Everything Everywhell All At Once: il Matrix al femminile

Everything Everywhell All At Once è il passepartout che apre la porta più importante, quella del 2023. – Voto UVM: 5/5

 

Già vincitore di due Golden Golbes e con undici candidature per l’edizione 2023 degli Academy Awards, i Daniels, (registi e sceneggiatori), presentano un film fuori dal comune. Tra le varie nomination: miglior attrice protagonista, – Michelle Yeoh, – miglior regia, migliori costumi, miglior montaggio e tanto altro ancora.

Gli artisti dell’opera: Daniel Kwan e Daniel Scheinert; anche registi di Swiss Army Man, diventato un piccolo cult, molto particolare, a tratti fuori di testa, con protagonisti Paul Dano e Daniel Radcliffe (il nostro mago di quartiere).

L’opera: il titolo dello stesso film, riassuntivo ed efficace.

Atipico, parola d’ordine

Un film non per tutti, me ne rendo conto in primis io, ma non in senso negativo, bensì per una questione di narrazione diversa dal solito che può destare esitazione per chi sceglie di prenderne visione. A me piace chiamarlo “il Matrix al femminile”, adesso vi spiego il perché: diviso in tre capitoli, Everything, illustra il concetto di multiverso attraverso principi scientifici, trovando appoggio e piegandosi alla fantasia. Un insieme di situazioni che connesse tra di loro acquisiscono un senso, che tra le altre cose è alla base del film. Divertente, – per cui non c’è neanche il rischio di annoiarsi, – coerente e sinceramente invidiabile per via della sua scorrevolezza e funzionalità, perché sì, funziona!

Condivide alcune somiglianze con Matrix di Lana Wachowski e Lily Wachowski, mostrando l’incontro tra fantascienza e arti marziali, in cui il protagonista è il prescelto, anche se in questo caso è la prescelta, a dover salvare il multiverso.

Tutto al femminile

Il tutto, questa volta, è presentato da una donna che lavora in una lavanderia a gettoni, insieme a suo marito Waymond Wang (Ke Huy Quan). Film ribelle, perché trasgredisce quel tipo di “regola” ormai diventata una prassi che vede l’uomo come figura adottata per presentare il prediletto. Questa volta potere al matriarcato!

Ad emergere in maniera quasi del tutto principale è Jamie Lee Curtis, presentata con le mani di hot dog, ma no spoiler. Nel cast abbiamo Stephanie Ann Hsu che interpreta la figlia della nostra prescelta, in questo caso Evelyn (Michelle Yeoh), con la quale ha un rapporto alquanto conflittuale, tema importante e centrale per lo sviluppo della trama.

Un multiverso arcobaleno

Tra le varie tematiche, Everything Everywhell All At Once, affronta anche quella del mondo LGBT. Proprio per questo motivo è un film che funziona sotto tutti i punti di vista. Joy (Stephanie Hsu), è difatti lesbica e ciò contribuisce ad alimentare i contrasti madre-figlia.

“Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna.”

Capovolgendo la citazione avremo come risultato l’opposto, perché al fianco di Evelyn abbiamo il marito, Waymond, interpretato da Ke Huy Quan, che riveste i panni di un uomo tranquillo, ingenuo e buono, ma con un ruolo fondamentale per l’intera durata della pellicola, poiché da quest’ultimo partirà il tutto, che avrà luogo in un posto inaspettato: l’agenzia delle entrate. Punto di partenza per la vicenda iniziale e di quelle a venire, diventando in questo modo il cuore del film, in cui tutto è nato e tutto è finito.

Everything Everywhere All At Once
Frame del film. Da sinistra verso destra: Ke Huy Quan (Waymond Wang), Michelle Yeoh (Evelyn Quan Wang), James Hong (Gong Gong). Casa di produzione: A24, AGBO, IAC Films, Year of the Rat. Distribuzione in italiano: I Wonder Pictures.

Burocrazia portami via!

Causa di tutto ciò che avverrà nei momenti successivi: la burocrazia. Vedremo una Evelyn dapprima insoddisfatta e demoralizzata, passare per un Evelyn star del cinema, chef e tanto tanto altro, grazie a questa successione di multiversi e arti marziali.

Diversità non è sinonimo blasfemia

È un film che personalmente ho trovato per certi versi commovente. Dà spazio a una serie di argomenti tutti insieme che quasi non te lo aspetteresti per un film del genere; come quello della famiglia, fulcro di tutto il racconto.

Nonostante la sua stravaganza e il modo da “fuori legge” di uscire dagli schemi, Everything Everywhell All At Once, riesce ad arrivare a ciò che si è prefissato di ottenere: umiltà e diversità, ordine e disordine. Si sa, la diversità delle volte non è apprezzata, ma per poterla effettivamente capire e accettare bisogna che ci si misuri con essa.

 

Asia Origlia

La Monaco Energy Boat Challenge: una competizione da non perdere

Il 24 febbraio 2023 si è svolto, presso l’Aula Magna del Rettorato dell’Università degli Studi di Messina,
l’evento: “Monaco Energy Boat Challenge: il debutto del team Messina Energy Boat”, nel quale gli
studenti dell’Università di Messina hanno presentato ufficialmente il loro progetto che è stato
ammesso a partecipare alla decima edizione della “Monaco Energy Boat Challenge”, nella categoria
“Energy Class”.
La Monaco Energy Boat Challenge è una competizione internazionale, organizzata dallo Yacht Club di
Monaco, nella quale si sfidano team universitari, selezionati dal comitato tecnico, provenienti da tutte
le parti del mondo. Lo Yacht Club di Monaco si occupa di fornire lo scafo dell’imbarcazione a tutti i
team selezionati, sfidandoli a progettare un cockpit ed un sistema di propulsione, utilizzando solo fonti
di energia a zero emissioni e materiali ecosostenibili.

Fonte. universome.it

Dopo l’apertura della giornata da parte del prof. Salvatore Cuzzocrea, Magnifico Rettore dell’Università
degli Studi di Messina, hanno preso la parola il prof. Eugenio Guglielmino, Direttore del Dipartimento di
Ingegneria, presentando alcuni “Progetti didattici-sportivi” realizzati in questi ultimi anni dal
Dipartimento di Ingegneria e il prof. Vincenzo Crupi, Faculty Advisor del team di Messina Energy Boat,
nonché Coordinatore del Corso di Laurea in Scienze e Tecnologie della Navigazione, che si è
soffermato sul tema della “blue growth” e sulle opportunità di crescita che questa presenta.
Sono poi intervenuti l’Ing. Giulia Palomba, Vice Faculty Advisor del team Messina Energy Boat, con una
presentazione su “Messina e il mare” e il prof. Pasqualino Corigliano, docente del corso di laurea in
Scienze e Tecnologie della Navigazione, su tema delle professioni collegate al mare.

 

Fonte: universome.it

La mattinata ha visto poi come protagonisti gli studenti del corso di laurea triennale in “Scienze e
tecnologie della navigazione” e magistrale in “Scienze e logistica del trasporto marittimo ed aereo” che
hanno avuto la possibilità di presentare il progetto ed il team Messina Energy Boat. In particolare
Angelica Sparacino, Team Leader del team MEB e Giuseppe Brando, MEB Logistics Team Leader,
hanno presentato le vari fasi del progetto, mentre gli studenti Gabriele Cama, MEB Design Team Leader
e Vittorio Geraci, MEB 3D Modeller, si sono soffermati su “Il progetto MEB: strutture e materiali
innovativi”. Marco Pavan, MEB Propulsion Team Leader e Umberto Salpietro hanno centrato
l’attenzione sul sistema di propulsione a zero emissioni dell’imbarcazione in fase di realizzazione e
infine, Antonio Piras, MEB Management Team Leader, ha esposto le strategie di comunicazione e
marketing che sono state poste in essere.

 

Fonte: universome.it

In un Aula Magna del Rettorato gremita erano presenti autorità, docenti e rappresentanti di aziende del
territorio di Messina e provincia oltre che numerosi studenti degli istituti nautici I.T.T.L. “Caio Duilio” di
Messina accompagnati dal Dirigente scolastico Daniela Pistorino, I.S.I.S. “Duca degli Abruzzi” di
Catania accompagnati dal Dirigente scolastico Brigida Morsellino, I.T.E.T. “Leonardo Da Vinci” di
Milazzo insieme al prof. Giuseppe Gentile e I.I.S. “F. Severi” di Gioia Tauro con il prof. Espedito
Valentino Pettinato.

 

 

Alessandra Cutrupia

Top Gun: Maverick è un film vecchio

Gli sceneggiatori di Top Gun: Maverick pensavano che fossimo ancora negli anni ’80, infatti quasi ogni cosa fa a botte col nostro secolo. Bocciato, anche se le scene d’azione fanno il loro dovere. Voto UVM: 2/5

 

Top Gun: Maverick, prodotto dall’attore protagonista Tom Cruise e diretto da Joseph Kosinski (Tron Legacy, Oblivion, Spiderhead), è riuscito ad ottenere alcune candidature all’Oscar nella sua 95° Edizione: Miglior Film, Miglior Sceneggiatura non originale, Migliori Effetti Speciali e Miglior Sonoro. Ma saranno davvero meritate queste candidature?

Faccio un po’ come mi va!

La narrazione parte ripescando il protagonista del precedente film. Pete “Maverick” Mitchell (Tom Cruise), adesso Capitano di vascello della Marina degli USA, grazie alla sua esperienza ha assunto il ruolo di tester di nuovi mezzi aerei. Al momento di mettere alla prova un mezzo a grandi altezze e velocità ipersoniche, arriva il contrammiraglio Chester “Hammer” Cain (Ed Harris) con l’intenzione di smantellare l’equipè di ricerca che ha sostenuto Maverick e indirizzare le ricerche sui droni da guerra. Per evitare questo, Maverick ha l’occasione di agire contro le decisioni dall’alto e prova un lancio ad alta velocità con il velivolo “DarkStar”. Durante il volo il capitano provoca un danno al mezzo a causa della mania di superare i suoi limiti. Dopo questa sua ennesima subordinazione, il controammiraglio vorrebbe congedarlo ma è costretto a mandarlo alla Top Gun sotto richiesta del comandate della Flotta del Pacifico.

Nepotismo: l’America sa cos’è

Nonostante si tratti dell’incipit del film, già da qui si notano i primi scricchiolii della sceneggiatura. Infatti, il nostro protagonista ha dimostrato di non essere cresciuto durante la sua carriera trentennale da pilota. Sembra che il suo caratteraccio non gli abbia permesso di progredire nel mondo della Marina. Dall’altra parte però non è stato congedato dal suo ruolo, poiché il suo ex rivale e amico, Tom “Iceman” Kazansky (interpretato da un provato Val Kilmer), ha raggiunto la posizione di comandante della Flotta. Solo grazie ad Iceman a coprirgli le le spalle, il protagonista non è stato costretto a cambiare i suoi atteggiamenti. Nemmeno i suoi tormenti sono però cambiati, nonostante gli anni trascorsi.

Top Gun: Maverick
Frame del trailer Top Gun: Maverick. Casa di produzione: Paramount Pictures, Skydance Media, Jerry Bruckheimer Films, TC Productions.

I fantasmi che non vanno via

Nonostante il trauma di Maverick fosse già stato abbondantemente affrontato nel primo Top Gun, anche in questa storia viene di nuovo ripreso il senso di colpa del pilota nei confronti del grande amico e collega Nick “Goose” Bradshaw, morto in seguito ad una manovra pericolosa eseguita istintivamente dal nostro protagonista durante un volo in coppia. A rinnovare il suo trauma è l’incontro con il figlio di Goose, Bradley “Rooster” Bradshaw (Miles Teller), il quale lo detesta per avergli fatto ritardare di 4 anni l’iscrizione all’accademia della Marina. È qui che il minutaggio della pellicola viene inutilmente allungato presentando scene della morte di Goose, i bei ricordi di quando era ancora vivo e le inquadrature che si perdono continuamente su fotografie di Maverick che ritraggono il suo passato.

Top Gun: Maverick
Frame del trailer Top Gun: Maverick. Casa di produzione: Paramount Pictures, Skydance Media, Jerry Bruckheimer Films, TC Productions.

Top Gun: Boomer edition

È proprio il passato che rovina il tutto, o meglio, il film non ha altro da offrire se non il passato. A parte qualche spunto su quanto sia importante l’istinto di un pilota, che non può competere in molti casi con la freddezza calcolatrice di una Intelligenza Artificiale, non c’è assolutamente nulla di nuovo. La storia è una copia carbone della narrazione del primo film e non c’è alcuna evoluzione nei personaggi. Per giunta la trama non ci prova nemmeno, poiché in più occasioni si ritrova a far partire sotto trame che conclude in maniera molto superficiale.

Love story: perchè?

Tra i vari filoni della trama vi è anche l’immancabile love story tra il protagonista e una qualsiasi donna pescata dal nulla che si sostituisce all’amata che avevamo conosciuto nel prequel. Penny (Jennifer Connelly) è una barista che lavora in un locale vicino alla scuola Top Gun. Dalle conversazioni che ha col nostro capitano di vascello scopriamo che hanno già avuto una storia amorosa finita male. Qui il regista coglie l’occasione per rimuginare sul passato di Maverick e “devolvere” anche quest’aspetto della narrazione. Come finisce questa parte della trama non possiamo anticiparvelo, ma credo sia alquanto scontato!

Largo ai giovani, ma non troppo

Ci sono tante cose che abbiamo tollerato con difficoltà: l’attacco allo Stato avversario identificato dalla NATO chiamato “Stato canaglia”, la solita retorica americana che ci viene cantata da 50 anni a questa parte, le scene riprese pare pare dal primo capitolo. Fra queste, però, c’è un aspetto che le supera tutte: l’uso delle figure giovanili come unico espediente della trama. Chiarisco questo punto: Maverick viene chiamato alla Top Gun per addestrare i 16 migliori piloti della scuola per una missione impossibile da portare a termine. Ciò che fa la narrazione non è altro che creare tensione attorno a questa missione, ma di fatti i già “migliori piloti” non hanno nulla da imparare, perché appunto sono i migliori; al massimo possono limitarsi a fare un ripasso di retorica americana.

Top Gun: Maverick
Frame del trailer Top Gun: Maverick. Casa di produzione: Paramount Pictures, Skydance Media, Jerry Bruckheimer Films, TC Productions.

In conclusione

Anziché soffermarsi sui tanto amato anni ’80, sarebbe stato interessante un approfondimento sulla preparazione psicologica dei giovani piloti in missioni così tanto importanti, creare spunti di riflessione di questi nei confronti di una guerra fantasma, creare storie concludenti per i personaggi del passato e, magari, lasciare aperto “il sipario” per le generazioni future. Possiamo dire che Top Gun: Maverick si mostra un’opera tipicamente Hollywoodiana che mette in mostra i muscoli dei suoi attori e dei migliori effetti speciali, ma in sostanza non è altro che un prodotto commerciale che mira alla nostalgia del suo pubblico, discostandosi di poco dai tanto odiati cinecomic!

 

Salvatore Donato

Lotta al fumo: una proposta del Ministro della salute vorrebbe vietarlo anche all’aperto

Il Ministro della salute Orazio Schillaci, consacrato da una buona parte del governo, continua la propria crociata contro il fumo; sia esso proveniente dalle sigarette “tradizionali”, dalle sigarette elettroniche (e-cig) o dalle sigarette a svapo (Iqos e simili). Da sempre, studi scientifici dimostrano quanto dannosa possa essere l’inalazione, attiva o passiva, dei fumi provenienti da ogni tipo di sigarette. A tal ragione, la lotta organizzata da Schillaci si propone di generare una nuova cultura popolare, che stigmatizzi l’assimilazione di tali sostanze tossiche e prediliga il benestare comune. Vediamo ora come il Ministro crede di annientare le attuali abitudini: cos’ha già compiuto e cos’ha da definire a compimento.

Sigarette elettroniche: “Allargare il divieto nei luoghi pubblici”

Riporta le informazioni Tgcom24. L’uso delle sigarette “tradizionali” era diversamente regolamentato dall’uso delle sigarette elettroniche. Verso la fruizione delle prime la legislazione era parecchio stringente; verso la fruizione delle seconde meno. Uno status quo che Schillaci e vicini hanno avuto la brama di ristrutturare. Il medico, infatti, nel corso di un’audizione in Commissione Affari sociali della camera, ha fatto sapere di voler ritoccare la legge Sirchia, vecchia di vent’anni, per allargarne i vincoli:

Intendo proporre l’aggiornamento e l’ampliamento della legge 3/2003 per estendere il divieto di fumo in altri luoghi all’aperto in presenza di minori e donne in gravidanza; eliminare la possibilità di attrezzare sale fumatori in locali chiusi; estendere il divieto anche alle emissioni dei nuovi prodotti come sigarette elettroniche e prodotti del tabacco riscaldato; estendere il divieto di pubblicità ai nuovi prodotti contenenti nicotina.

Prima di oggi, per l’appunto, era vietato usare le sigarette elettroniche solo all’interno di aerei, treni, navi, scuole, centri per l’impiego, ospedali, centri di detenzione e altre sedi istituzionali. Era legittimo, per gli imprenditori della gastronomia, adibire nei propri locali “sale fumatori”. Ed era legittimo, per gli imprenditori del settore, fare pubblicità, in maniera diretta o indiretta, delle sigarette di ultima generazione.

Fumo
Fumo. Fonte:Flickr

Fumo, obbiettivo: mai più all’aperto!

Dopo un primo “colpo medio”, ecco il “colpo basso” per mandare giù l’estesa categoria dei fumatori. In seguito all’appianamento legislativo, i tecnici della Salute hanno scelto di rivedere anche il diritto di fumo negli spazi sconfinati.

Il provvedimento in bozza prevede che non si possa più accendere né una sigaretta né una e-cig nei tavoli all’aperto di bar e ristoranti, così come alle fermate di metro, bus, treni e traghetti. L’obbiettivo terminale, presumibilmente, sarà quello di eliminare totalmente la pratica del fumo all’aperto.

Bar, ristoranti e fermate dei mezzi pubblici sono infatti da considerare come aree di aggregazione (in cui potrebbe essere giusto porre attenzione al fenomeno dell’aspirazione passiva del fumo). Ma chissà se presto verranno considerate -nell’accezione ora individuata- “aree di aggregazione” tutte le zone al di fuori delle mura domestiche. Il futuro starà alla sensibilità, riguardo al tema, del governo.

 Fumo, quanto costa un’infrazione

La multa per chi trasgredisce ai nuovi divieti è di 275 euro, ridotta del 50% se pagata entro sessanta giorni dall’avviso di sanzione. La stessa  somma che è da più tempo prevista per chi infrange il divieto di fumo tradizionale al chiuso.

L’ammenda può essere commutata solo dai vigili urbani o dalle forze dell’ordine. I gestori dei locali avranno il compito di notificare loro l’infrazione.

Si rileva che la legge Sirchia non è stata trasgredita molte volte negli ultimi venti anni. Plausibilmente per il basso numero di segnalazioni da parte degli addetti piuttosto che per la scarsità delle disobbedienze.

Gabriele Nostro

 

Waiting for Oscar 2023: Gli Spiriti dell’Isola

Gli spiriti dell’isola, fa entrare lo spettatore, quasi senza che egli se ne renda conto, nel microcosmo dell’isola e spinge alla riflessione. – Voto UVM: 4/5

 

Presentato alla mostra del cinema di Venezia nel settembre 2022 e distribuito nelle sale italiane dallo scorso due febbraio, Gli spiriti dell’isola è una delle pellicole  che sembra emergere maggiormente alla cerimonia degli Oscar 2023. Il film conta ben nove candidature, tra cui miglior film, miglior regia, miglior attore protagonista a Colin Farrell, miglior attrice non protagonista a Kerry Condon e molti altri!

Gli spiriti dell’isola è ambientata sulla fittizia isoletta di Inisherin a occidente delle coste irlandesi. Poche case, un Pub dove gli isolani sono soliti trascorrere l’interminabile tempo libero, un sacerdote che approda sull’isola soltanto la domenica, un unico altero poliziotto e uno scemo del villaggio.
La regia è di Martin Mc Donagh (Tre manifesti ad Ebbing, Missouri), già vincitore di tre Laurence Awards. Samuel Beckett è il suo mentore, e proprio l’assurdo farà da padrone nel film.

Gli spiriti dell’isola: trama

Il lungometraggio ruota attorno alla frattura di due amici fraterni, Padriac, interpretato dal quantomai espressivo Colin Farrell (Animali fantastici e dove trovarli) e Colm, Brendan Gleeso, passato agli onori per il ruolo di Malocchio Moody nella saga di Harry Potter.

Entrambi di mezza età, il primo pastore e il secondo violinista, vivono da sempre sull’isola. D’improvviso il corpulento Colm decide di rompere l’amicizia con il “gentile” (così definito da tutti) Padriac. All’apparenza senza una ragione, spinto dall’insistente richiesta di una spiegazione l’uomo rivela di volersi dedicare alla musica, non vuole più passare i suoi ultimi anni a chiacchierare di cose vuote, inutili e noiose. A riguardo Colm riferisce di avere preso questa decisione dopo avere ascoltato il racconto di ciò che Padriac aveva trovato nelle feci della sua asinella. L’altro tenta  in vari goffi modi a ricucire lo strappo, ma Colm minaccia l’amputazione di un dito per ogni volta che gli verrà rivolta la parola.

Corre l’anno 1923 e sulla “terraferma” (così tutti i personaggi definiscono l’Irlanda) infuria una guerra civile tra lo Stato Libero che accetta un compromesso con l’Inghilterra e coloro che vogliono la totale indipendenza della Nazione. L’esistenza degli abitanti dell’isola è privilegiata direbbero alcuni, perché non è affatto toccata dalle brutture di una guerra fratricida. Di tanto in tanto qualcuno sente i colpi di artiglieria che scuotono la pace monotona dell’isoletta.

Gli spiriti dell'isola
Scena del film. Fonte: searchlight pictures

Colm e Padriac: amici nemici

Intorno ai due uomini,  ne Gli spiriti dell’isola sono presenti vari personaggi. Tra questi si ricordano alcuni avventori del Pub i quali fungono da silenzioso coro greco, che giudica con sguardi e atteggiamenti le azioni di Colm e Padriac. Una figura interessante è il poliziotto, un uomo violento con il figlio e autoritario, insieme  a  Dominic, il figlio di quest’ultimo, animo innocente visto come lo scemo del villaggio, vittima delle violenze e dei trastulli del padre.

L’irragionevole litigio tra i due sconquassa gli equilibri dell’isola ed è metafora dell’irragionevolezza dei conflitti familiari, dei ben più gravi conflitti fra fazioni o Nazioni.

Altro ruolo importante è rivestito dagli animali, in particolare il cane di Colm e l’asinella di Padriac. Compagni e testimoni delle vicende dei due rispecchiano alcune sfaccettature dei due uomini, entrambi animali fedeli e innocenti, l’asino rispecchia anche la testardaggine del padrone nel voler fare pace con l’amico. Il cane potrebbe rappresentare anche il lato in qualche modo avventuriero di Colm, che vorrebbe lasciare traccia di sé attraverso una sua composizione.

Due sono le figure femminili dell’isola, la pettegola negoziante e l’anziana e inquietante incarnazione delle Banshee. Quest’ultima, ingobbita, si aggira sull’isola predicendo sempre oscuri presagi e, per questo, viene derisa o evitata.

 

Gli spiriti dell'isola
Scena del film. Fonte: searchlight pictures

Un’amicizia “focosa”

E’ in un climax sempre più intenso che Gli spiriti dell’isola svela la vita su Inisherin. L’automutilazione di Colm, il quale lancerà le dita tagliate contro la porta dell’ormai ex amico è immagine dell’odio insensato che genera piccole e grandi contese. Altro aspetto focale è la morte dell’asina per via di una di queste dita. Ciò scatenerà la folle reazione di Padraic che arriverà a dare fuoco alla casa di Colm augurando a quest’ultimo di morire tra le fiamme, chiedendo però di lasciare il cane fuori dalla porta.

La minaccia del gesto avviene davanti a tutti al Pub, persino dinanzi allo stesso poliziotto, dipinto dallo stesso Padraic come un molestatore. Si perde ogni raziocinio e autocontrollo. Il pastore andrà davvero a bruciare la casa, di domenica alle due del pomeriggio come aveva annunciato.

Gli spiriti dell’isola come una tragedia greca

Il film da un inizio più umoristico si trasforma in un dramma grottesco che ricorda molto una tragedia greca: l’assurdità simbolica dell’automutilazione la caparbietà di Colm, simile a quella del Creonte Sofocleo, la guerra fratricida che getta nel caos l’isola.

Altro punto importante è che il film racconta l’amicizia, una delle tre forme d’amore per gli antichi greci. Padriac è quasi geloso come un innamorato nel vedere altri ridere e scherzare con Colm, vede addirittura preferire la compagnia del violento poliziotto alla sua. La solitudine di Padriac lo porterà a dialogare con Dominic, lo scemo del villaggio, addirittura ad ospitarlo a casa e a denunciare davanti a tutti gli abusi del padre.  Il povero ragazzo, vistosi rifiutato da lui si suiciderà. Proprio la vecchia banshee troverà il suo cadavere e lo riferirà al padre che, come un antagonista tragico, vedrà cadere su di sé il peso terribile delle sue azioni.

Gli spiriti dell'isola
Scena del film. Fonte: searchlight pictures

 

Gli spiriti dell’isola, pellicola prima umoristica e poi sempre più cupa, fa entrare lo spettatore, quasi senza che egli se ne renda conto, nel microcosmo dell’isola e spinge alla riflessione. Del resto, lo scopo delle antiche tragedie era incentivare la riflessione ed educare. Due obiettivi mirabilmente raggiunti da McDonagh.

 

Marco Prestipino

Tár: tra l’abuso di potere e la musica classica

Tár
Nonostante l’eccessiva durata e la presenza di alcune scene non necessarie, Tár è un film che merita una visione. – Voto UVM: 3/5

 

Tár è un film del 2022 (qui in Italia, è arrivato lo scorso 9 Febbraio) scritto e diretto da Todd Field. Il film ha ottenuto ben 6 Candidature agli Oscar 2023 (Miglior Film, Miglior Regia, Miglior Attrice Protagonista, Miglior Sceneggiatura Originale, Miglior Montaggio e Migliore Fotografia).

L’attrice protagonista è Cate Blanchett, e questo ruolo le ha già garantito tre vittorie: una al Festival di Venezia (Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile); un’altra ai Golden Globe (Miglior attrice in un film drammatico) e un’altra ai BAFTA (Miglior attrice). Blanchett ha anche ottenuto una candidatura come Miglior Attrice Protagonista.

Trama

 Tár racconta la storia di Lydia Tár (Cate Blanchett), un’affermata direttrice d’orchestra omosessuale ed una delle più grandi compositrici di musica classica conosciute in tutto il mondo. E’ anche la prima donna a dirigere l’orchestra dei Berliner Philharmoniker (o Orchestra filarmonica di Berlino). Lydia si ritrova al centro di molte polemiche per via del suo abuso di potere e per via di strane voci, in cui affermano che chiede dei “favori” sessuali ad alcune dipendenti. E le voci si fanno sempre più forti, nel momento in cui avviene il suicidio di una sua assistente e per via di questo fatto, cominciano a circolare anche delle prove compromettenti.

Film longevi o “sequestro di persona”?

Che non si fraintenda la domanda, perché è una semplice osservazione che si riscontra ultimamente, al cinema. Erroneamente, si pensa che una lunga durata equivalga a “Capolavoro”. Perché si afferma ciò? Perché si tende ad allungare il minutaggio di alcune pellicole in una maniera un po’ esagerata in certe occasioni, senza considerare il fatto che non garantisce necessariamente il successo. Attenzione, “Tár” è una pellicola interessante e merita una visione, però considerando ciò che si voleva rappresentare, poteva benissimo durare un po’ di meno.

Un difetto riscontrato nel film è la lentezza percepita in alcuni punti. Questo è successo anche in altre pellicole come Babylon di Damien Chazelle o Avatar – La Via Dell’Acqua di James Cameron. Film coinvolgenti con una buona spettacolarità e fatti per gli amanti del cinema, ma con una durata leggermente eccessiva. Molti spettatori si sentono “sequestrati” ed addirittura si sono annoiati. Bisogna cercare di migliorare alcuni aspetti e puntare di più sulla qualità, che sulla quantità di minuti!

Ma cosa rappresenta esattamente il film?

Tanto per cominciare, non è una storia vera. Lydia Tár non è mai esistita, ma si vocifera che una direttrice d’orchestra abbia avuto una vita possibilmente simile e che abbia caratteristici simili a quelle di Lydia. La figura di quest’ultima rappresenta l’abuso di potere e la continua ossessione per la musica classica, tanto da non dormirci la notte. Lydia qui è all’apice della sua carriera e non vuole che tutto crolli, quindi ad un tratto la si vede perdere il controllo e a sentire la pressione sulle presunti voci che girano sul suo conto. Come si deduce da ciò, Cate Blanchett non ha interpretato un ruolo facile, ma è riuscita a calarsi in esso, abbracciando tutte le sfumature.

Tár è anche la rappresentazione del contrasto che c’è tra l’ammirazione e il risentimento, tra il bisogno d’attenzione e il desiderio di vendetta, tra l’amore e l’odio. Non si sa cosa provare nel vederla, se un po’ di empatia o addirittura disgusto per alcuni comportamenti che attua. Field, inoltre, ha voluto rappresentare con la figura di Lydia anche l’equilibrio tra la vita professionale e quella privata di un artista che, in alcuni momenti, va a perdersi.

 Tár è un buon film?

Nonostante l’eccessiva durata e la presenza di alcune scene non necessarie, Tár è un film che merita una visione; realizzato, soprattutto, per gli appassionati di musica classica. Potrebbe non vincere la statuetta come Miglior Film, ma è comunque un buon film. Todd Field ha dichiarato esplicitamente:

“Questa sceneggiatura è stata scritta per un’artista: Cate Blanchett. Se avesse rifiutato, il film non avrebbe mai visto la luce”.

Effettivamente, considerando l’eleganza e la classe dell’attrice, forse nessun’altra avrebbe potuto fare di meglio. Il film può vantare di una buona regia e di una performance eccezionale da parte dell’attrice protagonista.

Cate Blanchett vincerà l’Oscar?

Si è già aggiudicata diversi premi e bisogna riconoscere che sono meritati. E per quanto riguarda l’Oscar si presuppone che abbia la vittoria assicurata. Una cosa, però, che non si dovrebbe dare tanto per scontata!

Ma con tutto il rispetto per le altre candidate che sono state bravissime nei loro ruoli (Ana De Armas per Blonde, Michelle Williams per The Fabelmans o Michelle Yeoh per Everything Everywhere All at Once), la Blanchett è un passo avanti e il ruolo che ha interpretato in Tár è stata una macchia importante per il suo curriculum. Ha buone possibilità di vittoria.

Attendiamo la Notte Degli Oscar 2023 per vedere cosa accadrà.  

 

Giorgio Maria Aloi

La legge di “Lidia Poët”: la rivoluzionaria prima avvocata italiana

Un racconto ottocentesco in chiave moderna, tra ambizione e indipendenza. Ottimo prodotto d’intrattenimento con una sola pecca: i ritmi del 4 e del 5 episodio un po’ lenti. Voto UVM: 4/5

 

Dal 15 febbraio è disponibile sulla piattaforma Netflix una nuova serie totalmente italiana, ispirata ad una storia vera, dal titolo: La legge di Lidia Poët. La serie, prodotta da Groenlandia, nasce da un’idea degli sceneggiatori Guido Luculano e Davide Orsini, e vede alla regia Matteo Rovere e Letizia Lamartire.

La fiction si presenta come un omaggio a Lidia Poët, prima donna d’Italia a laurearsi in legge e a chiedere l’iscrizione all’Ordine degli avvocati nel 1883. Esercitò la professione per pochi mesi, prima che una sentenza della Corte d’Appello dichiarò illegittima la sua iscrizione. La causa? L’essere donna. Da quel momento in poi Lidia, impeccabilmente interpretata nella serie da Matilda De Angelis, diverrà uno dei punti di riferimento per l’emancipazione e l’indipendenza femminile.

Il racconto di una giovane donna tra pregiudizi e verità…

La Corte accoglie il ricorso contro la signorina Poët Lidia e dichiara nulla la sua iscrizione presso l’albo professionale degli avvocati della città di Torino.

Da questa sentenza (riportata integramente nel primo episodio), Lidia smarrita, delusa e alla ricerca di un supporto si reca a casa del fratello, anche lui avvocato, Enrico Poët (Pier Luigi Pasino). Ad accoglierla la cognata Teresa Barberis (Sara Lazzaro) che, tanto ancorata ai dettami della società del tempo, non supporterà tutte le ideologie della cognata.

Se Dio ti voleva avvocato non ti faceva donna!

Matilda De Angelis in “Lidia Poët”. Fonte: IoDonna. Casa di produzione: Groenlandia. Distributore ufficiale: Netflix.

 

Frasi che riecheggiano nella mente di Lidia. Tanto legata anche al giudizio negativo del padre defunto, più volte ricordato nel corso del racconto. Tra sguardi dubbiosi e feroci pregiudizi, la Poët non perde di vista l’obiettivo ed inizia a scrivere il suo discorso di ricorso. Nel frattempo diventa assistente del fratello, assurgendo un po’ al ruolo di eroina delle “cause perse”. Ad aiutarla nelle avventure investigative, il giornalista anarchico nonché fratello di Teresa, Jacopo Barberis (Eduardo Scarpetta) che la guiderà nei misteriosi luoghi tornesi.

Dietro le quinte: tra borghesia ottocentesca e modernità!

Essere una donna alla fine dell’ottocento non era semplice! L’avvocatura, come altri lavori, era legata a molti stereotipi. La credibilità e la serietà facevano parte solo di uomini tutti d’un pezzo. All’epoca vedere una toga sovrapposta ad abbigliamenti femminili “strani e bizzarri”, non era concepibile. E proprio Lidia cercherà nella serie, come nella realtà, di combattere contro tutto questo.

Mi sono resa conto che la condizione di inferiorità, alla quale è stata sottoposta la donna per secoli partiva anche dalle cose più semplici, come i vestiti. Perché la libertà parte dalla mente, ma anche dalla libertà di movimento. Queste tra loro vanno di pari passo!

In effetti come afferma Matilda De Angelis, in una delle sue interviste per Netflix, da questa serie si può intuire proprio questo. Si vuole dare l’idea di una donna moderna ed emancipata, in un contesto che è tutt’altro, ma senza ricorre ai soliti clichè di mascolinità. Lidia qui è appassionata di moda, la sua personalità le viene ricamata addosso. Tra abiti dai colori accessi nei motivi più variegati e gioielli dal gusto orientale.

Lidia Poët
In ordine: Eduardo Scarpetta, Matilda De Angelis, Pier Luigi Pasino. Fonte: IoDonna. Casa di produzione: Groenlandia. Distributore ufficiale: Netflix.

 

Lidia corre, inciampa, cade, porta la bicicletta, fa tutto quello che per una femmina di quei tempi era inammissibile. Nei vari episodi riecheggiano temi che vanno dal patriarcato al femminismo, dall’anarchia allo spiritismo.

La sceneggiatura è stata curata nei minimi dettagli. Dal tribunale, alla prigione, al manicomio, all’obitorio. Torino con le sue case ancora in pieno stile ottocentesco, ha dato un tocco in più. Sono state ricreate pagine di giornale, macchine da scrivere, strumenti e metodi d’indagine come il guanto volumetrico. Ritroviamo dei riferimenti alle prime teorie sulle impronte digitali e alla nuove forme di analisi criminologica, novità per l’epoca.

In conclusione consigliamo Lidia Poët?

Tra polemiche e perplessità che in molti hanno rivolto alla serie, addirittura rinnegando l’effettività storica riportata in scena.

Ho scritto a Netflix, Lidia Poët non è la prima avvocatessa d’Italia ma la prima donna iscritta all’ordine degli avvocati di Torino. La prima avvocatessa d’Italia è Giustina Rocca di Trani

Dalle parole dell’avvocatessa Cecilia Di Lernia, riportate in un’articolo della Repubblica. Nonostante queste contestazioni la serie, un po’ in chiave Sherlock Holmes e Signora in Giallo del tardo ottocento, è da guardare. E perché no un sequel non sarebbe mica male!

Se ho catturato la tua curiosità, perché non dai un’occhiata al trailer ufficiale? Non te ne pentirai, clicca qui oppure fai play qui giù!

 

Marta Ferrato

La Marvel da il via alla Fase 5 con Ant-Man and the Wasp

 

Un film che, se preso come storia singola senza farsi troppe aspettative, potrebbe divertire ma che all’enorme schema della Marvel aggiunge poco. – Voto UVM: 2/5

 

Con questo nuovo film, è iniziata ufficialmente la Fase 5 del Marvel Cinematic Universe (MCU). La nuova pellicola realizzata dai Marvel Studios è Ant-Man and the Wasp: Quantumania, film del 2023 diretto da Peyton Reed e con protagonista Paul Rudd. Nel cast sono presenti anche Evangeline Lilly, Jonathan Majors, Michelle Pfeiffer, Michael Douglas e Kathryn Newton.

Trama

Sono passati ormai tre anni dagli eventi di Avengers: Endgame. Scott Lang/Ant-Man (Paul Rudd), sta vivendo un periodo sereno: è diventato un autore di successo e vive felicemente con la sua compagna Hope Van Dyne (Evangeline Lilly). Sua figlia Cassie (Kathryn Newton) sta lavorando da tempo ad un dispositivo che consentirà l’esplorazione del Regno Quantico senza recarsi fisicamente. Questo luogo misterioso è stato a malapena menzionato da Janet Van Dyne (Michelle Pfeiffer), visto che lei è rimasta lì per tanto tempo. Ma qualcosa non va dopo l’accensione del dispositivo e il segnale viene captato da qualcuno e di conseguenza, Scott, Hope, Cassie, Janet e Hank Pym (Michael Douglas) vengono trascinati all’interno del Regno Quantico. Lì dovranno vedersela con un misterioso individuo: Kang Il Conquistatore (Jonathan Majors).

Mancanza di comunicazione ai Marvel Studios?

Ma è una sensazione o ultimamente, i Marvel Studios non osano più di tanto? Da premettere che ormai sono anni che lavorano su questo universo in cui cercano di far incastrare tutto con i personaggi e le loro storie. Se si guardano le prime tre fasi che vanno a comporre la Saga dell’infinito, nonostante ci siano stati alcuni errori, però tutto tornava e piano piano erano riusciti a comporre bene il puzzle che avevano in mente. Ma ora, sembrano che non si impegnino al massimo. Ci sta perdersi in qualcosa, dopo tutto questo tempo, ma ultimamente molte cose non tornano. Sembra che puntino più sull’andare avanti in modo pigro e poco chiaro.

I Marvel Studios devono stare attenti

E’ aumentato più il profilo quantitativo, ma allo stesso tempo è diminuito quello qualitativo. Si può notare già da alcuni prodotti della Fase 4, dove ci sono stati non solo film, ma anche Serie Tv distribuite esclusivamente su Disney Plus. Già lì, si percepisce il poco impegno e sembra che addirittura i vari addetti che ci sono dietro l’universo della Marvel non si parlino tra loro e questa mancata comunicazione sta portando a delle vere incongruenze narrative.

Devono stare attenti, perché c’è il rischio che poco a poco, anche gli spettatori più distratti si accorgeranno che alcune cose non tornano. Ci sta introdurre poco a poco gli elementi che servono a proseguire in una direzione precisa e ci si aspetta che abbiano una spiegazione, in seguito. Ma conta anche il modus operandi adottato per fare ciò e bisogna stare attenti a non creare confusione e buchi di trama. Il problema non sta solo nel come si cerca ad arrivare all’obiettivo. Sta anche nel come si realizzano i vari prodotti singoli. La Fase 5 è appena iniziata e sembra che stia ancora proseguendo allo stesso identico modo dei prodotti Marvel precedenti.

Marvel, Star Wars o Rick e Morty?

Ant-Man and the Wasp: Quantumania è un film che, se preso come storia singola senza farsi troppe aspettative, potrebbe divertire. Ma all’enorme schema della Marvel, aggiunge poco e non lo fa nel migliore dei modi. Se si guardano i presupposti narrativi da cui parte il vero fulcro del film, sono di una stupidità abissale e il luogo dove si svolge la trama, è l’osmosi di una puntata di Rick e Morty e di un film di Star Wars, con l’aggiunta di un pizzico di Tesoro, Mi Si Sono Ristretti I Ragazzi.

La trama è coinvolgente ed è presente anche quella leggerezza che diverte, distribuita con le giuste dosi. Però ad un certo punto, il film lascia lo spettatore confuso con delle dinamiche narrative non mostrate benissimo e in un modo poco chiaro. Si riscontrano dei punti negativi anche nel comparto tecnico. La colonna sonora è buona, però il montaggio non è chiaro, per via dell’assenza di elementi che non fanno capire certe cose e le situazioni rappresentate sono unite a casaccio, da un flebile fil rouge. Ma la cosa che disturba di più è la CGI fatta male.

Kang è un buon villain o no?

Per quanto riguarda i vari personaggi, si dimostrano poco caratterizzati e non sono approfonditi per come dovrebbero. L’unico che si salva è Paul Rudd nei panni di Scott Lang. Gli altri, onestamente, non spiccano al massimo: Hope Van Dyne viene mostrata così poco che fa persino dubitare la sua presenza certe volte; la giovane Cassie Lang non lascia nulla; Hank Pym non è lo stesso personaggio caratterizzato come nei precedenti film e potevano approfondire di più Janet Van Dyne.

Per concludere, si parla di Kang. Se si sa che questo nuovo villain verrà introdotto in questo film e dovrà avere un ruolo simile a quello di Thanos, non si aspetta che venga tutto spiegato subito ciò che lo riguarda. Però, qualche approfondimento in più su di lui non sarebbe stato male. Jonathan Majors non si è impegnato abbastanza, ma c’è la possibilità che possa fare di meglio e che il suo personaggio venga esplorato come si deve, in futuro.

Vedremo cosa accadrà nel futuro del Marvel Cinematic Universe.

 

Giorgio Maria Aloi

Firenze, estremisti di destra aggrediscono due studenti davanti scuola

Lo scorso 18 Febbraio, davanti al Liceo Classico Michelangiolo di Firenze, alcuni studenti membri di un collettivo di sinistra sono stati ferocemente aggrediti con pugni e calci prima dell’inizio delle lezioni. Fra gli aggressori sono stati identificati sei membri del collettivo giovanile di estrema destra Azione Studentesca.

Il blitz di matrice fascista

Grazie alle testimonianze e alle immagini riprese in diretta dell’episodio, si è potuta ricostruire la dinamica su cui avrebbe avuto origine l’aggressione: tutto sarebbe partito da un volantinaggio in una via adiacente alla scuola da parte dei giovani di Azione studentesca, movimento studentesco italiano di estrema destra, non direttamente affiliato, ma molto vicino al partito di Fratelli D’Italia, proprio perchè, nella sede di Firenze, ne condivide la sede amministrativa con il centro sociale Casaggì. Non solo: Giorgia Meloni è stata anche responsabile nazionale di Azione Studentesca dal 1996 al 2000.

Rappresentanti di Azione Studentesca che presentano il movimento in Emilia-Romagna con la deputata di Fratelli d’Italia Gaetana Russo. Fonte: Facebook.com

 

Qui, alcuni studenti del Sum, collettivo studentesco antifascista, si sarebbero avvicinati invitandoli a gettare via i volantini in un cestino e a sospenderne la distribuzione. Si sono quindi accesi gli animi a causa delle due visioni politiche opposte e dalle parole si è passati ai fatti: sei ragazzi di età compresa tra i 16 e i 20 anni, come dimostrano i video caricati sui social, hanno attaccato due studenti del collettivo sferrando calci e pugni. Identificati poco dopo, tra gli aggressori fisici ripresi in video è presente anche il responsabile locale del movimento di destra.

Mentre alcuni rappresentanti degli studenti in consiglio d’istituto parlano di un “attacco terrificante e premeditato“, la Digos sta facendo gli accertamenti del caso per capire cos’è accaduto prima dell’aggressione e se tutto fosse stato preordinato.

Il sindaco di Firenze Dario Nardella si è recato nel primo pomeriggio dello stesso giorno al liceo classico per parlare con gli studenti, definendo l’accaduto “un’aggressione squadrista”. Nardella ha poi detto di aspettarsi una condanna “da tutte le forze politiche“, riferendosi in particolare modo a Fratelli d’Italia, il principale partito del governo, con cui i militanti di Azione Studentesca condividono varie posizioni politiche.

Nella giornata del 20 febbraio, alcune centinaia di studenti si sono riuniti in un presidio davanti l’ingresso del liceo Michelangiolo, nel quale si è poi tramutato in corteo. Hanno già aderito numerosi rappresentanti politici, sindacali e centri sociali, quali Firenze città aperta, Anpi, Potere al Popolo, Usb Firenze, oltre ovviamente ai collettivi scolastici di sinistra.

Bloccando il traffico per strada, i manifestanti hanno srotolato e sventolato uno striscione con scritto “il 25 aprile scendi in piazza”, ripetendo a gran voce lo slogan “Firenze è solo antifascista“. Gli studenti sono poi entrati a scuola e si sono riuniti in assemblea. Un altro striscione è apparso davanti al liceo scientifico Castelnuovo, situato di fronte al Michelangiolo, con scritto “Fuori Casaggi dalle scuole“.

La preside del liceo Michelangiolo, Rita Gaeta, ha spiegato che la manifestazione avvenuta nella mattinata non era stata preavvisata. Ha, inoltre, affermato che:

stamattina mi hanno avvisato che c’erano ragazzi davanti al portone con uno striscione, sono andata giù e siccome c’erano megafoni, fumogeni, e assembramento di massa di studenti che impediva anche la circolazione del traffico ho chiamato la Digos che ha mandato degli agenti.

Le risposte dalla politica

A portare la questione sull’agenda politica del giorno è il parlamentare di Alleanza Verdi-Sinistra Nicola Fratoianni, con un’interrogazione parlamentare al ministro dell’Interno Piantedosi e al ministro dell’istruzione Valditara, condannando l’aggressione violenta davanti al liceo, definendo il gruppo di Azione Studentesca “gruppetto di fascisti“, esortando la destra al Governo a prendere posizione e duri provvedimenti.

Al fronte dell’ulteriore interrogazione parlamentare da parte di Federico Mollicone, deputato di Fratelli d’Italia e presidente della Commissione Cultura della Camera, in cui parla di “scontri” e non di “aggressione squadrista“, Fratoianni ribatte:

Vedo che FdI di Firenze parlando dell’aggressione agli studenti del liceo fiorentino Michelangiolo parla di “scontri”? Ma con quale coraggio dicono queste cose? Se vogliono possiamo rimandargli il video dell’episodio. È stata un’aggressione, non cerchino di confondere le acque.

Prima di questo, però, le dichiarazioni tempestive dei segretari dei partiti d’opposizioni non si sono fatte attendere. Lo stesso Enrico Letta, segretario del Partito Democratico, di fronte al silenzio della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, dichiara che “un silenzio prolungato da parte del Governo li fa complici“.

Anche il leader di Italia Viva Matteo Renzi parla di “un atto di violenza squallido e vigliacco compiuto da alcuni militanti di destra nei confronti di alcuni ragazzi del collettivo di sinistra“.

Se dall’alto del partito in questione vige il silenzio stampa, il presidente del coordinamento cittadino di Fratelli d’Italia Jacopo Cellai fa sapere che:

Fratelli d’Italia esprime profondo rammarico per gli scontri avvenuti nei pressi del liceo Michelangiolo e condanna ogni forma di violenza da chiunque esercitata. La politica deve essere strumento di confronto anche aspro e duro ma non può e non deve travalicare mai in scontro fisico e limitazione della libertà di espressione altrui. E nessuno ha nostalgia della stagione della violenza politica che ha segnato troppo a lungo la storia d’Italia. Al contempo auspichiamo che venga fatta chiarezza sull’episodio con la corretta ricostruzione dei fatti e auspichiamo che tutti, soprattutto coloro che rivestono incarichi istituzionali come il Sindaco di Firenze, abbiano accortezza nel commentare l’accaduto senza additare responsabilità prima che le stesse siano acclarate, cosa che rischia soltanto di alimentare ulteriormente un clima già troppo pesante

Victoria Calvo

Massimo Troisi: l’ultimo pulcinella

Io penso che Massimo Troisi appartenga a una rarissima categoria di uomini che si sono espressi in arti o in lavori — pittura, musica, letteratura, altro — senza che ce ne fosse assolutamente bisogno. Perché Troisi era una scultura vivente, un incendio pittorico lui stesso. E il fatto che abbia sputato parte della sua grandezza in pochissimi film non ha alcun valore, se non quello di fissarlo nella nostra memoria o nei nostri schermetti. Voglio dire questo, voglio tentare di farmi capire: Massimo Troisi è il quadro, la partitura, l’Opera. Non ha bisogno di esprimersi.

( Giovanni Benincasa su Massimo Troisi)

 

Tra le strade di Napoli, tra le lenzuola appese e i murales, 70 anni fa veniva al mondo Massimo Troisi. Pino Daniele, in una delle sue canzoni lo identificò come l’ultimo Pulcinella, la maschera più famosa di carnevale e della bella Napoli.

Nacque il 19 Febbraio del 1953, da tutti considerato come il pulcinella senza maschera, il comico dei sentimenti.  Massimo rientra tra i nomi dei principali attori italiani come Totò, Monica Vitti, Anna Magnani, Alberto Sordi e tantissimi altri attori che hanno consacrato la cinepresa.

Troisi era dotato di un talento straordinario, la sua mimica facciale, le doti verbali e gestuali lo rendevano un attore unico, capace di far provare empatia. Le capacità attoriali di Troisi, hanno donato una nuova luce alla società borghese napoletana e italiana. Paladino attoriale dei diritti delle nuove ideologie, come il femminismo e l’individualismo. Gli fu donata la figura dell’antieroe, fu il rappresentate degli emarginati, colui che pose l’accento sugli individui che non hanno una forma, come la nostra generazione, e quelle dopo di noi.

Troisi iniziò la sua carriera a soli 15 anni nel teatro parrocchiale della Chiesa di Sant’Anna. Negli anni ’80, passò al grande schermo con il film del 1981 “Ricomincio da Tre”. Con il passare degli anni, passò all’esordio televisivo con il trio de La Smorfia, sketch teatrali, in cui venivano messe in scena le abitudini odierne della società umile.

A disoccupazione pure è un grave problema a Napoli, chae pure stanno cercando di risolvere… di venirci incontro… stanno cercando di risolverlo con gli investimenti… no, soltanto ca poi, la volontà ce l’hanno misa… però hanno visto ca nu camion, eh… quante disoccupate ponno investi’? […] cioè, effettivamente, se in questo campo ci vogliono aiutare, vogliono venirci incontro… na politica seria, e ccose… hann’ ‘a fa’ ‘e camiòn cchiù gruosse.

Massimo Troisi  ne il film “Ricomincio da Tre”. Fonte: Nuova Irpinia

 

Sono tanti e sono troppi i film di Massimo, oggi vi parlerò di due che mi sono entranti non solo “into coré”  mio, ma in tutti i cuori degli italiani.

Che ora è? (1989)

“Mamma mia io…24 ore su 24, sempre aperto, tutto aperto, correre, miche’ correre, io non voglio stà 24 ore aperto papà, io voglio chiudere!

E’ un film del 1989, diretto dal regista Ettore Scola, con protagonisti Marcello Mastroianni  considerato come uno tra i maggiori artisti di sempre, e il nostro Troisi. I due interpretano Marcello (Marcello) e Michele (Massimo), che sono esattamente padre e figlio, il quale hanno perso ogni tipo di rapporto. In questo lungometraggio, Marcello è un avvocato che cercherà di riconquistare l’amore della propria “creatura”. Michele è un giovane laureato in lettere, che sta per terminare la leva obbligatoria.

Marcello cercherà di regalare al proprio figlio regali lussuosi, ma per Michele rappresentano solo dei beni materiali senza alcun significato, a parte l’orologio d’argento appartenuto al nonno.

Nel lungometraggio potremo vedere un rapporto difficile, composto da incomprensioni e litigi, ma pian piano i due si riavvicineranno tra loro. Marcello nutre tante aspettative verso Michele, senza capire che la sua è solo una banalità egoista.

Marcello Mastroianni e Massimo Troisi in una scena del filmFonte: Comune di Cesena
Marcello Mastroianni e Massimo Troisi in una scena del film Fonte: Comune di Cesena

 

Il Postino (1994)

“E’ colpa tua se mi sono innamorato… perché mi hai insegnato ad usare la lingua non solo per attaccare francobolli!”

 Il Postino, è un film diretto da Michael Radford, ispirato al romanzo “Il Postino di Neruda”  dello scrittore cileno Antonio Skármeta. Massimo Troisi, poco ore dopo la fine delle riprese, morì a solo 41 anni per un arresto cardiaco.

Il lungometraggio ebbe un grande successo, non solo in Italia ma anche all’estero, ottenendo cinque candidature agli oscar. Ma ne vinse solo una per la “miglior colonna sonora drammatica”, una tra le musiche più belle al mondo, composta da Luis Enríquez Bacalov.

Ma vinse tanti altri premi come  il David di Donatello per il miglior montatore.

Massimo Troisi, in una scena del film. Fonte: Metropolitan Megazine

 

La storia è ambientata in un’isola del sud Italia del 1952, dove la maggior parte degli abitanti sono pescatori. Mario Ruoppolo (Massimo Troisi) è un giovane figlio di un pescatore vedovo. Mario della pesca non né vuole sapere niente, decide quindi di lavorare come postino. Nell’isola, vi è il poeta cileno Pablo Neruda (Philippe Noiret), che è stato esiliato dalla sua terra e ha richiesto l’asilo politico, perché perseguitato per le sue idee  comuniste. Il direttore della posta, spiega a Mario che dovrà consegnare la posta con la sua bicicletta, solamente a Neruda, giacché il resto della popolazione è analfabeta. Ogni giorno che passa, Mario si interesserà sempre di più al poeta, tra i due nascerà una amicizia sincera. Le loro passeggiate saranno costellate di dialoghi che vanno dall’arte alla politica, pian piano il postino si avvicinerà alle ideologie comuniste.

Mario incontrerà la bellissima Beatrice Russo (Maria Grazia Cucinotta), di cui si innamorerà a prima vista. Mario cercherà di conquistare l’amore di Beatrice, recitandole proprio le poesie di Neruda.

Massimo e Maria, in una scena del film. Fonte: Vigilianza Tv

 

Mario: ‘Don Pablo, vi devo parlare, è importante… mi sono innamorato!’

Pablo Neruda: ‘Ah meno male, non è grave c’è rimedio.’

Mario: ‘No no! Che rimedio, io voglio stare malato.

 

Massimo ci manchi tanto, il tuo sorriso e le tue smorfie hanno dato una speranza a tutte le nuove generazioni, ci hai insegnato cos’è l’amore con tutte le sfumature che esso comprende. Ci hai parlato della comunità, di quanto essa sia dispensabile per ogni essere umano e di come il teatro rappresenti il vero. Ti ringraziamo “de coré” Pulcinella senza maschera, non riesco a spiegare appieno cosa hai rappresentato per lo spettacolo. Tu stesso quando leggevi le poesie di Neruda o quando interpretavi il teatro, non riuscivi a dare un senso, come si può spiegare cos’è realmente l’arte?

 

Alessia Orsa