Scusate il Disordine!

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La musica non la si prendeva. Mai!”

 

 

 

In “Scusate il disordine” Luciano Ligabue lascia di nuovo, dopo “Il rumore dei baci a vuoto”, senza parole. Una raccolta di racconti che lascia sempre incompleti e liberi di interpretare a modo proprio quello che succederà dopo. Una chiave di lettura: la musica. Presente in tutte le sue inclinazioni, con diversi amore verso di essa ma racchiusa tutta in uno spartito che ha proprio il sapore di Ligabue.

Ogni racconto si concentra sulla musica e sul rapporto che il personaggio ha con essa, fama o non fama, portandoci realtà che conosciamo ma spesso ignoriamo. Come Anchise che, nonostante la sua età, pur di continuare a suonare paga i componenti della sua band di tasca propria e si lega le bacchette alla mano a causa dell’artrosi; o un rapper che raggiunto il successo crede di potersi permettere una qualsiasi azione, probabilmente l’aspetto più raccapricciante dell’essere famosi.

Durante il primo pezzo ti hanno mitragliato di foto. Poi hai chiesto se adesso potevano mettere via macchinette e telefonini. Non c’è stato verso, hanno continuato a scattare ininterrottamente. Sei lì. È inevitabile. Per un attimo ti chiedi se non sanno, ma poi ti dici che sanno, sanno

Ligabue usa un linguaggio semplice e diretto, cambiando spesso registro a seconda del messaggio che vuole trasmettere. Consigliato a chi non ha paura di mostrare il disordine dei pensieri dentro di sé, le proprie emozioni e i propri dolori. A chi non nega il disordine della propria vita perché, per quanto si cerchi di regolarla, di dirigerla, non ci riusciamo e dobbiamo ammetterne l’impotenza. Non si può controllare.

Recentemente, il 24 e il 25 settembre, il ritorno live di Ligabue al Parco di Monza.

 

Serena Votano

Game Over: ultime memorie di un (quasi) neo laureato

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Game over. È finita (quasi). Mi sto per laureare. Veramente molto bello. No dai, una buona fetta di sarcasmo ce la metto perché non è bello manco per niente. È come trovarsi alla fine della maratona, dopo aver percorso 42 km e aver faticato tantissimo per un lungo periodo di tempo e iniziare a vedere davanti a te, finalmente, il traguardo. Peccato questa sia la maratona di Boston.

Ebbene sì, ho deciso di congedarmi con una buona dose di black humor. E, suvvia, non fate i moralisti proprio adesso, sto scherzando. Però la metafora rende perfettamente il concetto. Sì, perché ho faticato veramente tanto in questi tre anni, ho fatto esami, seguito lezioni e altre cose stupende che si fanno all’università. E adesso sono qui, con la mia manina protesa a prendere “il mio bel pezzo di carta” che dovrà darmi un futuro, ma il futuro non lo vedo. No dai, non voglio farvi deprimere, lo siete già abbastanza probabilmente. Cioè siete studenti universitari, per lo più, non può essere altrimenti. La mia è solo una considerazione sulla vita, sul futuro, sulle possibilità del nostro paese.

Vi confesso subito una cosa: io non ci capisco molto di politica e non sono nella posizione di fare un’analisi sull’argomento. Ma me ne frego altamente e la faccio lo stesso: BENVENUTI IN ITALIA, SE NON VI STA BENE EMIGRATE CHE QUI STIAMO DIVENTANDO UN PO’ TROPPI. Già, alla faccia del Fertility Day. Ma torniamo a noi, il futuro. Ora, visto che ho aperto il mio cuore con voi e sapete bene che non ho le conoscenze adatte per parlare del futuro di un giovane laureato in Italia, mi limiterò ad utilizzare un’espressione che su entrambe le rive dello stretto viene adoperata per descrivere al meglio la situazione: “Non c’è nenti”.

Esatto, la sentite la satira? Tutto in una frase, poche parole ed hai già detto tutto. Argomentare? Pff, lasciamolo fare a quei cervelloni che governano il paese. Ma, ora, mi chiedo se sia veramente così… Beh probabilmente sì. Mi riferisco soprattutto al sud, dove le alternative spesso mancano e dove i giovani sono costretti ad emigrare. E lo fanno veramente. Secondo una statistica, fatta da me, 3 ragazzi su 3 una volta finita la triennale al sud decidono di proseguire gli studi al nord. Ok, ammetto che non ho fatto un gran lavoro di ricerca. Ho chiesto ai miei tre colleghi che si stanno laureando con me dove pensano di proseguire gli studi e mi hanno risposto: “Lontano da qui!”. Pensavo bastasse come ricerca statistica. Forse non ho seguito al meglio i corsi di statistica sociale.

Eppure non sono completamente convinto che qui, al sud, non ci sia niente. Basta avere un po’ di fantasia, estro e creatività. Non vedete possibilità? Createle voi! Alzate il vostro bel culetto dal divano e cercate di cambiare le cose. Beh sì, forse mi faccio sgamare un’altra volta, ma non è che sono la persona più adatta di questo mondo per dire una cosa del genere. Ehi, non biasimatemi però, non è colpa mia se Netflix decide di aggiornare il suo catalogo ogni santo giorno. EHILÀ VOI DI NETFLIX? QUI C’È UN’ORDA DI GIOVANI CHE STA CERCANDO DI COSTRUIRSI UN FUTURO. POTETE, PER FAVORE, SMETTERLA DI PRODURRE COSÌ TANTI PRODOTTI DI QUALITÀ? GRAZIE. Già sempre a dare la colpa agli altri… Ho già detto “benvenuti in Italia”?

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Ed eccomi che mi trovo qui, in procinto di prendere una laurea considerata sfigata (anche più sfigata di quella in “Scienze della comunicazione”, quella quantomeno a furia di prenderla in giro è diventata famosa), che mi guardo indietro e ripenso a questi anni passati qui all’università. Sono stati dei begli anni. Beh forse lo devo dire per forza, non posso mica dire che mi hanno fatto schifo… Vi immaginate se dovessi ricevere qualche denuncia o qualche querela per questo? Sono troppo povero per potermi permettere di pagare un avvocato e se mi dovessi difendere da solo continuerei a dire qualcosa del tipo: “Ehm mi appello all’Articolo 21… quello sulla libertà d’espressione… o almeno credo sia il 21… no no, ne sono sicuro è il 21… l’ho studiato all’università… vedete, qualcosa l’ho imparata!” Non finirebbe tanto bene per me.

Però anche se probabilmente “il mio pezzo di carta”, di questi tempi, non mi garantisce un futuro lavorativo, sono contento di aver passato questi anni all’università. È un’esperienza e come ogni esperienza ti segna nel profondo. Ora, per i più svariati motivi personali (di cui non ve ne frega niente), probabilmente non utilizzerò le conoscenze acquisite in questi anni nel mondo del lavoro. Ho semplicemente deciso di cambiare percorso. Ma non sono abbattuto, anzi sono felice di aver provato questa esperienza e di aver vissuto così tante cose. E credetemi ne ho viste di cose strane e assurde all’università, dagli esami, alle lezioni, ai professori, alle code in segreteria. Tutte queste cose mi hanno formato e mi hanno fatto crescere, in un modo o nell’altro. Potrei raccontarvene tantissime e rimanere qui a discutere per ore. Ma vi ricordate il discorso sull’avvocato, l’articolo 21, ecc…? Ecco, come vi dicevo, sono stati veramente degli anni bellissimi.

Nicola Ripepi

Cafè Society: leggerezza e ironia amara nel nuovo film di Woody Allen

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Se l’autunno che avanza diffonde sulle nostre vite una ventata malinconica in grado di allontanare i ricordi briosi e dolci dell’estate, l’avvio della nuova annata di cinema offre un efficace antidoto capace di risollevarci, o almeno di incanalare nel giusto cantuccio le emozioni che erano rimaste a lungo assopite sotto l’ombrellone. Il ritorno di Woody Allen, regolare come quello delle stagioni, rischiara i sentimenti con tocco soave, riconducendoli al proprio ordine naturale. Appaiono vivaci i riferimenti consueti del cineasta in un’opera che racconta l’amore non senza sganciarsi dagli aspetti beffardi dell’esistenza. E che ancora attraversa con nostalgia le lancette del tempo.

 

Siamo nei colorati anni ’30 dello star system di Hollywood. Bobby Dorfman (Jesse Eisenberg) è un giovane ebreo di New York figlio di un orefice per nulla attratto dalla prospettiva desolante e noiosa che la permanenza in città e il lavoro del padre paiono offrirgli. Con l’ambizione di inserirsi nell’industria del cinema si rivolge allo zio Phil (Steve Carell) manager di attori famosi, presenza attiva alle feste eleganti a bordo piscina. Il rapporto coi divi e la società frivola di Los Angeles si impadroniscono della sua nuova vita e sarà così, alla fine, l’incontro con la disinvolta e magnetica Vonnie (Kristen Stewart), segretaria di Phil, a stravolgere ogni suo progetto. Il triangolo amoroso che coinvolge i tre protagonisti scaverà con intensità il dubbio della scelta dell’amata. La delusione al ritorno nella città natale farà crescere Bobby senza inibizioni e lo spingerà a fondare un locale notturno frequentato da alcune teste coronate d’Europa, da signori mondani e altolocati della società dell’epoca, nonché da esponenti della malavita italo-americana.

 

In Cafè Society, frutto delle 80 candeline spente dal regista lo scorso dicembre, i temi dei film di Woody Allen ricorrono senza esclusione di colpi: l’umorismo corale dei personaggi brulicanti e caratterizzati di Radio Days, il fascino fiabesco verso altre epoche, i due poli in antitesi di New York e Los Angeles alla maniera di Annie Hall, il sempre eterno ritorno alle proprie origini newyorkesi e quel senso di attesa e di oscuro presagio rappresentato dal futuro che incombe. Non sono nuovi gli argomenti cari al regista, affrontati senza dubbio con ben diverso spessore e profondità che in altre storiche pellicole precedenti. Eppure l’apparente giocosità e mancanza di pesantezza di questa nuova brillante amara commedia romantica lascia posto a espedienti tecnici e a una rinnovata cura del dettaglio, specialmente visivo, realmente sorprendenti.

cafesocietIl peso di Vittorio Storaro alla fotografia (premio oscar per Apocalypse Now) si palesa su una storia semplice, priva di novità clamorose, nel solco di una rappresentazione tipica e prevedibile, ma accompagnata da immagini e sensazioni che lasciano il segno. A catturare lo schermo è l’eccezionale bellezza di Kristen Stewart, vera nuova musa di Woody. Ma è anche l’ironia, cifra del suo cinema, che non subisce increspature, incrinature, segni del tempo. L’esito finale è quello di un regista che dopo ben 47 film mantiene ancora in piedi la sua freschezza. Cafè Society è un film imperfetto, così come lo sono talvolta le opere che arrivano a sedimentarsi nel nostro immaginario per arricchirlo e costruirci intorno altre storie. E questo proprio perché, come uno dei personaggi afferma in una scena, la vita è una commedia scritta da un sadico che fa il commediografo. Il film scorre veloce e a tratti con passaggi frettolosi, ma non perde di vista la sua efficace unità espressiva fortemente inquieta e drammatica dietro la patina di leggerezza.

 

Messo da parte il tono sarcastico delle origini, la verve comica cerebrale e nevrotica dei primi film, Cafè Society è un’opera della piena maturità, formalmente riuscita, in buona misura riassuntiva e emblematica (immancabile la colonna sonora jazz nei titoli di coda e la magia che l’avvolge). Un film che vale la pena andare a vedere nelle sale, e che, alla fine della proiezione, accantonate le incertezze e le riserve sulla sceneggiatura, rimane come puro esempio di cinema.

Eulalia Cambria

“Snowpiercer” di Bong Joon-ho

SnowpiercerProssima fermata: nessuna.

2014. La maggior parte delle nazioni mondiali si dimostra favorevole all’attuazione di un progetto che avrebbe posto una soluzione all’ormai affermato riscaldamento globale. O almeno questo è quello che si credeva.

Il reale risultato di questo progetto porterà l’intero globo a subire una nuova “era glaciale” e a sterminare la maggior parte degli esseri viventi che prima la abitavano, umani compresi. Nel 2031, a 17 anni dall’accaduto, dei sopravvissuti vivono su un treno rompighiaccio, lo “Snowpiercer”, con un’alimentazione infinita ed in grado di viaggiare per tutto il pianeta.

Questo è stato ideato da un uomo chiamato Wilford (Ed Harris), al quale non è possibile associare un volto poiché non si rivolge mai ai suoi “passeggeri” in prima persona, ma attraverso i suoi sottoposti. Egli è venerato quasi come un dio, dovuto al fatto che la sua macchina è stata la fonte di salvezza per i pochi sopravvissuti, ma non è tutto rose e fiori.

Infatti lo Snowpiercer presenta una improvvisata classe sociale che si struttura in base alla lontananza dal vagone in cui ci si trova dalla cabina di comando, dunque, più ci si allontana dalla testa del treno, più si è poveri (e viceversa). Ed è proprio nel vagone più distante che troviamo Curtis (Chris Evans) e il suo braccio destro Edgar (Jamie Bell), giovani stanchi della loro situazione di estrema povertà, malessere, scarsa igiene, fame e mancata libertà. Così, vogliosi di cambiamento e con estremo coraggio, sono decisi a prendere possesso del treno così da poter cambiare la situazione e portare a termine il progetto del loro capo, Gilliam (John Hurt), non portato a termine, passando di vagone in vagone. A qualsiasi costo.

Snowpiercer è un progetto ambizioso, nato dal regista sudcoreano Bong Joon-ho, siglando il suo primo film in lingua straniera (inglese).  La produzione coreana più costosa di sempre prende spunto dalla serie a fumetti francese intitolata “Le Transperceneige”, vantando anche un cast definibile quasi come stellare, con attori del calibro di Chris Evans (Captain America/ I Fantastici 4), Jonh Hurt (Fuga di mezzanotte/ Alien), Ed Harris (The Truman Show), Octavia Spencer (The Help), Tilda Swinton (Michael Clayton/Il curioso caso di Benjamin Button/ Grand Budapest Hotel) e tanti altri.

Pur essendo un più che ottimo esempio di cinema di fantascienza, ma soprattutto di genere post-apocalittico, Snowpiercer rimane un film anonimo e fin troppo poco conosciuto. La probabile mancanza di una adeguata pubblicità della pellicola e la distanza “di interesse” con quelli che possono essere gli interessi occidentali ha sicuramente penalizzato questo lavoro, gettando quasi nel dimenticatoio un incredibile lavoro di cinema indipendente che riesce non solo a tenere testa a molte grosse opere di stampo americano, ma addirittura a farle tremare. Certo, il film in sé non può essere definito come un’opera perfetta o “uno dei migliori film degli ultimi anni”, ma lo spirito, la forza e le idee che esso porta superano indubbiamente il lavoro oggettivo e quantitativo del prodotto finale. Ed è proprio questo quello che si deve evidenziare in Snowpiercer, non solo il buon film che risulta essere, ma tutto ciò che vi è dietro e l’obiettivo indiretto che esso si prefigge. Infatti quest’ultimo deve cercare di essere un trampolino di lancio per il cinema indipendente e per i registi che hanno molta voglia di fare e liberare il talento che c’è in loro.

                                                                                                                                                              Giuseppe Maimone  

I 10 TIPI DI STUDENTE IN VACANZA

vacanze_200411La sessione estiva è quasi per tutti giunta al termine ed è arrivato il momento di fare quello che lo studio non ci ha permesso finora di fare. Le cose nella lista sono veramente tante e il tempo poco. Lo studente in vacanza sa già che dovrà scegliere bene su cosa concentrarsi di più e così ecco a voi i 10 tipi di studente in vacanza:
#1 IL BINGE WATCHER. Lo studente malato di serie tv ha passato un brutto periodo. La sessione estiva lo ha costretto ad accantonare il proprio account di Netflix per concentrarsi sui libri. Ma ora è arrivato il momento di recuperare. Programma della giornata: Sveglia, maratona di serie tv, pranzo, maratona di serie tv, cena, maratona di serie tv notturna, qualche ora di sonno. Semplice ed efficace.
#2 IL TIPO D’AMARE. Quando ti ritrovi su un libro, a metà luglio, con 38 gradi all’ombra, l’unica cosa che vuoi ardentemente è far riposare le tue terga al mare. Riconoscerete questo tipo di studente perché il giorno dell’ultimo esame assomiglia a Gunnarsson e due giorni dopo ha il colorito di Pogba.
#3 IL FESTAIOLO. Perdere la dignità dietro l’alcol durante l’anno può capitare. Perdere la dignità in vacanza è un must. Se la sessione estiva è andata male bevi per dimenticare, se è andata bene bevi per festeggiare. Il risultato sarà comunque quello: ogni sera col trattore in tangenziale e si va a comandare (no sul serio, fa troppo schifo quella canzone).
#4 IL CACCIATORE. Sulla scia del festaiolo troviamo il cacciatore. È tatticamente rimasto single per tutta l’estate alla ricerca di amori improbabili. È il re della serata e lo si vede dall’entrata (questa sì che era una canzone). I suoi sensi di ragno sono super attivi. Il suo radar da acchiappatore seriale è pronto all’uso. Punta la preda. Non lo ferma nessuno. Peccato che l’unica cosa che riuscirà a cacciare saranno le conchiglie sulla spiaggia. Rimandato.
Nota: la versione al femminile può risultare letale.
#5 IL LETARGO. Studiare è stancante. Lo sappiamo tutti. Passare un’estate a dormire potrebbe sembrare uno spreco ma a volte è necessario. Lo studente in letargo si sveglierà una mattina di settembre. Avrà messo su peso. La pelliccia sarà cresciuta. Le provviste di cibo saranno finite. E sarà in quel momento che uscirà dalla tana e ricomincerà a stud… ehm a vivere.

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#6 IL “LO DO A SETTEMBRE”. Tu, sai che parlo con te. Non ti invidio per niente. La sessione estiva non è andata come avevi programmato, eh? A giugno gli esami li hai rimandati a settembre come un segno di estrema speranza. Ad agosto però quella speranza si tramuta in disperazione. L’estate per te non esiste. Solo una lunga e triste sessione estiva lunga 3 mesi. Va bene dai ci vediamo quando ne esci vivo, ok?
#7 IL VAMPIRO. L’estate in realtà non è il massimo come stagione. Non fraintendetemi, si respira un’aria di vacanza, c’è il sole, c’è il mare, il sole, il sole, il sole. MADONNA QUANTO SOLE C’È D’ESTATE. Non tutti riescono a sopravvivere a tutto questo caldo. Il vampiro è quello studente che al sole è allergico. Ha deciso di dire no al sole e sì alla notte (non a valsoia).
#8 IL VIAGGIATORE. Comunque siano andati gli esami il viaggiatore sa già cosa fare per le vacanze. Ha tutto prenotato da mesi: volo, albergo, mete turistiche, escursioni. Non lascia nulla al caso. E poi ci sei tu, che sei povero come la merda e che al massimo puoi farti un giro su google maps. Dai almeno sei un terrone e puoi andare al mare.

#9 IL SOLITARIO. Jovanotti cantava “L’estate addosso”. Il solitario l’estate non ha proprio presente cosa sia. Per lui sono solo giorni lontani dai libri. Jovanotti parla di piccoli amori estivi intensi. L’unico amore estivo per il solitario è il climatizzatore. Effettivamente sono giorni molto caldi. Il contatto umano è un optional e le mura di casa sono l’unica spiaggia che vuole vedere. Non costringetelo ad andare a mare, gli basta la doccia di casa.

#10 IL LAUREATO. Come in un bellissimo film con Dustin Hoffman arriviamo all’ultimo punto. Il laureato. Hai finito. Mai più libri. Un’estate così non la vivevi da quando la maestra non ti lasciava il libro delle vacanze. Sei libero. Certo, è pur vero che adesso sei un disoccupato. È pur vero che non sai cosa sarà della tua vita. È pur vero che tutte le tue certezze ti stanno crollando inesorabilmente addosso e il tuo futuro è nero. Dai, sto scherzando. Non ti preoccupare. Troverai la tua strada. Vivi un’estate all’insegna dell’allegria e mettiti in gioco. Hai ancora tutta la vita davanti per preoccuparti!

Nicola Ripepi

Erasmus a Madrid: cosa aspettarsi da una Capitale fuori di testa!

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Salve a tutti i lettori di UniversoMe ,

in questo articolo mi è stato chiesto di raccontare la mia esperienza Erasmus che, svoltasi attraverso la Facoltà di Chimica di Messina, è appena terminata (shit!).  Sono stato in una città (che se porca miseria non lo dico non sono contento!) pazza fottuta come Madrid, per un periodo di sei mesi.

 

Quindi pronti, partenza, via…  ed eccoci arrivati a Madrid, catapultato completamente solo in una delle capitali europee più belle e più folgorate che ci siano (per lo meno, ai tempi potevo solo immaginare), con mille valige e una voglia di scoprire che avevo perso ormai da tempo. Vi posso dire che raccontare un’esperienza come l’Erasmus non è per niente facile, perchè non si limita solo a essere un progetto studio (sappiamo tutti che alla fine di tutto il motivo principale della scelta dell’erasmus nell’ ”ignoranza” è “andare a divertirsi”), ma è veramente una di quelle esperienze con un’ intensità e valore che modellano te stesso e che, nel bene o nel male, sarà stata sempre la scelta giusta (al massimo avrete sempre da raccontare storie cazzute e folli che solo in quel contesto si possono fare… fidatevi).

Per questo motivo mi limiterò a fare un excursus generale su tutto, dai pregi ai difetti dell’erasmus.

 

Per cominciare, sarebbe opportuno iniziare dalla città.

Madrid è la capitale della Spagna: ha sei milioni di abitanti, ha la metro mi… Bla bla bla bla! Non c’è bisogno che vi parli della descrizione geografica, dei musei ,attrazioni turistiche e via dicendo perchè esiste internet con  tutte queste informazioni utili, ma quello che dovete sapere è che Madrid è una città fuori di testa (per farvi capire che la prima cosa che mi hanno detto appena arrivato è stata: “Madrid te mata”, ossia “Madrid ti ammazza” , che è una sacro santa verità). Come città in se è stupenda, grandissima, però con un centro abbastanza circoscritto e con tutta la “movida” e il turismo concentrati in esso e di conseguenza facile da girare anche in un fine settimana.

Madrid secondo me è esattamente ciò che vuol dire eramsus, cioè esperienza! È una metropoli con tanta diversità culturale e differenze etniche“non farsi le ossa” è impossibile. Essendo una metropoli dal punto di vista economico, per un ragazzo in erasmus, soprattutto se messa a confronto con altre mete Spagnole e non (come, per esempio, la parte sud della Spagna, l’Andalucia, dove si vive con 150€ di affitto rispetto ai miei 400€) , può non sembrare economicissima.  Però, allo stesso tempo, è una metropoli a “misura d’uomo” , poichè messa a confronto con altre capitali europee è forse la più economica soprattutto per tutto quello che ti offre, dalle “bettole” a 10 euro a persona, tipico spagnolo dove si mangia da paura (come la Fatigua del Querer in pieno centro),  al ristorante di lusso, dalle discoteche fuori dal normale (come il Fabrik o il Kapital) ai baretti del centro dove trovi i mille PR  che ti propongono promozioni folli (sia vere che non) con la classica musica reggaeton spagnola che dopo sei mesi non ne puoi più.

La Latina, dove il giro di tapas con caña regna sovrano, spendendo 2 euro per entrambi(soprattutto in Calle Cava Baja), dove c’è la Cebada, sorta di parco con campetto, skatepark, dove vai per giocare fumare o semplicemente non fare nulla e conoscere gente.

 

 Il barrio Hipster di Malasaña, con barbieri super cazzuti che con quelle forbici ti fanno diventare un vero Hipster e con locali più alternativi, dove passi le serate più ignoranti, con il tuo gruppo, fino alle 8 del mattino per poi mangiare al mitico TGB Go di Malasaña, con plaza dos de Mayo dove si fa botellón! Se ti và, puoi andare al barrio di Salamanca , locale di un livello più alto, come l’ Hard rock Café o la mágica Boutique dove ogni giovedì vai a ballare ( anche se non è proprio il mio hábitat ideale ).

Troverete mille parchi dove si riesce a staccare dalla città anche rimanendo nel pieno centro storico  , come il Parque del Ritiro  ubicato in pieno centro dove si può andare a leggere un libro o rilassarsi con una semplice sigaretta e  ti sembra la cosa più assurda e pazzesca del mondo.

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Come sappiamo tutti  l’erasmus è un progetto studio europeo e quindi a questo punto mi tocca parlare di ciò e di conseguenza dell’università spagnola e di come mi sono trovato.

L’università spagnola è completamente diversa dalla nostra universtà italiana ( che tutto il mondo critica ma che allo stesso tempo è la più ricercata , o per lo meno post studi noi italiani siamo i più ricercati). A dire la verità, io non sono rimasto contento e soddisfatto del sistema universitario poichè è fin troppo “liceale” : compiti per casa , lavori di gruppo, esposizioni e seminari che vanno a fare la percentuale nel voto ( non media, il che è diverso!).

 

Potrà anche essere migliore, dal punto di vista pratico, della nostra , più interattiva forse , però, secondo quello che ho visto e vissuto in questi mesi all’università di Madrid, è che uscendo da una università del genere , si ha una preparazione più adeguata e “forte” per il campo lavorativo però va a mancare tutta quella parte teorica che solo noi in Italia facciamo.

 

Ragazzi, gli spagnoli non hanno idea di cosa significa studiare 1000 pagine di un libro di Chimica Organica e fare un esame orale di 45 minuti dovendo ripetere vita morte e miracoli di ogni cazzo di molecola con  il prof davanti che ti mette una soggezione immensa, ma fanno dei test a crocette o a risposta libera che, alla fine di tutto, non ti lasciano niente di concreto perchè, in fin dei conti, basta imparare a memoria i test degli anni passati. Non pensate che siano così facili, ma nemmeno difficili, è proprio il metodo di studio diverso , l’ organizzazione. Ti ritrovi a studiare cose inutili e poi a  fare 10 pagine di lavoro su temi scelti dalla professoressa  in spagnolo , consegnarlo, fare il powerpoint e poi esporlo senza che questo ti abbia lasciato nulla (immaginate quanto cazzo di tempo ho perso per fare ste cavolate).

 

Quindi, tirando le somme, con l’università non mi sono trovato benissimo ma nemmeno malissimo, nè carne nè pesce, forse anche dovuto al fatto che sono stato solo sei mesi e quindi il sacrificio si poteva fare. In linea generale(sì, le leggende sono vere) è piu facile ( ho sentito storie di prof. che davano le caramelle se le persone andavano interrogate alla lavagna). Comunque non fatevi fregare , l’impatto con questa nuova università può essere abbastanza forte e quindi creare qualche problema ( però non mollate che in un modo o nell’atro si superano gli esami!).

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E ora? Ora sono di nuovo a Messina , pieno di ricordi e di nostalgia , con una visione del mondo totalmente diversa poichè vai a confrontarti con un’altra cultura, con altri modi di pensare , con amici e amiche in tutto il mondo che, fidatevi, non perderete mai perchè avete passato insieme una delle esperienze che per un ragazzo/a di 20 anni è forse l’inizio di se stesso , della sua e soltanto sua vita , vivendo lontano da tutto,  famiglia amici e parenti; in un altro stato,  con un altra lingua , senza nessun appoggio se stai male o anche se stai bene , ma questo non è uno svantaggio , anzi, è esattamente quello che l’erasmus vuole darti … Crescere! E io fortunamente (lo spero), sono maturato grazie a questa esperienza  e se dovessi tornare indietro non esiterei nemmeno un minuto.

Nanny Randazzo

Abbatti lo Stereotipo: Maschi vs Femmine

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Tanto tempo fa, i marziani e le venusiane si incontrarono, si innamorarono e vissero felici insieme perché si rispettavano e accettavano le loro differenze. Poi arrivarono sulla terra e furono colti da amnesia: si dimenticarono di provenire da pianeti diversi.

John Gray.

Uomini e donne, maschi e femmine, bianco e nero, acqua e fuoco, terra e cielo. Fin dalla prima notte dei tempi le due categorie si sono confrontate in una continua lotta per imporre i propri diritti e dire ‘’siamo noi il sesso forte’’, senza che nessuno, ancora, abbia capito chi lo è davvero.

Poi un giorno sono arrivati due piccoli idioti e hanno deciso di mettere da parte il loro orgoglio di uomo e donna e difendere le categorie opposte: di nuovo insieme, Alessio ed Elena, hanno provato ad abbattere gli stereotipi che, da quando ognuno di noi prende consapevolezza di cosa ha tra le gambe e di che poteri o debolezze gli conferirà, circondano tutti noi.

Forse è per questo che stanno parlando in 3° persona: per non litigare ancora una volta e uscire fiduciosi di dare una svolta al mondo.

(no, non è vero, non avete idea di quanto sia stato difficile per entrambi una cosa del genere. Abbiamo avuto bisogno di 4 cicchetti a testa per riprenderci)

E quindi ecco a voi i 5 stereotipi maschili e i 5 stereotipi femminili sfatati una volte per tutte!

 

  1. Donna al volante pericolo costante. Questa è pericolosa: ho visto troppe donne arrabbiarsi e dispensare schiaffi per essere state sottovalutate al volante. Tanti hanno in mente la scena in cui la ragazza in questione ha difficoltà ad interpretare i segnali stradali o impiega 15 minuti e 43 manovre per un semplice parcheggio, per sistemare la propria automobile con cura. Solo io conosco un buon numero di ragazze che guidano con l’esperienza di un camionista dell’Illinois e che parcheggiano senza problemi anche nel luogo più angusto possibile? Nota a margine: la ragazza che sa guidare tende a vantarsene in modo esagerato.
  2. Parlano sempre di calcio. No, non è vero: non tutti gli uomini parlano sempre e solo di calcio, figa, birra e quanto altro. Alcuni sanno anche parlare di altro: la maggior parte di essi sono nerd oppure sono fissati coi motori e quindi parleranno solo di motori ma ALMENO È ALTRO. L’unico problema è che non si può sapere se parlano d’altro perché siete al primo appuntamento o se hanno davvero una cultura un poco più evoluta. Bisogna solo aspettare, ragazze. Comunque, apprezzate lo sforzo e, come premio, dategli 5 minuti al giorno per sfogarsi sul calcio con il proprio migliore amico .

 

 

  1. Sono rompicoglioni e pazze. Qui, più che un paragrafo, ci sarebbero da scrivere trattati, tesi di laurea, manuali di sociologia. “E com’è?” – “Mah, simpatica per carità, ma a me sembra pazza!” – “Che ti aspettavi? È femmina!”. Sì, è un classico, stereotipato, dialogo tra uomini. Andrebbe scritto un ulteriore trattato su quanto questi ultimi giochino a vestire i panni del Superuomo, mi limito ad esternare il mio pensiero: chi più chi meno, siamo tutti rompicoglioni e pazzi. Senza distinzioni di sesso. Anche se le donne forse un po’ di più.
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  2. Non sanno fare due cose contemporaneamente. Ora che io e Micalizzi ci sopportiamo poco non è una novità. Ma il fatto che ci siamo vendicati l’uno dell’altra scegliendo gli stereotipi più difficili da abbattere è chiaro a tutti, no? Ok, gli uomini, poveretti, non sono multitasking come noi e questo non è uno stereotipo ma un dato di fatto. Stanno là e, sia che fissano un culo sia che stiano scrivendo un trattato di storia antica con i geroglifici, la restante parte del loro cervello si spegne, assorta solo in quell’unico compito. PERO’, c’è sempre un momento nella vita in cui riescono ad accendere anche le altre parti del loro cervello: quando devono farlo. Si chiama spirito di sopravvivenza. L’ho visto in mio papà: mamma non c’era e lui cucinava, parlava al telefono, metteva il guinzaglio al cane e si grattava la chiappa sinistra contemporaneamente. Lo sanno fare… il problema è che non vogliono farlo.

 

  1. Non capiscono niente (soprattutto quando si parla di sport). Altra stupida frase standard da litigio di coppia: gli studiosi stanno ancora cercando di capire perché pensiamo che le donne non capiscano nulla.Forse perché il giorno del nostro anniversario preferiscono una cena romantica alla semifinale di Champions League. Certo, forse è la nostra forma mentis deviata, ma sarebbe opportuno che anche loro si mettessero nei nostri panni: ti giochi il primo posto del fantacalcio all’ultima giornata, e anziché fartela gustare con i tuoi amici tra sputi, schiaffi ed ingiurie indicibili, ti vorrebbero obbligare ad andare a fare altro, così, perché è domenica. Poi, spazientite, se ne escono dicendo: “Ma che gusto c’è? Mica giochi tu! Fanculo tu e il tuo Maccarone, la prossima volta che hai casa libera chiama lui”. Ragionamento tutto a loro favore, da qualsiasi punto di vista lo si metta. Eccezion fatta per il nostro. Grazie ancora per questa grande annata Big Mac.

 

  1. Non ci ascoltano MAI, ci guardano solo le tette. Questa è facile: non è per cattiveria, ragazze, ma quelle che meritano davvero di non essere mai guardate negli occhi sono davvero in poche. C’è poco da guardare quando hai una zero della primizia o quando loro stessi hanno più tette di voi. Ecco, forse tendono ad ascoltarci di più quando assumiamo un tono minaccioso ma, come detto prima, almeno ci provano. E poi, in verità, la maggior parte non vede l’ora che ce ne andiamo per ammirarci il culo. Se trovate quello che vi ascolta, vi risponde in maniera sensata e poi vi chiede di fargli guardare il culo (o di toccarvi le tette) beh, tenetevelo stretto.

 

  1. Non sono mai puntuali. Tra i mille difetti imputabili all’universo femminile, l’essere eternamente in ritardo risulta essere uno dei più stereotipati. Impazza nelle pubblicità e nelle sit com americane l’immagine della donna che perde tempo a truccarsi mentre il proprio uomo la attende sotto casa. O al bar. O al ristorante. Ovunque direi. Sfatiamo lo stereotipo: alcune di loro non perdono tempo, tutt’altro: arrivano il prima possibile all’appuntamento per poterti rinfacciare la propria puntualità.

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  1. Sono tutti uguali: maniaci, traditori, porci e mammoni. Ahia, anche questa è difficile. Diciamo che la maggior parte, a malincuore, lo è davvero. Ma ricordiamo sempre che, da qualche parte, c’è l’eccezione che conferma la regola. Bisogna grattare un po’ la superficie: ho conosciuto ragazzi dolci e profondi, monogami, teneri. Il problema sta che, ammetto, mi sono annoiata dopo 5 minuti. Quindi, forse, siamo anche noi le stronze che li vogliono proprio così maniaci, traditori e porci e quelli bravi e buoni li snobbiamo che ‘’manco se fossi l’ultimo sulla terra vorrei stare con te?’’ (per il mammone non posso fare niente, ci ho provato, davvero, ma sono tutti innamorati della loro mamma).

 

  1. Il ciclo. Le vedi sfrecciare a 150 km/h tagliando la strada a chiunque, per poi mandarlo a quel paese. Ti riempiono di insulti gratuitamente. Ti rispondono male, e vogliono essere comprese. Iniziano a contorcersi per il dolore insultandoti ancora di più perché l’universo maschile non proverà mai nulla del genere. Non vogliono essere contraddette. Piangono all’improvviso. Ora, provate a fare una summa di tutti questi comportamenti, traslateli al maschile, la causale è la propria squadra del cuore che esce in finale di Champions League. Il risultato? Forse non siamo così diversi.

 

  1. E’ sempre colpa loro. Se dopo questo articolo gli uomini non decidono di erigere una statua dedicata a me io, davvero, non so cosa combino. Ecco, ragazzi che leggete UniVersoMe, una donna che prende tutto il suo orgoglio, prende un respiro profondo e ammette: non è sempre colpa vostra. A volte noi ci rendiamo delle insopportabili principesse viziate che non si vogliono fare capire, che non vi vogliono ascoltare e che vi vogliono semplicemente dare fastidio. Quando si litiga, a volte, è perché diamo per scontato che dovete limitarvi e punto, perché veniamo prima noi. Quindi, ok, va bene, non è sempre colpa vostra.

 

(comunque sto parlando sempre di casi limite. Non sarà sempre colpa vostra, ma la maggior parte delle volte, con il senno del poi, AVEVAMO COMUNQUE RAGIONE NOI)

 

Un abbraccio.

Elena Anna Andronico

Alessio Micalizzi

E se Pokemon Go fosse fatto per l’Università?

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Avevo circa 10 anni, non di più. Me ne stavo nel sedile posteriore della macchina dei miei nonni, tutto stretto accanto al finestrino, schiacciato dai bagagli residui e da mia zia durante un viaggio Messina – Torino, passando per tratti dello stivale che “Autostrade per l’Italia” proprio scansate, e l’unica gioia, con 40 gradi fuori e 30 dentro, era il mio game boy color, o meglio, la cassetta che ci stava dentro. Quel Pokemon Diamante mi aveva fatto imprecare, festeggiare, piangere per la rabbia e divertire. Quello schermo senza luce interna mi costringeva a giocare e poi fermarmi nelle gallerie, in quell’auto, oppure a mettere in pausa quando sapevo che le batterie stavano ormai per esaurirsi. Se 10 anni fa mi avessero detto: “tra un po’ di tempo potrai giocare con i Pokemon dallo stesso apparecchio con cui telefoni”, avrei risposto, con la mia solita eleganza, “Siii dumani”, essendo proprietario di un modesto Motorola Turtle modello “carbone”, per farlo funzionare era necessario proprio incendiarlo.
Ragazzi, mi sono dovuto ricredere. Non solo adesso i Pokemon stanno nel mio smartphone, ma per catturarli non giro più per Lavandonia o Biancavilla, ma per il corso Cavour, via Garibaldi, il bagno di casa mia, il balcone e spio il vicino perchè c’era Zubat e della privacy onestamente chi se ne frega.
Pokemon Go è ufficialmente una droga, ci si mette con il cellulare puntato, gambe in spalle e si parte (i più eccentrici mettono anche il cappello al contrario che proprio Ash Ketchum chi?!): per catturarli tutti, ma davvero tutti, adesso si viaggia per palestre che sono luoghi reali, si portano i propri animali in centri ricovero adatti (ma perchè la mappa mi segna la statua di Padre Pio sulla circonvallazione come punto di cura?).
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C’è solo un problema: “Claudio ma me la vuoi dare una soddisfazione in questa vita infame e ti prendi sta laurea?”. C’è questo problema, la frase di mia madre che mi gira spesso in testa quando mi perdo ore con questi giochi. Dovrei dare esami, studiare ed invece no, cerco di unire l’utile al dilettevole, e mentre ripeto a casa giro con il telefono acceso e provo a vedere che trovo (Rattata vicino al tappeto vuol dirmi qualcosa o è solo coincidenza?) o in biblioteca o nei bar, mentre leggo, dove ho trovato un Pikachu nella granita fragola (ma che cazz) e un Magikarp nel gelato di un tizio che mi stava accanto (onestamente il cono mi sembrava di un aspetto strano, tipo lilla, forse un Pokemon così inutile si trovava in un gusto del genere perchè, sinceramente, lilla è una minchiata di gusto). Comunque, io propongo un compromesso: perchè non fare Pokemon Go anche con il mondo accademico? 
Seriamente, cioè, parliamone, immaginiamo che io cammini per via Palermo e trovi un appello regalato dell’esame di privato, mi metterei a catturarlo anche se avessi una gamba sola. Se passeggiando sulla litoranea vedessi un cfu selvatico i rapporti sociali finirebbero, prenderlo è l’unica cosa che conta. Girovagando per il viale San Martino, se mi spuntasse davanti un blocco di appunto di dottrine politiche, datemi una masterball che vi cambio anche il trattato di Maastricht così, no look, come fece Pirlo nel 2006. Non ne parliamo se poi nella via Tommaso Cannizzaro, a buffo, spuntasse un riassunto del libro di 1000 e più pagine quando mancano solo 10 giorni all’esame, lì inutile dirvelo, già ho preso i contatti per vendere il rene ed avere una pokeball infallibile.
Non si scherza, fate Pokemon Go con l’università, lo propongo davvero, altro che boom di donwload, saremmo tutti costantemente collegati. Il server down sarebbero un problema, ci toccherebbe studiare, ma insomma, l’importante, nella vita, è essere Charizard al momento giusto e mai, dico mai, Magikarp nel gusto lilla. Ora vado, il capo-palestra della Fiera di Messina ha certe responsabilità, quando divento quello del dipartimento di Scienze Politiche vi chiamo, anche se la vedo dura. Altro che acchiappali tutti, accettali tutti (i 18) è il mio nuovo motto. Dopo aver catturato Alakazam.
Claudio PaneBianco

Grazie di tutto ragazzi. Continuate così

WLIL6431Un ultimo saluto, stacco i microfoni, inserisco la sigla finale, poi clicco su “stop”: è finita qui.

Si chiudono tre mesi bellissimi: “breve ma intenso”, come mi suggeriva Elisia a fine puntata. Solo tre mesi, perché, come è giusto che sia, per far parte di Radio UniVersoMe (e di UniVersoMe in generale), bisogna frequentare l’UniMe e, fra pochi giorni, io non ne farò più parte. Molti penseranno: “vabbè, ma ti laurei e finisci gli studi, che te ne frega?”. Sì, forse è vero così. Ma ci credete che Radio UniVersoMe mi ha dato un motivo per essere quasi un po’ dispiaciuto di dover terminare gli studi? Non prendetemi per pazzo.

So che tanti di voi che magari si trovano al primo o al secondo anno pagherebbero per avere una laurea imminente, ma quando per l’ultima volta ho spento il microfono ed ho posato le cuffie, mi sono sentito come se mi mancasse qualcosa. Da ora in poi il lunedì non bombarderò di messaggi Diva, sempre in ritardo, per sapere dove è finita, a meno di 30 minuti dall’inizio della nostra diretta. Non mi stresserò perché prima di fare il video per la pagina  Facebook, prima di ogni puntata, devo aspettare che Diva si sistemi i capelli e che organizzi al meglio la “regia” del filmato. Non passerò 45 minuti a dare notizie ed a inveire contro la mia povera compagna di viaggio, che non so come ha fatto a sopportarmi (a dire il vero, non so come ho fatto io a sopportare lei, ma shhh, dettagli). Per me si è appena chiusa un’esperienza breve ma bellissima, che mi ha fatto conoscere fantastiche persone, amici prima che colleghi.

Circa un anno fa, quando ancora l’inizio delle nostre attività era lontano, ho effettuato un colloquio con i componenti dell’Ufficio Stampa del nostro Ateneo, i quali, insieme al referente generale del progetto per gli Studenti, Alessio Micalizzi, erano alla ricerca di un responsabile per il settore web-radio. Decisero di scegliere me e ammetto di essere stato un po’ presuntuoso, perché sapevo che avrei dovuto confrontarmi con tanti giovani studenti alla prima esperienza radiofonica e, avendo nel settore un po’ di esperienza in più rispetto agli altri, pensavo di dover “insegnare” loro tante cose.

Mi sbagliavo di grosso, per due motivi: 1) intanto, avere esperienza in varie emittenti radiofoniche, più o meno durature, non vuol dire essere bravo e la strada per divenire un ottimo speaker è ancora lunga; 2) questi pazzi e giovani colleghi che mi hanno affiancato, non hanno avuto bisogno di grandi aiuti, perché sin dalla loro prima diretta si sono dimostrati dei validi speaker radiofonici. Ma quali dilettanti? Forse sono io che devo imparare qualcosina da ognuno di loro. Ognuno con il suo stile diverso e particolare, ognuno con il suo punto di forza.

Ancor prima che iniziassero le trasmissioni, mi è stato affiancato Claudio Panebianco come co-referente del progetto web-radio di UniVersoMe e, poco dopo, dovendo scegliere un solo referente, mi sono tirato subito indietro “calando il pacco” a Claudio. Mai scelta fu più azzeccata. Da oltre tre mesi, ormai, ogni giorno Claudio ci tempesta di messaggi sul nostro gruppo Whatsapp, con nuove idee, suggerimenti. Qualsiasi idea lui la propone, anche la più piccola che possa comunque servire a far crescere il gruppo. Claudio è giovanissimo, il più piccolo del gruppo, se non sbaglio, ma ci ha guidati (e continuerà a guidarvi) come un veterano, con la sua interminabile pazienza, superata solo dalla sua passione. IIBD5927

Dunque, finisce qui per me. Volevo quindi approfittare di questo spazio, per chiudere in bellezza quest’esperienza con alcune parole che mi sembrano più che dovute. Grazie, intanto, all’intera squadra di UniVersome, che mi ha fatto conoscere tante splendide persone, le quali mi hanno fatto capire che non è vero che a Messina non abbiamo voglia di fare niente. Se abbiamo i mezzi, ci impegnamo, eccome.

Grazie a Valeria Ruggeri e Luciano Fiorino dell’Ufficio Stampa dell’UniMe (ed a tutti i loro colleghi del “terzo piano”), che ci hanno ospitati nel loro ufficio, divenuto il nostro studio radiofonico “abusivo”. Grazie all’intero Ateneo, soprattutto a chi, nel concreto, si è impegnato per far sì che UniVersoMe, nato dalle menti di tanti giovani studenti volenterosi, divenisse realtà. Grazie al nostro Rettore, Pietro Navarra, per averci ricevuto circa un mese fa per complimentarsi con noi e con gli organizzatori del LovMe Fest, proprio per l’ottima riuscita dell’evento svoltosi al Forte Ogliastri, all’interno del quale abbiamo realizzato la nostra prima diretta esterna.

Non posso che concludere con i ringraziamenti più importanti, ossia per i miei compagni d’avventura, che citerò in ordine di “palinsesto”: grazie ancora alla mia compagna di viaggio Diva Famà, con la quale si è instaurata subito un’ottima sintonia davanti al microfono (e ciò non è per niente facile ed è importantissimo per la riuscita di un programma radiofonico) ed al “capo” Claudio Panebianco, ad Elena Anna (detta Elenanna) Andronico, ad Elisia Lo Schiavo, a Vanessa Munaò, a Giampiero Alibrandi, a Francesco Burrascano ed a Vincenzo Romeo, che ha fatto pratica negli ultimi mesi, un po’ dietro le quinte, ma che prenderà ufficialmente il mio posto, affiancando Diva a partire da settembre. Diva, da quello che abbiamo visto nelle ultime settimane, posso assicurarti che sei in ottime mani. In bocca al lupo Vincenzo, sono sicuro che farai grandi cose, come tutti gli altri. BQSA7868

Adesso, mi raccomando, non perdiamoci di vista, eh! Vi prometto che continuerò a seguirvi costantemente e che verrò a trovarvi in studio quando possibile. Grazie di tutto, ragazzi. Grazie per questa bellissima avventura vissuta insieme. Continuate così, non fermatevi mai, perché siete una squadra formidabile ed anche grazie a voi la nostra Università diventa ogni giorno sempre più vivibile e bella da frequentare. Grazie, di cuore.

Simone Intelisano

Film Cult: la cruda verità delle nostre trame preferite

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La rubrica delle recensioni si occupa di recensire (oh, quale SORPRESA) cose belle e farle conoscere allo studente medio. MA, la rubrica delle recensioni non PUO’, in coscienza, occuparsi solo di questo. Da buoni CRITICI, ma sì diamoci cariche a caso senza motivo alcuno, abbiamo deciso che è nostro compito aprirvi gli occhi su fatti sconvolgenti: ebbene, ci sono certi film, certi CULT, che vogliono prenderci tutti in giro con un mix di banalità e fatti senza senso che essi narrano.

Siamo stanche, stanche di chi non apre gli occhi così, dentro una cabina telefonica, abbiamo indossato la nostra tuta da super eroine per aprirveli noi e mostrarvi, a muso duro, la realtà.

In queste trame si susseguono una serie di fatti volti a dimostrare che l’AMORE VINCE SEMPRE. No, non è così. Che tu abbia 18, 30 o 40 anni, alla fine rimarrai sempre con il tuo ‘’MAI NA GIOIA’’ in tasca.

Si sa che nel dolore ci si sente tutti più vicini, accomunati. Sarà per questo motivo che, almeno ogni anno, un qualche regista a caso (ma anche sempre lo stesso) decida di sfornare un film tratto da un libro su malati terminali. Storie d’amore tra adolescenti con problemi inimmaginabili, con la personalità e la maturità di un quarantenne. A quale film di incassi ci stiamo riferendo? COLPA DELLE STELLE, pubblico di UniVersoMe, che non ha solo vinto svariati premi per il film ma anche, appunto, per il romanzo. E sapete dove sono le stelle? Nello champagne che i due gustano prima di andare a fare all’ammore. Perchè, è ovvio, quale medico non consiglia una bella dose di alcol in questi casi. 97469

Ovviamente sarà la malattia ma anche il loro carattere unico che li farà innamorare con un solo sguardo perché, si sa, gli occhi sono lo specchio dell’anima. Ovviamente questi ragazzi si vedranno quando vorranno, a qualsiasi ora del giorno e in posti improbabili, perchè i loro genitori sono sempre libertini e permissivi, mica come i nostri che ci mandano un messaggio alle 23.00 dicendoci di tornare a casa in quanto si è fatto tardi.

Alla fine? Uno dei due muore e all’altro, fondamentalmente, gliene sbatte poco, mentre guarda le stelle ridendo (strafatto di farmaci).

Uno dei film che tutti adorate, se lo analizzaste bene sapreste davvero di cosa parla. Il protagonista, il solito poveraccio di turno, bello, con un gran cuore (praticamente inesistente nella realtà), in cerca di un sogno, che ci prova in modo molesto con la ricca di turno, che sta con il cattivo di turno, che fa anche nascere spontaneamente una domanda in ognuno di noi: ” ma se è sempre stato così stronzo, ma perchè ci stava insieme?”. Avete capito, no? TITANIC. Titanic-sinking

Ovviamente parliamo sempre di amori al primo sguardo: “sarà sicuramente una donna meravigliosa, anche se si comporta da stronza viziata, perchè guarda l’orizzonte in modo enigmatico“.  Dopo essere inevitabilmente nato, questo piccolo grande amore (cit.), il tempo di bere un bicchiere d’acqua ed aver consumato in posti improbabili il loro amore, il tempo di alzare una serranda, capita una catastrofe che sommata a drammi vari, crea panico e speranza.

Alla fine? Uno dei due muore e all’altro, fondamentalmente, gliene sbatte poco, mentre butta a mare un medaglione da 3944039 $.

E se avessi 40 anni, la mia età fertile stesse volgendo al termine e non fossi Carrie Bradshaw? Potrei conoscere un gran figo in un bar che mi offre un caffè e mi fa innamorare follemente mentre mastica pancake con la bocca aperta. Mi ricordo del mio fidanzato stronzo solo sulla soglia del locale e, mentre le nostre strade si dividono, non mi volto nemmeno indietro. Meglio, perché la Morte quella mattina si è svegliata ed ha deciso di farsi un giro di shopping sulla terra, ha scelto il figaccione come corpo e lo fa finire crudelmente sotto un camion che lo sbatte all’aria più e più volte (spoiler: alla fine del film il tizio resuscita e poi mi dovete spiegare come lo spiega alla sua famiglia, ma va bene). E’ lui, è proprio lui: Vi Presento Joe Black. vi_presento_joe_black

A parte che già è assurdo di per sé che la Morte venga a farci una visita, ma che essa sia anche “vestita” da Brad Pitt, diventi nostra amica e si stabilisca come un barbone abusivo a casa nostra è molto BOH (per usare termini eruditi). Successivamente scopriamo anche che ha dei sentimenti e che le piace il BURRO DI ARACHIDI, particolare che per il regista, non se ne capisce il motivo, sembra di VITALE importanza.

Quindi si innamora della figlia del tizio che dovrà morire ma che sta risparmiando solo perché gli serve una guida turistica sulla terra e, ullallà, ci prova con l’espressione e la personalità di un acciuga in scatola. Ovviamente lei, che è solo bella, ci casca e poi gli insegna anche a fare all’ammmore. La Morte che fa l’amore ma non lo sa fare e viene sverginata. OK.

Alla fine? La Morte muore.

 

E, adesso, buona visione.

Elena Anna Andronico

Elisia Lo Schiavo