Conclave: un thriller filosofico-politico sulle debolezze umane

Conclave, un un thriller filosofico e politico sulle debolezze umane. Voto UVM: 5/5

Il regista tedesco Edward Berger, dopo il successo di Niente di nuovo sul fronte occidentale, torna a raccontare l’essere umano e le sue debolezze. Ma se nella pellicola vincitrice di 4 Oscar, la guerra faceva da sfondo, in Conclave è il mondo ecclesiastico ad essere protagonista.

Morto un Papa…

La sede pontificia è vacante, il Papa è morto e i cardinali devono riunirsi il più presto possibile in conclave per eleggere il nuovo pontefice. Ad assicurarsi che tutto proceda secondo la volontà di Dio è il Decano britannico Thomas Lawrence, che presto si renderà conto di quanto ben poco di divino ci possa essere dentro un conclave. A contendersi la guida del Vaticano ci sono diversi cardinali, tutti espressione di una diversa visione della Chiesa. L’italiano ultraconservatore Goffredo Tedesco, il progressista Aldo Bellini, l’africano Joshua Adeneya e l’americano Trembley sono i pretendenti al sacro scranno papale. Sullo sfondo anche lo sconosciuto cardinale sudamericano Vincent Benitez, ordinato in pectore dal Papa in persona mentre era in istanza a Kabul.

Conclave Regia: Edward Berger Distribuzione: Eagle Pictures

Conclave: uno scontro umano e politico

Berger, nell’adattamento del romanzo da cui è tratta la sua pellicola, non risparmia pesanti critiche alla Chiesa. In un contesto sociale in subbuglio, in una Roma assediata dalle bombe, il regista tedesco ci racconta di un conclave animato da strategie politiche e visioni contrastanti. Alcuni cardinali sono pronti a tutto pur di diventare Papa, e il Decano Thomas Lawrence interpretato magistralmente da Ralph Fiennes si troverà ben presto a dover fare i conti con una realtà fatta di essere umani. E come ogni essere umano, anche i cardinali non mancano di segreti, di pensieri e di peccati. D’altronde il papato è anche una figura politica, e i cardinali fanno politica in nome della loro visione di Dio e della Chiesa. Conclave non perde occasione per mostrare i conflitti e le contraddizioni dei cardinali e nel farlo ci pone spesso dei quesiti filosofici.

Quale futuro per la Chiesa?

Ad essere conteso non è solo il ruolo di Papa, ma è anche e soprattutto il futuro della Chiesa. Conclave infatti ci racconta lo scontro filosofico e teologico che da secoli coinvolge la Chiesa e che nel nostro secolo sembra più forte che mai. I fedeli diminuiscono sempre di più, lo scontro di religioni ha raggiunto Roma e i cambiamenti sociali che investono la società non possono più essere ignorati. Quale futuro allora per la Chiesa? Ritornare ad un passato conservatore di protezione o aprirsi alla società contemporanea e ai suoi cambiamenti? Il susseguirsi della votazione e delle fumate nere portano con sé un crescendo di tensione emotiva che tiene il fiato sospeso.

Un cast eccezionale che muove la pellicola

La forza di Conclave sta tutta nel suo eccezionale cast. Accanto ad un magistrale Ralph Fiennes, troviamo Stanley Tucci che interpreta il cardinale progressista Bellini e Sergio Castellitto che dà vita al cardinale italiano ultraconservatore Tedesco. John Litgow nei panni del cardinale Trembley e Isabella Rossellini nei panni di suor Agnes completa un cast d’eccezione che muove e che dà forza alla pellicola di Berger. Sono infatti le interpretazioni a caratterizzare umanamente i cardinali e loro idee e a mostrarci la loro visione della Chiesa. Il contrasto e il confronto nel conclave sono prima di tutto umani, e le varie interpretazioni si muovono all’unisono convincendo e creando quella tensione emotiva che accompagna tutta la pellicola.

Conclave Regia: Edward Berger Distribuzione: Eagle Pictures

Conclave, un finale forse troppo politically correct

Come in Niente di nuovo sul Fronte Occidentale, anche in Conclave il reparto tecnico è eccezionale. Una splendida fotografia e una potente colonna sonora evocativa accompagnano lo spettatore tra i corridoi vaticani e nelle riflessioni dei cardinali. Ancora una volta Berger non lascia niente al caso realizzando un’opera che sul piano tecnico è quasi magistrale. Ma se sul lato tecnico la pellicola non ammette alcuna critica, la scrittura del film è forse la parte dove il regista avrebbe potuto osare di più. Scegliendo di rimanere fedele all’opera letterale da cui è tratta la sceneggiatura, Berger confeziona un finale forse fin troppo politically correte dove manca il coraggio di osare con la stessa forza con la quale è mossa la critica alla Chiesa.

Un thriller filosofico e politico che convince

Nel complesso Conclave è un thriller filosofico e politico che convince. Tra misteri e segreti le solide interpretazioni e la storia raccontata creano una tensione emotiva continua nello spettatore e creano numerosi quesiti filosofici al cui sicuramente ciascuno darà una propria risposta. La pellicola di Berger, pur schierandosi apertamente in una critica non troppo moderata verso gli esseri umani che reggono la Chiesa, non cade nella facile demonizzazione della stessa mostrandoci che al suo interno ci sono diverse scuole di pensiero. Sta poi allo spettatore decidere quale abbracciare, tenendo sempre presente che le divisioni non portano mai a nulla di positivo.

 

Francesco Pio Magazzù

Il bosco

Il bimbo tornava a casa con lo zaino in spalle. L’aria era fredda e secca, il vento soffiava, le foglie cadevano. Gli alberi erano rossi e lui scalciava le foglie mentre camminava. Tornava a casa dopo scuola, in un pomeriggio dove il sole stava piano piano calando e le ombre si allungavano.
Arrivato a casa entrò subitoin camera per gettare a terra lo zaino e buttarsi a letto. Restò a faccia in giù sul materasso per qualche secondo e poi alzò lo sguardo lasciando andare un sospiro: sopra il suo letto stava una mensola con i vecchi libri di suo nonno. Prese il suo preferito, un piccolo racconto d’avventura dove i protagonisti erano trasportati su un’isola nel mezzo all’oceano. Lo aprì su un’illustrazione di un gigantesco mostro, il corpo ricoperto di piume sgargianti, le fauci aperte su denti enormi e giallastri.
Il bambino sentì un rumore alla finestra. Si girò e vide una bambina che lo salutava dall’altra parte. Aveva addosso un maglione ed una sciarpa rossi, lunghi capelli neri, ed un sorriso sgargiante. La guardò con un interesse che sapeva non essere normale e andò ad aprire le ante. “Ciao, ti va di venire con me?” gli chiese. “Dove vuoi andare?” gli rispose il ragazzino. La bimba indicò dietro in alto alla sua destra “Andiamo lì, guarda”, e andò via indicandogli di seguirla.
Il bimbo saltò dalla finestra e si mise ad inseguirla. All’inizio le camminava dietro, ma lei aumentava il passo andando. Si girò indietro e lo guardo sempre sorridendo, “Avanti stammi dietro!” e si mise a correre. “Dove stiamo andando?” “L’albero in cima alla collina” rispose lei col fiatone e guardandolo adesso con gli occhi spalancati.
Avevano superato il prato e adesso si trovarono davanti all’inizio del bosco che saliva sulla collina. “Aspettami!” esclamò lui, e si fermò a riprendere fiato. Il bosco lo avevo sempre guardato da lontano, chiedendosi cosa ci fosse lì dentro: ogni tanto vedeva uno stormo uscire da quegli alberi e si chiedeva sempre se fosse le casa di quelli uccelli e di chissà cos’altro. “Vieni dobbiamo arrivare in alto, manca ancora tanto” gli esclamò da dietro il sottobosco la bambina. Alzò lo sguardo e la vide lì in fondo, ad aspettarlo, con la sciarpa impigliata in un ramo, il viso arrossato e il fiato corto.
Salì verso di lei calpestando le piante per farsi spazio. Appena passò il primo tronco qualunque rumore esterno si fece opaco. Adesso percepiva dei rumori tra gli alberi, appena udibili ma chiari e presenti nella sua mente.
La bambina gli venne incontro correndo, lasciando sul ramo la sciarpa senza accorgersene. “Vieni dai, che aspetti!” gli disse prendendolo per la mano e trascinandolo con sé. Lui la seguì inciampando parecchie volte sulle pietre e spezzando le piante che aveva davanti. Anche l’aria adesso era piena e la luce che proveniva da sopra gli alberi colpiva le foglie in maniera strana dandogli un verde che lui credeva di non aver mai visto.
Si fermarono di colpo, con lei che teneva gli occhi sbarrati e si portava l’indice alle labbra. Si guardò intorno e lo guardò sorridendo a bocca aperta: “Senti?” gli chiese. Si fermò e ascoltò anche lui: era un suono basso in lontananza, tanti esseri che si muovevano. “Sono oltre il picco, possiamo vederli se arriviamo in cima” disse lei e si precipitò via lasciandolo indietro.
Questa volta faticò a starle dietro, lei correva senza preoccuparsi più di nulla, saltando a piè pari i tronchi. Mentre si avvicinavano alla cima la boscaglia si faceva più rada ed un vento freddo aveva cominciato a farsi sentire.
L’albero era solitario lassù, lasciato in pace dagli altri, svettava su tutto. Le foglie di un verde dorato venivano mosse dal vento, le radici sbucavano dal terreno mentre il bimbo saliva. La bambina era già in cima e si sbracciava chiamandolo: “Dai vieni veloce, vieni a vedere prima che vadano via”. Lui le corse in contro, ora eccitato: uno strano odore proveniva dal gigantesco albero che, dolce e pungente, gli riempiva i sensi. Arrivato in cima la bimba andò dal lato opposto del tronco, lui la seguì e insieme guardarono giù: una mandria di animali pascolava nella vallata sotto di loro, i corpi lunghi e pesanti trascinati piano piano dalle loro zampe. Erano quadrupedi, con un lungo collo da cui sporgevano delle sacche che sembravano gonfiarsi col loro respiro. Dal capo fino alla punta della lunga coda erano ricoperti di sottili piume, che colpite dal sole variavano dal verde ad un giallo caldo; alcuni erano avevano tonalità più scure, altri quasi si confondevano con l’erba. Uno di questi animali alzò il collo e barrì profondamente: il bimbo lo sentì forte e chiaro da quella distanza e sentiva che se fosse stato più vicino gli sarebbe risuonato nelle ossa. L’animale cambiò direzione e si allontanò nella direzione opposta a quella da cui lo guardavano i due seduti adesso accanto al tronco sul colle: fu seguito mano a mano anche dagli altri.
Il bimbo guardò lontano e vide alla sua destra che la valle che stava osservando andava a finire verso un mare che non aveva mai saputo essere lì. Vedeva appena la spiaggia da lì lontano, ma scorse un gruppo di animali muoversi laggiù e prendere il volo subito dopo. Venivano verso di lui, probabilmente avrebbero attraversato il bosco che aveva appena passato. “Non c’era tutto questo” si ritrovò a dire senza rivolgersi a nessuno, poi guardò la bambina: i suoi occhi erano verdi e dentro la sua iride sembrava scorrere qualcosa che gli faceva cambiare colore, come un fiume che lento si muove. Il bambino la guardò meravigliato e spaventato allo stesso tempo, lei gli sorrise e portò di nuovo lo sguardo lontano oltre l’altura su cui si trovavano. “Bello vero?” disse lei.

 

Matteo Mangano

Tropico Del Capricorno, la vacanza mondana di Guè.

Un Album non esaltante, ma comunque posizionato bene tra gli ultimi successi di Guè. Voto UVM 3/5

Esce oggi l’ultimo progetto discografico del rapper Guè, Tropico Del Capricorno, titolo che fa subito pensare al freddo e alla stagione in cui siamo ormai inoltrati. Ci ha voluto, forse, il gentleman del rap introdurre alla sua vacanza invernale?

Il vento dell’Inverno

Veniamo da una serie di album pregni di gangsta-rap e barre distribuite magistralmente su basi old-style create ad’opera d’arte che sono riuscite a risultare sempre accattivanti e attuali. Già da prima dell’annuncio, Guè ci aveva lasciato con grandissime aspettative sul prossimo progetto solista dopo il grande ritorno con i Dogo. Copertina e titolo non hanno potuto far da meno, un titolo e una grafica di un’eleganza imponente.

Tropico Del Capricorno. Copyright: Universal

Tropico Del Capricorno: featurings e brani

Guardando la tracklist troviamo diversi nomi, riconfermati come alcune delle collaborazioni preferite del rapper, da Rose Villain, a Geolier, Ernia e Frah Quintale, e altre sperimentali a dir poco inaudite. Possiamo trovare Artie 5ive, Ele A, Tormento, Chiello. Sembra strano trovare questi featurings variegati, sapendo che non si tratti di un producer album. Esso è un segno evidente di come a Cosimo Fini non sia importato questa volta di seguire al 100% la stessa strategia creativa degli ultimi successi, lasciando spazio a diversi sound della scena attuale italiana. I titoli delle canzoni lasciano intendere che l’album sia più che altro incentrato sul rapporto con il femminile, ovviamente mondano, del rapper. Oltre alla presenza extra di un nuovo capitolo della serie di brani intitolati La G, La U, La E.

In Svizzera con Guè

All’avvio dell’album siamo accolti da nientedimeno che un sample di Pino Daniele, che sembra cadere a fagiolo a commemorare il bluesman napoletano, quest’anno il decimo dalla scomparsa. Oh Mamma Mia è l’inizio della festa a cui Guè ci ha invitati, e per tutto l’album sentiamo il motivo per cui non siamo a sorseggiare Batida de Coco al tropico del Cancro, ma siamo a Ginevra o a Monaco in qualche casinò. Ascoltare le basi dell’album è come lasciare la finestra del casinò socchiusa mentre fuori c’è la tormenta, e ovviamente in sala Guè si fa versare il brandy on the rocks da tre o quattro tipe a tempo di cassa e rullante.

La riconferma dell’Old School anche in Tropico

La presenza degli scratchs non è da sottovalutare. Guè è abbastanza imprevedibile sulla scelta del tipo di base, avendo sempre alternato produzioni completamente moderne ad altre che si affidavano più al boom-bap come negli ultimi album. La scelta di mantenere questi abbellimenti, e lasciare spazio ai deejays, è sempre ben accolta da tutti i fan, ormai. Alcuni brani, specie Nei tuoi Skinny con Frahriprendendo sound ancora più vecchi dei sample anni 80 e 90 delle altre canzoni, forse anni 50 addirittura, ci fanno sognare e riportare ai primi lavori dei dogo ed anche alla fase più rap-reggae del gruppo, costituendo un gran bel viaggione sonoro.

Giusto il paragone con gli altri album?

Dopo aver concluso l’ascolto possiamo sommariamente dire che Tropico del Capricorno sia sicuramente un album meno potente rispetto a un Madreperla o un Fastlife, o a un Guesus, ma sicuramente lontano dall’oblio lirico che ha colpito il nostro Gentleman circa 10 anni fa. E’ probabile che Guè volesse prendersi una pausa dalla scrittura impegnata degli ultimi anni, comprensibile dopotutto. Tropico del Capricorno resta dunque un buon progetto, da ascoltare per staccare la mente dalla tormenta che c’è fuori.

 

Giovanni Calabrò

 

Grendizer U: un ritorno in pompa magna

Grendizer U debutta in Italia coi primi quattro episodi. Voto UVM: 4/5

Era il lontano 1975 quando, dal Giappone, arrivò sugli schermi italiani un personaggio destinato a diventare un simbolo per un’intera generazione: UFO Robot Grendizer, in Italia meglio noto come “Goldrake“. Oggi, a distanza di cinquant’anni, quello stesso personaggio ritorna in tv con una nuova serie remake del 2024, prodotta dallo studio Gaina e adattata in italiano dalla Rai, intitotolata Grendizer U. Diamo quindi il bentornato a Duke Fleed, principe del pianeta Fleed, e al suo leggendario robot.

Le origini di Grendizer

Sebbene UFO Robot sia stato uno dei primi anime (ossia i cartoni giapponesi) a venire trasmesso in Italia, esso è, in verità, la conclusione di una lunga trilogia, iniziata pochi anni prima con un’altra serie divenuta iconica, Mazinga Z, e proseguita poi con Il Grande Mazinga; tutti e tre questi robot sono stati partoriti dalla mente di un autore storico per gli appassionati di fumetti e serie giapponesi, ossia il maestro Go Nagai, creatore di serie e personaggi che hanno fatto la storia dei manga e degli anime (come Devilman, una delle sue opere più famose). Con questo trittico di eroi, il maestro Nagai riuscì a creare un intero filone narrativo, destinato a trovare fortuna nei due decenni successivi: sono i cosiddetti “super-robot“, termine col quale si indicano quelle storie in cui una potente macchina difende l’umanità dagli attacchi di giganteschi mostri.

Il maestro Nagai e Grendizer
Il maestro Nagai e Goldrake- fonte: Corriere della Sera

La trama originale…

La storia originale di Grendizer è in realtà molto semplice: Duke Fleed, principe del pianeta Fleed, scappa dalla sua patria, devastata dalle malvagie armate del Re Vega. Nella fuga, il principe esule porterà con sé una formidabile arma, sulla quale le armate di Vega volevano mettere le mani per soggiogare l’intero universo: il temibile robot chiamato Grendizer. Nel suo viaggio tra le stelle, Duke si schianterà sulla terra, dove sarà adottato dal professor Umon (o dottor Procton, nell’adattamento italiano), dirittore di un centro di ricerche sullo spazio. Tuttavia, le armate di Vega troveranno Duke, che ora si fa chiamare Daisuke Umon (Actarus, per noi italiani), e questi sarà costretto, suo malgrado, a tornare ai comandi del potente robot; ma questa volta non sarà solo nello scontro, perché verrà affiancato da Koji Kabuto (adattato in Alcor), già pilota di Mazinga Z, da Hikaru Makiba (Venusia), e dalla sorella ritenuta dispersa, Maria Fleed, la quale entrerà in scena solo in un secondo momento.

La quadra di eroi di Grendizer U
Il team di eroi di Grendizer U- fonte: Wikipedia

…e la trama reinventata

Grendizer U riprende le stesse premesse della serie originale, ma gioca con esse, le reinventa. La serie remake sostituisce il vecchio impianto narrativo, basato sullo schema del “mostro della settimana”, nel quale ogni episodio era sostanzialmente autoconclusivo, e ci presenta una trama lineare con forte continuità narrativa. I ruoli di alcuni personaggi sono radicalmente cambiati: Hikaru, ad esempio, nella serie originale era la giovane figlia di un proprietario di un ranch, mentre ora è la sacerdotessa di alcune misteriose rovine che sembrano legate a Grendizer; il robot stesso, qui, non è più una semplice macchina particolarmente potente, ma è un autentico dio, il “nume tutelare del pianeta Fleed”, come dicono Duke e altri personaggi. Inoltre, scopriamo che proprio Duke è, suo malgrado, l’involontario responsabile della distruzione del suo pianeta, e il protagonista sente, come anche nella serie originale, tutto il senso di colpa per essere stato l’autore del disastro; così facendo, Grendizer U presenta una mitologia tutta nuova che orbita intorno al potente robot, ma questa ha al suo cuore un tema già presente in altre opere di Nagai: la possibilità, per l’uomo, di diventare dio o demone, dicotomia intorno alla quale ruota la storia di Mazinga Z, di Devilman, ed altre.                                                                                                                                                     Ma la serie non si limita a reinventare personaggi già noti, anzi ne aggiunge di nuovi, andandoli a riprendere da altre versioni di Grendizer: è un esempio la principessa Rubina, promessa sposa di Duke, che altri non è se non la principessa Teronna del mediometraggio UFO Robot Gattaiger, una “forma embrionale” di Goldrake.

Grendizer distrugge il pianeta Fleed
Grendizer, fuori controllo, distrugge Fleed- fonte: Rai 2

Il design

Anche il design è stato modificato e aggiornato, pur restando fedele ai modelli originali. I personaggi umani o umanoidi sono slanciati, mentre il robot è magnifico nel suo aspetto. Alto e massiccio, trasmette quella sensazione di potenza e reverenziale timore che si addice a un “nume tutelare”.

Il potente Grendizer
Grendizer sfoggia un rinnovato aspetto che incute timore- fonte: MegaNerd.it

I primi quattro episodi

Lunedì sei gennaio, alle nove e venti di sera, sono andati in onda i primi quattro episodi adattati e tradotti in italiano. A portare la serie in Italia è stata, come già nel 1975, la Rai. Queste prime puntante fungono da introduzione alla storia, presentano i personaggi principali e i primi scontri tra robot. Bisogna dire, purtroppo, che la qualità delle animazioni non è sempre al meglio, pur restando molto valida. Nel complesso, la serie merita una possibilità. Sia da parte degli affezionati sia di chi non si è mai avvicinato a questo affascinante universo narrativo.

Interstellar: un Trattato sull’Amore che va oltre Spazio e Tempo

Interstellar, il capolavoro fantascientifico di Christopher Nolan è un’opera amata e odiata, tanto divisiva quanto agglomerante. Ormai divenuta iconica per la sua colonna sonora e per i suoi intrecci temporali, la pellicola di Nolan da sempre mette a dura prova lo spettatore. Viaggi nel tempo, tesserati e buchi neri creano una difficoltà oggettiva nel comprendere fino in fondo una scienza che trascende la realtà che oggi conosciamo. Ma Interstellar è qualcosa di più di un film di fantascienza, è una riflessione sulla complessità dell’essere umano ed un trattato su di una delle forze più complesse che muovono l’agire umano oltre lo spazio e il tempo: l’amore.

Un’umanità ormai esausta

Interstellar ci racconta un mondo ormai esausto. In un futuro non ben definito, polvere ed incertezza sono tutto ciò che rimane ad un’umanità stanca e rassegnata ad una vita che presto cesserà. Ma la speranza non è del tutto perduta, degli uomini di scienza stanno cercando in gran segreto una soluzione che possa dare un nuovo futuro al genere umano. Il protagonista Cooper, interpretato da Matthew McConaughey, si unisce a questa ricerca dovendo ben presto affrontare uno dei dilemmi che da sempre incontra l’essere umano. Restare ed agire egoisticamente nei confronti dell’intera umanità assecondando l’amore verso i suoi affetti, come gli chiede la figlia Murphy dopo aver letto il messaggio del suo fantasma, o andare nello spazio profondo per amore di chi ama con la promessa di ritornare.

In Interstellar il fallimento è della ragione

In un’opera come Interstellar dove la scienza è alla base del tutto, è proprio la ragione a fallire. L’uomo più brillante della terra, il professor Brand, non riesce a risolvere l’equazione gravitazionale necessaria per salvare l’intera umanità. Il dottor Mann, il migliore tra gli uomini di scienza mandati nello spazio a cercare una nuova casa, cede alla paura e all’angoscia. Anche Cooper alla fine fallisce ma decide di sacrificarsi per permettere alla dottoressa Brand di raggiungere il pianeta di Edmunds. E Il fallimento della ragione porta l’uomo alla menzogna, la più tipica delle reazioni umane. Ma mentre la ragione e gli uomini di scienza falliscono, l’amore resiste alle distorsioni dello spazio e al tempo e diventa la chiave del tutto.

Interstellar Regia: Christopher Nolan Distribuzione: Warner Bros. Pictures

“L’amore è l’unica cosa che riusciamo a percepire che trascenda dalle dimensioni di tempo e spazio” (Amelia Brand, Interstellar)

In Interstellar è l’amore la vera forza che muove l’agire umano. Ed è la stessa dottoressa Brand (Anne Hathaway), donna di scienza, a ricordare a Cooper l’importanza dell’amore. Una forza non quantificabile, che trascende lo spazio e il tempo, che ci lega a persone lontane anni luce e che supera indenne le distorsioni del buco nero Gargantua. Ed è lo stesso amore a dire ad Amelia di spingersi a ragione fino al pianeta di Edmunds, l’uomo che ama, ed ignorare dati scientifici (rilevatisi falsi) del dottor Mann. Ma ancora una volta la ragione porta la missione verso il fallimento ma sarà l’amore, quello di un padre verso la figlia e quello di una figlia verso il padre, a dare le risposte che la ragione umana non riesce ancora a dare.

“Resta!”

La più grande dimostrazione della forza dell’amore che Interstellar racconta è il legame tra Cooper a sua figlia Murphy. Quando Cooper sceglie di partire per il viaggio interstellare, dandosi dal futuro le indicazioni per raggiungere ciò che resta della Nasa, Murphy è solo una bambina. E come ogni bambina fatica a capire il senso delle scelte razionali del padre, l’amore puro e candido che la lega al padre non le permette di capire l’importanza della missione. Ad alimentare le sue paure c’è anche il messaggio del fantasma che sembra infestare la sua stanza che, grazie alla gravità le comunica un messaggio semplice quanto diretto: Resta!”. Ma il fantasma è proprio Cooper che, disperato per il fallimento della sua missione, chiede al se stesso del passato di restare con chi ama.

nterstellarRegia: Christopher Nolan Distribuzione: Warner Bros. Pictures
Interstellar Regia: Christopher Nolan Distribuzione: Warner Bros. Pictures

“Non andartene docile in quella buona notte, infuria contro il morire della luce”

Quando tutto sembra ormai perduto, quando Cooper sceglie di abbandonarsi a Gargantua per alleggerire il peso della navicella che porterà la dottoressa Brand sul pianeta di Edmunds, succede l’inaspettato. Cooper si ritrova dentro un tesserato frutto della ragione e della scienza, una struttura a quattro dimensioni (la quarta è il tempo), che rappresenta la libreria della camera da letto di Murphy in tutti i momenti della sua vita. Chi ha creato questa struttura, gli stessi esseri del futuro che hanno posizionato il wormhole, sanno che Murphy è e sarà colei che salverà l’umanità. Ma per salvare l’umanità la Murphy adulta del presente necessita i dati del buco nero per risolvere l’equazione gravitazionale. Dati che solo Cooper può trasmettere alla figlia e che solo grazie all’amore può comprenderne il significato.

È l’amore la chiave di Interstellar 

Dove la ragione e la scienza non possono dare una risposta, l’amore emerge in tutta la sua forza. L’amore verso il padre e la promessa di tornare fatta da Cooper alla figlia, permette a Murphy di capire che il fantasma è sempre stato suo padre. I movimenti dell’orologio diventano dati e numeri, tutto improvvisamente ha senso. Ma il tesserato, la struttura frutto della ragione e della scienza degli esseri del futuro sarebbe stata inutile senza ciò che lega Cooper e Murphy. E infatti, quando Cooper riesce a tornare dalla figlia dopo ben 90 anni (terrestri) dalla partenza, Murphy confessa che sapeva che sarebbe tornato perché il suo papà glielo aveva promesso.

 

InterstellarRegia: Christopher Nolan Distribuzione: Warner Bros. Pictures
Interstellar Regia: Christopher Nolan Distribuzione: Warner Bros. Pictures

Interstellar, un trattato sull’amore 

Ciò che fa Nolan con Interstellar è qualcosa di molto coraggioso. Utilizzando il viaggio spazio-temporale e la fantascienza ci ricorda dell’importanza dell’amore e che probabilmente, quando ci sentiamo perduti, quando la ragione sembra abbandonarci dovremmo dare fiducia all’amore. Non importa se sia l’amore di due amanti, se sia l’amore tra un padre e una figlia, ciò che conta davvero è che questa forza primordiale dentro di noi ha un significato profondo. Ed è per questo che Interstellar è la più umana delle opere, ed è per questo che questa pellicola è un bellissimo trattato sull’amore.

 

Francesco Pio Magazzù

Diamanti: il nuovo Gioiello firmato Ferzan Özpetek

Il 19 Dicembre è arrivato nelle sale l’ultimo attesissimo lavoro del regista turco Ferzan Özpetek, Diamanti, a solo un anno di distanza dal precedente, Nuovo Olimpo, in collaborazione con Netflix. Un film tanto atteso oltre che per un cast meraviglioso anche per Ozpetek diverso dal solito, dedito ad omaggiare la creatività femminile e il cinema mettendo sottosopra la società. 

Trama

Anni ’70, Alberta (Luisa Ranieri) e Gabriella Canova (Jasmine Trinca) sono le proprietarie di una sartoria cinematografica e teatrale a Roma. Le due sorelle sono affiancate da un gruppo di lavoro formato quasi esclusivamente da donne: Fausta (Geppi Cucciari), Eleonora (Lunetta Savino), Giuseppina (Sara Bosi), Nicoletta (Milena Mancini) e Nina, (Paola Minaccioni) la capo sarta. Oltre ai tre film in preparazione, iniziano una collaborazione con una costumista premio Oscar, Bianca Vega (Vanessa Scalera), incaricata di preparare i costumi per il film di un regista, anch’esso premio Oscar (interpretato da Stefano Accorsi). In sartoria lavorano anche Carlotta (Nicole Grimaudo), la tingitrice, e Silvana (Mara Venier), la cuoca. Durante la fase di lavorazione si vanno a conoscere queste donne, ognuna con la propria storia, fatta di fatica e di sacrificio.

Alberta (Luisa Ranieri) e Gabriella Canova (Jasmine Trinca)Fonte: The Space Cinema
Fonte: The Space Cinema

I 18 Diamanti

Per il suo quindicesimo lungometraggio, Özpetek  ha valuto fare le cose in grande. Prodotto da Marco Belardi e distribuito dalla Vision Distribution, il film, basato su alcune esperienze autobiografiche del regista, presenta un cast d’eccezione, composto da ben 18 attrici, alcune delle quali presenti in altri suoi film: Paola Minaccioni e Loredana Cannata sono arrivate alla sesta collaborazione; Milena Vukotic, Elena Sofia Ricci e Luisa Ranieri (che abbiamo visto negli scorsi mesi al cinema anche con Parthenope di Paolo Sorrentino e Modì di Johnny Depp) alla quarta; Jasmine Trinca, Lunetta Savino, Anna Ferzetti e Nicole Grimaudo alla terza; Carla Signoris e Kasia Smutniak alla seconda. Nuove collaborazioni, come Vanessa Scalera (arrivata al successo grazie alla fiction di Rai 1 Imma Tataranni – Sostituto Procuratore), Milena Mancini, Gisella Volodi (che ha collaborato con  Woody Allen e Wes Anderson) e Geppi Cucciari, inserita dal regista nel cast tre settimane dopo la chiusura).

Sorprese e Garanzie

Inoltre in questo cast straordinario troviamo due nuove leve del cinema italiano, Sara Bosi (scoperta dal regista presso L’Oltarno, l’Accademia di alta formazione del mestiere dell’attore a Firenze) e Aurora Giovinazzo (che abbiamo visto recentemente al cinema con Eterno Visionario diretta da Michele Placido), e la zia Mara Venier (che torna sul grande schermo dopo anni dedicati esclusivamente alla conduzione). Infine non possiamo non citare Stefano Accorsi (che con l’interpretazione del regista premio Oscar Lorenzo è arrivato alla sua collaborazione con Özpetek), Luca Barbarossa (cantautore e conduttore radiofonico, qui nei panni di Lucio, marito di Gabriella), Carmine Recano (conosciuto anche per il ruolo del comandante Massimo in Mare Fuori) e Edoardo Purgatori (conosciuto per il ruolo di Emiliano nella fiction storica di Rai 1 Un medico in famiglia)

Fonte: My Movies
Fonte: My Movies

Altri Contributi

Non mancano presenze importanti anche dal punto di vista musicale. A rendere ancora più magico il film non sono solo le musiche di Giuliano Taviani e Carmelo Travia ma anche tre voci straordinarie. Le abbiamo già visto in altri film del regista: Mina (con Mi sei scoppiato dentro al cuore e L’amore vero), Patty Pravo (con Gli occhi dell’amore) e Giorgia (con Diamanti che accompagna i titoli di coda). Proprio la prima ha suggerito al regista turco il titolo del film attraverso la seguente frase:

“Il diamante è quello che resiste a tutto, come le donne” 

 

Fonte: Style Magazine – Corriere della sera
Fonte: Style Magazine – Corriere della sera

Diamanti oscilla tra riflessione ed emozione

Daiamanti è un film che, per molti aspetti, si contrddistingue nel suo genere. la sceneggiatuera di Deniz Göktürk Kobanbay, i costumi di Stefano Ciammitti, il cast strepitoso già menzionato e le varie tematiche affrontate attraverso il capovolgimento degli stereotipi e i pregiudizi che caratterizzano la società (ancora oggi). Özpetek con questo è riuscito a mettere al centro la personalità di donne diverse. Proprio attraverso la creatività, il coraggio e la determinazione, affrontano il loro destino diventandone protagoniste. Un film emozionante, carico di energia e che stimola emozioni profonde.

 

Rosanna Bonfiglio

 

Natale e Cinema: 7 pellicole a tema natalizio da Riscoprire

Manca ormai sempre meno al Natale e tra alberi addobbati, regali incartati e città illuminate, le serate film a tema natalizio non mancano mai. Sono infatti centinaia i film di Natale capaci di farci ridere, di farci emozionare e di farci sognare. Raggrupparli tutti è impossibile, ma abbiamo provato a fare una piccola guida per chi è in cerca di una pellicola in grado di trasmettere la magia del Natale inserendo anche alcuni film forse un po’ dimenticati. Da un capolavoro di Tim Burton con un giovane Johnny Depp, ad una action-comedy natalizia con Arnold Schwarzenegger fino ad arrivare a Carol, la struggente pellicola con Cate Blanchett.

1. The Family Man (2000)

Jack, Nicolas Cage, è un uomo d’affari pronto a lavorare anche a Natale per fare soldi. Nessuna famiglia, nessun amore, solo soldi e pochi scrupoli. Ma Jack non è stato sempre così, un tempo amava Kate (Tea Leoni), ma quella vita e quel possibile futuro è ormai perduto. Ma un fantasma, di dickensiana memoria, appare a Jack e gli farà vivere la vita che avrebbe potuto avere se avesse scelto Kate mostrandogli che oltre ai soldi e al successo c’è molto di più: c’è l’amore.

The Family Man Regia: Brett Ratner Distribuzione: Medusa Film Film di Natale
The Family Man. Regia: Brett Ratner. Distribuzione: Medusa Film.

2. Una promessa è una promessa (1996)

Arnold Schwarzenegger dopo aver sconfitto un Predator e aver affrontato Skynet per salvare l’umanità dai Terminator si trova ad affrontare la sfida più dura: essere un papà a Natale. Howard è infatti un papà distratto, gli affari lo tengono lontano da casa sia con il corpo che con la mente. Vuole quindi sfruttare il Natale per farsi perdonare dal figlio regalandogli il modellino di Turbo Man, l’eroe televisivo più amato dai bambini. La ricerca del modellino sarà più difficile del previsto, ma la promessa fatta al figlio Jamie vale più di ogni altra cosa.

3. Jack Frost (1998)

Il Natale è per tutti un momento di gioia e felicità, ma purtroppo non è sempre così ed è proprio quello che racconta Jack Frost. Jack (Micheal Keaton) è un musicista che ama la sua famiglia, ma che spesso per lavoro affronta lunghe trasferte. Un giorno mentre è di ritorno a casa dal lavoro, perde la vita in un incidente stradale.  Un anno dopo, arrivato il Natale, Charlie figlio di Jack costruisce un pupazzo di neve nel quale si trasferirà l’anima del padre scomparso l’anno prima.

Jack FrostRegia: Troy MillerDistribuzione: Warner Bros. Pictures
Jack Frost Regia: Troy Miller. Distribuzione: Warner Bros. Pictures.

4. Edward mani di forbice (1991)

Tim Burton crea una favola dark natalizia, una favola sull’inclusività dove però manca il lieto fine. Edward (Jonny Depp) è una creatura nata dalla visione di un inventore, è un ragazzo con le forbici al posto delle mani che vive ormai da solo dopo la morte del suo creatore. L’incontro con una rappresentante di cosmetici lo porterà a cercarsi di integrare nella società grazie alla sua bravura come parrucchiere, ma come Einstein insegna “è più facile scindere un atomo che abolire un pregiudizio” e le differenze con le persone “normali” diventeranno un ostacolo difficile da superare.

5. Carol (2014)

Nel Natale del 1952, in un’America omofoba che vede l’omosessualità come una grave malattia mentale, scoppia l’amore tra Carol (Kate Blanchett) e Therese (Rooney Mara). Le due donne cercheranno di ignorare i pregiudizi e l’odio sociale per vivere un amore forte seppur proibito in un lungo e gelido inverno. Un film potente, che affronta tematiche necessarie e che ci ricorda che l’amore è sempre e comunque amore.

6. A Christmas Carol (2009)

La favola natalizia di Charles Dickens riproposta sul grande schermo sotto forma di film d’animazione con protagonista Jim Carrey grazie all’uso del Performance Capture. Ebenezer Scrooge (Jim Carrey), un vecchio strozzino, è un uomo avido che allontana quelle poche persone che ancora gli vogliono bene. Non conosce la magia del Natale ed è interessato solo a stesso. Ma la notte di Natale, la visita di tre fantasmi, quelli del Natale passato, del Natale presente e del Natale futuro gli faranno capire il vero significato del Natale e che non è mai troppo tardi per amare gli altri.

A Christmas Carol Regia: Robert Zemeckis Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures
A Christmas Carol Regia: Robert Zemeckis. Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures.

7. Krampus – Natale non è sempre Natale (2015)

Chiudiamo questa lista con un film natalizio un po’ diverso. Stiamo parlando di Krampus, un horror che unisce brividi alla magia del Natale. Un antico demone del Natale prende di mira la famiglia di Max, un bambino che ha voltato le spalle al Natale. L’unico modo che hanno Max e la sua famiglia per sconfiggere Krampus è quella di tornare ad essere uniti e disposti a mettere da parte gli attriti per amore del bene altrui.

 

 

Francesco Pio Magazzù

Mufasa: come il “Cerchio della Vita” iniziò a ruotare

Il mese di dicembre ha ufficialmente aperto la stagione invernale dei grandi attesissimi appuntamenti nelle sale, da Diamanti, l’ultimo capolavoro di Özpetek, a Conclave con il suo cast d’eccezione, fino a Una notte a New York. È al grande universo della Disney però che appartiene uno dei titoli più attesi, si tratta ovviamente di Mufasa che, con un cast di voci eccezionali e una storia perfettamente studiata ed emozionante è riuscito a far breccia nei cuori di grandi e piccini.

Fonte: Walt Disney
Taka e Mufasa cuccioli in una scena del film

Il prequel/sequel che ci meritavamo

La storia si presenta come un prequel e al tempo stesso un sequel del classico d’animazione Disney del 1994 (riproposto in live-action nel 2019) Il Re Leone. Simba e la compagna Nala sono pronti ad affrontare un viaggio attraverso le intemperie che caratterizzano la stagione delle piogge africana e ovviamente non possono rischiare di far intraprendere questa pericolosa avventura anche alla loro piccola Kiara, sarà questo il motivo per cui sarà lasciata in custodia a Timon e Pumbaa e soprattutto al saggio Rafiki che le racconterà la storia di quelle che furono le origini di suo nonno, il grande re Mufasa e di Taka, colui che divenne suo fratello, il “principe” meglio noto come Scar.

È un racconto che riesce a sorprendere anche il pubblico più esperto quello che Rafiki ci porta, un racconto incredibile che ci mostra quanto siano lontane le origini di Mufasa da Milele, la futura Terra del Branco, una storia profonda che ci racconta di un orfano senza neanche una macchia di sangue regale che trova un fratello col quale ne nasce un rapporto così meraviglioso da far venire il magone, sapendo già l’esito finale della loro storia. Di fatto una storia che spiega perfettamente non solo come Taka è diventato Scar ma da cosa è nata la sua sete di potere, nel suo branco, prima di conoscere Mufasa ed affrontare gli “emarginati” era lui ad essere destinato a diventare il re. Le origini di Zazu legate a Sarabi e quelle dello stesso Rafiki completano l’emozionante quadro di grandi rivelazioni.

Mufasa: Dietro le quinte della savana

Reduce dal successo ottenuto nel 2019 con il live-action del lungometraggio animato del 1994 la Casa di Topolino ha ben pensato di realizzare per questo sequel/prequel un film a tutti gli effetti senza far uso dell’animazione né moderna né tantomeno tradizionale. Una decisione che ha scaturito non pochi timori al lancio del film sulla memoria di ciò che fu quel live-action de Il Re Leone, un grande successo. Successo che ha però messo a dura prova la produzione in CGI dei personaggi che a suo tempo non è riuscita a restituire nei volti realistici degli animali le espressioni dei personaggi animati, timori scampati nel momento in cui questo nuovo film ci ha portato a conoscenza dei grandi passi da gigante fatti in pochi anni dalla CGI che ci ha regalato stavolta delle espressioni animali degne, nonostante si trattasse di un film, dell’animazione Disney.

C’é da ricordare come dietro un film del genere vi siano anche delle voci straordinarie, un cast di voci che vede il ritorno di Marco Mengoni nei panni di Simba dopo il live-action del 2019 e anche di Edoardo Leo e di Stefano Fresi nei panni di Timon e Pumbaa e di Elisa (e di Beyoncé nella versione originale) nei panni di Nala, e poi, tra le nuove voci la meravigliosa Elodie nei panni di Sarabi, Luca Marinelli nei panni di Mufasa e Mads Mikkelsen che nella versione originale presta la voce al perfido Kiros e ovviamente tra le varie voci non poteva mancare il commovente tributo a James Earl Jones, la voce originale di Mufasa nel classico del 1994 e nel suo live-action del 2019.

Fonte: Walt Disney
Mufasa e Taka in una scena del film

Un’eco più del 1994 che del 2019

Complici anche i già citati progressi della CGI, questo film si è sorprendentemente e piacevolmente dimostrato molto più legato al classico d’animazione originale che al suo remake live-action, lo dimostrano in primis i caratteri dei vari personaggi come la stravaganza di Rafiki marcata qui quanto nel lungometraggio animato, i tempi comici di Zazu anche questi ultimi molto più fedeli al lungometraggio del 1994 che al suo live-action del 2019 ma soprattutto il sarcasmo di Taka che si manifesta dall’inizio fin proprio alla fine perfettamente fedele e in linea con quello dello Scar originale del capolavoro animato mentre nel live-action assistiamo ad uno Scar profondamente oscuro ed estremamente malvagio, sempre di Rafiki abbiamo poi il legame col suo bastone che, esattamente come in questo film una volta trovato, nel lungometraggio animato non lo lascerà mai mentre nella versione live-action ne farà uso solo alla fine. A farci emozionare poi all’accostamento con l’opera originale abbiamo il legame che si stringe tra Mufasa e Rafiki, la bontà di Mufasa, la nascita della Terra del Branco, la cicatrice di Scar, l’amore tra Mufasa e Sarabi e poi la presenza di Kiros, un villain tanto malefico quanto brillante in puro stile Disney.

Il distacco dal precedente live/action

Ben pochi sono invece i legami con il live-action del 2019 dove addirittura Zazu racconterà un aneddoto di Mufasa cucciolo così come Scar che narrerà un avvenimento di Mufasa anche quest’ultimo avvenuto in tenera età nelle Terre del Branco, informazioni anacronistiche rispetto a quanto narrato in questo ultimo prequel, unico elemento che vede effettivamente legati i due film è il rapporto sentimentale di Taka/Scar nei confronti della regina Sarabi e l’accenno che nel live-action del 2019 viene fatto di un precedente scontro tra Taka/Scar e il fratello Mufasa.

Fonte: Walt Disney
Mufasa, Rafiki, Zazu, Taka e Sarabi diretti verso la luce

La perfezione non esiste, neanche in Mufasa

Tuttavia c’è da dire che anche un film così ben costruito presenta i suoi piccoli buchi nell’acqua, se da un lato abbiamo infatti delle meravigliose e nuove rappresentazioni del paesaggio africano e l’originale idea di fare dei leoni bianchi gli antagonisti avversari degli altri leoni “classici” dall’altro abbiamo la strana idea per quanto scenograficamente riuscita di far passeggiare dei leoni su delle montagne non solo innevate ma addirittura colpite da potenti tempeste di neve, idea che ha fatto suscitare non poche domande al pubblico così come le ha fatte scaturire l’idea di aggiungere delle iene ad acclamare Mufasa come il nuovo re tra gli altri animali, proprio le iene, in natura rivali dei leoni e soprattutto antagoniste principali del lungometraggio originale al fianco di Scar (si può presumere che Scar si sia alleato con loro nell’arco di tempo che va dai fatti narrati in questo film all’inizio del lungometraggio originale).

L’elemento di cui più si è risentito però sono senza alcun dubbio le musiche, uno degli elementi che ha da sempre reso Il Re Leone così memorabile sono le musiche, grandi musiche indimenticabili che hanno fatto la Storia e che qui vengono quasi completamente a mancare. Si canta molto anche all’interno di questo film ma trattasi di pezzi facilmente dimenticabili che certamente non lasceranno il segno così come hanno fatto altre melodie di casa Disney, de Il Re Leone nella fattispecie.

Un capolavoro per tutte le età

In ogni caso comunque si tratta questo dell’ennesimo bersaglio perfettamente centrato di casa Disney, un film che al di là dei rimandi al film originale è in grado di emozionare e divertire, un capolavoro per tutte le età, brillante, preciso e straordinario che merita assolutamente di essere visto.

 

Marco Castiglia

Il genio comico di Nino Frassica: presentato il suo ultimo libro “Piero di essere Piero”

Sabato 21 dicembre, l’Aula Magna del Rettorato ha ospitato la presentazione dell’ultimo libro dell’attore comico messinese Nino Frassica, dal titolo Piero di essere Piero,  organizzato dalla Feltrinelli Point di Messina, regalando ai presenti all’evento una serata di risate e momenti di grande coinvolgimento.

L’evento ha avuto inizio con l’intervento della Magnifica Rettrice, la Prof.ssa Giovanna Spatari, che ha accolto “il genio comico surreale” di Frassica in un’aula gremita di persone, in un sabato pomeriggio a pochi giorni dal Natale.

Tra il pubblico erano presenti alcune delle personalità del mondo accademico e culturale, tra cui Titti Batolo, associata alla libreria Feltrinelli Point e il presidente del Conservatorio Arcangelo Corelli di Messina il dr. Egidio Bernava Morante.

 

Nino Frassica
Nino Frassica durante la presentazione del suo libro Piero di essere Piero. ©UniVersoMe

 

IL LIBRO E LA SUA CREATIVITÀ

Piero di essere Piero: un’opera che si presenta come una raccolta di racconti su numerosi personaggi chiamati Piero. Ma chi è Piero?

«Piero è un nome di fantasia, un nome simpatico», ci dice Frassica. Nella narrazione ricorrono il Piero Gigio, Piero Luperto, Piero Fois, San Piero Cavaliere, Piero il timido, Piero Moscati, ognuno dei quali è descritto con una fantasia sfrenata.

 

Nino Frassica
Nino Frassica nell’Aula Magna del rettorato. ©UniVersoMe

                                                             

  TRA DIALOGO, DIVERTIMENTO E TANTI RICORDI

Moderato dal professore Dario Tomasello, coordinatore del Dams, l’evento ha visto alternarsi momenti di dialogo con l’autore, racconti di aneddoti e storie divertenti che hanno portato alla memoria l’inizio della carriera di Nino Frassica, iniziata proprio a Messina, sua città natale. Ricordando i suoi trascorsi  messinesi «nel cabaret locale alla discoteca El Toulà, la sala Laudamo, il Vittorio Emanuele, il giornale il Soldo, in cui tenevo una rubrica umoristica e il giornalino dello Jaci, la scuola che frequentavo», Frassica ha confermato la sua innata capacità d’improvvisazione.

 

L’ARTE DELL’IMPROVVISAZIONE E LA SCRITTURA DEI LIBRI

«Penso che un bravo attore si riconosca anche dalla sua abilità nell’improvvisare. Il paragone che faccio è tra un prodotto fresco e uno surgelato: il prodotto fresco è l’improvvisazione, quello surgelato è la recitazione».

Tra risate, divertimento, qualche domanda e curiosità dal pubblico, Frassica afferma:

«quando scrivo, ma anche quando recito , non voglio lanciare nessun messaggio. La gente pensa che ci sia qualche significato nascosto nei miei libri, ma voglio solo far ridere e mi diverto anche io. Non c’è nessun copione; ogni tanto mi annoto qualche frase e quando sono pronto inizio a scrivere. Mi sento più libero così».

La presentazione si è conclusa con un numeroso firmacopie, durante il quale Nino Frassica ha dimostrato ancora una volta la sua disponibilità e accoglienza con i suoi lettori, confermando il profondo legame con la sua terra.

 

Natale Passato



Profumo di cannella,
calore che accarezza la pelle,
la tavola imbandita
ravvivata dalla famiglia unita.
Tutti la percepiscono,
quella magia di festa.
Così era la sera
di quel Natale passato,
di una bambina che ricorda
come l’atmosfera d’improvviso
quel giorno sia cambiata.
Sente qualcosa staccarsi da lei,
capisce che quel frammento
non tornerà il prossimo Natale.
Guarda verso la tavola
e si accorge che c’è un posto,
un posto che è occupato
dal ricordo di qualcuno
che ormai se n’è andato.
Osserva poi il cielo
e si accorge che una stella
cura la ferita più profonda
di quel Natale passato.

Alda Sgroi