Perché usiamo Instagram?

Perché usiamo Instagram? Nel corso degli anni sono numerose le insidie dovute alla spietata concorrenza, eppure l’applicazione di proprietà del gruppo Meta sembra essere riuscita a superarle tutte.

Le origini e lo sviluppo, è giusto prendere spunto?

É un normale pomeriggio, hai appena finito di pranzare, decidi di sederti sul tuo comodo divano e, prendendo lo smartphone, apri Instagram e inizi a visualizzare i vari post del tuo feed. Noti che ci sono 5 nuove pubblicazioni di persone che segui: 2 foto del tramonto del giorno prima, 2 foto scattate con la fotocamera anteriore e una foto del cane di un tuo amico. No, non hai sbagliato applicazione, sei su Instagram ma nel 2015.

Logo di Meta
Fonte: Facebook

La piattaforma appena descritta paradossalmente rappresenta qualcosa di molto vicino all’idea che sta alla base di Instagram ma contemporaneamente un social totalmente differente da quello attualmente utilizzabile. Se ci trovassimo a vivere un’esperienza utente come questa ci apparrebbe come un vero e proprio anacronismo. Ad oggi l’utente medio di Instagram la prima cosa che fa una volta aperta l’applicazione non è guardare i post bensì le storie. Il cambiamento infatti ha inizio nell’agosto del 2016 quando per la prima volta ci si è potuti interfacciare con questo tipo di contenuti: foto o video dalla durata massima di 15 secondi che come caratteristica peculiare possedevano la totale e automatica cancellazione dopo 24 ore dalla pubblicazione. In realtà non si trattava di un’idea totalmente nuova ed inedita. I gestori di Instagram avevano semplicemente “preso spunto” dal progetto promosso in quegli anni da un’altra piattaforma: Snapchat. Quest’ultima stava vivendo il periodo di massima espansione in quegli anni e stava per diventare il social più amato e utilizzato dai giovani. Se questo scenario non si è verificato è merito di Instagram e della sua capacità di intercettare il trend del momento e di adattare la piattaforma ad esso.

Le novità:

Proprio questa capacità ha fatto si che il social di Meta nel tempo rimanesse il più gradito dalle nuove generazioni nonostante le numerose insidie di questi ultimi anni.

Sono stati creati i Reels per inseguire TikTok ed è stata aggiunta la funzione “fotocamera bilaterale” per imitare i post di BeReal. Ecco perché ad oggi ci sono realmente pochi motivi per utilizzare Instagram. Aprendo l’applicazione trovi tutto ma non vivi quell’esperienza unica che ti spinge a preferirla rispetto alla concorrenza.

Pensateci, cosa manca? Una bella zona di dibattito simultaneo. Un limite di caratteri, dei post testuali che lasciano spazio agli utenti per dire ciò che gli passa per la mente. Elon, io te lo dico, guardati le spalle.

Loghi di Snapchat, TikTok, Instagram
Fonte: Bemainstream.com

Siamo al sicuro su Instagram?

In realtà dovremmo tutti guardarci le spalle dal momento in cui utilizziamo un’applicazione di proprietà del colosso Meta. Senza rendercene conto infatti ogni volta che clicchiamo su quell’icona diciamo addio alla riservatezza, al nostro right to be alone, ma soprattutto all’idea che i nostri gusti, le nostre tendenze, i nostri dati siano davvero Nostri. Lo sa bene chi si è ritrovato coinvolto nel celebre scandalo di “Cambridge Analytica”: nel 2018 è stato rivelato che molti dei dati di ben 87 milioni di account Facebook erano stati ceduti alla società di consulenza politica Cambridge Analytica che li aveva sfruttati per influenzare le elezioni presidenziali americane del 2016 e anche quelle nel Regno Unito. Conseguenze? Per Meta quasi nessuna, è diventata talmente grande da essere intoccabile. Talmente grande che negli Stati Uniti sono tutti preoccupati da eventuali furti di dati da parte di TikTok, ma nessuno osa far domande sul caro Zuckerberg.

Perché usiamo instagram?
Mark Zuckerberg.
Fonte: Corrierecomunicazioni.it

Cosa ci spinge ad utilizzarlo?

Detto ciò l’utente dei social network comunque continua ad utilizzare l’app di Metà, perché? Una banale – ma nemmeno troppo – ragione sociologica: l’essere umano che vive in società necessità di visibilità. Ad oggi non sei nessuno se non sei su Instagram. La tua riconoscibilità, e molto spesso la grandezza del tuo ego, risulta essere direttamente proporzionale al numero di followers che hai. Inoltre ultimamente sta prendendo piede un altro tipo di convinzione: tramite i social ci si può arricchire, i social possono diventare un lavoro. Da quando questa idea contagia, anche solo in minima parte, la mente di qualsiasi utilizzatore di Instagram, diviene sempre più difficile separarsi da questa possibilità.

Saremo famosi?

Non vorrei necessariamente infrangere i sogni di tutti ma credo ci sia bisogno di un po’ di dati, non statistiche indecifrabili ma un qualcosa di semplice da cui si possa ricavare una conclusione altrettanto banale ma spesso di così ardua capibilità.
Numeri alla mano, tra i 20 account più seguiti su Instagram ben 7 sono cantanti, 6 personaggi tv, 3 calciatori, 1 magazine, 1 giocatore di cricket, 1 marchio di moda e infine, come account più seguito, il social stesso, Instagram. Qual è la conclusione alla quale desidero arrivare? Instagram è un mezzo che raramente ti permette di arrivare in alto da zero. Instagram serve? Si, ma al massimo come amplificatore, smontiamo l’idea che senza fare nulla tramite i social si possa arrivare a guadagnare e ad avere visibilità.

Nonostante ciò, nonostante i motivi citati in apertura, probabilmente questo articolo verrà in qualche modo spammato sui social – soprattutto su Instagram – io lo ricondivideró sul mio profilo personale e tutto andrà come sempre, dal 2015 ad oggi. Perché la verità – per certi versi amara – è che non possiamo separarci da questo, che Instagram non è entrato solo a far parte della nostra realtà ma addirittura la sorregge.

È il 2023 e senza Instagram il mondo non sarebbe lo stesso.

Francesco Pullella

La Sirenetta (2023): ci si rituffa “In Fondo Al Mar”

La sirenetta
Un Remake In Live-Action grazioso che, nonostante alcuni difetti e modifiche, mantiene più o meno lo stesso spirito, voto UVM: 4/5

 

La Sirenetta (2023) è un film del 2023 diretto da Rob Marshall (Memorie Di Una Geisha, Chicago, Pirati Dei Caraibi: Oltre I Confini Del Mare). Prodotto dalla Walt Disney Pictures, è il Remake in Live-Action del film d’animazione uscito nel 1989 e l’adattamento della favola scritta da Hans Christian Andersen. Nel cast sono presenti: la cantante Halle Bailey, Jonah Hauer-King, Javier Bardem (Madre!), Melissa McCarthy, Daveed Diggs, Awkwafina e Jacob Tremblay

Trama

La giovane Ariel (Halle Bailey) è una sirena molto incuriosita dal mondo degli umani. Suo padre, il Re Tritone (Javier Bardem), sovrano di tutti i sette mari, considera gli esseri umani dei mostri senza cuore e non vuole che sua figlia si interessi così tanto al loro mondo.

Un giorno, Ariel salva la vita ad un umano di nome Eric (Jonah Hauer-King), un giovane marinaio che ha anche il titolo di principe, e se ne innamora. Dopo l’ennesima lite con suo padre, che vuole solo proteggerla, Ariel arriverà a chiedere aiuto alla Strega Del Mare Ursula (Melissa McCarthy) per poter andare nel mondo degli umani. La strega allora le proporrà un patto: la trasformerà in un’umana, solo se la ragazza le cederà in cambio la sua voce.

Ariel diventerà un’umana ed avrà tre giorni di tempo per baciare il principe se vorrà rimanere un’umana per sempre, altrimenti tornerà ad essere una sirena. Ma in realtà, Ursula ha in mente un piano diabolico: vuole usare Ariel per ricattare Re Tritone ed ottenere così, il suo trono.

La sirenetta
Ariel ed il principe. Fonte: people.com, Walt Disney Studios Motion Pictures


Era necessario questo Remake In Live-Action della Sirenetta?

Ormai si sa che la Disney sta puntando molto sulla riproposizione dei Classici D’Animazione che hanno segnato l’infanzia di tante persone, con delle versioni più moderne e con attori in carne ed ossa. Questa iniziativa da parte della Disney ha diviso le opinioni pubbliche.

Partiamo dal presupposto che, al di là della qualità, questi Remake sono realizzati a fini commerciali. Ma questo non significa che sono tutti dei film pessimi e che non meritano una possibilità. Hanno comunque l’obiettivo sia di far salire la nostalgia alle vecchie generazioni che quello di far scoprire queste storie a quelle nuove. Ma qui, sorge un dubbio: sono necessari?

Perché se completamente uguali, non hanno molto senso. Se invece, risultano troppo diversi dalle versioni animate, rischiano di far storcere il naso a moltissime persone (in particolare, ai vecchi fan).

Dire che sono stati tutti un successo sarebbe una bugia, però non sono neanche stati tutti un fallimento. Al di là della qualità del prodotto in questione, tutti i Remake hanno una cosa in comune: resteranno sempre un passo indietro ai film animati. Però, ci sono stati casi in cui hanno dimostrato che, se ci si lavora con impegno e ci si affida alle mani giuste, anche i Live-Action possono venir su dei prodotti molto interessanti ed anche divertenti. Ora è il turno della Sirenetta e si può benissimo affermare che il risultato è stato sorprendente.

La sirenetta
Ariel in una scena del film. Fonte: vanityfair.it, Walt Disney Studios Motion Pictures

E’ davvero il miglior Remake In Live-Action Disney uscito finora?

Dall’annuncio, ci sono stati un sacco di pregiudizi e commenti fuori luogo, che è meglio non approfondire. Bene, ora che il film è arrivato nelle sale, tutti i pregiudizi si sono rivelati completamente inutili e non vedere questo film per tali motivi, sarebbe assurdo. Addirittura, c’è chi sostiene che La Sirenetta sia il miglior Remake In Live-Action Disney, ma forse dire che sia davvero il migliore sarebbe troppo.

I difetti non mancano, ma non sono assolutamente collegati a quei pregiudizi insensati. Però, si può benissimo dire che La Sirenetta è UNO DEI REMAKE PIU’ RIUSCITI.

Ebbene sì, il Live-Action della Sirenetta ha oltrepassato le aspettative e sta sorprendendo (in positivo) tantissime persone. E’ un film fatto col cuore e in cui si vede sul serio l’impegno che si è messo nella realizzazione del prodotto. Per di più, rispetta più o meno fedelmente la versione animata del 1989, nonostante l’aggiunta e la modifiche di alcune scene ed elementi che non storpiano comunque la storia.

E se si guarda anche il punto di vista tecnico, ci sono degli elementi a loro favore, come la fotografia e i colori che si adeguano alla scena ed al luogo mostrato (un po’ di oscurità nei luoghi più profondi nell’oceano o più luminosità in altri, soprattutto nel mondo degli umani).

Ma un altro elemento a loro favore sta nella colonna sonora composta da Alan Menken (lo stesso compositore di quella del film d’animazione), che comprende le stesse canzoni ed altre quattro inedite (che funzionano).

I fan italiani in particolare resteranno contenti di una cosa: le parole delle canzoni sono esattamente le stesse della versione animata. Le coreografie sono coinvolgenti (In Fondo Al Mar) ed allo stesso tempo, ci sono anche esibizioni che fanno commuovere (Parte Del Tuo Mondo).

Uno dei difetti riscontrati sta nell’eccessiva durata, perché poteva durare benissimo un pochino di meno ed allo stesso tempo, potevano approfondire alcune dinamiche avvenute nel passato, invece di menzionarle a malapena. Questo non ha impedito il buon risultato.

La sirenetta
Fonte: thepinknews.com, Walt Disney Studios Motion Pictures

Halle Bailey è una buona Ariel? 

La critica più grande è stata per la scelta dell’attrice protagonista, ancor prima che uscisse il film al cinema. E’ vero, la protagonista descritta nella favola di Andersen e quella mostrata nel film d’animazione, non hanno la carnagione scura. Però è anche vero che già il cartone animato ha molte differenze dall’opera originale. Ora è arrivato un Live-Action, con un’attrice afroamericana nei panni di Ariel, e si può benissimo affermare che non è assolutamente un problema.

Il cambio etnico è contestualizzato e sensato e c’è da aggiungere che Halle Bailey ha un bellissimo sorriso, è molto graziosa e soprattutto, ha una bellissima voce (caratteristiche importanti del personaggio).

E’ stata carinissima e bravissima nel ruolo, per di più i doppiaggi in italiano di Sara Labidi (dialoghi) e di Yana Cl (canto) danno quel tocco in più. E’ una versione di Ariel più curiosa di quella precedente e con una voglia maggiore d’indipendenza. Se l’Ariel animata voleva andare sulla Terra solo per un uomo, qui invece voleva solo seguire un suo desiderio e l’interesse per Eric è stato solo un contorno.

Il resto del cast è azzeccato?

A proposito di Eric, qui è interpretato da un giovane Jonah Hauer-King ed è una versione abbastanza interessante. La storia tra lui ed Ariel nasce più da interessi in comune che da altro e, nonostante la provenienza da due mondi differenti, vogliono entrambi una cosa: “sfuggire” dalla volontà dei genitori e seguire i loro sogni, insieme tra l’altro. Una lettura nuova di questa storia che rispecchia i tempi moderni e che mantiene comunque lo spirito della storia che si conosce, grazie a Walt Disney.

Oltre i due protagonisti, c’è anche Javier Bardem, di cui può vantarsi di avere un curriculum completo e ha dimostrato di essere degno di tale, calandosi nel ruolo del Re Tritone (un Re Tritone più “duro” di quello animato). Ma un’altra rivelazione è stata Melissa McCarthy nei panni di Ursula. E’stata capace a volte di rubare la scena ed ha interpretato una villain veramente cattiva e subdola, tanto da non far provare alcuna empatia verso di lei (per di più è doppiata da Simona Paticucci, la stessa che ha prestato la voce ad Ariel nel film animato).

Seppur la CGI non sia il massimo, gli amici “animali” di Ariel sono simpatici, soprattutto Sebastian. In italiano, è doppiato dal noto cantante Mahmood che, per essere la sua prima esperienza di doppiaggio, ha fatto il possibile e ci si abitua alla sua voce.

Giorgio Maria Aloi

Spagna, successo della destra alle amministrative. Sánchez anticipa le elezioni a luglio

Sono ore di fermento quelle che sta vivendo la Spagna, dopo le elezioni amministrative che hanno visto recarsi alle urne, lo scorso week-end, circa 22 milioni di cittadini sui 35,5 milioni aventi diritto (64% di affluenza), per il rinnovo di più di ottantamila consigli comunali e per i parlamenti di 12 delle 17 comunità autonome.

La sconfitta dei socialisti

Il risultato delle elezioni, che segna forse un punto di svolta nella politica del paese, ha spinto il Premier Pedro Sánchez ad annunciare nella mattinata di lunedì, al Palazzo della Moncloa di Madrid,  lo scioglimento del Parlamento – Las Cortes – per indurre elezioni anticipate il prossimo 23 luglio. 
Il Premier ha anche annunciato le proprie dimissioni ma resterà in carica fino alla data sopracitata.

Il Partito socialista operaio spagnolo (Psoe), espressione del Governo, è stato superato in ben nove regioni e in molti comuni importanti quali, ad esempio, Valencia, Siviglia e l’Extremadura. Stessa sorte è toccata agli alleati di Podemos, il partito della sinistra radicale di Pablo Iglesias, che hanno perso tantissimo consenso.

I risultati delle urne

Gli scrutini hanno evidenziato una netta vittoria della destra con il Partito popolare (PP) che, con il 31,5% dei consensi, ha superato il Psoe fermo al 28,1%, mentre la terza forza in campo è risultata essere Vox, partito di estrema destra, con il 7,2%.  

Pedro Sánchez – fonte: Heraldo.es

La decisione del Premier

In una conferenza stampa, il Premier ha annunciato alla nazione la propria volontà – già comunicata al Re Felipe VI – affermando:

Ho preso questa decisione in vista dei risultati delle elezioni regionali e comunali. […] Il significato del voto veicola un messaggio che va oltre. Assumo in prima persona i risultati e credo sia necessario dare una risposta e sottoporre il nostro mandato alla volontà popolare. Il nostro Paese si appresta a svolgere una responsabilità molto importante in quanto è la presidenza di turno del Consiglio dell’UE. Tutto ciò consiglia un chiarimento degli spagnoli sulle forze politiche che dovrebbero guidare questa fase e sulle politiche da applicare. Esiste un solo metodo infallibile, che è la democrazia. La cosa migliore è che gli spagnoli prendano la parola per definire senza indugio il corso politico del Paese.

Le parole dei vincitori

Se da una parte la delusione tra i socialisti del Psoe e gli esponenti degli altri partiti di sinistra è enorme, dall’altra è altrettanto grande la gioia e la soddisfazione del PP e di Vox che potranno ricoprire ruoli di rilievo nelle più grandi città della Spagna. È il caso, come riportato dal quotidiano El Paìs, di Madrid, dove il PP è stato il più votato in tutti i distretti e il governatore Isabel Diaz Ayuso ha trionfato ottenendo il terzo mandato consecutivo, mentre Vox ha raggiunto il 9% delle preferenze.

La netta vittoria dei partiti di destra esprime, senza mezze misure, i sentimenti della popolazione spagnola che, non soddisfatta delle riforme proposte e attuate da Sanchez e dai suoi ministri, spera in un cambio di rotta riponendo la fiducia nei partiti che finora hanno rappresentato l’opposizione parlamentare.

Feijóo e altri esponenti del Pp – fonte: El Paìs

Il leader del PP, Alberto Núñez Feijóo, si è detto estremamente contento e soddisfatto del risultato ottenuto, dichiarando:

“La Spagna ha iniziato un nuovo ciclo politico, il mio momento arriverà presto, se gli spagnoli lo vorranno”.

Prospettive future per la Spagna

Tali parole preannunciano la volontà della destra di puntare alla vittoria nelle elezioni politiche previste per il 23 luglio e di porre fine al “Sanchismo”. Tuttavia, l’ormai ex Premier non avrà, di certo, nessuna voglia di abdicare in favore degli avversari, ma farà di tutto affinché il popolo spagnolo, in questi pochi mesi, riacquisti fiducia nei confronti dei socialisti e degli alleati, tra i quali ci potrebbe essere Sumar, l’organizzazione guidata da Yolanda Dìaz che ha registrato quest’ultima come “partito strumentale” con l’obiettivo di riunire gran parte delle forze politiche di sinistra.

Mentre si defila il partito Ciudadanos che, ieri, tramite le parole del segretario Adrian Vasquez ha annunciato:

Il messaggio delle elezioni è stato chiaro: il centro liberale in Spagna non ha ottenuto un sostegno sufficiente. Il modo migliore per difendere lo spazio liberale è non partecipare alle prossime elezioni del 23 luglio.

Qualora il Partito Popolare dovesse trionfare anche nelle elezioni previste in estate, il panorama politico europeo prenderebbe una direzione ben delineata, verso destra, alla luce dei recenti successi dei partiti che hanno trionfato in nazioni importanti come l’Italia e la Svezia.
Inoltre, la Spagna dal 1° luglio sostituirà proprio il paese scandinavo alla Presidenza del Consiglio dell’Unione europea, che viene esercitata a turno dal governo dei vari stati membri dell’UE per una durata di sei mesi.

Tuttavia, in attesa di scoprire quale sarà il verdetto delle prossime elezioni, una cosa è certa: il futuro della Spagna è già iniziato.

Giuseppe Cannistrà

 

Gazzelle, l’ultimo crepuscolare

Gazzelle
Gazzelle riprende in mano la sua solita “cinepresa”. Col nuovo album ci regala nuove storie del nostro teen drama preferito. Voto UVM: 4/5 (pacchi di fazzoletti per asciugarsi le lacrime)

 

Dal 2017, Gazzelle, all’anagrafe Flavio Bruno Pardini, attraverso la sua musica ama raccontarci storie, con delle intimissime inquadrature sulla quotidianità dei giovani, e in particolar modo della Gen Z.

Ricordate le polaroid, i risvoltini, le droghe leggere, l’amore disincantato, il darsi fuoco in diretta TV, il cantare male e tutti gli altri clichè indie italiani raccontati da Flavio, durante un probabile trip con un allucinogeno, in Superbattito?

Ecco, di sicuro non aspettatevi di trovare tutto ciò in Dentro (pubblicato per Maciste Dischi), che si presenta come il progetto più maturo dell’artista indie romano. Niente più flussi di coscienza senza un senso, parole a caso e allegorie di difficile comprensione. Gazzelle si racconta come mai prima d’ora.

Ha imparato ad usare la voce (non ho detto a cantare!) e ha deciso di raccontarci momenti più intimi, di vere e proprie crisi esistenziali. Quelle che prima o poi bussano alla porta di tutti.

Vorrei morire…ma non mi va

Hai presente quando perdi un amico? O meglio, hai presente quando perdi te stesso dentro un labirinto?
Questo è il leitmotiv del nuovo album di Gazzelle. Non più crisi adolescenziali da risolvere sballandosi un po’ con gli amici. Anche perché magari l’amico di una vita ora non c’è nemmeno più.

E forse dovrei farmi due chiacchiere
con un amico mio
Anche se lui è sparito
Oppure sono sparito io

E se questo è il sentimento che si ascolta nel brano d’apertura del disco, Qualcosa che non va, la voragine si espande sempre di più andando avanti, raggiungendo il culmine con E pure…, è qui che Flavio ci racconta lo schifo che si prova in certe situazioni.

Scelte sbagliate, sogni d’adolescenza buttati nel primo cassonetto solo perché si diventa “grandi”. E poi i rapporti che finiscono, senza un motivo, e dai la colpa al tempo. Così arrivano le crisi, i mental break down. E mentre sembra che tutto ti stia per crollare addosso, ti accorgi che il mondo continua, purtroppo, a girare.

“A volte, però, mi rendo pure conto che forse quella voragine fa parte proprio del pacchetto. Forse non è detto che vada riempita. Forse la puoi solo arredare, metterci dei fiori vicino. Chissà.” (Gazzelle ad un’intervista per Rolling Stone)

Flavio l’ha capito che in questo schifo ci siamo passati e continueremo a passarci tutti e decide di regalarci una canzone, per ricordarci che tutto questo prima o poi passerà…

E tutti i disastri, gli errori più grandi
I dolori giganti, il passare degli anni
Vedrai, con il tempo passerà

Conosciamo davvero Gazzelle?

Nonostante siano sentimenti ed emozioni che appartengono a Gazzelle come a Linus appartiene la sua coperta (Peanuts), è chiara la maturazione artistica del cantante romano, ormai trentenne.

La voragine in copertina è un viaggio alla scoperta di se stessi, in cerca di risposte alle mille domande, che forse, tutte queste risposte, non le avranno mai. Ed è questo uno dei grandi punti di forza di Gazzelle. È impossibile non immedesimarsi nelle sue canzoni.

Gazzelle
Cover “Dentro” di Gazzelle. Casa discografica: Maciste Dischi.

Chi almeno una volta nella vita non ha avuto un amore non corrisposto? Chi non ha mai avuto una delusione? Chi non ha mai provato nostalgia o malinconia scorrendo la propria galleria del telefono? Chi non ha mai ricercato sé stesso?

Timido al tal punto di indossare sempre gli occhiali da sole, per questa volta, le mura tra la vita pubblica e privata di Gazzelle sembrano quasi annullarsi. E forse, per la prima volta, in La prima canzone d’amore canta un amore felice, offrendo una sfaccettatura mai vista prima. È innamorato ed è felice e nonostante il suo essere riservato, lo sbandiera al mondo, senza paura, incarnando perfettamente il suo stile musicale: l’indie pop.

Questa parte di anima della quale dobbiamo prenderci cura è ben distante dalle canzoni presenti all’interno di Superbattito. Ormai, Flavio ha raggiunto una maturità diversa, ha preso consapevolezza delle sue poche ma buone amicizie, è saldamente legato alla città che gli ha dato i natali: Roma. Ed è grato, immensamente grato ai rapporti, alle relazioni, che probabilmente a fatica, è riuscito a consolidare.

Gazzelle piace proprio per questo, perché è come ognuno di noi. E la sua musica è capace prima di distruggere il cuore e poi di ripararlo, quasi contemporaneamente.

Dentro: Gazzelle ft. ???

Incredibili anche i featuring con cui Gazzelle ha scelto di collaborare. Torna per la seconda volta ThaSup in Quello che eravamo prima, dopo il successone di Coltellata nel precedente album OK.

ThaSup, al secolo Davide Mattei, riesce ad adattarsi su ogni beat, mantenendo perfettamente il suo stile e il suo flow anche in una canzone indie. Due generi molti diversi, ma che per la seconda volta si dimostrano compatibili e versatili. E come si soul dire, ci sarà un due senza tre? Chissà!

Il duetto con il giovanissimo cantante romano Fulminacci, pseudonimo di Filippo Uttinacci, riesce a stamparti immediatamente un sorriso in faccia. Sembra quasi una canzone che al primo ascolto senti già tua. Duo ironico e divertente, riesce a risollevare un po’ l’umore generale del disco con Milioni.

Ultimo feat, ma non per importanza, quello con Noyz Narcos, anch’egli romano. Esponente del rap criminal. Le due voci riescono a fondersi perfettamente nonostante uno stile diverso e personalità opposte. Una poesia, un po’ sui generis e quasi in modo underground, dedicata all’immensa Roma. Un rapporto difficile, fatto di odio e amore con la città eterna.

Che possa essere la canzone introduttiva il 9 giugno allo Stadio Olimpico? Stay tuned.

Written and directed by Flavio Pardini!

Gazzelle, il nostro ormai non tanto piccolo “cantautore di quartiere” ha un superpotere che lo accompagna ormai dal lontano 2017: saper creare forti immagini utilizzando solo le parole.

Basti pensare a Nero, Martelli, Tutta la vita, Però, solo alcune canzoni di Flavio che possono vantare quella potenza immaginifica che lo contraddistingue da tutti gli altri artisti della scena musicale italiana.

Da sempre, in ogni canzone, Gazzelle racconta delle storie. Quasi sempre d’amore, quasi sempre senza un lieto fine. Un po’ come se prendesse spunto dall’adolescenza di ognuno di noi.

“Ho già realizzato tanti sogni. Però forse mi piacerebbe scrivere una serie tv, dei romanzi. Il cinema mi attira, non come attore ovviamente, ma dietro le quinte.” (Gazzelle ad un’intervista per Rolling Stone)

E anche in quest’album, pur avendo preso le distanze dal Flavio del passato (Superbattito e Punk), non abbandona il suo stile, riprende in mano la sua solita “cinepresa” e ci regala nuove storie del nostro teen drama preferito.

Dentro è, dunque, la comfort zone perfetta in cui ripararsi, quasi come se fosse un ombrello. Un po’ come canta il collega e amico Coez:

adesso che il tempo si è fatto più bello…

Gazzelle continua a servirci, a farci sentire meno soli e meno tristi, accettando il dolore, la malinconia e i giorni no. E forse è proprio per questo che dovremmo solamente dirgli “Grazie”.

 

Giorgia Fichera
Domenico Leonello

Il Silenzio

Ogni brivido sulla pelle, ogni
goccia di vento che cade senza perdono
e mai scuserò quegli occhi rossi di rabbia,
poche volte l’indifferenza ha regnato,
in mezzo al nulla.
Una volta attraversato il fiume rosso,
più ha cambiato il suo sguardo.

Geme un canto disordinato
e nella confusione del suo desiderio
non agisce più per ragione
ma per spavento,
e il mio lamento, che soffoca il respiro…

Non voglio più capire
e solo sentire le sue parole
sembra inebriare l’anima di nero,
cieco ma sento ancora
ogni tuo verbo di disprezzo,
stringi a te il silenzio che manca.

Lardo Benedetto

 

 

Immagine in evidenza: illustrazione di Benedetto Lardo

Tacito accordo

Arte.
Travolgente,
arriva lenta, resta sopita per un po’,
non urla, non è un vulcano in eruzione.

Arte.
Arriva silenziosa, si infiltra dove trova una porta rimasta socchiusa.
Smonta certezze,
crea domande.
Riempie un vuoto per crearne un altro subito dopo.

Guardando tra le pennellate
si scorge qualcuno che ha vissuto come me,
qualcuno che è stato me prima di me.

Io, immobile, davanti a un Picasso,
che urla in silenzio senza colori
la pece nera della guerra.

Io, immobile, davanti a un Kandinskij,
che scardina l’ordine imposto dal mondo
nel momento stesso in cui è nato.

Io, immobile, davanti a Bernini,
che dona il soffio al marmo,
corpi vivi intrecciati più autentici degli uomini.

Semplici artisti?
Forse qualcosa di più.
Si sentono urla anche se tutti stanno in silenzio.

Diventa un gioco di fiducia,
un tacito accordo,
un patto mai davvero siglato:
accetto di ritrovarmi in te
perchè so che conservi qualcosa per me
tra le veloci pennellate,
tra le pieghe del marmo.

Un delicato urlo,
un gioco di scacchi.
A ogni quadro il suo spettatore,
a ogni spettatore il suo artista.

Pur restando in un museo deserto,
non potrebbe mai esserci solo silenzio.
Mille voci si accavallano,
attendono solo un orecchio attento.

 

Giulia Cavallaro

 

 

*Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Far cry: una saga che unisce sparatutto a strategia ambientale

La serie Far Cry nasce come progetto degli sviluppatori di Crytek, per il loro nuovo motore di sviluppo “Cry Engine”.

Il primo capitolo fu solo un esperimento: creato come sparatutto in terza persona, ambientato su un’isola tropicale, metteva il giocatore davanti una vasta mappa da esplorare e in cui attaccare le varie basi nemiche. Il progetto fu presentato ad Ubisoft che divenne l’altra parte in ballo nella sua creazione.

Come vedremo sarà quest’ultima a partire dal secondo capitolo ad occuparsi dello sviluppo della serie, creando una versione propria e modificata del Cry Engine.

Nel tempo la serie diverrà una delle uscite di punta della software house, accanto ad Assassin’s Creed, vendendo decine di milioni di copie. Accanto a questo grande successo però, negli ultimi anni si è vista una grande flessione nell’attrattiva che Far Cry ha verso il pubblico: sempre più le lamentale sulla ripetitività, sempre più quelle sulla mancanza di idee e sul riciclo delle stesse. Molti ricordano ancora Far Cry 3 del 2012 come l’apice della serie, sia in termini di trama che di gioco.

Ripercorriamo allora assieme la storia dell’intera serie, guardando alle caratteristiche di ogni suo capitolo.

Far Cry 1 e Far Cry 2: le fondamenta di uno sparatutto unico

Il primo capitolo tratta di uno sparatutto in prima persona ambientato in un vasto arcipelago dal clima pluviale, una mappa abbastanza grande da superare gli standard di quel tempo.

Questo mondo di gioco ci permette di poter attaccare le basi nemiche da vari angolazioni: in questo capitolo le possibilità strategiche si riducono all’osso, ci è possibile marchiare i nemici con uno speciale binocolo e nascondendoci o strisciando a terra possiamo attaccare di soppiatto. Per lo meno l’equipaggiamento e i veicoli a disposizione erano molti. Le dinamiche di gioco si concentrano sostanzialmente nella pulizia di alcuni punti della mappa indicateci secondo lo svolgimento della trama, in più vi sono alcune fasi che si svolgono al chiuso.

Per quanto riguarda la storia è molto semplice e funzionale (forse un po’ troppo dalle tinte fantascientifiche) infatti tra i capitoli principali sarà l’unico ad avvicinarsi a questo genere narrativo. Mentre il diretto successore, Far Cry 2, ambientato in Africa proponeva dinamiche di gioco più affinate e una mappa più fitta di avamposti nemici. Qui viene proposto per la prima volta l’inceppo delle armi e la loro usura.

Inoltre viene preso da Crytek (non più sviluppatrice ma collaboratrice) una tecnologia per sviluppare delle fiamme “vive” capaci di propagarsi in maniera naturale in mezzo alle erbacce e agli alberi, sfruttabili strategicamente. Altra meccanica introdotta in questo capitolo era la possibilità di scegliere a quale fazione di guerriglieri affiancarsi: non solo ciò modificava il finale della trama, ma rendeva più o meno pericolose le incursioni in alcuni luoghi urbani della mappa.

La flora e la fauna in questo capitolo vengono rappresentati in maniera più fedele alla realtà, variando tra deserto, savana e giungla (caratteristica persa nei capitoli successivi), e gli animali diventano anche una minaccia per la nostra vita. I cicli di giorno/notte si mostrano un vantaggio/svantaggio per le nostre strategie d’attacco: il buio, infatti, ci aiuterà nelle fasi di pulizia degli avamposti da mercenari assumendo un basso profilo; ciò non toglie che si possa fare di giorno ma ovviamente sarà più facile farsi scoprire. Infine, avremo anche il supporto di alleati che verranno a salvarci la vita quando rischieremo di rimanere senza energia sotto il fuoco nemico, oltre che aiutarci negli scontri mentre ci cureremo le pesanti ferite. La trama di questo capitolo aprirà la pista ad una narrazione fatta di critica sociale e politica verso le super potenze, mostrandoci gli aspetti più cruenti dagli occhi delle vittime. Il leit motiv per continuare questo secondo titolo della saga non saranno tanto la trama, ma l’esplorazione e le meccaniche di gioco.

Frame del gioco di Far Cry 2. Fonte: Wikipedia

Far Cry 3:

Far cry 3 rappresenta ancora oggi, per molti, un’esperienza memorabile su cui tornare col pensiero (ma anche col controller) anche dopo anni. Uscito inizialmente durante l’era Playstation 3, è stato uno dei migliori esempi grafici di quell’epoca: la nuova simulazione dell’acqua e delle superfici bagnate rendeva l’intera esperienza molto più immersiva, e aiutava a sentire molto di più la giungla ed il mare dell’arcipelago in cui era ambientato, assieme ad una strabiliante animazione dei volti e dei corpi dei personaggi che trasmettevano benissimo empatia al giocatore (in un epoca in cui la recitazione nei videogiochi era ancora acerba). Pirati, narcotrafficanti, prostituzione, bidonville e i pericoli di un turismo sconsiderato: erano questi i temi che aiutavano a rendere l’intera esperienza indimenticabile.

Frame del gioco di Far Cry 3. Fonte: nerdsrevenge.it

Per quanto riguarda il gioco in sé, era una esperienza ancora legata al passato ma l’interazione con l’ambiente avevo lasciato spazio ad una maggiore resa grafica. Di conseguenza, la varietà rimaneva ma l’esperienza cominciava ad essere già omologata alle altre produzioni della software house: torri da scalare per svelare varie porzioni della mappa, avamposti nemici da liberare, missioni secondarie in cui uccidere un bersaglio o recuperare le pelli di un animale raro. Questo per, bene o male, tutta la durata del titolo.
Ma era ancora il periodo in cui questa formula non aveva stancato il pubblico, e in cui veniva ancora implementata in maniera intelligente ma parte di coloro che l’avevano inventata.

Ha anche cominciato quella consuetudine di inserire un villain carismatico che diventa anche protagonista visivo dell’intera opera.
Vaas viene ancora citato come uno dei migliori antagonisti di sempre, e ricordato da molti per la sua follia e sconsideratezza.

Il suo “seguito” Blood Dragon, era un’esperienza opposta. Vogliamo citarlo perché sebbene fosse un progetto secondario, aveva tanto coraggio. Una esperienza fantascientifica pura, con un’estetica anni 80 molto convincente. Era quasi lo stesso gioco, ma si prendeva molte più libertà creative per creare qualcosa di completamente fuori di testa.

Far Cry 4 e Far Cry 5: l’innovazione rimedia al danno

Se nel terzo capitolo l’ambientazione era la giungla, nel quarto capitolo ci troviamo in un ambiente più “pacifico”, la montagna. Il termine messo tra virgolette rappresenta una doppia faccia poiché, anche qui ci troviamo in un contesto di guerriglia e oppressione. La trama si svolge nel Kyrat, un immaginario paese situato nell’Himalaya.

Far Cry 4 è stato accolto dalla critica per lo più positivamente. I critici hanno elogiato l’ambientazione, la grafica, la colonna sonora e i personaggi, nonché le nuove aggiunte al gameplay e la ricchezza di contenuti. Tuttavia, la trama non spicca in originalità (escluso il finale) e le dinamiche di gioco sono le stesse del precedente capitolo. Oltretutto, il carisma dell’antagonista non è stato sviluppato come il precedente Vaas Montenegro che aveva una personalità contorta, ma ben articolata ai fini della trama. Diverso è stato il caso di Far Cry 5, considerato dai più come il migliore della saga.

Far cry 5 comincia con un breve filmato introduttivo che registra il paesaggio ambientale del Montana, per poi soffermarsi su una chiesa circondata da uomini armati, comandati dal principale villain Joseph Seed, capo di una setta religiosa. Una volta entrati nella chiesa, il protagonista arresta e cerca di scortare Joseph Seed, ma la situazione degenera e l’elicottero finisce con lo schiantarsi. Burke viene rapito dagli edeniti, mentre il protagonista è soccorso da Dutch, un abitante della contea che vive in un bunker. Da qui comincia la vera e propria avventura del protagonista: egli dovrà esplorare l’intera contea, organizzando e formando una vera e propria resistenza, per cercare di fermare l’oppressione di Joseph e dei suoi fratelli John, Jacob e Faith.

Il gameplay presenta delle innovazioni non indifferenti. Si può creare il proprio personaggio e modificare a piacimento il suo aspetto. Il giocatore avrà una serie di armi a distanza, esplosive e da mischia per combattere contro i nemici.

Una particolarità è stata descritta dal direttore creativo Dan Hay, il quale ha dichiarato che il design della mappa open world è stato elaborato basandosi sugli avamposti dei titoli precedenti della serie Far Cry. Questi avamposti rappresentano una piccola parte della mappa e sono occupati dalle forze nemicheː il giocatore è incaricato per liberare gli avamposti neutralizzando la presenza nemica. Il giocatore viene lasciato a sé nel mondo di gioco con poche direzioni, obiettivi e contesto; è necessario esplorare il mondo da soli. Il gioco include anche un sistema di reclutamento, con il quale il giocatore può reclutare persone della contea per combattere al suo fianco.

Il giocatore può anche domare gli animali selvatici. La fauna addomesticata aiuterà il giocatore in combattimento e seguirà i suoi ordini. Diversi animali avranno diversi schemi di combattimento. 

Frame del gioco Far Cry 5. Fonte: hwupgrade

Far cry 6: Ubisoft rimescola le carte prendendo da altre saghe

La saga di Far Cry si è rivelata molto longeva e nonostante ciò ha sempre mantenuto i suoi elementi caratterizzanti, senza mai cambiare di genere (vedasi il caso opposto di Assassin’s Creed).

In quest’ultimo caso la Ubisoft ha voluto riprendere elementi del secondo capitolo (i cicli giorno/notte, la possibilità di rinfoderare l’arma per mostrarsi pacifici) e riproporre le formule già scoperte dagli scorsi capitoli.

Forse questo è il capitolo più debole della saga, poiché è evidente quanto l’azienda abbia puntato solamente su un gioco con una mappa vastissima e sul boss, interpretato da un magistrale Giancarlo Esposito (famoso per la sua interpretazione di Gus Fring nella serie di Breaking Bad).

 

Salvatore Donato,
Federico Ferrara,
Matteo Mangano

 

G7 a Hiroshima. Tra gli obiettivi sicurezza, economia e ambiente

Lo scorso 21 maggio si è concluso il summit del G7 nella città di Hiroshima, in Giappone. I leader dei sette Paesi si ritrovano, come ogni anno, a discutere dei temi principali all’ordine del giorno: un probabile inasprimento delle sanzioni contro la Russia per l’invasione in Ucraina, di proposte per l’economia globale e cambiamento climatico.

Cos’è il G7 e perchè l’Italia ne fa parte

Il G7 è un forum intergovernativo delle sette maggiori potenze economiche a livello mondiale dei Paesi avanzati: Francia, Germania, Italia, Canada, Giappone, Stati Uniti e Regno Unito. Alle riunioni annuali sono invitate anche una delegazione dell’Unione europea e altri Paesi fuori dal G7, soprattutto quelli in via di sviluppo.

Nato come un’assemblea per il dialogo e il coordinamento in materia economica e finanziaria, il G7 ha esteso i suoi ambiti di intervento riguardanti attività internazionale come l’aiuto allo sviluppo e il contributo alla pace e alla sicurezza globali. Non solo, negli ultimi anni, l’attenzione del G7 si è focalizzata su temi come l’energia sostenibile, la lotta al cambiamento climatico, la sicurezza alimentare, la salute, l’eguaglianza di genere.

Ogni riunione prevede una presidenza a rotazione tra i membri. Il compito della presidenza di turno è quello di proporre le priorità del gruppo, coordinare le attività fra i membri, curare la pubblicazione e la diffusione dei documenti, organizzare le riunioni.

Il G7 ha natura informale: non esiste un segretariato né altre strutture permanenti ad esso dedicate. Le decisioni assunte dal Gruppo non hanno carattere vincolante, seppur influenzano in modo considerevole le politiche dei membri e degli altri Stati del mondo.

leader g7 giappone
Leader del G7 davanti al memoriale della Pace a Hiroshima, Giappone. Fonte: Rainews

Zelensky a Hiroshima

Avuto luogo a Hiroshima 78 anni dopo dal primo bombardamento atomico, il vertice ospiterà il presidente ucraino Volodymyr Zelensky che si è recato in presenza al G7 di quest’anno. I leader hanno espresso ulteriore sostegno a Kiev, impegnata, soprattutto in queste settimane, in una controffensiva militare.

Sul piano degli aiuti, Zelensky ha ottenuto dal presidente americano Joe Biden l’impegno a nuovo pacchetto da 375 milioni di dollari e un’apertura concreta alla cosiddetta jet coalition: la strategia per aiutare Kiev attraverso l’utilizzo degli F-16.

Zelensky non sembra aver ottenuto solo questo: un vertice sulla formula di pace Ucraina potrebbe tenersi a luglio, a 500 giorni dall’inizio della guerra, con la partecipazione dei paesi del G7 e dell’Ucraina. Il presidente ucraino dichiara infatti:

Presto saranno 500 giorni di guerra su vasta scala, già a luglio. È un periodo di tempo simbolico, un buon mese per riunire un vertice sulla formula di pace, un vertice della maggioranza mondiale. Un vertice di tutti che rispetta l’onestà e vuole porre fine a questa guerra. Vi invito a unire gli sforzi congiunti. La formula di pace è stata sviluppata in modo che ciascuno dei suoi punti fosse supportato da risoluzioni delle Nazioni Unite. In modo che tutti nel mondo potessero scegliere il punto che possono aiutare a implementare

Zelensky e Biden al G7
Il presidente Zelensky al vertice G7 di Hiroshima. Fonte: ANSA

I punti salienti

Tra gli ordini del giorno le nuove possibili sanzioni che colpiscono l’economia russa. I leader dichiarano la volontà di rimanere uniti nell’imporre sanzioni coordinate e altre azioni economiche per minare ulteriormente la capacità della Russia di portare avanti la sua aggressione nei confronti dell’Ucraina. L’intenzione sarebbe quella di ampliare le azioni per garantire che le esportazioni di tutti gli articoli usati per l’aggressione russa siano limitati, tra cui le esportazioni di macchinari industriali, strumenti e altre tecnologie che la Russia utilizza per ricostruire le sue macchine da guerra. Non solo, nel mirino anche coloro che operano in questi settori chiave, come quello manifatturiero, delle costruzioni e dei trasporti, e servizi alle imprese.

Inoltre, il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha annunciato che si sta lavorando per limitare il commercio dei diamanti russi. Ha fatto sapere che comunicherà ai leader dei Paesi ospiti al vertice l’importanza di applicare le sanzioni per fermare la Russia nella guerra contro l’Ucraina.

Nel corso del suo intervento riguardante l’economia globale, Giorgia Meloni dichiara della necessità di una migliore e più efficace collaborazione con il Sud Globale. Quindi di un lavoro unanime per dare forma a un ordine economico internazionale libero e aperto, concentrarci sull’espansione delle relazioni commerciali, rimanendo fermi sui principi di apertura, trasparenza, concorrenza leale e Stato di diritto.

In più, il presidente francese Emmanuel Macron Francia proporrà un “nuovo patto finanziario internazionale” per la lotta alla povertà e ai cambiamenti climatici, in un summit che si è tenuto a Parigi il 22 e 23 giugno. La Francia propone un nuovo impegno per mobilitare e liberare risorse. L’obiettivo è anche mobilitare finanziamenti privati per far sì che non si debba scegliere tra lotta alla povertà e lotta per il clima e la biodiversità.

Prossima tappa: G7 in Puglia

L’Italia sarà protagonista della prossima riunione del G7. Il presidente del consiglio dei ministri Giorgia Meloni lo ha annunciato al governatore Michele Emiliano, prima della conferenza stampa. Dichiara di aver scelto la regione per ragioni simboliche, perchè “il Sud del mondo sarà centrale, abbiamo scelto la Puglia perché ha un significato simbolico, legato alla posizione geografica.

Proprio per questo, come afferma il presidente della regione:

Ho avuto modo di ringraziarla per il grande riconoscimento che il Governo italiano, con questa scelta, ha dato a noi tutti. Un riconoscimento straordinario del lavoro che la Puglia ha svolto con riferimento al dialogo tra oriente e occidente, in permanente connessione con Papa Francesco, e della nostra capacità di accoglienza di tutti i popoli del mondo. Ci impegneremo con tutte le nostre energie per far fare all’Italia una bella figura

Victoria Calvo

Dolan e il suo cinema “arcobaleno” per uscire dall’opacità

“Vorrei vivere in un film di Wes Anderson” cantavano, nel lontano 2010, I Cani, progetto musicale indie-pop nato dal cantautore e produttore romano Niccolò Contessa. Ma al giorno d’oggi, forse, e senza rischiare di essere troppo prolissi, alcuni preferirebbero poter dire: “Vorrei vivere in un film di Xavier Dolan. Quest’ultimo, un regista francese classe ‘89, colpevole a soli 26 anni di essersi aggiudicato la Palma D’Oro al Festival di Cannes con Mommy, commettendo così un vero e proprio parricidio estetico.
In quell’occasione, infatti, Dolan non solo si aggiudicò il Premio della giuria in ex-aequo con Adieu au Langage del padre della Nouvelle Vague, Jean-Luc Godard, ma dopo aver vinto il premio, il giovane regista affermò durante una conferenza stampa: “Le opere di Godard non sono film che mi interessano”.

Fu proprio con queste parole che l’enfant prodige del cinema francese iniziò la sua carriera. E ne passerà di tempo fino a quando Dolan farà un film che potrà mettere d’accordo la critica. Con l’uscita di La mia vita con John F. Donovan (2018), sulle pagine del Guardian si scriveva di lui:

“Dolan esplora ancora una volta temi importanti per se stesso e per il suo lavoro, ma senza curarsi troppo di capire se il pubblico troverà il suo film interessante, coinvolgente o almeno coerente”.

Ma quindi perché dovremmo voler vivere dentro un film di Dolan?

Semplicemente perché il suo mondo, contrariamente a quello di Godard, non è mai troppo opaco, con personaggi misteriosi e irrazionali e narrazioni poco comprensibili. Quello di Dolan è un mondo di continue sfocature e messe a fuoco, di primi piani a effetto, di attenzione maniacale su tutti i dettagli anche sui più minuziosi. Un mondo in cui tutto questo fa da contraltare ad una quotidianità quasi cinematografica.
E poi, Dolan viene criticato semplicemente perché nei suoi film ci parla di lui, della sua omosessualità e di come sia difficile viverla ed esprimerla senza sentirsi inadeguati in un mondo, – forse più vicino a Godard che a lui – troppo opaco per comprendere a pieno una tale sincerità.

Si è festeggiata proprio ieri, mercoledì 17 maggio, la Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia. Ed è grave che ancora oggi molte persone LGBTIQ+ siano costrette a subire discriminazioni, abusi e violenze. È proprio in un mondo così, in cui l’omofobia è l’odio dei pochi che non sanno amare, che ognuno sente il bisogno di trovare il proprio “inno d’amore”. E perché non cercarlo proprio nel cinema, in film come il recente Stranizza d’amuri di Giuseppe Fiorello che nel raccontarci un tragico evento accaduto nella Sicilia degli anni ‘80, il delitto di Giarre, è riuscito a farci riflettere sul fatto che, nonostante il tempo trascorso, l’omofobia resta un problema ancora attuale.

Saremmo, forse, tutti più felici?

Cosa significherebbe immedesimarci in personaggi come Laurence Alia, professore universitario di letteratura francese che comunica alla compagna il proprio desiderio di intraprendere un percorso di transizione e diventare donna? E ancora, come ci comporteremmo se fossimo al posto di Frédérique, la compagna di Laurence? Decideremmo anche noi di restare accanto alla persona amata?

Laurence Anyways e il desiderio di una donna…, il film in questione, presentato al Festival di Cannes nel 2012 e che ha fatto ottenere a Dolan proprio la Queer Palm, è solo uno dei tantissimi esempi che potremmo fare guardando la filmografia del regista. E per Dolan forse il cinema sarà un modo per raccontare la sua vita ma di sicuro – e mi rivolgo alla critica – è anche un modo per farci capire che siamo tutti diversi, siamo tutti vittime di tabù e ruoli predefiniti, compreso lui, ma a volte per uscire da un mondo un po’ troppo opaco basta davvero poco.

Domenico Leonello
Caposervizio UniVersoMe

 

*Articolo pubblicato il 18/05/2023 sull’inserto Noi Magazine di Gazzetta del Sud

Istinto e ragione


Ci pensi mai
a quante avventure
avresti vissuto
se solo non ti fossi fatto
frenare dalla paura?

Quanti luoghi
avresti visitato
se solo
ti fossi lasciato andare.

 

Quanti mari
avresti solcato.
Quanti tramonti
avresti visto.

Quanti sogni
hai lasciato
nel cassetto
per paura?
Quanti ‘’no’’
hai detto?

Quante volte
la razionalità
ha avuto la meglio
sull’istinto?

Segui il tuo cuore,
buttati a capofitto
nella vita.
Perché essa è solo una,
la giovinezza scorre veloce.

Non avere paura.

 

 

 

 

 

 

Chiara Fedele

 

 

*Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia