Indiegeno Fest 2025: l’edizione della riflessione

Torna con la sua undicesima edizione l’Indiegeno Fest, il festival siciliano organizzato da Leave Music e dall’Associazione Clap con il patrocinio del Comune di Messina. Per l’occasione abbiamo raggiunto telefonicamente Alberto Quartana, direttore artistico del festival, per farci svelare qualche novità di quest’anno.

Due date, 1 e 2 agosto 2025, in due location simboliche del territorio messinese: le Grotte di Mongiove e i suggestivi paesaggi nei pressi dell’Argimusco, per un evento che si annuncia come un’edizione di passaggio, un momento di pausa creativa, riflessione e cambiamento. “Volevamo tornare a una dimensione meno itinerante – ha detto Alberto Quartana – e abbiamo deciso di tornare nel posto dove siamo partiti. L’anno scorso si era creata un po’ di dispersione, e nei festival avere un’identità di luogo è importante.”

Un festival gratuito, aperto, in ascolto

La scelta è chiara e potente: ingresso gratuito, line-up giovane e sperimentale, artisti emergenti e un’atmosfera immersiva. Indiegeno Fest 2025 non punta su nomi altisonanti, ma su talento puro, energia creativa e autenticità, offrendo al pubblico la possibilità di (ri)scoprire la musica come esperienza condivisa e trasformativa.

1 agosto – Grotte di Mongiove (Patti, ME)

La prima serata si svolgerà nel suggestivo scenario naturale delle Grotte di Mongiove, tra mare e roccia. Sul palco:
Giulia Mei, Marco Russo, Zebra TSO, Basim, Tommaso Malatesta, Richie Ritz
A seguire, l’aftershow farà ballare il pubblico con i set di DJ Cafeo e Rumble in the Jungle.

2 agosto – Parco Archeologico Guglielmo, Montalbano Elicona (ME)

La seconda data, la più iconica e rappresentativa dell’intero festival, si terrà nei pressi dell’Argimusco, luogo magico e sospeso nel tempo. Qui, al tramonto, salirà sul palco il Secret Artist, un momento di pura emozione e sorpresa. Alberto Quartana ha svelato che “è un big della musica italiana, che ha creato innovazione nella panorama italiano e che ha portato tanta contaminazione”; non ci resta che scoprirlo il 2 agosto!
Completano la line-up: Nico Arezzo, Idda, Newma, Vick, Maiogabri, Befolko, Stretto Cypher, con un aftershow firmato DJ Cafeo e Dose.

Un anno di transizione per un futuro nuovo: parla il direttore artistico Alberto Quartana

Indiegeno Fest – come si legge nella nota stampa – quest’anno si è preso una pausa dai grandi nomi per tornare a dare spazio alle emozioni. “Quest’anno stiamo facendo una versione di Indiegeno più light, diciamola così. – ci racconta Alberto – Il concept, però, è identico: creare opportunità per gli artisti emergenti di esibirsi in dei palchi insieme. I curiosi della musica, chi non bada soltanto ai nomi altisonanti, hanno sempre trovato degli artisti che poi spesso hanno continuato a seguire.”

“Il sogno è creare una comunità appassionata di musica e con la voglia di scoprire cose nuove. Vorremmo creare un villaggio esteso in cui si entra, si sta una settimana e si vive tutto il panorama musicale italiano e tutto ciò che ci sta attorno. Fare un festival non è per niente facile, anche perché l’aspetto economico non è da sottovalutare e non ci si riesce a sostenere solo con la biglietteria. Serve un aiuto concreto da parte delle istituzioni e degli sponsor: se manca questo, tutto il resto viene meno. Forse dobbiamo abituare di più la gente al concetto di festival, ma questa è una questione italiana più che soltanto siciliana. Tuttavia questo sta cambiando, anche grazie a quello che abbiamo fatto noi, YpsigRock, Mish Mash, e tanti altri.”

In un’epoca in cui tutto corre e si consuma in fretta, Indiegeno Fest 2025 sceglie di rallentare, ascoltare e seminare. Non è solo un festival, ma un atto culturale e umano, un invito alla scoperta e all’autenticità.

Gaetano Aspa e Giulia Cavallaro

 

Pelorias Sea Sound: line-up

C’è un luogo dove il mare incontra il ritmo, dove le correnti culturali si mescolano come strumenti in una jam session infinita. Quel luogo è il Pelorias Sea Sound, il festival che fa della musica un ponte tra continenti, generazioni, radici e visioni.

Nato come un atto d’amore per il territorio e le sue possibilità, il Pelorias Sea Sound è molto più di una rassegna musicale: è un’esperienza. Un caleidoscopio di suoni che va dall’afrobeat al pop elettronico, dalla world music alla sperimentazione sonora, in un dialogo continuo tra identità e trasformazione.

Ogni artista in programma porta con sé un pezzo di mondo: storie, suoni, battiti, lingue.

 Conosciamo allora gli artisti protagonisti di questa edizione, con le loro storie, i loro sogni, i loro suoni.

Afrodream

Afrodream è un ensemble afrobeat-pop nato a Torino nel 2018 dalla collaborazione tra Abou Samb (voce e percussioni), artista senegalese, e Luca Vergano (chitarra). Il progetto si è presto arricchito con musicisti provenienti da tutto il mondo: Ariel Verosto (pianoforte e flauto traverso, Argentina), Beauvoir Kongmeneck (voce), Francesco Cornaglia (batteria), Gabriele Cappello (sassofono), Reiul Roxo (tromba) e Gianluca Gallucci (basso).

La loro musica è un incontro armonioso tra ritmi africani, melodie occidentali e testi pieni di speranza, malinconia, luce. Le esibizioni dal vivo di Afrodream sono veri rituali catartici: energici, danzanti, capaci di unire il pubblico in un unico respiro.

Con due EP all’attivo (Afrodream e Jam Sa Sounè) e un album crowdfundato (La Teranga, 2020), la band ha suonato in tutta Europa e in Senegal, condividendo palchi con nomi internazionali come Newen Afrobeat. Il nuovo EP, anticipato dal singolo Ethnique in collaborazione con Rumba de Bodas, uscirà a giugno, mentre il prossimo album è previsto per l’autunno 2025.

Killabeatmaker

Direttamente da Medellín, Killabeatmaker — alias Hilder Brando Osorno — è un produttore, beatboxer, rapper e performer colombiano con oltre 18 anni di carriera. La sua musica è un’esplosione di suoni afro-latinoamericani, dove le radici indigene, la cumbia, l’afrobeat e l’elettronica globale si intrecciano in set ipnotici e vitali.

Killabeatmaker non è solo un DJ, ma un vero maestro della performance dal vivo, affiancato dalla sua band Radiocaliente:

  • Guadalupe Giraldo (batteria, gaita e voce)

  • Julian Ramirez (percussioni e cori)

  • Killabeatmaker stesso, che domina la scena con AKAI beats, rap e beatbox.

Ha calcato i palchi di oltre 43 città europee, partecipato a festival iconici come Sziget, WOMEX, Musicbox Lisboa, Helsinki Festival, e ha ottenuto prestigiosi riconoscimenti, tra cui una nomination ai Latin Grammy come ingegnere del suono.

Il suo EP Matiela Suto (2021) è stato inserito in una serie Apple TV+, selezionato da OkayAfrica tra le canzoni della settimana, e supportato da DJ internazionali come Jamz Supernova (BBC), Branko (Enchufada) e Kampire (Nyege Nyege).

Nel 2024 è partito l’INGA Tour, che lo vedrà protagonista nei maggiori festival mondiali. Con la sua visione artistica, Killabeatmaker non porta solo musica: porta narrazione, identità e coscienza ecologica, restituendo alla musica il potere di unire e risvegliare.

magikAAAAArp

Nati nel 2023, magikAAAAArp è un duo composto da Amedeo Mignano (tastiere) e Melo Miceli (batteria). Il nome richiama ironicamente il Pokémon più sottovalutato, ma il loro sound è tutto tranne che inutile: potente, fuori schema, glitchato e geniale.

Il primo album SUPERJAZZ è stato mixato e masterizzato da Jeremy Loucas, vincitore di 5 Grammy Awards, e li ha portati in tour tra Sicilia e Italia. Con il nuovo EP in arrivo, NEW GAME PLUS, il duo espande la propria visione tra jazz destrutturato e linguaggi videoludici, creando un’esperienza live che fonde virtuosismo e ironia.
Non chiamatelo jazz: è S U P E R J A Z Z.

NEWMA

NEWMA è un progetto alt-folk elettronico che unisce poesia e sperimentazione, nato dall’incontro tra Marco Corrao e Paolo Russo, con la collaborazione del percussionista Davide Campisi. La loro musica è un fluido paesaggio sonoro in cui chitarre acustiche, loop, synth, percussioni e testi evocativi si fondono in un linguaggio musicale che abita le frontiere. Con esperienze che spaziano dai deserti arabi alle metropoli americane, i membri di NEWMA portano sul palco un bagaglio internazionale, convertendo e contaminando i suoni del mondo in una forma nuova di folk elettronico.

Tra atmosfere rarefatte e vibrazioni viscerali, il loro sound si muove tra cantautorato, ambient pop ed esperienze cinematiche, dando vita a un set poetico e immersivo.
Una sinestesia di suoni e immagini che è più che un concerto: un viaggio sonoro.

V I C K

V I C K è la voce messinese che fonde elettronica, introspezione e vibrazioni urbane in un sound personale e sperimentale. L’esperienza londinese si unisce al legame con il territorio dello Stretto, creando un ponte sonoro tra inquietudine e luce.

Ha condiviso il palco con i Melancholia e altri artisti della scena italiana emergente, distinguendosi per le sue performance magnetiche e cariche di emotività. Dai brani malinconici a quelli più pulsanti, VICK costruisce un universo in evoluzione, dove ogni canzone è un paesaggio mentale.
La sua è una voce nuova che guarda oltre i confini.

Pelorias Sea Sound è il luogo dove tutto può succedere. È l’inizio di qualcosa che resta.
Un invito a lasciarsi attraversare. A esserci.
Davvero.

Cerimonia di Consegna dei Diplomi: al Teatro Antico con Castrogiovanni e Greison

Lunedì 21 luglio, a partire dalle ore 20.15, l’Università degli Studi di Messina celebrerà i suoi laureati in uno dei luoghi più suggestivi al mondo, il Teatro Antico di Taormina. In uno scenario sospeso tra cielo e mare, carico di storia e bellezza, prenderà vita la Cerimonia di Consegna dei Diplomi di Laurea, un appuntamento ormai simbolico per l’ateneo peloritano.

Ad assistere all’evento, oltre quattromila persone: studenti, famiglie, docenti e personale tecnico-amministrativo che condivideranno l’emozione del traguardo raggiunto. Ospiti d’onore di questa edizione saranno due personalità d’eccezione: l’attore messinese Claudio Castrogiovanni e la fisica e divulgatrice scientifica Gabriella Greison.

Dall’Unime al Cinema

Castrogiovanni, laureato proprio in Giurisprudenza a Messina, è volto noto del cinema e della televisione italiana. Dopo un debutto teatrale nel 1994 con Jesus Christ Superstar, ha calcato le scene per oltre quindici anni, conquistando il pubblico con interpretazioni intense, come quella di Capitan Uncino in Peter Pan – Il Musical, premiata con il “Biglietto d’oro” per due anni consecutivi. Il grande pubblico lo conosce soprattutto per il ruolo di Luciano Liggio nella serie Il Capo dei Capi, e per le numerose partecipazioni a fiction di successo: da Squadra Antimafia a La mafia uccide solo d’estate, da Il Cacciatore a Leonardo.

Sul grande schermo, dopo La trattativa di Sabina Guzzanti (Festival di Venezia 2013), è tornato recentemente alla ribalta con Spiaggia di vetro, film ambientato tra Calabria e Messina, presentato all’Ischia Film Festival e attualmente in sala. A breve lo rivedremo in tv nella seconda stagione di Vanina – Un vicequestore a Catania, dove interpreta l’ispettore capo Carmelo Spanò.

Rockstar della Fisica

Accanto a lui, una delle voci più autorevoli della divulgazione scientifica italiana: Gabriella Greison. Fisica di formazione, scrittrice, attrice e conduttrice, è conosciuta anche all’estero come la rockstar della fisica, soprannome guadagnato dopo il sold out di un suo spettacolo a Roma e rilanciato dal Corriere della Sera. Autrice di tredici libri – tra romanzi storici e saggi ispirazionali – ha raccontato la fisica quantistica attraverso le storie dei grandi protagonisti del XX secolo e delle scienziate dimenticate, rendendo accessibili temi complessi con uno stile narrativo coinvolgente.

Tra le sue opere più note: Ogni cosa è collegata (Mondadori), L’incredibile cena dei fisici quantistici (Salani), Einstein e io, La donna della bomba atomica, Ucciderò il gatto di Schrödinger. I suoi monologhi teatrali, tratti da questi testi, sono stati rappresentati in Italia e all’estero: da San Francisco a Zurigo, da Vienna a Milano. Ha ideato e condotto format televisivi e podcast di successo, ed è stata inserita da Forbes tra le 100 donne italiane di maggior successo nel 2024.

La serata del 21 luglio sarà quindi molto più di una cerimonia accademica, sarà un omaggio all’impegno, alla cultura e al talento. Un abbraccio simbolico tra il sapere e il futuro, sotto il cielo di Taormina.

Gaetano Aspa

Pelorias Sea Sound: la leggenda che suona ancora a Capo Peloro

Nel punto più orientale della Sicilia, dove il mare si restringe come una ferita sottile tra due terre, c’è un luogo che ha la forza di un archetipo: Capo Peloro. È una soglia, un confine, ma anche un inizio. Da secoli è stato teatro di partenze, di naufragi, di ritorni, di visioni. Ma ancora prima di essere uno spazio geografico, Capo Peloro è un luogo del mito. E come ogni mito, ha il volto di una dea.

Il suo nome era Pelorias.

La leggenda

Pelorias è una figura avvolta nel mistero. Il suo nome deriva dal greco “pelorios”, che significa “immensa”, “mostruosa” nel senso arcaico del termine: non qualcosa di orrendo, ma qualcosa che supera ogni misura, ogni comprensione. Secondo alcune versioni del mito, Pelorias era una creatura marina, una divinità antica che abitava le acque dello Stretto di Messina. Proteggeva le rotte, confondeva i venti, osservava i viaggiatori.

Ma c’è una leggenda ancora più antica che la vuole dea del suono. Si dice che Pelorias raccogliesse i suoni del mondo: i lamenti del mare, i sussurri del vento, i canti dei naviganti, e li custodisse tra le rocce del capo. Di notte, quando tutto taceva, li restituiva al mondo sotto forma di echi, vibrazioni, sussurri ancestrali. Era una sorta di archivio vivente dell’emozione umana, della memoria acustica della Sicilia.

Per altri, era la personificazione stessa del promontorio, Capo Peloro porterebbe infatti il suo nome. Una dea fusa con la terra, con la pietra, con il sale. Una presenza femminile, materna e primordiale, capace di custodire ma anche di pretendere rispetto.

In un Sud in cui le divinità si sono spesso confuse con i paesaggi, Pelorias è diventata simbolo di quel Sud che osserva e accoglie, che respira silenzioso ma eterno. Un Sud che non ha bisogno di gridare per esistere.

Capo Peloro tra mito e geografia

Capo Peloro è il punto più a nord-est della Sicilia. Le sue acque sono tra le più agitate e spettacolari del Mediterraneo. I due mari che lo lambiscono, lo Ionio e il Tirreno, si scontrano con violenza in una danza continua di correnti e riflessi.

Qui le leggende si fanno materia: si racconta che Ulisse, nel suo viaggio, passò dallo Stretto sfuggendo a Scilla e Cariddi. Virgilio lo cita, i Greci lo temevano, i Romani lo adoravano. Ogni popolo che abbia solcato questo tratto di mare ha lasciato qualcosa.

Il faro, i piloni, i villaggi di pescatori, le torri di avvistamento, tutto parla di un Sud che è stato punto strategico, nodo di traffici, soglia di culture. Ma anche rifugio per chi cerca la bellezza e la quiete.

E proprio qui, su questa terra intrisa di storia e leggenda, nasce una nuova forma di rito: il Pelorias Sea Sound.

Pelorias Sea Sound

Il Pelorias Sea Sound non è solo un festival. È un rito contemporaneo, un richiamo ancestrale mascherato da musica elettronica.

Quest’estate, artisti, dj e performer si danno appuntamento a Capo Peloro per dar vita a un evento che mescola suono, paesaggio e memoria. La spiaggia si trasforma in un altare. Le casse diventano tamburi tribali.

La scelta del nome non è casuale: Pelorias è la forza evocativa che unisce passato e presente. E il “Sea Sound” è proprio questo: il suono del mare, il suono della memoria, il battito di una Sicilia che vuole raccontarsi senza folklore, ma con verità e visione.

In questo spazio, la musica non intrattiene: trasforma. Accende ricordi, risveglia appartenenze. Diventa atto poetico, politico, identitario.

(Per acquistare i biglietti clicca qui)

 

Una Sicilia che ritorna

C’è qualcosa di sacro nei ritorni. In un tempo in cui molti giovani lasciano la Sicilia per cercare altrove un futuro, eventi come il Pelorias Sea Sound non sono semplici momenti ricreativi. Sono atti di resistenza culturale.

Ritornare a Capo Peloro, ascoltare musica sotto le stelle, dentro un luogo che ha visto passare miti e migrazioni, significa riappropriarsi del tempo e dello spazio. Significa guardare la propria terra non solo come origine, ma come destinazione.

Pelorias, dea silenziosa e infinita, continua a vegliare. Non più solo sulle rotte dei marinai, ma su quelle interiori di chi cerca un senso, una casa, una vibrazione che lo riporti a se stesso.

E forse è proprio questo il cuore del festival, ricordarci che il mare non divide. Il mare unisce. E che ogni mito è ancora vivo, se lo sappiamo ascoltare. Magari a occhi chiusi, mentre un beat vibra sotto la pelle e una voce antica ci sussurra che siamo tornati dove tutto è cominciato.

 

Gaetano Aspa

 

Qui per rimanere aggiornato su tutte le info: https://www.instagram.com/peloriasseasoundfestival?utm_source=ig_web_button_share_sheet&igsh=ZDNlZDc0MzIxNw==

Due gocce d’acqua

«Violet!» chiamò qualcuno alle sue spalle. Ma Violet non si voltò.

Non perché non avesse sentito o fosse maleducata. Violet aveva semplicemente dimenticato il suo nome.

Lo aveva perso da qualche parte, forse in mezzo alle decine di formule che aveva dovuto imparare per affrontare il suo esame di chimica.

Le suonava lontanamente familiare, però, come l’eco di una voce portata dal vento.

«Violet!» udì di nuovo, e si strinse fra le braccia, vagamente a disagio. Sbirciò appena indietro, disinvolta e fu costretta a piantare fermamente i piedi per terra.

Due grandi iridi castane la fissavano dall’altro lato della strada, cupe e brillanti al contempo. Sembravano il cielo in una giornata di marzo: sereno e annuvolato l’attimo dopo.

Rappresentavano perfettamente l’animo della loro padrona.

«Addie» mormorò allora, in risposta, e quella le sorrise.

Violet e Addie erano state migliori amiche per anni. Erano cresciute insieme, a pochi metri di distanza, e avevano frequentato la stessa classe in tutte le scuole fino alle superiori.

Era stato naturale, per loro, legare. Avevano poco in comune, ma lì dove Addie mancava, Violet compensava. E così viceversa.

Quando i genitori di Violet litigavano, poi, era sempre Addie a risollevarle il morale. E quando Addie si rifiutava di uscire dalla sua stanza, era Violet a tirarla giù dal letto.

Non avevano bisogno di condividere le loro passioni. Ad entrambe bastava esserci l’una per l’altra.

Crescendo, i loro amici avevano iniziato a scorgere in loro una certa somiglianza: “Due gocce d’acqua” le definivano. Violet stentava a crederci ogni volta.

D’altronde, lei e l’amica non avevano un solo capello che fosse uguale a quelli dell’altra. Neanche facendo un grande sforzo d’immaginazione. Per cui, quell’osservazione rimaneva per lei una mera battuta, che la ragazza accettava a cuor leggero. Niente di offensivo o, tantomeno, qualcosa di cui preoccuparsi.

Violet non si allarmava, né si poneva domande quando, per i corridoi, uno sconosciuto la fermava per chiederle gli appunti di una lezione a cui non era nemmeno mai stata. Eppure, episodi di quel genere accadevano in continuazione: a scuola così come nel quartiere in cui vivevano e, talvolta, anche sui mezzi.

«Addie!» si sentiva urlare dietro, e Violet, puntualmente, girava sui tacchi e mostrava bene il viso.

Sentiva ripetere così spesso quel nome che, quando usavano il suo, non prestava più attenzione. Quante sberle aveva ricevuto da sua madre, proprio per quel motivo!

Fu solo guardando le trecce dell’amica, in un afoso pomeriggio di agosto, che Violet finalmente comprese quel che gli altri intendevano dire.

In effetti, quell’acconciatura differiva dalla sua solamente per il colore dei capelli. Addie, inoltre, aveva bucato le orecchie e indossava pesanti boccoli d’oro, pressappoco uguali ai suoi.

A ben guardare, anche il suo abbigliamento le pareva fin troppo simile al proprio: stessi pantaloncini sfrangiati, stesso top di uno sgargiante rosso e stesse Converse ai piedi, con la suola decorata da scarabocchi in pennarello.

Addie, notò qualche tempo dopo, non beveva più caffè e, al bar, ordinava sempre una Cola. Proprio come faceva lei. E, quando nervosa, si tormentava il lobo. Come faceva lei.

Come lei, si era unita al giornalino scolastico. Come lei, aveva preso a correre tutte le mattine e cominciato a suonare la chitarra. Come lei, rideva rumorosamente e starnutiva silenziosamente. Come lei, scappava quando le si avvicinava un cane.

Come lei. Come lei. Come lei.

Violet credette di impazzire.

Quando Addie era diventata il suo riflesso? Era sempre stato così?

Rise al solo pensiero e si diede della paranoica. In fondo, era di Addie che si stava parlando: era normale, dopo aver trascorso così tanto tempo in simbiosi, che avessero sviluppato le stesse abitudini. No?

Nessuno, poi, pareva starne facendo un grande dramma. Violet, quindi, ingoiò il rospo e continuò di buon grado sulla sua strada.

«Addie!» chiamava sempre qualcuno alle sue spalle. E Violet si voltava.

«Addie!» facevano, e lei rivolgeva loro l’accenno di un sorriso.

«Addie!» sussurravano, strillavano, borbottavano. Violet non mancava mai di rispondere.

Una notte, un pensiero sovrastò gli altri.

«Sarò io a somigliarle?» si chiese. Mai aveva dubitato della cosa.

Nessuna replica le sovvenne dal silenzio, così la ragazza si convinse che fosse vero. Non poteva essere altrimenti: quand’era stata l’ultima volta che la Violet reale – ve ne era mai stata una? – era stata interpellata?

Seppur una parte di sé, a metà fra la gola e lo stomaco, le urlasse di rinsavire, Violet accettò comunque, inerte, di veder tutto il suo mondo ridotto ad una copia.

«Due gocce d’acqua?» rise amaramente. «Non sono altro che una pallida imitazione.»

«È passata un’eternità dall’ultima volta che ci siamo viste.»

Immobile proprio di fronte a lei, avvolta in un pesante giaccone, Addie le sembrò un miraggio.

Aveva tagliato i capelli, si accorse, e le arrivavano al mento, taglienti. Indossava anche gli occhiali, un’elegante montatura metallica che spinse sul ponte del naso, con la punta del mignolo.

Distratta, Violet passò le dita fra le ciocche morbide che le sfioravano la mandibola e, subito dopo, strinse l’asticella delle sue lenti, raddrizzandole. Contrasse la fronte, turbata, e, con ancora i polpastrelli attorno alla fredda stanghetta di acciaio, annuì appena.

«Saranno almeno due anni» concordò.

Due anni in cui Violet era stata lontana da casa e dalla città in cui era cresciuta. Due anni in cui era scomparsa dalla circolazione, mortalmente terrorizzata dalla piega che la sua vita – e la sua mente – stava prendendo.

«Ho saputo che hai trovato lavoro.» Addie dondolò sui talloni e, nel movimento, il manico della borsa che teneva in spalla le scivolò lungo il braccio.

Violet si sporse ad afferrarlo d’istinto.

«Grazie» civettò l’altra, sistemandosi. «Speravo di incontrarti, sai? Anche io pensavo di fare domanda-»

Violet smise di ascoltare.

Penzolante dall’impugnatura, un portachiavi a forma di rana ricambiava il suo sguardo con un solo occhietto nero.

«Quello…» la interruppe allora, indicando il peluche. «È Greeny

Lo aveva vinto in una macchina a gettoni, quando, per il suo decimo compleanno, aveva deciso di festeggiare al luna park. Aveva speso una quantità imbarazzante di spiccioli per riuscire a prenderlo.

Da quel momento, lo aveva sempre portato con sé, legato alle chiavi di casa. O, almeno, era stato così fino a quando, durante il suo trasloco, esattamente due anni prima, non aveva finito per perderlo.

Addie tacque. Spostò il peso da una gamba all’altra, con un’espressione spaesata in viso, e suonò vaga quando «Greeny?» domandò, rigirandoselo fra le dita.

Poi, si illuminò. «Oh. Ora capisco perché mi sembrasse familiare.»

Doveva pensare di esser stata convincente.

Violet rimase di marmo. Non ricambiò la sua ilarità neanche per un secondo. Era come se tutto attorno a lei fosse stato messo in pausa. E, a ben pensarci, era proprio così.

Immaginò di uscire dal suo corpo e di osservare la scena da fuori, e quel che vide la fece rabbrividire.

Parevano due gocce d’acqua. Anche dopo tutto quel tempo.

Valeria Vella

Lettera aperta agli uomini: decostruire, ricostruire ed educare

Viviamo in un tempo che ama definirsi civile, ma le statistiche raccontano altro. Le donne muoiono. Uccise da uomini. Non dovrebbe mai succedere, ma succede ogni giorno.

Succede che una donna venga uccisa, perché ha detto no. O perché non ha detto nulla. Succede troppo spesso, e quasi sempre, il carnefice ha la nostra faccia: quella di un uomo. Sono le mani di mariti, compagni, fidanzati, padri, ex. Uccise non da estranei nel buio, ma da chi diceva di amarle. Non per caso, non per sfortuna, ma per sistema.

Questo non è un processo. È un invito.
Un invito a guardarci allo specchio, come genere maschile, senza scuse né alibi.

La paura che non dice il nome

C’è una verità che noi uomini dobbiamo accettare: le donne hanno paura di noi.

Le donne hanno paura di noi. Non sempre. Non tutte. Non di ognuno. Ma hanno paura abbastanza da pensarci ogni giorno.

Abbastanza da abbassare gli occhi quando un uomo la fissa troppo a lungo. Che una ragazza cambi marciapiede di sera, perché dietro di lei sente passi maschili. Che una moglie viva in silenzio, con il cuore in ostaggio e la voce spenta. Abbastanza da indossare scarpe comode per correre, nel dubbio. Abbastanza da dire “ho il fidanzato” per respingere un corteggiamento non richiesto.

Non è paranoia. È sopravvivenza!

E no, non è normale. Non è normale che una metà dell’umanità cresca difendendosi dall’altra.

E allora dobbiamo chiederci: che uomini siamo stati, se le donne si proteggono da noi?

E riflettiamo: chi di noi uomini si è mai chiesto se può uscire a fare una passeggiata senza venire seguito?
Chi di noi ha mai dovuto inventare una scusa, fingere una chiamata o cambiare strada per sentirsi al sicuro?
Chi di noi ha mai avuto paura di essere ucciso da chi dice di amarlo?

Il problema non è l’amore, è il possesso

Dietro ogni femminicidio non c’è solo un assassino. C’è un contesto. Un’educazione. Un linguaggio. C’è una mascolinità malata cresciuta nel mito della forza, del possesso, della virilità come dominio. C’è una cultura che dà all’uomo il diritto di possedere e alla donna il dovere di compiacere.

Perché siamo cresciuti, molti di noi, con un’idea distorta di cosa significhi essere uomini.
Ci hanno detto che non si piange, che bisogna essere forti, dominanti, sempre nel controllo.
Ci hanno insegnato che “conquistare” è una sfida, non un consenso. Che la rabbia è virile. Che la gelosia è segno di coinvolgimento. Ma questa non è forza. È fragilità travestita da potere. E quella fragilità, quando esplode, colpisce chi ci sta accanto.

E ogni volta che sentiamo dire “delitto passionale”, stiamo offendendo l’amore. L’amore non uccide. L’amore non stringe, non minaccia, non possiede, non punisce. Chi uccide una donna non lo fa per troppo amore, ma per mancanza d’amore, per paura, per dominio, per violenza interiorizzata.

È ora di smettere di romanticizzare il possesso. Non esiste “sei mia o di nessuno”. Esiste solo: “sei libera o non lo sei”.

Essere Uomini, davvero

“Non tutti gli uomini.” Ma ci serve davvero dirlo? Non basta non fare del male. Bisogna essere parte attiva del bene. Non servono cavalieri. Non servono eroi. Servono uomini normali. Uomini che ascoltano, che educano i figli, che disimparano il dominio. Uomini che si scusano. Che riflettono. Che mettono in discussione i propri privilegi.

Servono uomini che riconoscono che qualcosa non va. Che si fanno scomodi, che parlano tra uomini.

E in fondo è vero, non tutti gli uomini. Ma è altrettanto vero che tutti viviamo in una cultura che tollera, minimizza, copre la violenza maschile.

Se in una conversazione tra amici lasciamo passare una battuta sessista, stiamo contribuendo.
Se non correggiamo un commento volgare, stiamo tacendo.
Se pensiamo che lei “se l’è cercata”, stiamo giustificando.
Se restiamo in silenzio, stiamo permettendo.

Finché le donne avranno paura di camminare sole, di vestirsi come vogliono, di scegliere chi amare o chi lasciare, la nostra libertà maschile sarà falsa, perché costruita sul dominio.

Denunciare, proteggere, educare, parlare, esporsi.
Far sì che la prossima donna non debba avere paura.
E che la prossima generazione non debba più imparare a difendersi da noi.

Dobbiamo reimparare ad essere uomini.
Uomini che ascoltano. Che si mettono in discussione. Che disimparano la cultura del possesso.

 

Ricordiamoci che ogni femminicidio non è solo una tragedia privata: è un fallimento collettivo.
E finché ci sarà una sola donna che avrà paura di vivere accanto a un uomo, noi saremo ancora in debito.

Non basta dirlo.
Serve viverlo.
Serve cambiare.

Non per galanteria.
Per giustizia, dignità, umanità.

La libertà delle donne non è una minaccia. È la più alta occasione per diventare migliori.

 

Gaetano Aspa

 

https://www.pariopportunita.gov.it/it/numeri-utili/1522-numero-antiviolenza-e-antistalking/

 

Marracash sbarca a Messina con “Marra Stadi 2025”: Tutte le info su viabilità, parcheggi e divieti

Cresce l’attesa per l’unica tappa siciliana del tour MARRA STADI 2025. Marracash si esibirà domani, sabato 5 luglio, allo Stadio Franco Scoglio di Messina. L’evento, attesissimo dai fan dell’Isola, è organizzato da Friends and Partners e realizzato da Puntoeacapo in collaborazione con il Comune di Messina.

Per garantire la sicurezza e una gestione ordinata dei flussi veicolari e pedonali, il Comune ha predisposto un piano straordinario di viabilità, parcheggi e servizi navetta. Ecco tutto ciò che c’è da sapere.

Modifiche alla viabilità

Dalle ore 8:00 di sabato 5 luglio fino alle ore 03:00 di domenica 6, saranno in vigore diversi divieti di transito e sosta nelle aree limitrofe allo stadio. Particolarmente interessate:

  • Via degli Agrumi (accesso Palasport San Filippo): divieto di sosta già dalle 17:00 di venerdì 4 e divieto di transito da sabato mattina.

  • Bretella dello svincolo San Filippo (via Nicolò Carosio): accesso interdetto dalle 11:00 di sabato, tranne che per veicoli autorizzati, mezzi di emergenza, taxi e disabili muniti di contrassegno.

  • Strada comunale San Filippo superiore – C.da Baglio: chiusa al traffico e con sosta vietata per garantire il deflusso ordinato.

  • Divieto assoluto di circolazione per i veicoli oltre le 3,5 tonnellate tra le 14:00 del 5 luglio e le 03:00 del 6, lungo le vie La Farina, Bonino, Taormina, Adolfo Celi, G. La Pira.

 

Navette e trasporto pubblico

ATM Messina ha predisposto un servizio di bus navetta gratuito dai principali parcheggi cittadini (ZIR, Villa Dante, Zaera, Cavalcavia FS, Cavallotti, Annunziata Ovest/Est) fino allo stadio.

Le fermate per lo sbarco dei passeggeri saranno in via Sacra Famiglia, mentre il reimbarco post-concerto avverrà da via Adolfo Celi (lato valle).

Parcheggi e accessi

Tre le aree di parcheggio principali per il pubblico: area rossa, verde e gialla, accessibili solo con tagliando acquistato in anticipo o entro le ore 17:00 di sabato. Presidi di Polizia municipale e dello staff organizzeranno il flusso dei veicoli.

Per i motocicli e ciclomotori è prevista un’apposita area blu accanto al Palasport, con accesso regolato.

Taxi

Un’area dedicata ai taxi sarà attiva nello slargo della bretella via Nicolò Carosio, in corrispondenza del sottopasso verso l’area rossa. I taxi potranno accedere sia da via Adolfo Celi che dalla tangenziale.

Divieti speciali

Un’apposita ordinanza del sindaco Federico Basile vieta:

  • La vendita di alcolici oltre il 5%, e di bevande in vetro o lattine, anche portate da casa. Consentiti solo contenitori in plastica o carta.

  • L’uso di spray al peperoncino nel raggio di 500 metri dallo stadio.

  • Il bagarinaggio entro un raggio di 3 km.

  • Il commercio ambulante non autorizzato attorno allo stadio e lungo la bretella dello svincolo.

Raccomandazioni finali

Si invitano i partecipanti a raggiungere lo stadio con largo anticipo e a preferire i mezzi pubblici o le navette per evitare ingorghi. L’accesso sarà controllato, e tutte le misure sono pensate per garantire un’esperienza sicura e indimenticabile.

Gaetano Aspa

A Messina torna la passione nerd: arriva “NerDays Zero” al Centro Commerciale Maregrosso

Dopo il successo dell’edizione invernale, Messina si prepara ad accogliere una nuova ondata di cultura pop con “NerDays Zero”, in programma sabato 12 e domenica 13 luglio presso il Centro Commerciale Maregrosso. L’evento, a ingresso gratuito, è organizzato da The King and Queen Cosplay in collaborazione con EccoTech, e rappresenta un vero e proprio punto d’incontro per appassionati di fumetti, giochi di carte, action figure, artigianato fantasy e, naturalmente, cosplay.

Questa “versione zero” del NerDays nasce come una ripartenza: un’edizione estiva che rilancia la manifestazione dopo il banco di prova della tre giorni di gennaio e si propone come un’anticipazione della futura seconda edizione.

«Il successo dell’evento di gennaio ci ha portato a voler rinnovare l’evento ed organizzarlo in una cornice estiva» – spiega Giuseppe Ferrara, tra gli organizzatori. «Questa versione ‘zero’ rappresenta un nuovo inizio per la manifestazione. Ringraziamo in particolar modo StrettoCrea e il Messinacon per l’appoggio e l’entusiasmo: sono diventati i nostri sponsor ufficiali. È importante che le varie realtà di Messina lavorino in armonia».

Il programma è fitto di appuntamenti per nerd di tutte le età. Previsti tornei di giochi di carte come One Piece, Yu-Gi-Oh! e Magic: The Gathering, accanto a stand di collezionismo e artigianato a tema fantasy e pop culture. Ma l’appuntamento clou sarà la lotteria finale di domenica 13, che metterà in palio una Nintendo Switch 2 e un abbonamento per il Messinacon 2025, in programma dal 5 al 7 settembre a Villa Dante.

Tra competizioni, incontri e passione condivisa, NerDays Zero si candida a essere un appuntamento imperdibile per la community nerd della città, in attesa di un’edizione ancora più grande in arrivo nei prossimi mesi.

Gaetano Aspa

Marracash e l’incomunicabilità: l’Uomo, la Società e il Vuoto Contemporaneo

L’arte, quando è profonda, si manifesta come una riflessione sul tempo in cui nasce e sulle tensioni che lo attraversano. Negli ultimi tre album di Marracash (Persona, Noi, loro, gli altri ed È finita la pace), il rapper milanese ha costruito un percorso concettuale che non è solo autobiografico, ma si allarga a una visione esistenziale e politica della società contemporanea. Questo trittico musicale, nelle sue tematiche e nella sua costruzione narrativa, trova una corrispondenza sorprendente con la Trilogia dell’Incomunicabilità di Michelangelo Antonioni (L’avventura, La notte, L’eclisse), ma anche con film come Persona di Ingmar Bergman.

Persona: la frattura dell’io

L’album Persona (2019) è un’opera-manifesto, in cui Marracash scompone il proprio io come fosse un personaggio pirandelliano o un uomo immerso in un dramma esistenziale alla Bergman. Il titolo stesso rimanda al concetto di persona come maschera, un tema centrale nel cinema di Bergman, e in particolare nel suo film Persona (1966), dove il confine tra sé e l’altro si sfalda fino a diventare indistinguibile.

Non sono come te. Non mi sento come te. Sono Suor Alma, sono qui solo per aiutarti. Non sono Elisabet Vogler. Tu sei Elisabet Vogler.

In Persona, Marracash affronta questa crisi attraverso i titoli delle canzoni, che rimandano a parti del corpo, quasi a suggerire un tentativo di ricomporre un’identità fratturata. Il racconto si fa profondamente intimo: si parla di successo, depressione, amore tossico e della percezione pubblica di sé.

Non so se è amore o manipolazione
Desiderio od ossessione
Se pigrizia o depressione
Che finisca per favore, che esaurisca la ragione

Il parallelismo calza a pennello con il film di Bergman, dove la protagonista, un’attrice che smette improvvisamente di parlare, si sdoppia nella sua infermiera, fino a fondersi con lei. Allo stesso modo, Marracash esplora la sua identità artistica e umana, smascherando le contraddizioni tra ciò che è davvero e l’immagine che gli altri hanno di lui. Il risultato è un’opera che riflette sul tema dell’identità personale nel mondo dello spettacolo e oltre.

Noi, loro, gli altri: il senso di estraneità

Il secondo capitolo, Noi, loro, gli altri (2021), sposta il focus dall’individuo alla società, dalla dimensione personale a quella collettiva. Marracash ragiona su come la realtà esterna influenzi l’identità, analizzando il divario tra noi (chi sente di appartenere a una comunità), loro (l’élite o il potere) e gli altri (gli emarginati, gli esclusi).

Questo discorso trova un parallelo perfetto con la Trilogia dell’Incomunicabilità di Antonioni, in particolare con L’eclisse (1962), film che mostra il progressivo svuotamento emotivo dei personaggi, incapaci di trovare un senso nel mondo moderno.

Così come nel film, anche nell’album di Marracash domina un senso di disillusione: il successo e il potere non colmano il vuoto, mentre la società è sempre più frammentata.

Volevo davvero questo? Tutta la vita che ci penso (Dubbi)

Nel brano Dubbi, ad esempio, si avverte l’angoscia di una realtà in cui le divisioni sociali ed economiche rendono impossibile la comunicazione tra le classi, esattamente come i personaggi di Antonioni che, pur parlando, non riescono davvero a comprendersi.

Chissà perché si fanno tante domande? Io credo che non bisogna conoscersi per volersi bene. E poi, forse, non bisogna volersi bene.

Il finale di L’eclisse, con la dissolvenza su strade deserte e lampioni che si accendono, suggerisce un mondo privo di significato, e lo stesso si può dire per l’album di Marracash, che lascia più domande che risposte.

È finita la pace: il collasso dell’illusione

Con È finita la pace (2024), Marracash completa il percorso spostando il focus sul presente: la pace interiore e sociale è ormai perduta. L’album non parla più solo della crisi dell’individuo (Persona) o delle strutture che lo circondano (Noi, loro, gli altri), ma dell’impossibilità di ristabilire un equilibrio. Il titolo stesso suggerisce un punto di non ritorno, un’irreversibilità della crisi.

In questa fase, il parallelo cinematografico potrebbe essere con La notte (1961) di Antonioni, dove il rapporto tra i protagonisti (una coppia in crisi) riflette un malessere esistenziale più ampio.

Se stasera ho voglia di morire, è perché non ti amo più. Sono disperata per questo. Vorrei essere già vecchia per averti dedicato tutta la mia vita. Vorrei non esistere più, perché non posso più amarti.

Anche Marracash affronta il tema della fine delle illusioni: le relazioni affettive sono logorate, il sistema è irrecuperabile, il tempo non porta redenzione.

Escono di casa uno straccio, senza neanche un abbraccio, con il cuore d’intralcio quelli come me.

Un altro parallelo interessante è con Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pasolini (1975), in cui il potere e la violenza diventano l’unica legge. È finita la pace sembra suggerire che la realtà attuale, tra guerre, disuguaglianze e alienazione, è diventata un luogo in cui non si può più trovare una via d’uscita.

Marracash

Marra Stadi 25: Messina attende il King del Rap

È l’artista delle sfide, dei record e delle ambizioni sempre più alte. Marracash non smette mai di superarsi, conquistando pubblico e critica con ogni nuovo traguardo. Dopo aver vinto la Targa Tenco e creato un festival unico per il rap italiano, è pronto a scrivere un’altra pagina di storia: con MARRA STADI 2025, sarà il primo rapper a portare un intero tour nei grandi stadi italiani.

Anche la Sicilia sarà protagonista di questo evento straordinario. Il 5 luglio 2025, Messina accoglierà la tappa imperdibile del tour allo Stadio San Filippo – Franco Scoglio, pronta a trasformarsi in un’arena di pura energia.

L’evento è organizzato da Puntoeacapo, in collaborazione con il Comune di Messina, sotto la guida del Sindaco Federico Basile, e l’Assessorato agli Spettacoli e Grandi Eventi Cittadini, rappresentato da Massimo Finocchiaro.

Gaetano Aspa

Conferenza Taormina-Messina: 70 anni di Europa Comunitaria

Si sono aperte con una partecipazione internazionale di alto profilo le Celebrazioni per il settantesimo anniversario della Conferenza di Messina e Taormina, snodo storico da cui prese avvio nel 1955 il processo d’integrazione europea. Promossa dalla Regione Siciliana in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, la Fondazione Taormina Arte Sicilia, i Comuni di Messina e Taormina, e con il supporto della Commissione Europea e l’Alto Patrocinio del Parlamento Europeo, l’iniziativa si inserisce nel contesto della XV edizione di Taobuk.

Una memoria volta al futuro

La giornata inaugurale, il 18 giugno, si è svolta a Palazzo Zanca a Messina, sede originaria della Conferenza del 1955. A Messina, la presenza dei Ministri degli Esteri dei Paesi firmatari del Rapporto conclusivo del ‘55 (Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo), dei rappresentanti del Trio di presidenza UE e delle autorità locali ha restituito l’immagine viva di un’Europa che, pur confrontandosi con nuove sfide globali, continua a cercare coesione e dialogo. L’apertura ufficiale delle Celebrazioni è stata scandita dagli interventi istituzionali, tra cui quello del Vicepremier e Ministro degli Esteri Antonio Tajani, del Ministro degli Esteri polacco Radosław Sikorski, Presidente di turno del Consiglio UE, e della Presidente di Taobuk Antonella Ferrara.

Conferenza
© Marco Castiglia

Tajani: “Sovranismo nazionale non è la risposta”

Nel suo intervento, il ministro Tajani ha ribadito il valore dell’unità europea nel contesto delle sfide contemporanee:

“Sono un sovranista dell’Europa. Se pensiamo di stare da soli, siamo destinati a essere marginalizzati. Nessun Paese europeo, da solo, ha la forza di affrontare India, USA, Cina. L’unica possibilità per tutelare i nostri interessi è unirli a quelli degli altri Stati europei. Chi pensa di rilanciare il sovranismo nazionale in un’epoca globalizzata sbaglia strada”.

Sikorski: “Riforma interna ed allargamento devono procedere insieme”

Il 19 giugno, nella seconda giornata dei lavori, si è tenuta a Taormina la sessione ministeriale a porte chiuse che ha condotto alla firma di una Dichiarazione congiunta sul futuro dell’Europa. Nel documento si afferma:

“un’Europa unificata, democratica, sovrana e prospera rimane il nostro futuro comune”.

I rappresentanti degli Stati membri, candidati e potenziali candidati hanno convenuto che le riforme interne dell’UE debbano procedere in parallelo, ribadendo così l’allargamento come una priorità geopolitica e un investimento strategico per la sicurezza e la prosperità continentale.

Dibattiti e riflessioni: un laboratorio di idee per l’Europa di domani

Nel pomeriggio, Palazzo Corvaja ha ospitato un’intensa serie di panel tematici, trasformandosi in una vera e propria agorà del pensiero politico e culturale europeo. Tra i momenti più significativi: il panel “L’Europa nel Mediterraneo allargato: tra Mare Nostrum e Mare Omnium”, con Salvatore De Meo, Marco Minniti, Maurizio Molinari e Stefano Sannino, e la tavola rotonda “Una difesa per l’Europa o l’Europa indifesa?”, con protagonisti del mondo politico, militare e accademico, tra cui Luigi Gianniti, Stefano Pontecorvo, Sylvie Goulard e Vincenzo Camporini.

Ha suscitato grande interesse il dialogo tra il Ministro Sikorski e il Direttore del Corriere della Sera, Luciano Fontana, moderato da Paolo Valentino, incentrato sul ruolo geopolitico dell’Unione nel contesto dei nuovi conflitti e delle tensioni globali.

© Marco Castiglia

Cultura, identità e responsabilità condivisa

“La cultura è fondamento dell’identità europea”, ha affermato Antonella Ferrara.

“In un tempo segnato da crisi e disgregazioni, il pensiero critico e il dialogo sono la vera risorsa strategica per l’Europa che verrà”.

Della stessa linea anche Sergio Bonomo, Commissario straordinario della Fondazione Taormina Arte Sicilia. Il commissario ha ricordato come la visione del messinese Gaetano Martino – promotore della Conferenza del ‘55 – abbia acceso il sogno europeo:

“Oggi più che mai tocca a noi cittadini europei rinnovarlo ogni giorno, con coraggio e responsabilità”.

Quindi, settant’anni dopo quella svolta storica, Messina e Taormina tornano al centro del dibattito sul destino dell’Europa. Le Celebrazioni sono state terreno fertile per una riflessione condivisa sul futuro dell’Unione. Tra la memoria di un progetto nato dalla volontà di cooperazione e la consapevolezza delle sfide contemporanee, emerge una convinzione,  l’Europa non è un’entità da difendere, ma un’idea da realizzare. Insieme.

Gaetano Aspa