missione del libro

La trama narra di un pilota di aerei che, dopo essere precipitato nel deserto del Sahara, incontra proprio il Piccolo Principe. Quest’ultimo, capendo che anche l’aviatore ha una certa sensibilità, comincia a raccontarsi. Le vicende con l’amica Volpe, l’amore per la sua Rosa, riescono a descrivere con delicatezza inaudita e semplicità argomenti profondi che anche un lettore esperto e imbarcato può trovare commoventi. Sono tanti gli insegnamenti che traspaiono da questo libro, tanto da poterlo considerare un piccolo romanzo di formazione senza tempo o target di età. Tutti gli incontri che il Piccolo Principe fa, le varie strade che nel corso della sua vita il suo essere può imboccare, rappresentano le diverse possibili sfaccettature della natura umana. È un viaggio nella profondità di ognuno di noi e proprio per questo può far scaturire significati diversi anche in base all’età del lettore.

Dal film “Il Piccolo Principe” di Mark Osborne (2015). Fonte: Elapsus

L’eredità di de Saint-Exupéry

Molti gli artisti che hanno reso omaggio ad Antoine de Saint-Exupéry. Hugo Pratt, fumettista di fama mondiale, ha realizzato un fumetto, “Saint-Exupéry. L’ultimo volo”, sulla vicenda della morte. Francesco De Gregori, nell’album “Terra di Nessuno” (1987), ha inserito il brano Pilota di guerra, dedicata a lui. Inoltre nel 1995 il regista francese Jean-Jacques Annaud gli dedica un cortometraggio biografico dal titolo Wings of Courage. Questi e tantissimi altri artisti cercano volentieri di rendergli omaggio per tramandare la profonda lezione d’amore che trasporta nelle sue pagine. Peraltro di questo bestseller sono stati realizzati un film d’animazione (per la regia di Mark Osborne nel 2015) e una serie televisiva per Rai Fiction da tre stagioni (tra il 2010 e il 2016).

Antoine de Saint-Exupery è scomparso nel 1944 a soli 44 anni. Tuttavia, l’eredità che ci ha lasciato attraverso le opere ha un valore inestimabile per gli argomenti e il modo con cui è riuscito a trattarli. Egli riesce a trasmettere attraverso i suoi personaggi riflessioni e insegnamenti a chiunque lo legga, diventando vere e proprie pietre miliari delle nostre vite.

 

Rosanna Bonfiglio

Deadpool & Wolverine: il nuovo film sull’eroe “chiacchierone”

Se non fosse per alcune citazioni metafumettistiche e metafilmiche, “Deadpool & Wolverine” altro non sarebbe che una nuova “superhero fatigue” da aggiungere alla lista dei film-flop targati Marvel. – Voto UVM: 4/5

 

Deadpool & Wolverine è un film del 2024 co-prodotto, co-scritto e diretto da Shawn Levy. È il terzo dedicato al mercenario chiacchierone della Marvel (i primi due erano slegati da questo universo e realizzati dalla Fox, prima che venisse acquistata dalla Disney).

I protagonisti della pellicola sono Ryan Reynolds, anche co-sceneggiatore e co-produttore, e Hugh Jackman, rispettivamente nei panni di Deadpool e Wolverine.

Sinossi alla Deadpool, anzi, alla Wolverine…

Sono passati sei anni dagli eventi del secondo film e Wade Wilson ha abbandonato il ruolo di Deadpool per vivere una vita tranquilla. Ma un giorno, la Time Variance Authority (rimandiamo alla nostra recensione della serie su Loki!) rapisce Wade comunicandogli che la sua linea temporale è in pericolo e rischia la cancellazione.

Wade riprende i panni di Deadpool e viaggia tra le varie linee temporali alla ricerca del “giusto” Wolverine in grado di aiutarlo. Purtroppo (o per fortuna) si imbatte in un Wolverine diverso da quello che conosciamo noi.

Deadpool e Wolverine litigano. Fonte: Disney
Deadpool e Wolverine litigano. Fonte: Disney+

È davvero la fine dei supereroi? Lo dice il “merc with a mouth” 

Tuttavia, urge ricordare ai dirigenti Disney che non basta un solo film a risollevare le sorti di un Marvel Cinematic Universe ormai a pezzi. Dopo Avengers: Endgame, sono stati tanti i film che hanno ricevuto recensioni negative sia dalla critica che dal pubblico. Flop al botteghino, fan delusi, universi sempre più espansi e complicati: è davvero la fine dei supereroi?

Se non fosse per l’effetto nostalgia e per alcune citazioni metafumettistiche e metafilmiche (incluse le considerazioni ironiche del personaggio-Deadpool sulla scarsezza artistica dell’attore-Reynolds e i rimandi alla dolce metà di quest’ultimo: Blake Lively), Deadpool & Wolverine altro non sarebbe che una nuova “superhero fatigue” da aggiungere alla lista dei film-flop (o, in questo caso, semi-flop) targati Marvel.

Wolverine e Deadpool in azione
Wolverine e Deadpool in azione. Fonte: Disney+

Un film da guardare a cervello spento? Senti chi parla!

Deadpool & Wolverine è un film che, per certi aspetti, riprende lo stile di Spider-Man: No Way Home: trama fragile e piena di fan-service. Non aggiunge nuovi pezzi al grande puzzle della Marvel. E menomale! Più che un cineuniverso crossmediale ormai sembra aver preso la piega di uno di quei corsi d’aggiornamento in cui non puoi permetterti di saltare un appuntamento. (Per nostra fortuna Deadpool è nato a “casa Fox”).

Nonostante tutto, la Disney non snatura lo stile e le caratteristiche del personaggio-Deadpool, conservando anche quella sua autoconsapevolezza metanarrativa che lo porta a sfondare la cosiddetta quarta parete. Anzi, la Disney porta sul grande schermo un film violento, divertente, scurrile, satiresco. Insomma, vietato ai minori, e la cosa non dispiace affatto!

Deadpool e Wolverine
Deadpool e Wolverine con il nuovo arrivato: Dogpool. Fonte: Disney+

Ryan Reynolds e Hugh Jackman? Una coppia da “sballo”

Pur mantenendo invariato (o quasi) il carattere di Deadpool, l’aggiunta di Wolverine dona al film una nota malinconica. Non è il Logan che ha reso celebre Hugh Jackman. Questo nuovo Wolverine (che non si vergogna ad indossare la tuta degli X-Men!) ha un peso sulle spalle, e con questo non ci ha ancora fatto i conti.

Ryan Reynolds e Hugh Jackman funzionano bene insieme e la loro “diversità”, – caratteriale e professionale, – ha permesso l’osmosi ideale tra i due archi narrativi (perfettamente bilanciati tra loro).

Quello di Shawn Levy è sicuramente uno dei film dell’anno, ottimo per passare una serata spensierata al cinema!

 

Giorgio Maria Aloi

Taormina Film Fest 70: Finché notte non ci separi

Un film piacevole e divertente, romantico ma non troppo, esuberante al punto giusto. Voto UVM: 1/5

 

Entro, spacco, esco, ciao

Lei un osteopata, lui un agente immobiliare, Pilar Fogliati e Filippo Scicchettini sono Eleonora e Valerio, novelli sposi e novelli in crisi. La love suit, che poi è la stanza in cui passeranno la notte i due protagonisti e non solo, sarà il luogo in cui inizieranno i problemi e il luogo in cui finiranno, per poco! 

Commedia divertente che spezza il dramma dell’insicurezza e della gelosia grazie al cast, infatti presente nei panni di un tassista un po’ fuori di senno, romano ma juventino, è Francesco Pannofino; Lucia Ocone invece riveste il ruolo della classica madre impicciona rimasta affezionata all’ex fidanzata di suo figlio Valerio, Ester(Neva Leoni), mentre Giorgio Tirabassi è colui che verrà trascinato, proprio dalla moglie Lucia Ocone, in questa vicenda, tutta sotto gli occhi della Capitale.  

Eleonora, come tutti d’altronde, vorrebbe certezze, che forse poco prima di mettere la fede al dito credeva di avere, ma che subito sono state smontate da qualcosa che Valerio sembrava voler nascondere. Impulsiva e con la necessità di sapere istantaneamente la verità nient’altro che la verità, Eleonora dà il via a questa lunga notte, cercando risposte un po’ dappertutto, forse anche dal suo ex fidanzato (Claudio Colica), di cui Valerio è chiaramente geloso. 

Fonte: ScreenWEEK
Un frame del film.

Se tiri troppo la corda si spezza

Molti dei temi che vengono trattati sono difettosi per via di alcune lacune evidenti all’interno della pellicola, come lo stesso dramma dell’insicurezza e della gelosia, a prescindere dal fatto che entrambi i sentimenti siano giustificati da alcune azioni ambigue, il modo in cui ci si rapporta ad essi viene troppo sottovalutato e reso nella maniera più frivola.

Spezzare il dramma per rendere molto più fluente una storia come questa è giusto ma il troppo purtroppo stroppia, per cui trovare un equilibrio è sicuramente difficile ma l’esito del prodotto sarebbe molto più efficace e meditativo. 

Imprevisti: fate tre passi indietro (con tanti auguri)

Gli imprevisti banali e a volte poco chiari non danno giustizia a ciò su cui puntava la commedia, il disagio della gelosia e il parallelismo delle relazioni di oggi e di ieri. Il parere pubblico è importante e da questo non si sfugge, ma lo stile classico e fresco, aiutato anche dalla buona costruzione dei personaggi, ha portato comunque ad un risultato. 

Fonte: My Red Carpet
Un frame del film con Pilar Fogliati.

Ci vuole un fi..lo di concretezza

Una rom-com che nel complesso abbraccia il pubblico e fa sorridere, ottima la perfomance di Filippo Scicchettini e Pilar Fogliati, avvantaggiati dalla loro alchimia.

La pecca rimane il non aver dato la giusta importanza a un argomento in realtà così delicato e discusso che ha una sua dignità, la gelosia. Un velo di dramma avrebbe fatto la differenza, poiché anche se i personaggi non si dicono quasi mai “ti amo”, come dichiarava lo stesso regista Riccardo Antonaroli durante la conferenza stampa, paradossalmente il film ricade sul genere romantico.

Con l’avanzare delle dinamiche che si creano attorno a una Roma notturna di agosto, gli incontri e gli scontri dei personaggi, il filo motore della commedia perde di credibilità, e questo per via di alcuni vuoti del racconto che si sperava venissero colmati al termine della storia.

A prescindere dal genere di film, romantico, drammatico o qualsiasi esso sia, la funzionalità di questo avviene sì per la riuscita di un ottimo incastro di cast, sceneggiatura e produzione, ma soprattutto per la corretta e lineare struttura di un racconto.

Bello il dialogo tra padre e figlio (Filippo Scicchettini e Giorgio Tirabassi) verso la fine della pellicola, in cui emerge la cruda realtà di alcune coppie e del fatto che i rapporti molte volte durano ma per una semplice questione di abitudine o per essere più schietti, per inerzia. Il consiglio dettato dal padre è quello di inventare un sogno e di scoprirsi mano a mano dichiarando che:

“la vita è come la fede, aiuta”

 

Asia Origlia

Taormina Film Fest 70: L’invenzione di noi due

L’invenzione di noi due è l’analisi di un rapporto che può finire ma che, se preso in tempo, può essere salvato. – Voto UVM: 3/5

 

Il 16 luglio, durante la 70esima edizione del Taormina Film Fest, al Teatro Antico di Taormina è stato presentato in anteprima nazionale il secondo film del registra vicentino Corrado Ceron, L’invenzione di noi due, con protagonisti Lino Guanciale (Che Dio ci aiuti, L’allieva, La porta rossa, To Rome with Love) e Silvia D’Amico. Il lungometraggio uscirà nelle sale italiane il 18 luglio ed è tratto dall’omonimo romanzo di Matteo Bussola uscito nel 2020. Il film racconta l’amore tra due ragazzi che, innamoratisi nei banchi di scuola, si ritrovano, andando man mano più avanti col tempo, ad affrontare un tipo di relazione che oscilla tra la leggerezza e la spensieratezza dell’innamoramento e lo svanire di un qualcosa.

L'invenzione di noi due
L’invenzione di noi due. Produzione: Medusa Film.

L’invenzione di noi due: lo schema del film

I protagonisti di questa storia sono Milo (Lino Guanciale), un architetto che lavora come chef in un ristorante a causa delle difficoltà lavorative, e Nadia (Silvia D’Amico) che svolge diversi lavori, ma con il sogno di diventare scrittrice. I due si conoscono da bambini, in una Verona degli anni ’90. Allora ha inizio la loro corrispondenza: le lettere sono una colonna portante della loro relazione e di tutto il film.

L’invenzione di noi due, prodotto da Medusa Film, è stato cofirmato proprio da Matteo Bussola, insieme alla moglie Paola Barbato, e agli sceneggiatori Federico Fava e Valentina Zannella. Nel film troviamo anche Francesco Montanari (il Libanese in Romanzo Criminale – La serie) nel ruolo di Marco, fratello maggiore di Milo, e Paolo Rossi nel ruolo di un negoziante di modellini.

L’idea dell’amore

Quando un rapporto è ridotto sul lastrico, come quello di Milo e Nadia, tentare di ricostruirlo come fosse un edificio, per Milo sembra essere la scelta più giusta. Annullarsi come esseri umani, facendo di tutto per l’altro è il modo peggiore per cercare di costruire qualcosa di sano e duraturo, e questo è un po’ quello che viene narrato dai protagonisti di questa storia. Milo e Nadia si sono amati e odiati contemporaneamente per non essersi conosciuti davvero nel corso degli anni.

Il tempo è amico e nemico, cicatrizza le ferite ma prima le fa comparire. L’idea dell’amore secondo Milo, durante l’arco temporale che si sviluppa all’interno della pellicola, è completa la dedizione e dannazione per qualcosa che poco a poco è andato perduto. Pare spontaneo chiedersi cosa ci fosse di sbagliato o di inappropriato nel rapporto tra Milo e Nadia. Se si fa attenzione al finale e alle parole di quest’ultima la risposta è proprio davanti ai nostri occhi…

L’invenzione di noi due: perdersi per ritrovarsi

 Nel film Milo e Nadia passano dall’amarsi a stare insieme per inerzia, trasformando la loro relazione in un motivo di frustrazione per entrambi. L’invenzione di Milo sarà la goccia finale che porterà i due a fare quello che forse non hanno mai fatto realmente: dialogare.

La mancanza di comunicazione e il continuo fuggire di Nadia da conversazioni scomode fa esplodere qualcosa dentro Milo, persona pacata e quasi impacciata. Questo è anche un altro tassello problematico della relazione, la loro diversità che finisce per separarli. Lo scambio di lettere era stato un modo, divertente ed eccitante, di creare un ponte tra di loro. Ciononostante, l’insoddisfazione di due lavori diversi che portano loro solo malessere e frustrazione, causa l’allontanamento di Nadia e Milo e il conseguente deterioramento della coppia.

Ciò che attira maggiormente di L’invenzione di noi due è l’interpretazione realistica degli attori, accompagnata dall’analisi di un rapporto che può finire ma che, se preso in tempo, può essere salvato. Il finale incompleto lascia lo spettatore con un accenno di sorriso e porta alla riflessione su quale sia il vero linguaggio dell’amore.

“Capitano a volte incontri con persone a noi assolutamente estranee, per le quali proviamo interesse fin dal primo sguardo, all’improvviso, in maniera inaspettata, prima che una sola parola venga pronunciata.” – Fedor Dostoevskij

 

Asia Origlia
Rosanna Bonfiglio

Taormina Film Fest 70: Twisters

Twisters
Disaster movie che valorizza temi e rischi sottovalutati, legati ad eventi catastrofici come i tornado. Voto UVM: 5/5

 

Twisters è un sequel stand-alone e reboot di Twister uscito nel 1996 e diretto da Jan De Bont. Ritorna, dunque, in una nuova versione in cui la regia è a cura di Lee Isaac Chung, regista emergente ai film d’azione; egli è infatti noto per opere intimiste come Minari (2020), vincitore del Golden Globe per il miglior film straniero. La sceneggiatura è scritta da Mark L. Smith mentre la pellicola è prodotta da Patrick Crowley e dal premio Oscar Frank Marshall (Amblin Entertainment), quest’ultimo noto regista e produttore di successi come le saghe di Jurassic Park e Indiana Jones. Per quanto riguarda le riprese principali, sono state girate in Oklahoma e il primo trailer venne diffuso l’11 febbraio durante il Super Bowl LVIII; verrà proiettato nelle sale italiane il 17 luglio 2024.

Un cast completamente differente da quello originale

Uno dei personaggi principali è Glen Powell, visto di recente al cinema in Top Gun: Maverick (2022) e Tutti tranne te (2023). Al suo fianco, la candidata ai Golden Globe Daisy Edgar-Jones, divenuta nota grazie alla serie britannica Normal People (2020). Il resto del cast include Anthony Ramos, David Corenswet, Daryl McCormack (Isaiah Jesus nella serie tv Peaky Blinders), Kiernan Shipka (protagonista nella serie tv Le terrificanti avventure di Sabrina), Nik Dodani (Zahid Raja in Atypical) e Maura Tierney, vincitrice nel 2016 di un Golden Globe per la serie televisiva The Affair – Una relazione pericolosa.

La persistenza di una trama avvincente

Lee Isaac Chung con Twisters non ci delude; avvalora questo disaster movie intrecciando una storia d’amore ad un evento catastrofico e drammatico, adatto al clima estivo. Le tre parole chiave sono: instabilità, direzione del vento e umidità. Il film ruota, principalmente, attorno alla figura di una giovane donna, Kate Cooper (Daisy Edgar-Jones), ex cacciatrice di uragani segnata dall’incontro con un tornado dove perse la vita il suo fidanzato, Jeb (Daryl McCormack). Dopo 5 anni, si rifugerà in un ufficio di New York City ma farà ritorno nel settore, grazie alla spinta dell’amico Javi, per testare un avanzato sistema di tracciamento. Il suo rientro si incrocerà con Tyler (Glen Powell), il cosiddetto “domatore di tornado”, influencer noto per le sue imprese spericolate che insieme alla sua squadra non renderà facile la vita alla Storm Par. Ad entrambi verrà messa a dura prova la loro sopravvivenza nel capoluogo di Oklahoma City.

Ma non solo

Tyler: “Le paure non si affrontano; le paure si cavalcano”

Nella totalità della proiezione, dalla durata di 122 minuti, possiamo scorgere: avventura, azione, intensità, potenza drammatica, spirito di iniziativa e collaborazione ma soprattutto aiuto umanitario, nei confronti delle povere vittime di queste tempeste ambientali. Infatti, il film ci evidenzia la paura che rende consapevole il pubblico sulle conseguenze del rapporto incontrollato fra essere umano e natura. Nonostante questo, possiamo anche riscontrare la determinazione nel raggiungimento della sconfitta dei tornado, forte perturbazione atmosferica.

Tyler: Credevate di poter distruggere un tornado?!
Kate Cooper: Non avevamo speranze.
Tyler: Vuoi averne?

Non può mancare il sentimento d’amore

Addentrandoci nella trama di Twisters possiamo intravedere la nascita di un sentimento tra Kate e Tyler. Proprio come le tempeste, il loro inizio fu burrascoso e capriccioso per poi scorgere un cielo sereno tra i due. Nonostante la protagonista fosse scossa dalla perdita del suo precedente compagno, non può sottrarsi allo scatto della scintilla di desiderio con Tyler. Nella scena finale, Kate decide di tornare nella sua splendida New York City ma il segno del destino vuole che, a causa di forti venti, verrà previsto un ritardo sul volo. Ed ecco che, nel momento di questa annunciazione, spunta dietro di se proprio Tyler, pronto a coronare il loro trionfo d’amore, insieme.

 

Stefy Saffioti

La Neve in Fondo al Mare, tra neuropsichiatria e infanzia

La Neve in Fondo al Mare è un romanzo che tratta temi attuali da un punto di vista originale. – Voto UVM: 4/5

 

Il nuovo libro di Matteo Bussola, fumettista e scrittore veronese, già autore di numerosi fortunati libri di narrativa che hanno scalato le classifiche negli anni, è ora sugli scaffali delle librerie, pronto per essere letto da ragazzi e lettori più maturi.

Trama, temi, personaggi di La Neve in Fondo al Mare

La storia è narrata dalla voce ed attraverso il punto di vista di Caetano, il padre dell’adolescente Tommy. I due si trovano in un reparto ospedaliero di neuropsichiatria infantile, perché Tommy soffre di anoressia nervosa. A questa situazione fa riferimento uno dei temi fondamentali del libro: Il rapporto genitori-figli, il quale è trattato attraverso pochi ma interessantissimi personaggi, di cui ne vediamo alcuni.

Abbiamo Franco, il “padre manager”, uomo sulla mezza età che incarna le idee ed il modo di esprimersi dell’italiano medio delle vecchie generazioni. In apparenza estremamente superficiale, schietto, ed insensibile nei confronti della figlia Marika, autolesionista. Eppure, sarà attraverso la sua voce che l’autore ci regala una delle immagini più belle ed efficaci del libro…

 

-Scoprire la profondità della tristezza di un figlio, a neanche sedici anni, è come trovare qualcosa in un posto in cui non te lo saresti mai aspettato. In cui proprio non dovrebbe esserci. (Franco)

-Che vuoi dire? (Caetano)

-Tipo, non so. Come trovare la neve in fondo al mare.

Insieme a Franco e Caetano (unici padri nel reparto) troviamo Amelia, che dà tutta sé stessa per aiutare la figlia Eva, sofferente di bulimia. Poi ancora Giulia in compagnia del figlio Giacomo, giovanissima star del web in declino, che non riesce a tornare alla “vita normale” dopo la fine del lockdown.

È proprio il lockdown un altro elemento fondamentale della vicenda: I dolori dei ragazzi sembrano tutti legati alla quarantena. Ed è così che Matteo Bussola (l’autore) tratta i drammi dell’isolamento spostando l’attenzione su una fascia della popolazione spesso ignorata dai media. sugli adolescenti. Sull’impatto che mesi e mesi di restrizioni abbiano avuto su ragazzi e ragazze in un’età così fragile, “a cui il virus fa il solletico”, ma che si trovano costretti a “salvare gli adulti. I figli che devono salvare i genitori.”

Oltre quanto detto, i temi trattati sono attualissimi (la vicenda stessa ha luogo nel presente) e innumerevoli, condensati in appena centottanta pagine.  Si viene a formare un romanzo breve ma intenso e reso scorrevole dal linguaggio elegante dell’autore.

 

La neve in fondo al mare
Il nuovo libro di Matteo Bussola già in cima alle classifiche. Fonte: Instagram @matteo.bussola

Lingua, stile del romanzo e struttura di La Neve in Fondo al Mare

Il racconto è strutturato in un intreccio: Gli eventi del presente vengono alternati ad episodi dell’infanzia di Tommy, il tutto, come detto, sempre dal punto di vista del padre, che costituisce la voce narrante del romanzo.

La sintassi è semplice, generalmente formata da periodi brevi, tenuti insieme da legami paratattici o di giustapposizione. Solo raramente, nelle parti del testo in cui lo stile vuole essere più ricercato, la sintassi si fa più distesa e complessa, ma sempre senza appesantire troppo la lettura.

Sono frequenti invece i dialoghi, attraverso i quali l’autore caratterizza e fa esprimere i personaggi.

Così parla per esempio Franco:

“Ormai una diagnosi non la si nega a nessuno, per questo hanno tutte le malattie del mondo. E se non imparano a leggere sono dislessici, e se non sanno le tabelline hanno la cosa, là, come si chiama, la discalcolosi.”

Sempre attraverso i dialoghi si riproduce il gergo giovanile, che l’autore riesce bene a rappresentare attraverso i prestiti dall’inglese (cringe, skippo, follower) e le espressioni tipiche dei giovani di oggi (“non so, fra”, “un botto di like”).

“Ma la roba buffa non è tanto la mia, perciò di norma, se ci capito su, skippo. Niente di personale” (Tommy)

Infine, Matteo Bussola arricchisce la sua prosa con diversi elementi poetici. In particolare, il testo è ricco di similitudini, di cui si è già dato un esempio sopra “[…] come trovare la neve in fondo al mare”, espressione che, tra l’altro, dà il titolo al romanzo.

 

 

Francesco Malavenda

Nietzsche e Lou: passione umana troppo umana

Dal paradosso di Zenone fino alla critica kantiana, dal mistero della caverna di Platone fino al Velo di Maya e anche più in là nel tempo: la filosofia ha incantato e meravigliato il cuore dell’uomo.

I filosofi nella loro genialità e follia non furono esenti dalle passioni dei comuni mortali, in particolare alla grande e potente forza motrice che move il sole e l’altre stelle, come disse Dante.

Uno dei tanti a cadere sotto il pesante fardello dell’amore fu il demistificatore per eccellenza, il padre di molti dei più noti concetti filosofici ed esistenziali, della volontà di potenza, dell’eterno ritorno dell’uguale, del superuomo: Friedrich Nietzsche. 

Ecco la storia di come un incontro cambiò radicalmente la sua vita e influenzò il suo lavoro.

To Rome with love

A Roma, nel 1882, su richiesta dell’amico Paul Ree, Nietzsche lo raggiunse per conoscere lei, la femme fatale di cui tanto aveva sentito parlare, Louise Von Salomè, scrittrice, psicologa e filosofa russa, definita una delle più grandi intellettuali dell’900 e ricordata per essere la donna che ha fatto perdere la testa a uomini illustri del calibro di Freud e Rilke, oltre che dello stesso Ree e Nietzsche.

Tra il 23 e 24 aprile, in piazza San Pietro, Nietzsche si trovò davanti alla giovanissima Lou Salomè, alla quale rivolgerà da subito queste parole:

 Cadendo da quali stelle ci siamo venuti incontro fin quaggiù?

Il filosofo della solitudine, l’autore dell’annuncio della morte di Dio, crollerà di fronte al fascino della brillante psicoanalista e non riuscirà a smettere di pensarla:

Quando sono completamente solo, spesso, molto spesso, pronuncio il Suo nome […]. Si dice che non sia mai stato così sereno nella mia vita come ora.

Successivamente, Nietzsche chiese alla bella Salomè per ben tre volte di sposarlo, trovando sempre un netto rifiuto da parte sua, che provava per lui un’attrazione meramente intellettuale e non fisica.

 

Nietzsche. Fonte: https://www.unidformazione.com/nietzsche-5-elementi-filosofia/

Un Nietzsche troppo umano

In seguito al suo rifiuto, venne invitata a far parte della comunità intellettuale già avviata con Ree, che prenderà il nome di “trinità”, ma il progetto è destinato a fallire e Nietzsche, distrutto e deluso per il rifiuto di Lou, si ritirò a Rapallo, dove scrisse la prima parte del Così parlò Zarathustra.

E quanto pesante è diventato anche il dovere di un amico, che adesso ancora giunge a me. Io volevo vivere solo. Ma poi il dolce uccello, Lou, è volato sulla mia strada, e io credetti che fosse un’aquila. E allora volli avere l’aquila intorno a me. Venga su, io soffro troppo per averla fatta soffrire. Lo sopporteremo meglio insieme.

Katharina Lorenz e Alexander Scheer (Friedrich Nietzsche) nel biopic “Lou von Salomé”. Fonte: iodonna.it

Molti tutt’ora arrivano a sostenere che, senza il cuore spezzato del filosofo, noi oggi non avremmo avuto il Così parlò Zarathustra e che sia la stessa Lou il superuomo a cui Nietzsche s’ispiro nella stesura del suo personaggio; e allora che la tragedia personale di Nietzsche, che segna un altro passo verso il crollo mentale avvenuto nel 1889, diventa, al contrario, una forza creatrice il cui prodotto è una delle pietre miliari del pensiero umano.

Nel 1894, mentre il filosofo si trovò in pieno declino della sua sanità fisica e mentale, fu la stessa Lou Salomè a scrivere la più accurata delle biografie di Nietzsche, risultando una tra le poche persone ad aver colto il genio e compreso lo spirito che si celava dietro quell’uomo tanto tormentato, regalandoci una visione umana troppo umana dell’uomo che l’amò sino alla follia.

 

Gaetano Aspa