Il genio comico di Nino Frassica: presentato il suo ultimo libro “Piero di essere Piero”

Sabato 21 dicembre, l’Aula Magna del Rettorato ha ospitato la presentazione dell’ultimo libro dell’attore comico messinese Nino Frassica, dal titolo Piero di essere Piero,  organizzato dalla Feltrinelli Point di Messina, regalando ai presenti all’evento una serata di risate e momenti di grande coinvolgimento.

L’evento ha avuto inizio con l’intervento della Magnifica Rettrice, la Prof.ssa Giovanna Spatari, che ha accolto “il genio comico surreale” di Frassica in un’aula gremita di persone, in un sabato pomeriggio a pochi giorni dal Natale.

Tra il pubblico erano presenti alcune delle personalità del mondo accademico e culturale, tra cui Titti Batolo, associata alla libreria Feltrinelli Point e il presidente del Conservatorio Arcangelo Corelli di Messina il dr. Egidio Bernava Morante.

 

Nino Frassica
Nino Frassica durante la presentazione del suo libro Piero di essere Piero. ©UniVersoMe

 

IL LIBRO E LA SUA CREATIVITÀ

Piero di essere Piero: un’opera che si presenta come una raccolta di racconti su numerosi personaggi chiamati Piero. Ma chi è Piero?

«Piero è un nome di fantasia, un nome simpatico», ci dice Frassica. Nella narrazione ricorrono il Piero Gigio, Piero Luperto, Piero Fois, San Piero Cavaliere, Piero il timido, Piero Moscati, ognuno dei quali è descritto con una fantasia sfrenata.

 

Nino Frassica
Nino Frassica nell’Aula Magna del rettorato. ©UniVersoMe

                                                             

  TRA DIALOGO, DIVERTIMENTO E TANTI RICORDI

Moderato dal professore Dario Tomasello, coordinatore del Dams, l’evento ha visto alternarsi momenti di dialogo con l’autore, racconti di aneddoti e storie divertenti che hanno portato alla memoria l’inizio della carriera di Nino Frassica, iniziata proprio a Messina, sua città natale. Ricordando i suoi trascorsi  messinesi «nel cabaret locale alla discoteca El Toulà, la sala Laudamo, il Vittorio Emanuele, il giornale il Soldo, in cui tenevo una rubrica umoristica e il giornalino dello Jaci, la scuola che frequentavo», Frassica ha confermato la sua innata capacità d’improvvisazione.

 

L’ARTE DELL’IMPROVVISAZIONE E LA SCRITTURA DEI LIBRI

«Penso che un bravo attore si riconosca anche dalla sua abilità nell’improvvisare. Il paragone che faccio è tra un prodotto fresco e uno surgelato: il prodotto fresco è l’improvvisazione, quello surgelato è la recitazione».

Tra risate, divertimento, qualche domanda e curiosità dal pubblico, Frassica afferma:

«quando scrivo, ma anche quando recito , non voglio lanciare nessun messaggio. La gente pensa che ci sia qualche significato nascosto nei miei libri, ma voglio solo far ridere e mi diverto anche io. Non c’è nessun copione; ogni tanto mi annoto qualche frase e quando sono pronto inizio a scrivere. Mi sento più libero così».

La presentazione si è conclusa con un numeroso firmacopie, durante il quale Nino Frassica ha dimostrato ancora una volta la sua disponibilità e accoglienza con i suoi lettori, confermando il profondo legame con la sua terra.

 

Natale Passato



Profumo di cannella,
calore che accarezza la pelle,
la tavola imbandita
ravvivata dalla famiglia unita.
Tutti la percepiscono,
quella magia di festa.
Così era la sera
di quel Natale passato,
di una bambina che ricorda
come l’atmosfera d’improvviso
quel giorno sia cambiata.
Sente qualcosa staccarsi da lei,
capisce che quel frammento
non tornerà il prossimo Natale.
Guarda verso la tavola
e si accorge che c’è un posto,
un posto che è occupato
dal ricordo di qualcuno
che ormai se n’è andato.
Osserva poi il cielo
e si accorge che una stella
cura la ferita più profonda
di quel Natale passato.

Alda Sgroi

Il solstizio d’inverno – Origini e Tradizioni

Il solstizio d’inverno, che quest’anno è caduto il 21 dicembre alle ore 10:21, è un evento astronomico che segna il momento in cui il Sole raggiunge la sua posizione più bassa nel cielo rispetto all’orizzonte, ed è quindi il giorno più corto dell’anno.

Nel corso dei secoli, questo evento è stato celebrato da numerose civiltà, rappresentando la “rinascita” del dio Sole e la vittoria della luce sulle tenebre.

Tradizioni antiche

Il solstizio d’inverno ha ispirato molte tradizioni antiche in diverse culture.

Yule

Yule è una delle festività nordiche più antiche legate al solstizio d’inverno. Viene celebrata dal 21 dicembre al 6 gennaio, e segna il ritorno della luce e la nascita del nuovo Sole, simboleggiando così speranza, rinnovamento e l’arrivo della primavera.

Fra le tradizioni più conosciute, troviamo quella del “ceppo di Yule”, un grande tronco di legno che veniva bruciato durante la notte del solstizio, in segno di accoglienza della luce e della prosperità. Le sue ceneri venivano anche utilizzate per proteggere la casa.

Nel tempo, la tradizione si è trasformata nel “tronchetto di Natale“, dolce tipico natalizio.

Anche l’albero di Yule, decorato con luci, è alla base dell’albero di Natale odierno.

Heliopolis

La festività Heliopolis era una celebrazione religiosa che si svolgeva a Eliopoli, antica città Egizia, importante centro di culto del dio sole Ra.

Questa festività celebrava la rinascita del Sole, un evento fondamentale nella religione egizia.

Difatti, si credeva che Ra, il dio del Sole, morisse ogni notte e rinascesse ogni mattina. Durante il solstizio, la sua “rinascita” era particolarmente significativa, perché il Sole cominciava a crescere di intensità e la luce iniziava a prevalere sulle tenebre.

Questa festività celebrava, quindi, il ciclo di morte e rinascita, con riti e cerimonie che simboleggiavano la vittoria della luce e della vita sulle tenebre e sulla morte. Inoltre, i riti erano legati al concetto di rinnovamento e fertilità, dunque producevano un forte impatto sulla vita agricola e sociale dell’Egitto.

Il culto del Sole di Ra ebbe un’influenza duratura sulle religioni Egizie.

Heliopolis
Helipolis, Solstizio d’inverno. Fonte: toriaefantasydotcom1.wordpress.com/2016/08/05/antico-egitto-il-culto-del-sole/

Yalda

Il solstizio d’inverno in Persia antica, viene conosciuto come Yalda e si collega alla figura di Mitra, divinità solare.

Le tradizioni di Yalda includono riunioni familiari, durante le quali si mangiano cibi simboli di abbondanza, fertilità e prosperità.

Yalda è anche un momento di preghiera e celebrazione del rinnovamento del mondo e della speranza per il futuro.

Saturnali

I Saturnali erano una delle festività più importanti dell’antica Roma, dedicate al dio Saturno, il dio dell’agricoltura, della prosperità e del raccolto. Originariamente, i Saturnali venivano celebrati dal 17 al 23 dicembre, ma successivamente la durata delle festività fu estesa. La festa segnalava il ritorno della luce solare e il rinvigorirsi della natura, in un periodo di fine anno che anticipava la stagione del raccolto primaverile.

Durante i Saturnali, l’ordine sociale veniva temporaneamente capovolto. I ruoli tra padroni e schiavi venivano invertiti: gli schiavi potevano sedere a tavola con i loro padroni, ricevere cibi e regali, prendere parte ai festeggiamenti e ai banchetti.

Le celebrazioni erano caratterizzate da banchetti sfarzosi, giochi pubblici, doni e scambi di auguri, che si concentravano sull’allegria, l’abbondanza e la convivialità. Le case venivano decorate con luci e ghirlande.

Un altro aspetto interessante dei Saturnali era il “rex saturnalis”, il “re di Saturno”, una figura che veniva scelta tra gli schiavi o tra i membri più giovani della società e che governava per un breve periodo con autorità simbolica, guidando i festeggiamenti.

I Saturnali avevano una forte componente religiosa. Erano un’occasione per rendere omaggio a Saturno, con sacrifici nei templi e cerimonie in suo onore.

Influenze odierne

Le tradizioni antiche continuano ad influenzare la celebrazione del Natale. Lo scambio di doni, l’idea di rinnovamento e speranza, le cene festive, le decorazioni luminose sono stati e sono tutt’ora elementi fondamentali di questa festività, che affondano le loro radici in riti pagani legati al solstizio d’inverno.

 

Fonti:

https://www.ilgiardinodeilibri.it/speciali/yule-il-magico-solstizio-d-inverno-celtico.php?srsltid=AfmBOopA7FX1lsjF1nbM-DBXOmW_YZNjmr5c6ush59582Vm2DHmiBojE

“Le tradizioni del solstizio d’inverno” di Lucia Bottini

 

Gli auguri di Natale della Magnifica Rettrice: tra bilanci e propositi

Si è rinnovato anche quest’anno il tradizionale incontro tra la Magnifica Rettrice, la Prof.ssa Giovanna Spatari, e la stampa, per lo scambio degli auguri di Natale.  L’appuntamento si è tenuto questa mattina nella suggestiva stanza del Rettorato, che ha accolto i rappresentanti della stampa locale. Un momento di grande importanza per l’Università di Messina per tirare le somme sull’anno che sta volgendo al termine e condividere le prospettive future per questo 2025.

“Bisogna guardare sempre al futuro, mettendo al centro gli studenti, come è stato fatto nell’anno appena trascorso. Sono convinta che la grandezza di un Ateneo sia fatta dagli studenti che decidono liberamente di sceglierla”

Bilanci e propositi

Tra le numerose iniziative intraprese dall’Università di Messina per rafforzare il legame tra studenti, territorio e Università, ricordiamo l’UniMe Recruiting Day, svoltosi lo scorso 26 novembre. Questo evento ha confermato il concreto interesse e impegno dell’Ateneo verso gli studenti, offrendo loro l’opportunità di esplorare nuove prospettive di carriera e di entrare in contatto con il mondo del lavoro. Inoltre, non mancheranno i cambiamenti per l’Ateneo per questo 2025, a partire dall’inaugurazione di nuove strutture per potenziare ancor di più l’offerta.

“L’impegno deriva da un’offerta formativa al passo con i tempi, con l’implementazione dei servizi per gli studenti, tra cui la creazione di nuovi spazi fruibili per gli studenti, ma anche cercando di agire in sinergia con le altre istituzioni del territorio”.

La Rettrice ha rivolto i suoi calorosi auguri di Natale a tutti gli studenti, sottolineando il loro ruolo centrale nelle iniziative dell’Ateneo e incoraggiandoli a vivere l’Università in tutti i suoi aspetti e di sentirla propria, con la promessa che “tutto quello che sarà possibile fare da parte dell’Università state certi che verrà fatto”.

La Rettrice la ascolti qui!

Elisa Guarnera

Berlinguer: la grande ambizione – L’uomo oltre il politico

Berlinguer: La Grande ambizione
Berlinguer: la grande ambizione racconta la storia di un partito e di un uomo in maniera oggettiva – Voto UVM 4/5

Berlinguer: la grande ambizione è un biopic di Andrea Segre con protagonista Elio Germano. Presentato in anteprima all’apertura della Festa del Cinema di Roma 2024, ha già superato i tre milioni di incassi al box office. Proprio al festival romano, Germano è riuscito a portarsi a casa il premio come miglior attore, a testimonianza dell’ottima interpretazione portata in scena.

La Grande Ambizione: non solo storia, ma anche società

Il film si ambienta fra il 1973 e il 1978, anni dove il Partito Comunista Italiano vive il suo miglior periodo in termini elettorali. Il protagonista è, come suggerisce il titolo, Enrico Berlinguer, segretario del PCI all’indomani del golpe in Cile contro Salvador Allende. In piena guerra fredda, neanche l’Italia vive tempi sereni: è infatti reduce dai movimenti del ‘68, dove studenti e operai si mobilitarono in massa. Ad aggravare la situazione di inizio degli anni ’70 sono le violenze di carattere politico perpetrate dalle organizzazioni terroristiche. Queste continueranno per tutto il decennio, che verrà ricordato come il decennio degli “anni di piombo”. In questa intricata tela sociale, Berlinguer deve anche riuscire a distaccarsi dell’Unione Sovietica, che vede nel suo modello di stato l’unica via per il socialismo.

Dopo i fatti in Cile, per timore di una deriva antidemocratica anche in Italia, Berlinguer teorizza la sua grande ambizione, il compromesso storico. Capisce che per arrivare al governo non bastano i consensi, ma è necessaria un’alleanza con gli altri partiti sorti dalla resistenza antifascista. Il quadro politico della prima repubblica è infatti influenzato dalla conventio ad excludendum, una legge non scritta che esclude a priori le forze di sinistra dagli accordi di governo. Berlinguer quindi ambisce all’apertura al fine di instaurare un dialogo con i democristiani, altra principale forza popolare, in carica dalla nascita della repubblica.

Berlinguer: La Grande Ambizione
“Un italiano su tre vota comunista!” – Fonte: esquire.com

Nonostante un attentato fallito da parte dei servizi segreti bulgari, con il quale il film si apre, continua comunque imperterrito per la sua strada. Riuscirà pian piano, come vedremo, a separarsi anche pubblicamente dal giogo di Mosca, affermando il partito come forza democratica. Seguendo il segretario nel suo tragitto, incontriamo altri maggiori esponenti del PCI: Pietro Ingrao, Ugo Pecchioli, Nilde Iotti e molti altri. Questi lo affiancano nelle sue visite alle fabbriche popolari o durante i grandi comizi, credendo in Berlinguer tanto quanto credono nel loro ideale politico comune.

Il film però non ci parla solamente del Berlinguer politico. Accanto alla vita politica, c’è quella privata composta dalle figure della moglie Letizia Laurenti e dei quattro figli Bianca, Maria Stella, Marco e Laura. Il ruolo di Enrico si fa quindi duplice: non solo funzionario maggiore di partito, ma anche padre di famiglia e fedele marito. Purtroppo le due vite sono difficilmente sovrapponibili, con la prima che toglie continuamente spazio all’altra con suo grande rammarico. Nei rapporti con la famiglia però la politica non manca affatto: vengono infatti continuamente dibattuti accadimenti e questioni dell’epoca.

La Grande Ambizione: l’altra Italia di Berlinguer

L’Italia raccontata in Berlinguer – La grande ambizione, quella della “prima repubblica”, è sì lo spaccato di una società diversa dalla nostra, ma che non è troppo distante. La differenza più evidente sta proprio nel coinvolgimento popolare nella politica. Questa è molto più partecipata e sentita rispetto ad oggi, a testimonianza del fatto che il tema dell’affluenza è oggi più centrale che mai. Impressionante è ad esempio la scena finale che mostra il funerale del segretario. Il corteo che si forma per rendergli onore è immenso e anche le emozioni viste in sala testimoniano quanto sia cambiata la situazione.

Berlinguer: La Grande Ambizione
Festa dell’Unità di Firenze, 1975 – Fonte: iodonna.it

Berlinguer, come mostrano le scene, si batte fino all’ultimo per un comunismo dal volto umano, volto a portare il volere dei lavoratori in alto. Quando Andreotti, in occasione della formazione del suo terzo governo spera di convincerlo, lui risponde “non è me che dovete convincere, ma i lavoratori”. Attraverso interviste e testimonianze, il film mostra anche un uomo riservato e profondamente etico, che riuscì a conquistare la fiducia di molti italiani. La pellicola invita a riflettere sulla politica di oggi, sull’assenza di figure di simile statura morale e sulla necessità di rinnovamento della società odierna.

Giuseppe Micari

Paris, Texas: quarant’anni di un viaggio nel profondo dell’anima

Paris, Texas
Paris,Texas non è solo un film, è un vero e proprio viaggio. Voto UVM 5/5

Dal 4 Novembre in occasione del suo quarantesimo anniversario è tornato nelle sale italiane Paris, Texas, uno dei capolavori del regista tedesco Wim Wenders. A Messina è stato possibile assistere alla proiezione nei giorni 6 e 7 Novembre al multisala IRIS in collaborazione con il DAMS in sala.

Un cult dai sentimenti contrastanti

Il film narra la storia di Travis, interpretato da Harry Dean Stanton, un’uomo che ha perso tutto ma che, grazie al ricongiungimento col fratello Walt (Dean Stockwell), avrà modo di ritrovare se stesso e la sua famiglia sgretolatasi anni prima, partendo dal figlio, Hunter (Hunter Carson), che porterà con sé alla ricerca della sua amata Jane (Nastassva Kinski) con lo sfondo di un Texas idealizzato, arido ma pieno di vita.

Il genio del maestro si mantiene perfettamente in linea con questo cult del 1984, tre anni prima del capolavoro che ha contraddistinto il cinema di Wenders: Il cielo sopra Berlino. Anche qui al primo posto regnano i sentimenti dei protagonisti, a partire da Travis che dopo svariati anni di follia ritornerà in sé, arrivando al fratello e a sua moglie divisi tra emozioni contrastanti, e al piccolo Hunter, anch’egli in un primo momento diffidente e poi felice di aver ritrovato il suo vero padre.

Paris, Texas. Wim Wenders 1983/84
Fonte: Cineteca Bologna

Paris, Texas, quando l’amore diventa una città fantasma

Con Paris, Texas, Wim Wenders è riuscito a mettere perfettamente in pratica ciò che diceva Antonioni, ovvero che l’atto di guardare e l’atto di fare cinema sono esattamente la stessa cosa. Quello che sicuramente esalta all’occhio in questo film infatti è proprio il mix di colori e immagini che il regista tedesco è riuscito a creare attraverso il montaggio.

E’ infatti un’atmosfera tutt’altro che claustrofobica quella che si respira in questo colorato ed emozionante film dove l’amore diventa letteralmente una città fantasma, Paris in Texas appunto,  dove la città lascia spazio al deserto.

Paris, Texas (Wim Wenders; 1983/1984)
Fonte: Cineteca Bologna

Il DAMS in sala colpisce ancora con Paris, Texas

Come sempre il progetto del DAMS in sala, che riporta sul grande schermo intramontabili cult, ha fatto in modo che anche questo capolavoro, considerato introvabile, tornasse nelle sale a ricordarci che c’è stato un periodo in cui il cinema e le storie raccontate sul grande schermo riuscivano veramente ad emozionare e talvolta commuovere. Con Paris, Texas succede proprio questo, sebbene già al suo esordio fu definito un capolavoro.

Artefice di queste grandi occasioni è la figura di Umberto Parlagreco, direttore del multisala IRIS, che sposando questo progetto in collaborazione con il DAMS di Messina permette al pubblico di scoprire grandi cult della storia del cinema poco conosciuti o addirittura dimenticati, così è stato col capolavoro di Wim Wenders, un film che è un emozione pura.

Questa nuova stagione organizzata dal DAMS in sala non è che all’inizio ed aspetta tutti gli appassionati di cinema al multisala IRIS a Messina!

 

 

Rosanna Bonfiglio

Marco Castiglia

Longlegs: Un horror disturbante con un inquietante Nicolas Cage

Parthenope
Longlegs, un horror disturbante con un magistrale Nicolas Cage. – Voto UVM: 5/5

Longlegs, l’ultima fatica cinematografica del regista Oz Perkins, è un horror disturbante e a tratti subdolo che si eleva dallo standard del genere anche grazie ai suoi protagonisti. Un ritrovato Nicolas Cage registra un’interpretazione magistrale.

Longlegs: Trama e personaggi

Lee Arker (Maika Monroe), giovane agente dell’ FBI dotata di grande intuito ma di poca esperienza, si trova ad indagare su di una serie di omicidi-suicidi avvenuti nell’Oregon degli anni 90. La dinamica degli omicidi è sempre la stessa: il capofamiglia in un raptus omicida fa fuori tutti prima di togliersi la vita. La costante? Le figlie femmine compiono gli anni il 14 del mese e sul luogo del delitto si ritrovano dei messaggi incomprensibili firmati dal killer Longlegs. Grazie al suo sviluppato intuito Lee riesce a decifrare i messaggi criptati e a segnare una svolta nelle indagini, che la porterà presto a scoprire un profondo e oscuro legame tra lei e il killer, interpretato da Nicolas Cage.

Tra parallelismi e omaggi: Longlegs trova presto la sua autenticità

Longlegs nella sua trama, omaggia grandi pellicole come Il silenzio degli innocenti e Zodiac. Chi è amante del genere non potrà non notare il parallelismo tra la giovane Lee e Clarice, protagonista del cult di Jonathan Demme, interpretata da Jodie Foster. Il Longlegs di Nicolas Cage è per Lee quello che erano Hannibal Lecter e Buffalo Bill per l’agente Clarice. E come non rivedere nei messaggi oscuri del killer ciò che muove Zodiac, il serial killer dello zodiaco. Ma Longlegs è molto di più di un omaggio a grandi pellicole, trova la sua identità in un mix di generi e in una meta-narrazione che va oltre a ciò che vediamo.

Un film disturbante come il killer di Nicolas Cage

La pellicola si prende i suoi tempi per costruire la storia e, minuto dopo minuto, la tensione cresce sempre di più in uno sfondo austero e inospitale. A far crescere la tensione e a rendere disturbante la pellicola ci pensa Nicolas Cage con la sua interpretazione. Che l’attore fosse tornato a recitare a grandi livelli lo si sapeva già dai tempi di “Pig“, ma qui pur con un minutaggio ridotto ci regala una grandissima performance. Il suo killer satanista, disturba lo spettatore sin dalla sua prima apparizione che avviene nel primo minuto del film. I colori del viso quasi albini, la voce tirata e un vestiario da cantante anni 80 si miscelano a delle espressioni facciali che rendono il Longlegs di Nicolas Cage disturbante alla sola vista.

Frame di “Longlegs”. Regia: Oz Perkins. Distribuzione: C2 Motion Picture Group.

Longlegs, quando la regia fa la differenza

Il vero punto di forza nella pellicola di Perkins, oltre le interpretazioni dei suoi protagonisti, è la regia. Il regista ha saputo usare egregiamente la macchina da presa e la fotografia per uscire dello schema dell’horror mainstream. Non sono i Jump scare ad inquietare, ma i piani decentrati, gli zoom lenti e inarrestabili e il sonoro che accompagnano la protagonista Lee ad inquietare lo spettatore e a tenerlo sempre costantemente con la sensazione che stia per accadere qualcosa. I primi piani poi sono fondamentali per mostrare emozioni e stati d’animo come quelli della giovane Lee, che finiscono per inquietare lo spettatore.

Una meta-narrazione celata nell’horror

La pellicola presto mette in mostra l’importante rapporto tra Lee e sua madre e il collegamento di queste con il killer Longlegs. E dietro una storia che nel suo terzo atto prende definitivamente la via dell’horror occulto, si cela una descrizione meta narrativa del rapporto madre e figli. Cosa è disposta a fare una madre per propri figli? C’è un limite o è anche ammesso vendere l’anima al diavolo? E quanti traumi del passato ci portiamo inconsapevolmente per poi tirarli fuori quando meno ce lo aspettiamo? Longlegs è anche questo, una riflessione sull’inconscio umano e sui rapporti d’amore familiari.

 

Un horror diverso per un cinema diverso

Negli ultimi anni il cinema hollywoodiano ha trovato forza nel genere horror. Ma sono fin troppi i film che nonostante le buone intenzioni finiscono per essere qualcosa di visto e rivisto. Trama lineare e nessuna inquietudine, solo adrenalina creata dai numerosi Jump scare ormai facilmente prevedibili. Ed è questa la forza di Longlegs, che sceglie una via più difficile, scelta negli ultimi anni anche da altre pellicole come It Follows e Hereditary. Perkins fa la scelta vincente di scegliere l’inquietudine e il simbolismo come motori della sua pellicola che solo verso la fine del terzo e ultimo atto si ricollega, almeno in parte, ai topos del genere hollywoodiano quali possessione e occultismo.

Frame di “Longlegs”. Regia: Oz Perkins. Distribuzione: C2 Motion Picture Group.

L’horror più spaventoso degli ultimi tempi?

La campagna marketing Usa di Longlegs è stata davvero aggressiva. La pellicola che vede Cage nel ruolo dell’omonimo killer satanista è stata pubblicizzata come l‘horror più spaventoso degli ultimi tempi, ma difficilmente può essere definita in questo modo. Ciononostante va riconosciuta la bellezza dell’operato di Perkins, Cage e Monroe e questa pellicola va riconosciuta come una delle meglio  girate del genere horror degli ultimi anni e come una delle migliori pellicole del 2024.

 

 

Francesco Pio Magazzù

C’era una volta in America: un sogno durato una vita

 

Parthenope
C’era una volta in America: un viaggio tra amore, amicizia e criminalità lungo quarant’anni. Voto UVM: 5/5

 

C’era una volta in America ha da poco compiuto 40 anni dalla sua prima uscita in Italia, nel 1984, tornando al cinema in versione restaurata in 4K.

Il maestro Sergio Leone, definito “l’italiano che inventò l’America”, autore di pellicole del calibro di C’era una volta il West e della famosa Trilogia del dollaro, termina la sua carriera con questo capolavoro senza tempo. Accompagnato dalla magnifica colonna sonora di Ennio Morricone.

C’ERA UNA VOLTA IN AMERICA: TRAMA

Il film narra la storia di Noodles (Robert De Niro), di Max (James Woods) e dei loro amici, ragazzini ebrei che inizieranno ad avere a che fare con la malavita nella New York degli anni ’20 e i quali ricordi riaffioreranno in vecchiaia, all’arrivo di una misteriosa lettera…

L’INFANZIA DELLA GANG DI MAX E NOODLES

«Guarda, sono le 6 e 34 e io non ho tempo da perdere!»

L’infanzia di Noodles, segnata dalla vita di strada e dalle esperienze negative alle quali deve far fronte, non è di certo ideale. Ciò che fa riflettere però è che quando i personaggi sono piccoli, a volte non si rendono conto di ciò verso cui vanno incontro.

La scelta di rimarcare che, nonostante le azioni mature, i ragazzi rimangano innocenti, viene direttamente dal regista che a proposito mette in scena una delle sequenze, a mio parere, più belle di tutta la storia del cinema: Patsy, uno dei ragazzini che fa parte della gang di Noodles e Max, compra una Charlotte Russa con la panna a Peggy, una ragazzina del quartiere, per cercare di ottenere qualcosa in cambio da lei, ma mentre la aspetta fuori dalla porta si fa ingolosire dal dolce, inizia con l’assaggiare un po’ di panna e finisce con il mangiarlo tutto rimanendo a mani vuote davanti a Peggy, alla quale dirà in modo imbarazzato: “Sarà per un’altra volta”.

C'era una volta in America
Gli amici di Noodles durante la loro infanzia.

LO SGUARDO POETICAMENTE CRUDO DI LEONE

Per l’intera durata del film ci si sente immersi, grazie alla messa in scena impeccabile, alla fluidità data dai movimenti di macchina e dal montaggio, e alla bellezza delle immagini, in un sogno lungo più di quarant’anni.

Per tutti i 240 minuti della pellicola abbiamo la sensazione di vivere un’altra vita, come se stessimo assistendo anche noi in prima persona alle vicende dei personaggi.

Ad ogni modo, tutta l’armonia e la meraviglia viene alternata a momenti di pura violenza e orrore, che riguardano soprattutto le azioni spregevoli dei protagonisti, sia nei confronti delle vittime nell’ambito malavitoso, che delle donne che amano e che non sanno rispettare poiché “figli” della violenza.

Grande critica sociale mossa da parte di Sergio Leone durante tutta l’opera che mostra i più grandi problemi della società americana, raccontandocene la storia e gli sviluppi dagli anni ‘20 agli anni ‘60, passando per il proibizionismo e per le lotte del movimento operaio.

Sergio Leone sul set di “C’era una volta in America”.

IL PASSARE INESORABILE DEL TEMPO E L’IMPORTANZA DEI RICORDI

«Sono le 10 e 25 e non ho più niente da perdere… Un amico tradito non ha scelta, deve sparare».

Verso il finale del film, Max, mittente della misteriosa lettera, incita più volte Noodles ad ucciderlo. L’esortazione a sparare può essere interpretata come una metafora che indica l’essere “costretto” a eliminare i ricordi genuini della giovinezza condivisa dai due dopo essere venuto a conoscenza del tradimento subito. 

La vita del protagonista è ormai stata rubata, per trent’anni, da quello che definiva il suo migliore amico. La donna che amava, i soldi, la fama, gli sono stati sottratti senza possibilità di rimediare.

Nonostante tutto, Noodles decide di fingere di non riconoscere Max, chiamandolo continuamente “Mr. Bailey”, nome della sua nuova identità, e fa come se nulla fosse cambiato rispetto a poco prima della scoperta, come se ormai la giovinezza non appartenesse nemmeno più alla sua vita e non volesse macchiarla ulteriormente.

La spensieratezza mostrataci durante l’infanzia dei personaggi è direttamente proporzionale alla nostalgia provata da Noodles durante la vecchiaia, parte montata intelligentemente in modo discontinuo durante il film cosicché si alternasse con le diverse linee narrative della storia e che rendesse al meglio le sensazioni espresse in modo eccellente da Robert De Niro.

TUTTO TORNA ALLE ORIGINI

C’era una volta in America si conclude nello stesso luogo in cui vediamo Noodles per la prima volta all’inizio del film, in un teatro cinese, che è anche una fumeria d’oppio. Si è fatto un salto indietro al 1933, a subito dopo che Noodles legge su un giornale la notizia che riguarda il colpo in banca della sua gang che lui stesso ha provato a sventare chiamando la polizia. L’inquadratura che chiude il film e sulla quale passeranno i titoli di coda consiste in un primissimo piano di Noodles che sorride, inebriato dall’oppio, che fa quasi nascere nello spettatore il dubbio che tutto ciò che ha visto sia stato solo un “sogno oppiaceo” di Noodles che rappresentava una realtà alternativa nella quale Max non era davvero deceduto durante quel colpo.

L’inquadratura finale con Noodles che sorride.

Consiglio in modo spassionato la visione di questo capolavoro, attualmente disponibile in abbonamento su Now Tv e sui canali premium di Prime Video.

 – Che hai fatto in tutti questi anni, Noodles?
– Sono andato a letto presto. 

 

di Alessio Bombaci

Mattarella risponde a Musk:”L’Italia sa badare a se stessa”

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella replica con fermezza al patron di X Elon Musk. Il plurimiliardario, entrato ufficialmente nell’amministrazione Trump, aveva attaccato tramite alcuni tweet la magistratura italiana sul caso migranti in Albania.

La vicenda

Il 12 novembre la sezione immigrazione del tribunale di Roma ha annullato i trattenimenti dei sette migranti trasferiti in Albania. Il tribunale si è inoltre appellato alla Corte di Giustizia europea per chiarimenti sull’applicazione della norma. Musk, che già in passato si è dichiarato sostenitore delle politiche del governo Meloni, ha utilizzato il proprio profilo X per attaccare la magistratura italiana.Questi giudici devono andarsene” (These judges need to go), è questo il primo commento di Musk al quale è seguito un secondo tweet ancora polemico: “Questo è inaccettabile. Il popolo italiano vive in una democrazia o è un’autocrazia non eletta a prendere le decisioni?”.

X. Il primo tweet di Elon Musk sul caso migranti in Albania

 

Il Presidente Mattarella risponde a Musk

Non si è fatta attendere la risposta del presidente della Repubblica Sergio Mattarella che pur non citando Musk, ha risposto con fermezza alle accuse: «L’Italia è un grande Paese democratico e devo ribadire, con le parole adoperate in altra occasione, il 7 ottobre 2022, che ‘sa badare a sé stessa nel rispetto della sua Costituzione’. Chiunque, particolarmente se, come annunziato, in procinto di assumere un importante ruolo di governo in un Paese amico e alleato, deve rispettarne la sovranità e non può attribuirsi il compito di impartirle prescrizioni”».

Dopo l’iniziale imbarazzo arriva il commento di Palazzo Chigi 

“Ascoltiamo sempre con grande rispetto le parole del colle”. Dopo le iniziali ore di silenzio di palazzo Chigi, arriva il commento della Presidente del Consiglio dei Ministri. Nel pomeriggio è poi seguita una telefonata tra la Premier e il Patron di Tesla, a cui però non è seguito alcun commento ufficiale da parte di Giorgia Meloni in un clima di evidente imbarazzo politico.

Opposizioni compatte sulle parole di Musk

La scelta del governo è stata dunque quella di non intervenire ufficialmente nello scontro, lasciando la scena al Quirinale ma cercando di far tornare Musk su suoi passi. Le parole di Musk, come facilmente immaginabile, hanno generato diverse polemiche nei confronti del governo reo di non aver risposto alle accuse. Da Conte a Schlein, passando da Calenda, tutta l’opposizione parla di “silenzio assordante del governo” e ringrazia Sergio Mattarella per aver difeso la sovranità italiana.

Dopo le parole di Mattarella la nuova risposta di Musk 

Il giorno dopo le parole di Mattarella e la chiamata con la Premier Meloni, il patron di X si affida nuovamente ad un tweet di un suo referente per cercare di porre fine alle polemiche. Nel tweet si legge infatti che Musk rispetta Mattarella e la sovranità italiana ma che, la libertà di espressione è garantita dal Primo Emendamento e dalla stessa Costituzione Italiana. Conclude ricordando che i rapporti con l’Italia sono ottimali come dimostrano i fatti del 2023 quando in seguito alle alluvioni in Emilia l’imprenditore ha dato connettività satellitare gratuita ai cittadini e ai soccorritori. Il comunicato alla fine conclude dicendo che:“l’imprenditore si augura che le relazioni Stati Uniti-Italia siano sempre più forti e auspica di incontrare presto il Presidente della Repubblica“.

 

Francesco Pio Magazzù

Dino Buzzati: sogni e attese nei suoi Sessanta racconti

Quando Dino Buzzati pubblica, nel ’58, Sessanta racconti ha già alle spalle un’avviata carriera. La sua produzione è cospicua sia per la prosa lunga – il suo capolavoro, Il deserto dei Tartari, è approdato in libreria nel ’40 per la Rizzoli – sia per quella breve, avendo infatti già scritto diverse sillogi.

“Sono le 57 e un quarto”

I temi trattati dallo scrittore bellunese sono legati quasi tutti a un mondo fiabesco e puro, che probabilmente lo scrittore apprendeva dall’osservare la natura incontaminata durante le sue passeggiate in montagna.

Tuttavia, quella che potrebbe sembrare una realtà tranquilla, di nuvole e natura serena, copre un mondo spesso angosciante, duro e giudicante. Lo si nota in particolare in Non aspettavano altro, in cui i due protagonisti vengono torturati per un crimine inesistente. Questo racconto, come altri, ha quell’aria angosciosa tipica degli incubi: sono da sogno, infatti, la sensazione di impotenza quanto l’urlo che muore in gola prima ancora di poter essere lanciato.

Dino Buzzati. Fonte: Archivio Farabola

Sempre riguardo al tema dell’incubo, che è tra i più frequenti nella raccolta, notiamo uno degli aspetti più condivisibili della narrativa buzzatiana. A chi non è mai successo di leggere, mentre sognava, orari impossibili sugli orologi? È quello che capita al Buzzati-personaggio in All’idrogeno, dove ” Sono le 57 e un quarto “.  È in questo racconto che brilla un aspetto fondante della raccolta: l’attesa, onirica e frequente, di un qualcosa di sconosciuto, il dover andare ad un ritmo non sempre sentito come personale.

Nei sogni come nella veglia, quasi tutti i personaggi di Buzzati sono spettatori di un mondo di cui non sono veramente parte attiva, che difficilmente è comprensibile o giustificabile, appunto, come un incubo in cui l’orologio punta le 57 e un quarto.

La quotidiana ipocrisia in Dino Buzzati

In Buzzati l’inquietudine nasce proprio da quella normalità borghese che permeava la quotidianità che lo stritolava nella noia. Sono le piccole differenze dal normale vissuto a stupire i protagonisti, spesso portandoli a vere e proprie crisi esistenziali. Basta un’anomala goccia che sale le scale a turbarci (nel racconto Una goccia) o anche il progredire in una fantasia sfrenata da bambini, che porta al disastro (ne Il borghese stregato). È nella vita di tutti i giorni, quella in cui si annidano le paure più morbose, recondite o imbarazzanti, che i personaggi alieni o fantastici fanno emergere l’ipocrisia della vita di quotidiana.

Sono voci misteriose, o mostri insospettabili, a far sparire gli idilli in cui si nascondono i protagonisti di una silloge in cui perfino gli insetti hanno una loro rivalsa sulla tracotanza umana.

Il colombre disegnato da Dino Buzzati.
Il colombre disegnato da Dino Buzzati.

I non idilli di Dino Buzzati e Italo Calvino

Leggere Sessanta racconti non può che farci sentire i più piccoli abitanti di un cosmo senza limiti, ma sicuramente anche i più arroganti e ottusi. Questa, in fin dei conti, è anche la più grande differenza con il fantastico in Italo Calvino: se Buzzati parte dal quotidiano per “far urlare il più possibile gli oggetti familiari” (citando una frase di Magritte) fino ad arrivare al mondo delle fiabe, Calvino attraverso il fiabesco ci parla del quotidiano.

Sarebbe un grande errore, d’altra parte, credere che gli scritti di Buzzati siano leziose e pedanti critiche. Dietro l’angoscia o la più pura ansia di alcuni racconti ci sono vere e proprie perle di una fantasia sfrenata che mira semplicemente a divertire e che non può essere chiusa nelle maglie di uno spicciolo moralismo.

Carlo Rotondi