Studenti, professori e giornalisti a confronto sulla figura di Mario Francese, a quarant’anni dal suo omicidio

Si svolgerà mercoledì 13 febbraio, alle ore 10.30  presso la Sala dell’Accademia Peloritana dei Pericolanti, un seminario sul tema “Il giornalista con la schiena dritta. Riflessioni su Mario Francese a quarant’anni dall’uccisione”.

Ospite dell’incontro Giulio Francese, Presidente dell’Ordine dei Giornalisti Sicilia; interverranno il prof. Giovanni Moschella, Presidente del Centro sulle Mafie, il prof. Luigi Chiara, Direttore del Centro sulle Mafie, il prof. Marco Centorrino, docente di Sociologia della Comunicazione, Claudia Benassai, giornalista e Alessio Gugliotta, coordinatore UniVersoMe,  testata giornalistica degli studenti Unime.

L’evento, organizzato dalla redazione di UniVersoMe, si concluderà nel pomeriggio in Sala Senato con un workshop giornalistico rivolto agli studenti dell’Ateneo.

Qui di seguito si allega il link del form che deve essere compilato per potersi iscrivere all’evento: https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLSeLklSWHXVkXcCNu__x9jhB4FsEV4TjXkwnA355sPL2oSXRkw/viewform

Immatricolazioni fino al 31 gennaio

L’Università degli Studi di Messina offre 81 percorsi di Laurea per l’anno accademico il 2018/19: ci sono 48 corsi triennali ed a ciclo unico, destinati ai neo diplomati e 33 magistrali, per chi ha già conseguito un titolo di primo livello.

– Le immatricolazioni ai Corsi di Laurea, ad eccezione di quelli a numero chiuso,  e le iscrizioni agli anni successivi per l’a.a. 2018/19 sono state prorogate, con aggravio di mora pari ad 80 euro,  al 31 gennaio 2019.

La procedura è semplice e viene effettuata on-line su Unime.esse3 .

Cos’è Unime Esse3? E’ la pagina iniziale del portale web dedicato ai Servizi Informatici per gli Studenti e i Docenti dell’Università degli Studi di Messina.

Gli Utenti non registrati potranno, dal menu di navigazione, ottenere informazioni riguardo alle Strutture, alle Sedi e alla Didattica dell’Ateneo.

Devono necessariamente effettuare la “Registrazione” gli Utenti che intendono:

  • immatricolarsi ad uno dei Corsi offerti dall’Ateneo;
  • iscriversi ai concorsi di ammissione ai Corsi a numero programmato;
  • partecipare al bando di trasferimento per anni di corso successivi al primo degli studenti provenienti da altro Ateneo per i corsi di laurea a numero programmato a livello nazionale;
  • partecipare ai test di valutazione (OFA) dei Corsi di Studio che li prevedono;
  • iscriversi ai concorsi di ammissione alle Scuole di Specializzazione;
  • iscriversi ai concorsi di ammissione ai Corsi di TFA e di abilitazione per il Sostegno;
  • iscriversi ai concorsi di ammissione ai Master e ai Corsi di perfezionamento;
  • iscriversi ai concorsi di ammissione ai Corsi di Dottorato di Ricerca.

L’Utente registrato potrà, in seguito, accedere alla funzione di “Immatricolazione” ad uno dei Corsi di Studi dell’Ateneo.

  • Chi è già in possesso del nome utente (che è il proprio Codice Fiscale) e della password d’accesso, perché già iscritto precedentemente a questo portale o già immatricolato all’Università di Messina, potrà cliccare direttamente su “Login” per l’accesso all’Area Riservata.
  • Chi non riesce ad accedere perché non più in possesso della password, può usare la funzione “Password dimenticata”, dal menu di navigazione, che invia una nuova password all’email inserita in anagrafica.
    Chi non ricevesse l’email automatica con le nuove credenziali, perché il suo indirizzo di posta elettronica non è presente in anagrafica o è errato, è pregato rivolgersi agli sportelli della Segreteria Studenti o all’Info Point (Piazza Antonello, Palazzo Mariani).

Ripresa carriera ex studenti: gli studenti che desiderano iscriversi nuovamente al proprio Corso di laurea possono presentare la domanda in qualsiasi periodo dell’anno, previo pagamento di un contributo fisso, pari ad € 155,00 per i primi tre anni accademici per i quali non sia stata consecutivamente effettuata/rinnovata l’iscrizione e di € 60,00 per gli eventuali successivi anni di mancata iscrizione dello studente, entro e non oltre l’ottavo.

 

Jessica Cardullo

Gli estremisti collezionano l’ennesima sconfitta

Ferire, bruciare, sgozzare, l’hanno fatto in molti, ma davanti alla macchina da presa, in quel modo sfacciato e vanitoso, no. È facile e perfetto per colpire l’immaginazione.”
DACIA MARAINI

Ostaggi dell’Isis annegati in una piscina

Furono i Romani uno dei primi popoli a vedere di che pasta fosse fatta la matrice terroristica, li battezzarono Sicarii, fazione estremista degli Zeloti, bramavano l’indipendenza politica della Giudea da Roma.
Ad oggi sono svariati i gruppi terroristici: Stato Islamico, Al Shabaab, Talebani; solo alcuni dei nomi noti che, attraverso la loro bestia nera, tentano, giorno dopo giorno, di imporci il loro progetto egemonico; tentando di indottrinarci tutti secondo un unico credo, che il più delle volte sfocia nel fanatismo.
Ahimè, quella delle persone che hanno visto sfumare i loro sogni a causa delle loro brutalità, è una lunga lista. Dal 2003 ad ora sono 44 i cittadini italiani che sono venuti a mancare.

16 Maggio 2003, Luciano Tadiotto, tecnico italiano, perde la vita in una serie di attentati terroristici a Casablanca. 7 luglio 2005, Benedetta Ciaccia, analista finanziaria, resta uccisa in uno degli attentati contro la metro di Londra. 13 novembre 2015, Valeria Solesin, 28 anni, studentessa veneziana della Sorbona è una delle vittime al teatro Bataclan. Era lì con il suo fidanzato per il concerto degli Eagle of Death Metal. 11 dicembre 2018, Strasburgo, 29 anni, il giornalista Antonio Megalizzi, freddato a Strasburgo dagli spari di un terrorista.

Loro, sfortunatamente, sono soltanto alcuni dei tanti uomini che cercano di dar un volto nuovo a questo mondo che, fra tragedie e guerre, ha perso la sua genuinità; uomini che di questo mondo amano l’odore, i colori e tutti i modi in cui esso si manifesta.

Ma qual è la loro arma più forte? Con cosa ancora ci riescono a tenere in pugno?

Muadh al-Kasasibah, prigioniero dell’Isis, arso vivo

L’immaginazione è il mezzo perfetto di cui fanno uso costantemente, con una sceneggiatura non da poco, riescono ad arrivare a migliaia, ma anche milioni di persone alla volta facendo “uso” di uomini come Muadh al-Kasasibah, arso vivo all’interno di una gabbia.
È proprio con azioni del genere che tentano di avanzare i loro “discutibili” ideali, è proprio con azioni del genere che riescono ad arrivare con un uomo solo ad intaccare una società intera, entrano nelle nostre vite senza che noi effettivamente ce ne rendiamo conto ed è così che vorrebbero noi sposassimo la loro ideologia, il loro concetto dell’ Islam; dove anche bere, fumare ed ascoltare musica può diventare oltraggio; come nel caso di Ayham Hussein, 15 anni, decapitato in una piazza di Mosul, in Iraq, dopo esser stato sorpreso ad ascoltare musica occidentale dal suo lettore cd.

Sarebbero entusiasti nel constatare che i loro attentati hanno creato una certa alienazione mentale sul resto del mondo, non permettendo più alla gente di vivere un viaggio come una vacanza, una pausa dalla vita quotidiana, bensì qualcosa da cui stare lontani finché le acque si calmino, sarebbero entusiasti nel vedere che tutte le forme dell’arte vengano osservate con un occhio diverso, un occhio che oramai è abituato ad indossare sempre più spesso occhiali con lenti scure.

Tuttavia è per uomini come Muadh al-Kasasibah, che di fronte ad una morte a dir poco ingiusta non si è piegato ad una guerra che sul campo sarebbe già finita da tempo, ad una guerra mentale che usa l’immaginazione come mezzo di conquista globale. Ha dimostrato forza, ma soprattutto ha resistito ad un’idea di religione che non è quella associata alla figura dell’ Islam, religione che non ammette uccisione e terrorismo.
Ed è proprio per questo che noi dobbiamo continuare ad essere giornalisti, viaggiatori, rivoluzionari. Proprio perché nel nostro piccolo stiamo combattendo la guerra più grande. Una guerra dove le armi non contano, conta solo il coraggio di essere il cambiamento che vorremmo vedere nel mondo.

#NotInMyName, manifestazione contro il terrorismo

Fin quando noi saremo questo, è vero, questi gotici giustizieri ci potranno anche portare via i nostri cari ma non è per questo che i progetti dei nostri beneamati resteranno castelli in aria. Non è per questo che ci metteranno l’uno contro l’altro; razze o religioni che siano, non dobbiamo e non possiamo permettere né che un sobrio velo ci crei sgomento né che una passeggiata con la famiglia diventi un calcolo statistico per prevenire un attacco terroristico; per poi comunque comprendere che è forse impossibile constatare un filo logico che porti al controllo di tutti gli spazi sociali.

Nonostante la paura i castelli verranno ultimati, però con l’eccezione che questa volta saranno anche più imponenti di quanto lo erano già nell’immaginario dei nostri Cari sognatori, ma la cosa più rilevante è che per i terroristi sarà l’ennesima sconfitta.

Mattia Castano

L’interrogatorio di un viandante sull’amore

Cammino per strada e non riesco a smettere di pensarci. Continui flashback attraversano la mia mente, senza darmi tregua. Ci sei tu, ci sono io. Ci siamo io e te a ridere di una giornata che proprio non vuole saperne nulla di andare bene, ci siamo noi a fissare il soffitto con un sorriso ebete stampato in faccia. Quante volte ti ho detto che quel sorriso ti faceva più ragazzina, e tu nemmeno ci credevi.

E poi ci sei tu che gridi e piangi e io che grido più forte, chissà su quale legge animalesca si fonda l’idea che, alzando la voce, l’altra persona smetta di parlare. Mi si è gonfiata una vena sul collo, era tanta la rabbia.

Continuo a pensarci, guardando i fari delle macchine sulla strada, nella speranza di trovare il sassolino nella scarpa che fa camminare male, quell’arancia amara che ti ha guastato tutto il pranzo, il quadro storto che per quante volte potrai drizzarlo tornerà sempre a inclinarsi, oppure la canzone sbagliata in radio che un po’ l’umore te lo cambia. E questi fari mi fanno sentire un po’ sotto interrogatorio, sono innocente, commissario, però le cose si fanno in due quindi un po’ è anche colpa mia. Mi capisca commissario, io proprio non lo so … qual è il momento esatto in cui l’orologio fa Dong, e cosa fa, l’orologio, nella restante mezz’ora prima del Dong? È felice, forse.

Davanti a me vedo una coppia e lei ha una rosa in mano. Chissà se se lo immaginano che prima o poi litigheranno fino a odiarsi, chissà se in cuor loro sanno che alla fine ritorneranno insieme, chissà se anche lontanamente immaginano tutto il male che in futuro si faranno.

Mi sento quasi in dovere di avvertirli, lasciate perdere tutto, anche le rose. A che servono? Tanto marciscono.

La verità è che a marcire siamo stati noi.

Sentimenti … sentimenti … non ne provo nessuno, li ho gelati tutti. Sono diventato egoista, ecco tutto. Mi sento felice solo per me stesso, è questa la verità. E per una volta, nella vita, ho tutto il diritto di essere egoista per quanto mi pare e piace. Si, sono un insieme di rabbia e cinismo, forse. E ora basta, non voglio saperne niente, d’ora in poi ci sarò io il calcio, qualche porno, birra come se piovesse … è d’accordo con me, commissario?

Sono rimasto solo, ancora. Fisso le vetrine dei negozi che stanno per chiudere, sono le 21 e francamente me ne infischio (diceva qualcuno).

Che voglia di andare al cinema, almeno starò un po’ al calduccio a rilassarmi, però che pizza ci sarà sicuramente una coppia. Ma ovunque io possa andare, ci sarà sempre una coppia. Forse devo cambiare casa. Ma che sto dicendo? Vedi un po’ se devo cambiare casa per colpa di quella stronza che nemmeno vive lì, solo per non rivedere più i fantasmi di me e lei felici.

Conosco gente che si lascia e riesce a rimanere amica, o ancora gente che si lascia e, dopo tanto soffrire, riesce a ricominciare da capo e tornare insieme.

E allora perché, io e te, non riusciamo nemmeno a guardarci in faccia? Perché dobbiamo evitarci? Dividerci i luoghi o gli amici?

Perché non meritiamo di essere felici?

Perciò adesso, su questa strada e con tutti questi fari puntati contro di me, non riesco a spiegarmi come siamo arrivati a questo …

Tornerò ancora ad amare?

Lo giuro, commissario, mai più. Anzi, ritiro tutto. La prossima volta starò più attento. 

Sì, sto mentendo, lo so. A presto.

Serena Votano

“La notte dei regali” 2018: un connubio di festa e solidarietà

Quest’anno “La notte dei regali” giunge alla seconda edizione. La serata in discoteca si svolgerà domani, 19 dicembre, alle 22:30 presso il Centro Multiculturale Officina. L’idea dell’evento parte da un’iniziativa dell’associazione Morgana, che vede il coinvolgimento delle associazioni “Gli Invisibili”, “Nettuno”, “Orum” e “Leo Club Messina Host”.

L’accesso all’evento avverrà secondo una modalità innovativa all’insegna della solidarietà: oltre all’acquisto della prevendita di 5€, all’ingresso è prevista la consegna di un giocattolo usato (valido per un ingresso) oppure nuovo (valido per due ingressi) che verrà devoluto, assieme agli altri giocattoli raccolti, ai bambini della città sabato 22 dicembre dalle 17:00 alle 19:00 presso lo stand di Piazza Cairoli.

L’associazione si è già attivata in questi giorni allestendo vari punti di raccolta in cui è possibile recarsi per portare in dono i propri giocattoli. Tra questi, rientrano: la sede dell’Associazione Morgana in Via del Vespro 57, dove la raccolta avviene martedì, giovedì e venerdì dalle ore 15:00 alle 20:00; presso lo stand di Piazza Cairoli dalle 17:00 alle 20:00.

A proposito di giochi e aria di festa, un’altra parola d’ordine è: divertimento. Immancabile quindi la presenza della testata giornalistica universitaria UniVersoMe. Gli intervistatori della Web Tv intratterranno gli invitati con quiz e domande di cultura generale che li metteranno alla prova.

Per trascorrere un mercoledì universitario natalizio, per partecipare alla raccolta e per ulteriori informazioni, siete invitati a contattare gli organizzatori dell’evento, visitare la pagina facebook o inviare una e-mail ad associazione.morgana@gmail.com

 

Giusy Boccalatte

UniVersoMe e RadUni presenzieranno al IX incontro nazionale dei corsi di scienze della comunicazione

Due portavoce degli studenti di UniVersoMe, la testata multiforme dell’Università di Messina, prenderanno parte, venerdì 14 dicembre 2018, al IX Incontro Nazionale dei Corsi in Scienze della Comunicazione promosso dalla Conferenza Italiana di Scienze della Comunicazione che avrà luogo presso la Sala delle Capriate, Palazzo Chiaramonte-Steri dell’Università degli Studi di Palermo in Piazza Marina, 59, Palermo.

L’incontro, che affronterà numerose tematiche legate al rapporto tra comunicazione e atenei, si terrà dalle 9.30 alle 18.30 e vedrà anche la partecipazione di RadUni, Associazione Operatori Radiofonici Universitari, con un panel dal titolo “Radio, atenei e network: coltivare la comunità attraverso la cultura delle #radiouniversitarie”.

L’Associazione RadUni sarà rappresentata dal Segretario Nazionale Alice Plata, già direttore responsabile del media web Radio6023 presso UniUPO, che ha curato una presentazione dedicata alle Radio Universitarie, le loro attività e buone pratiche, volto a confermare il grande valore delle college radio all’interno delle Comunità Universitarie Italiane. Potete trovare l’intervento “Radio, atenei e network: coltivare la comunità attraverso la cultura delle #radiouniversitarie” all’interno del book of abstracts.

Nata nel 1992 come Conferenza Nazionale delle Facoltà e dei Corsi di Laurea in Scienze della Comunicazione, per riunire in Coordinamento Nazionale le tante anime che caratterizzano il campo di studi in questo ambito didattico e scientifico, la Conferenza si pone l’obiettivo primario di valorizzare e promuovere le Scienze della Comunicazione quale elemento dinamico e indispensabile per lo sviluppo economico, sociale e culturale del paese.

La sua mission è produrre e trasferire cultura e conoscenza, sviluppare e formare capacità professionali competenti e critiche.

Per ulteriori informazioni e per sapere nel dettaglio gli scopi dell’iniziativa e gli interventi previsti, si allegano qui di seguito i link della locandina e della brochure:

Locandina – Conferenza 2018 (email-web)

Brochure – Conferenza 2018 (email-web) orari completo

 

Sindrome da Natale precoce e l’altra faccia della festività più attesa dell’anno

Molti sarebbero d’accordo con Cremonini che canta: “Dalle ultime ricerche di mercato si evince che la gioia è ancora tutta da inventare”. Secondo la scienza invece la felicità alberga nel cuore di chi si dedica agli addobbi natalizi con un po’ di anticipo. Sembra quindi che questa esigenza non sia dettata dalla voglia di battere tutti sul tempo sorprendendo con la decorazione più originale. La riflessione che sto per proporvi ha avuto inizio dalla constatazione di un fatto. Durante le ultime settimane di novembre, mentre mi aggiro per le vie di Messina, osservo le prime lucine tipiche di Natale ad ornamento di case e negozi. Continuando a passeggiare, riesco a scorgere la presenza di un albero di Natale attraverso la finestra di un appartamento che dà sulla strada. Lo stesso scenario. Ogni anno. Io, già di mio cinica e poco incline ai festeggiamenti, reagisco d’impulso indignata ed esprimo il mio disappunto, perché tutta quest’aria di festa precoce contribuisce a rincarare la mia già elevata dose di ansia. Senza voler limitare la libertà di nessuno…per quale motivo non si può semplicemente aspettare l’8 dicembre come da tradizione? Io, che se detenessi il potere di controllare il tempo lo fermerei o porterei indietro le lancette, non ho nessuna voglia di anticiparlo senza godermi la giusta attesa.

Comunque, una volta passato lo sfogo, torno sui miei passi e mi fermo a riflettere: mi convinco che dietro a questa tendenza di anno in anno sempre più comune, che prendo l’iniziativa di rinominare scherzosamente “sindrome da Natale precoce”, ci siano dei motivi ben più profondi da capire. Effettivamente, faccio alcune ricerche e trovo delle informazioni interessanti che riporto qui di seguito. Scopro che secondo un team di psicologi, se rientrate tra quelle persone che avevano già allestito albero e presepe qualche settimana prima di dicembre, significa che siete più felici degli altri. Non mi accontento di questa spiegazione un po’ fine a sé stessa, pertanto decido di approfondire e leggere ulteriormente. Traggo le seguenti conclusioni: stando agli studi di esperti psicoterapisti, impegnare la mente nella predisposizione degli addobbi natalizi ci distoglie dai problemi quotidiani e dallo stress, risveglia il “fanciullino” che è in noi e fa rinascere la nostalgia di un’infanzia spensierata che si desidera ripristinare. Ultimo effetto, ma non meno importante, sarebbe quello che le decorazioni appese fuori dalle porte degli appartamenti, nei balconi, e nei pianerottoli, migliorerebbero i rapporti con il vicinato e renderebbero più simpatici.

Per quanto io possa riporre estrema fiducia nella scienza, mi sento di dissentire da queste affermazioni, soprattutto dall’ultima, consegnando un’analisi dal mio punto di vista sociale e culturale un po’ diversa. Una versione che potrebbe sembrare forse troppo scettica, ma in cui tanti altri potrebbero riconoscersi, frutto di esperienze personali e collettive. Parto dal fatto che nonostante negli anni la mia famiglia abbia sempre esposto i festoni natalizi dietro la porta di casa, i signori condòmini del mio bizzarro e singolare palazzo che non rivolgevano il saluto prima di Natale, hanno proseguito a non farlo. La cosa più eclatante però è stata trovare, una volta rientrati a casa dopo un’uscita, le foglie della stella di Natale (che era esposta nel pianerottolo di casa) staccate dai rami e sparse sullo zerbino di casa. A quanto pare, più che aver suscitato simpatia, abbiamo favorito un atto di sfregio immotivato.

Una tesi che vorrei rielaborare da un’altra prospettiva è quella relativa all’equivalenza “persona che addobba in anticipo = persona felice”. Io non credo che si voglia comunicare proprio questo. Semmai, è simbolo di quanto bisogno ci sia di riacquistare serenità, che si finisce con il ricercarla in lucine e festoni, quasi fosse una soluzione terapeutica che finalmente, dopo un anno di frenesia, di monotona quotidianità e di dispiaceri, ci riporta alla realtà, intensificando i legami affettivi e familiari. Il problema però è che si tratta di un’illusione effimera e fugace, circoscritta alle vacanze natalizie destinate a finire nei primi di gennaio. Quest’inno alla gioia inoltre mette molto a disagio quelle persone che invece non riescono a manifestare queste stesse emozioni intrise di ottimismo in questo magico periodo dell’anno, perché si ritrovano a fare i conti con dei bilanci non necessariamente positivi per tutti, sui mesi passati. Ci si ricorda di quanto costruito, ma anche di ciò che si è perso. Se si vive soli e lontani da casa, Natale non è più lo stesso. In tempi di crisi, c’è chi non ha neanche la fortuna di sedersi a un cenone a mangiare come penseremmo fosse normale e scontato per tutti.

Secondo il pensiero di molti, a Natale la felicità dovrebbe essere contagiosa. I musoni e le facce malinconiche non sono ben accetti, quasi fosse una colpa. Eppure, esiste un fenomeno definito “Christmas Blues” che designa quelle persone investite da una sempre più diffusa tristezza che coincide con il clima di festività. Sono gli stessi amici o parenti che magari fingono di stare bene o di fare i regali di Natale con piacere. Io sono pro Christmas Blues e non biasimo chi si rispecchia in questo stato d’animo. “It’s okay not to be okay”. Che ben venga il dolore, se può diventare fonte di rinascita e di nuove consapevolezze, così come dovrebbe essere uno dei veri sensi del Natale.

Altra piaga poi sono i regali: ormai si sa, pubblicizzare il Natale è diventato anche uno scopo commerciale. I doni di Natale, se proprio dovete farli, fateli carichi di valore affettivo. Meglio così che privi di qualsiasi significato. Quelli fatti forzatamente vengono percepiti, sempre, e non vengono apprezzati già dal momento dello scarto. E poi, fate regali piccoli, che l’unica cosa grande che in varie forme desideriamo ma che non si può comprare, è la felicità, quella autentica però, non artificiale frutto di temporanei addobbi.

Il Natale insomma mette un po’ tutti a dura prova; è una ricorrenza controversa che spacca la società in due parti: chi lo ama e chi lo odia. In quest’ultima categoria di persone rientrano coloro che temono e ripudiano le tavolate. I momenti in cui le famiglie si riuniscono non solo possono riaccendere vecchi rancori e accentuare le attuali tensioni, ma spesso si tramutano in una serie di interrogatori da cui sembra una sfida uscirne vivi: “Ma il fidanzatino?” oppure “Quando ti laurei?” o ancora “Quando ti sposi?”, per finire con “Quando fate un figlio?”, e altre varie domande invadenti.

Effetti collaterali del Natale a parte, resta sicuramente una festività ricca di simbolismo e di spiritualità, da trascorrere con le persone che amiamo, senza obblighi o ansie. Concediamocelo almeno per due settimane. Facciamo una pausa, prendiamo un bel respiro, e ricominciamo a vivere, magari meglio di prima, la vita che desideriamo per il nostro bene, perseguendo i nostri sogni. Solo questo potrà ridonarci gioia. Questo è il mio augurio per voi lettori, studenti e non. Anche se a tratti posso essere risultata pessimista, in realtà il mio intento è di essere solo realista, con uno sguardo più fedele della realtà che possa raccontare l’altro lato delle feste, quello più scomodo e velato, troppo poco dibattuto.

 

Giusy Boccalatte

Foto di: Giulia Greco

Caporetto Management – Presentazione a Messina

Messina, Antonio Iannamorelli presenta il suo libro “Caporetto Management”

Il 3 dicembre alle 16,30, alla Feltrinelli Point di Messina, Antonio Iannamorelli, direttore di RETI ed esperto di comunicazione, lobbyng e public affairs, presenterà il suo libro “Caporetto Management – Dalla disfatta alla vittoria. La lezione di Armando Diaz per i manager moderni”.
L’evento, organizzato dalle associazioni universitarie Chirone e Articolo21, sarà moderato dalla dott.ssa Danila La Torre, cronista di Tempostretto, e vedrà gli interventi del dottor Giacomo D’Arrigo, ex direttore dell’Agenzia Nazionale Giovani, e del dottor Ivo Blandina, presidente della Camera di commercio di Messina.
In rappresentanza delle associazioni organizzatrici, interverranno Domenico Mazza ed Emanuele Bonfiglio.
L’opera di Iannamorelli, edita da Lupieditore e uscita nelle librerie in concomitanza con l’anniversario della fine della Grande Guerra e della vittoria dell’Italia nel conflitto, descrive la strategia del generale Diaz e del suo Stato maggiore, indirizzandola come esempio ai manager di oggi.

Ecco il link dell’evento su facebook: https://www.facebook.com/events/302543710598130/

Laura Faranda e Mosè Previti presentano e raccontano “Cocco”

Se volete trascorrere una domenica pomeriggio diversa dal solito all’insegna dell’arte, dello scambio di idee e di buon vino, non perdete il finissage con brindisi che si terrà alle 17:00 presso il nuovo studio d’arte contemporanea Cocco. Sarà l’ultima imperdibile occasione per visitare la mostra di Ezio Cicciarella, primo artista in programma, senza precedenti per la città di Messina, dove espone le sue opere per la prima volta, ma che vanta di un’esperienza significativa a livello nazionale e internazionale. Se siete curiosi appassionati d’arte, intenditori e non, esperti o meno, e volete rivolgere domande all’artista, oggi sarà possibile incontrarlo allo studio. Lasciatevi ispirare e affascinare e fidatevi del nostro consiglio! Noi di UniVersoMe ci siamo già stati e abbiamo conversato con i curatori dello studio d’arte: Laura Faranda e Mosè Previti. Di seguito vi riportiamo alcuni stralci di un’intervista doppia, un piacevole confronto plurimo, a 360°, su un’eterogeneità di temi, sull’arte (di vivere).

Una volta entrata nello studio mi dimentico del resto e di ciò che c’è fuori: vengo catapultata in un ambiente dal sapore innovativo e fresco, quasi esotico, ma al contempo elegante, raffinato e semplice. Provo quella percezione di bellezza, non solo estetica, ma anche morale, che a parer mio riscatta la parte negativa della messinesità e che mi fa venir voglia di dire: “è questa la Messina che mi piace e che vorrei venisse valorizzata sempre”. Condivido questa riflessione con Mosè e scopro che ha maturato un’idea un po’ diversa ma altrettanto interessante, che offre innumerevoli spunti di dialogo e che potrete conoscere continuando a leggere. Prima ancora di esternare questo mio pensiero però, nonostante una chiarezza di intenti emersa dall’osservazione delle sculture e dalla lettura del catalogo, la mia instancabile curiosità mi spinge a volerne sapere di più. Mi avvicino a Laura e a Mosè, che dimostrano fin da subito di essere felici e ben disposti a rispondere a una serie di mie domande incessanti, proprio come una bambina che chiede i perché di ogni cosa agli adulti. Alla fine ho l’impressione di averli sfiniti, ma loro non lo danno a vedere, anzi, mi invitano con estrema gentilezza a tornare per il prossimo autore in mostra: poveri loro che dovranno sopportarmi ancora!

Comincio quindi a chiedere….

La prima cosa che mi ha colpito è stata la scelta del nome: perché Cocco? Cosa ha a che fare con uno studio d’arte contemporanea?

La spiegazione a me l’hanno data, ma non ve la svelo. Il modo migliore per capirla è andare direttamente sul posto, osservare e guardarsi un po’ intorno…lo intuirete anche da soli se avete l’occhio clinico e attento.

Qual è la genesi del vostro progetto? Com’è nata l’idea e come si è evoluta?

Laura: questo spazio era lo studio legale di mio nonno. Invece di lasciarlo inutilizzato, ho pensato di trasformarlo in qualcos’altro, tramutandolo, con tanta perseveranza e determinazione, in ciò che è adesso: uno studio d’arte contemporanea. Ho concretizzato il mio sogno di realizzare un qualcosa di personale e indipendente, svincolato dalle imposizioni degli altri, scevro di limiti, in cui potessi liberamente decidere cosa fare delle mie competenze e della mia professione di critica e curatrice d’arte  (ho appena concluso un master in “Curatrice Museale e di Eventi” a Roma). Con la collaborazione di Mosè ho rivoluzionato le finalità del luogo pur mantenendo la struttura, gli elementi portanti, le stanze, le porte e i colori. L’ho trasformato coerentemente alle mie attitudini artistiche, rivalutando e dando un’altra forma a ciò che già c’era.

Il motivo che ti ha convinta a dire “Comincio”, senza esitazioni, l’energia e il motore che ti hanno portata a intraprendere questa strada quali sono stati? Non ti ha spaventata o messa in difficoltà la decisione di realizzare questo progetto in una realtà a volte destabilizzante e demotivante come quella di Messina?

Laura: avevo già maturato l’idea di voler costruire e costituire uno spazio tutto mio da tempo e non mi sono fatta intimorire da nulla perché ero risoluta su ciò che volevo fare. Non mi sono posta troppe domande. Se l’avessi fatto, non avrei mai iniziato. A volte è meglio agire d’istinto, grazie a energie e stimoli positivi e ottimisti. Nonostante sia stata una scelta ponderata e soppesata, ho agito spinta dall’impegno e dalla voglia di voler raggiungere un obiettivo con serenità, consapevole del fatto che non sarebbe stato facile, ma fiduciosa di poterci riuscire. E certamente non da sola. Volevo poter contare sull’aiuto di una persona fidata, di un amico che stimo e rispetto, anche lui critico d’arte. Per questo motivo, la persona che ho pensato come mio collaboratore è stata Mosè. Ti racconto l’aneddoto di quando gli presentai l’idea, che è stato molto simpatico e singolare: gli esposi il mio progetto e lui mi rispose subito: “è grandioso! Ti faccio i miei migliori auguri!”. Io gli risposi “no, guarda che non ci siamo capiti, io ti sto proponendo di collaborare”. A quel punto Mosè accettò e ci siamo imbarcati assieme in questa avventura, con spirito di squadra ed entusiasmo costante. Mosè è un vulcano esplosivo di idee.

Credi che una realtà come questa possa avere un riscontro efficace nella cittadinanza?

Laura: l’inaugurazione ha riscosso molto successo e riteniamo di poter affermare che la popolazione messinese abbia risposto positivamente a questa novità. Ci hanno visitati e sono stati nostri ospiti sia persone comuni sia artisti e professionisti del settore artistico. Hanno apprezzato la mostra e hanno manifestato reale interesse, non sono venuti per approfittare esclusivamente del rinfresco che abbiamo offerto, come la nostra mentalità ci porterebbe erroneamente a pensare.

Mi incuriosisce anche il titolo dato alla mostra: “La volta pietra”. Le sculture di Ezio Cicciarella hanno innescato in me sensazioni contrastanti, che immagino rispecchino e rappresentino il senso della sua concezione d’arte. Perché avete inaugurato proprio con lui?

Laura: Ezio incarna gli obiettivi che io e Mosè ci prefiggiamo di raggiungere attraverso lo studio d’arte: innovazione, distacco dalla tradizione, con uno sguardo attuale e moderno che abbia una radice conterranea siciliana, ma esteso a un orizzonte nazionale e internazionale. Ezio è originario di Vittoria (RG). Nonostante vanti esposizioni al Cairo, ad Amsterdam e New York e del contatto con personalità come Franco Sarnari e Vittorio Sgarbi, ha sempre mantenuto un atteggiamento genuino, autentico e umile, come la pietra che lui stesso lavora. Incessante lavoratore e ricercatore, con grande maestria, da un unico blocco di pietra riesce a ricavare effetti diversi applicando tecniche che gli consentono di lasciare una parte di pietra allo stato grezzo e un’altra finemente lavorata. Quest’ultima è rappresentata da fasce che sembrano avvolgere e opprimere la pietra. È proprio questo ossimoro a creare risultati sinuosi e paradossali, emblema “dell’eterna lotta tra spirito e materia”, come commenta Mosè nel catalogo. È stato proprio Mosè a suggerirmi il nome di Ezio, che aveva conosciuto in occasione della partecipazione al workshop internazionale “Trasformatorio”, svoltosi a Giampilieri Superiore (Messina). Abbiamo pensato di attribuire alla mostra il nome “La volta pietra” perché assume e acquisisce varie sfumature di significati: la prima accezione è riconducibile alla presenza delle volte alte del soffitto nello studio di Ezio a Vittoria; ma anche “quella volta, la pietra” e “in origine fu la pietra” che rimanda al suo passato di ragazzo che ha cominciato lavorando con i materiali del padre artigiano, e che ricorda di essere sempre con i piedi per terra pur culminando nella carriera artistica.

Adesso mi rivolgo a Mosè.

Credi sia coraggioso e controcorrente aver contribuito a dar vita a una realtà come questa in un contesto di cittadinanza in parte disinteressata incapace di rispettare i monumenti della città deturpandoli?

Mosè: non credo sia coraggioso, è semplicemente una necessità, un’esigenza. Non voglio essere insignito di riconoscimenti perché credo che il ruolo dell’artista e dell’intellettuale non sia quello di eroe, ma di persona che guida verso la ricerca e il recupero di un rapporto personale con le cose. Io ho deciso di restare e aiutare Laura perché sentivo di volerlo fare, ma non biasimo i giovani che se ne vanno altrove per trovare il proprio percorso. Se una città come Messina opprime e prosciuga tutte la voglia e la buona volontà di una persona, l’unica soluzione è andarsene e perseguire il diritto di essere felici. Io anche per un periodo di tempo mi sono formato in altri luoghi, ho viaggiato e il mio lavoro mi fa viaggiare, e queste sinergie con altri posti mi portano a crescere, ad esportare ciò che imparo e riconsegnarlo a Messina.

Non credi quindi nel ruolo di artista-intellettuale impegnato in prima linea in battaglie politiche e sociali?

Mosè: io ritengo che l’artista non si debba rivestire di battaglie patriottiche e non debba indossare vesti politiche, senza assumersi responsabilità di comunità che non gli competono. Il suo lavoro, come quello di tutti, non dovrebbe avere nient’altro di speciale se non inseguire le proprie passioni, credendo fermamente in ciò che fa, ricercando sensi e mettendo a disposizione degli altri la propria arte e il proprio sapere, vivendo e trasmettendo un’identità con le cose. Bisogna insegnare ad avere cura di ciò che ci circonda, del valore del nostro territorio, senza essere passivi, restando connessi con una realtà che sarebbe nostro dovere comprendere. L’arte trasmette disciplina, impegno, lavoro, sacrificio, dedizione e rispetto verso le cose.

Dopo aver condiviso con voi questa intervista illuminante, non mi resta che consigliarvi di andare in via F. Todaro, n. 22, per lasciare che anche le vostre menti si illuminino.

Ecco il link all’evento: https://www.facebook.com/events/345057139383244/

Giusy Boccalatte

 

Cellulari e cancro: verità o speculazione?

Tra articoli speculativi e dati scientifici sfuggenti, cerchiamo di fare chiarezza. 

È una questione estremamente attuale. Basti pensare al caso di Roberto Romeo, tecnico di un’azienda di telefonia italiana, al quale è stata riconosciuta dal Tribunale di Ivrea una rendita vitalizia da malattia professionale in seguito allo sviluppo di un neurinoma benigno del nervo acustico.
Il giudice ha infatti riconosciuto un nesso causale tra l’utilizzo prolungato del cellulare per lavoro e lo sviluppo del tumore, sulla base di una perizia che ha evidenziato un rischio di insorgenza di tale tumore più che raddoppiato negli utilizzatori di cellulari per circa 10 anni, anche per soli 16-32 minuti al giorno. E a questo processo ne sono seguiti altri analoghi, come quello di Alessandro Maurri a Firenze, conclusosi anch’esso con un’indennizzo di invalidità.

Se più tribunali hanno emesso sentenze del genere, non può trattarsi solo di semplici ipotesi o pressione mediatica. Quali sono dunque le evidenze scientifiche emerse?

Sta crescendo esponenzialmente il numero di studi condotti per chiarire il legame tra l’esposizione a RFR (radiazioni a radiofrequenze) emesse dai telefoni cellulari e i tumori.

Di recente si è conclusa una delle più importanti ricerche in merito, condotta dal National Toxicology Program (NTP), ramo di ricerca del National Institute of Environmental Health Sciences (NIEHS), istituto statunitense per la salute ambientale.
La ricerca ha usato come cavie 3 mila tra topi e ratti, è costata 30 milioni di dollari ed è durata oltre 10 anni. 

Il NTP, in collaborazione con istituti specializzati, ha stabilito il grado e le modalità ottimali di esposizione dei topi e ratti per simulare al meglio le condizioni alle quali siamo esposti.
Gli animali sono stati sottoposti a esposizione a RFR in modo intermittente, per intervalli di 10 minuti e pause della stessa durata, per 9 ore al giorno in totale. I livelli di RFR sono stati stabiliti in base al peso corporeo: da 1.5 a 6 Watt per chilogrammo nei ratti e da 2.5 a 10 Watt per chilogrammo nei topi.

Il tutto è avvenuto in delle particolari camere, costruite dal NIST e dalla IT’IS Foundation, importanti istituti di tecnologia, ideate appositamente per controllare in modo estremamente preciso il tasso di assorbimento specifico (SAR) delle radiazioni.

Gli studi sono stati condotti in più fasi: 

  • Esposizioni a breve termine, che hanno rivelato incrementi più o meno rilevanti della temperatura corporea.
  • Esposizioni a lungo termine per 28 giorni e per 2 anni, che hanno dato informazioni più rilevanti.

Le conclusioni dei ricercatori sono state alquanto controverse per decine di patologie; tuttavia alcuni dati importanti emergono dalle analisi statistiche:

  • Una riduzione del peso dei neonati partoriti da animali esposti.
  • L’incidenza incrementata tra il 2 e il 3 per cento dei gliomi maligni del cervello.
  • L’aumento tra il 5 e il 7 per cento di schwannomi maligni del cuore.
  • Un lieve ma statisticamente significativo incremento di feocromocitomi, tumori delle ghiandole surrenali.

Si tratta del primo studio che correla fortemente l’insorgenza di neoplasie con l’esposizione a RFR tipiche dei telefoni cellulari.
Inoltre i tumori al cuore e al cervello statisticamente incrementati somigliano per tipologia al neurinoma (o schwannoma) del nervo acustico. A tal proposito bisogna menzionare lo studio “Interphone”, condotto dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, che analizzando 5000 soggetti in 13 Paesi ha evidenziato come il rischio di neurinomi dell’acustico negli utilizzatori assidui di cellulari sia aumentato del 10%.
Tali risultati sono quindi in accordo con gli studi epidemiologici più recenti condotti sull’uomo.

Tuttavia, prima di lanciarsi in allarmismi, bisogna valutare i limiti della ricerca del NTP:

  • Gli animali sono stati esposti alle RFR su tutta la superficie corporea con la stessa intensità, mentre l’uomo è esposto più intensamente in punti precisi.
  • I livelli e i tempi di esposizione sono stati proporzionalmente maggiori di quelli a cui siamo soggetti giornalmente.
  • Gli animali colpiti sono stati soprattutto i ratti rispetto ai topi, di cui prevalentemente i maschi rispetto alle femmine; le ragioni di questa sproporzione non sono del tutto chiare.

Inoltre le RFR in esame corrispondono a emissioni utilizzate fino alle tecnologie 2G e 3G; questi tipi di RFR vengono ormai emesse solo durante le chiamate o l’invio di messaggi, ovvero per una piccola parte dell’utilizzo dei dispositivi cellulari. Le attuali reti 4G, 4G-LTE, Wi-Fi e 5G (in arrivo nel 2020), utilizzano emissioni troppo diverse per essere incluse nello studio, e si presume siano meno penetranti delle precedenti. 

Questi limiti non rendono meno affidabile lo studio, specialmente per le persone esposte per molti anni alle RFR di vecchi cellulari, ma mettono in evidenza la necessità di studi più approfonditi.
Nel frattempo l’AIRC, Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro, e l’AIOM, Associazione Italiana di Oncologia Medica, negano qualsivoglia nesso causale diretto, sottolineando la difficoltà di affidarsi alle statistiche degli studi condotti sull’uomo, date le numerose variabili confondenti, quali stile di vita e luogo di abitazione, e le modalità delle ricerche, spesso retrospettive e basate su questionari.

Malgrado le insufficienti certezze scientifiche, c’è tuttavia un accordo unanime della comunità scientifica nel consigliare di limitare l’utilizzo del cellulare, di non tenerlo accanto durante la notte, né in tasca (per problemi verificati di fertilità maschile), nonché di utilizzare auricolari durante le telefonate così da aumentare le distanze (anche soli 5 centimetri di distanza possono ridurre l’esposizione a RFR di 25 volte!).

Per concludere, in attesa dei risultati di nuovi studi già programmati e in atto, nella bilancia tra rischi e attenuanti c’è un equilibrio precario che attende ancora di essere perturbato.
Nel mentre, adottare semplici misure preventive non può che far bene.

Davide Arrigo

 

Fonti:

https://ntp.niehs.nih.gov/results/areas/cellphones/index.html
https://www.niehs.nih.gov/news/newsroom/releases/2018/november9/index.cfm
https://onlinelibrary.wiley.com/doi/pdf/10.1002/bem.22116
https://www.biorxiv.org/content/biorxiv/early/2018/02/01/055699.full.pdf