Mistaman apre il suo tour a Messina-Intervista esclusiva per UniVersoMe

 

mistamanrealtaaumentatatourQuando si dice buona la prima. Giovedì 2 dicembre il rapper Mistaman, artista di punta dell’etichetta discografica Unlimited Struggle, ha aperto a Messina al Retronouveau il tour di promozione del nuovo album “Realtà aumentata”. Rilasciato il 4 novembre scorso, il disco rappresenta la sesta fatica dell’artista trevigiano classe ’76, che dopo più di vent’anni di carriera riesce ancora a sorprendere i suoi ascoltatori con qualcosa di attuale ma senza perderà le sue peculiarità artistiche. Scrivono su di lui: “I giochi di parole e le doppie chiavi di lettura dei suoi testi sono quanto di più tecnico il rap italiano possa offrire”. Noi di UniVersoMe siamo riusciti ad intervistarlo in esclusiva, e poichè i giochi di parole rivestono un ruolo quantomai centrale nella sua produzione, abbiamo deciso anche noi di metterli al centro della nostra intervista.

Partiamo dal titolo dell’album: “Realtà aumentata”; una visione sovrapposta alla realtà per aumentarne la comprensione. Chi  ascolta il tuo ultimo lavoro, di cosa si deve rendere conto?

Nell’album ci sono  due dimensioni: una introspettiva che tocca tasti molto personali come la musica e il mio interrogarmi nel farla; l’altra di più ampio respiro sul sociale. Il filo conduttore di tutto, ciò di cui vorrei la gente si rendesse conto, è di non dare per scontate le cose ma di andare in profondità. Questo è il concetto, è un disco contro la superficialità!

“E se la terra trema non ci resta che, fare festa come, se non c’è domani” (Non c’è domani, 2016). Quindi la soluzione a tutto è fregarsene?

È una canzone che propone una soluzione sarcastica. Il pezzo inizia come una presa di coscienza della crisi e delle cose che non vanno finché non si capisce che la soluzione a tutto è fare festa, ma è una soluzione sarcastica perché è quello che normalmente fanno le persone, quindi non va inteso letteralmente. Ci tenevo a sottolinearlo. -La soluzione a tutto è ascoltare il tuo disco?-  Macchè magari! La soluzione purtroppo, a differenza di quello che ci fanno credere le varie forze politiche, non è semplice. Credo sia necessario immergersi nella complessità delle cose e venir fuori con piccole soluzioni a piccoli problemi. Trovo che le soluzioni grandi siano quasi sempre populiste.

“So che devo smetterla di prenderla alla lettera o finisce, che il mio dj si esibisce con un frullatore, perché il traduttore non capisce che avevamo chiesto un mixer” (Lost in translation, 2016). Sei uno dei rapper più tecnici della scena italiana, ma sei sicuro che la gente ti capisca? Ti senti un’artista incompreso?

Io ho sempre cercato di non sottovalutare l’ascoltatore. Se fossi uno che si misura  con un pubblico generalista o se preferisci mainstream, mi dovrei porre fortemente il problema di essere comprensibile e addirittura cercare di dire qualcosa che quando la gente mi ascolta dice: “Merda questo la pensa come me!”. Dovrei essere comprensibile e allo stesso tempo dire delle cose condivisibili. Ad esempio nel brano “Se non ti piaccio”, io dico che dopo tutto quello che ho fatto penso di potermi permettere di avere l’arroganza di dire: “se non ti piaccio non c’è problema,ciao”. Se ascolti la mia musica  mi aspetto che tu in primis abbia voglia di approfondire. Quindi in conclusione, non voglio né sottovalutare l’ascoltatore né abbassare il livello di ciò che faccio per arrivare a più persone. In passato c’è stato un tentativo da parte mia di rendermi più comprensibile però alla fine, la mia complessità interiore si è sempre tradotta in una complessità dei testi.

img_9932“Scrivo col cuore neanche tocco penna e carta elettrodi sul petto il testo è  sull’elettrocardiogramma” (Posse Cut, 2014). Dando per certo che tu non scriva i tuoi pezzi in cardiologia, come si struttura il tuo processo creativo?

C’è un nucleo di cuore, sotto uno strato esterno di cervello. Faccio pezzi sia di tecnica pura, in cui magari dico cose che sono tutt’altro che impegnate, sia pezzi “conscious”, cosa che attinge sicuramente un po’ da quello che è lo stile di noi della Unlimited Struggle che facciamo canzoni serie e profonde. L’hip-hop ha una componente gioviale e poi una parte riflessiva, ma in realtà queste parti si compenetrano di continuo. In quest’album il brano “Irreversibile” è un pezzo contro la mentalità del consumismo fine a se stesso, che però è fatto con una tecnica estremamente fine. Purtroppo fare tante cose diverse è un autogol artisticamente parlando. L’ascoltatore si aspetta sempre la stessa cosa, e quando tu gli dai tante cose diverse è più facile deluderlo. È un caro prezzo da pagare, ma lo pago volentieri.

img_9931 “Volevi tutto subito così hai stretto i denti hai subìto, sembra che tutti provino a passare un provìno ,e che mai si destino dal proprio destìno” (A100, 2014). Cosa pensi dei rapper usciti dai talent-show?

Me la fanno spesso questa domanda sui talent. In verità qualche sera mi è capitato di stare a casa con amici e guardare questi programmi. Devo dire che sono uno spettacolo divertente da vedere e da commentare. Però a me quello che non piace è l’idea che un’artista vada a farsi giudicare e che si sottometta a quello che di fatto è un potere come quello televisivo e quello delle case discografiche. Preferirei una realtà che venisse dal basso, che sfidi il potere. Il fatto che uno per avere questi riflettori addosso debba chinare la testa e sottostare a questo circo, io lo trovo opposto al senso dell’arte. Nel ’94 quando ho iniziato eravamo opposti al mainstream, certamente da parte nostra c’era un’attitudine un po’ immatura, un po’ punk, ma l’hip-hop stesso nasce come una controcultura. Io vorrei fossimo tutti contro la commercializzazione dell’arte, non biasimo loro perché dovrebbe esserci un sistema che aiuta i giovani in Italia a fare musica. Invece, vuoi per la tassazione, vuoi per una mancanza di opportunità non viene realmente permesso ad un talento di esprimersi. Il business musicale italiano non è facile per i giovani, capisco perché vanno in questo tipo di programmi.

img_9972“È il giorno del comizio e han sempre la soluzione, se io fossi in Parlamento forse non sarei migliore, ma mangerei di meno è una questione di costituzione” (Si salvi chi può, 2014). Anche il 4 dicembre è una questione di Costituzione. Tu voti Sì o No?

Io voterò No. Ritengo che dentro questo referendum abbiano infilato un po’ di tutto. Ho paura che sia l’ennesimo specchietto per le allodole, ed è un peccato perché l’idea di velocizzare il percorso delle leggi in Parlamento è lodevole. Ma sappiamo bene che ci hanno infilato tante cose meno valide, tra cui il fatto di scegliere i senatori dalle regioni e dalle città metropolitane. La democrazia è stata già hackerata in più modi e questo a me sembra nient’altro che l’ennesimo tentativo.

Foto di: Giulia Greco

Alessio Gugliotta

Intervista con la scrittrice Noemi Villari

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Per chi ama l’avventura e la fantasia, leggere Believeland, è un tuffo in un mondo in cui le parole d’ordine sono proprio queste; ma c’è di più: credere, un’imprescindibile parola che accompagna il lettore per tutto il romanzo.

La giovane scrittrice Noemi Villari, con il suo primo libro, apre una finestra su un nuovo mondo: Believeland; creature e poteri magici si intrecciano alla vita di alcuni adolescenti, protagonisti del romanzo che coinvolgono il lettore con le loro emozioni.

La gentilissima Noemi, subito dopo la presentazione del suo libro, ha risposto ad alcune domande e ha regalato dei preziosi consigli agli appassionati di scrittura.

 

 

 

 

Parliamo degli albori di Believeland: inizi a scriverlo quando eri nella primissima fase dell’adolescenza, avevi dodici anni. L’idea che hai avuto allora è rimasta la stessa?

  • L’idea è stata elaborata diverse volte e aveva tutt’altra impostazione; del modello iniziale è rimasto il concetto del mondo fantastico di Believeland, che prima non si chiamava così: un aneddoto simpatico riguarda, per l’appunto, il nome. All’inizio l’ho chiamato Magics (che in realtà è quello delle Winx), poi Magic Village (che sa molto di villaggio turistico) ed infine quello attuale.

Le protagoniste, in un certo senso, è come se fossero cresciute con me e ho lasciato loro un’età adolescenziale perché mi piace trattare questo periodo della vita, che per me è fondamentale nella nostra esistenza: se si capisce ciò che prova un adolescente, si capisce come diventerà da grande.

A quale personaggio sei più legata?

  • Istintivamente rispondo che sono più legata ad Alessia (la ragazza del mondo reale), perché proviene dal mio stesso contesto scolastico, ovvero da un istituto d’arte, a cui tengo molto, quindi ho voluto che lei, almeno in questo aspetto, fosse identica a me. Poi, come personaggio, è stato elaborato in modo totalmente opposto al mio: lei indossa una maschera di sicurezza che nasconde la sua insicurezza e, invece, per me è al contrario.

 

Un aggettivo con cui descriveresti il tuo libro.

  • Più che un aggettivo, a me viene in mente la parola “credere”, sostanzialmente il motore che fa camminare il romanzo.

 

Hai un luogo in cui preferisci scrivere?

  • Solitamente, preferisco scrivere a letto con il pc sulle gambe e di sera; invece, la mattina preferisco prendere appunti sui quadernoni (perché mi piace scrivere a mano), ma sulla scrivania.

 

Progetti futuri: scriverai ancora?

  • Sicuramente continuerò a scrivere: ho un’idea per continuare Believeland, ma vorrei anche guardare nuovi orizzonti, per affrontare tematiche diverse.

Di certo, non voglio abbandonare questo racconto, a cui sono legata affettivamente.

 

 

Hai dei consigli per i giovani scrittori?

  • Sicuramente direi loro di seguire il primo istinto ed iniziare a scrivere partendo da ciò che sentono, per poi affidarsi alla tecnica.

Consiglierei anche di usare internet, dove ci sono molti siti che guidano alla scrittura e dove, personalmente, ho imparato tanto. Poi, apprendere dai libri che si leggono ma, soprattutto, impegnarsi per realizzare il proprio sogno.

 

 

 

Jessica Cardullo

 

La prevenzione sismica in città ad elevato rischio

whatsapp-image-2016-11-27-at-12-03-02Si è tenuta ieri mattina presso il CERISI la tavola rotonda dal titolo: “LA PREVENZIONE SISMICA IN CITTÀ AD ELEVATO RISCHIO” organizzata dal Prof.re Giovanni Falsone, docente si Scienze delle Costruzioni, del Dipartimento di Ingegneria.

Prima dell’apertura dei lavori è intervenuto il Prof.re Michele Limosani Prorettore alla Gestione delle Risorse Finanziare, che ha portato a gli intervenuti il saluto del Magnifico Rettore, lodando il Prof.re Falsone per quanto organizzato, facendo un attenta analisi economica, e non solo, sull’argomento.

Sono seguiti i Saluti del Prof.re D’Andrea direttore del Dipartimento di Ingegneria che ha ringraziato il Prof.re Falsone, e raccontando qualche aneddoto a messo in evidenza, come nonostante le nuove tecnologie, si continuino ad utilizzare vecchie tecniche nel campo della prevenzione.

Assente il sindaco di Messina Renato Accorinti.

Perché la tavola rotonda

Apre ufficialmente i lavori il Prof.re Falsone che spiega le ragioni dell’incontro.

La tavola rotonda nasce dalla necessità di smentire le corbellerie dette da alcuni geologi  ed architetti, dopo le ultime catastrofi, sulle strutture(che come più volte ribadito dal Prof.re Falsone non rientrano nella loro competenza professionale). E cosa più importante fare il punto della situazione a Messina della prevenzione sismica.

Sinergia: parola d’ordine per la prevenzione

Per una buona prevenzione è essenziale la figura del geologo, infatti dopo la catastrofe di San Giuliano di Puglia lo stato impose che tutti i comuni italiani si dotassero di una micromappa di prevenzione, ma nella maggior parte dei comuni italiani non furono mai realizzate perché purtroppo, essendo in Italia, la norma non prevedeva sanzioni.

Oltre alla figura di geologi sono importanti le figure di ingegneri(geo-tecnici, costruttori, viari), architetti ed economisti.

Rapporto tra prevenzione sismica e politica

Il Prof.re Falsone definisce difficilissimo questo rapporto: basti vedere le fasi di ricostruzione molto lente.

La gente dopo un sisma rimane minimo trentanni a vivere nelle baracche. I soldi per la ricostruzione prendono strade diverse e non viene mai fatta prevenzione sismica prima di ricostruire, e si ricostruisce male.

Miglioramento o adeguamento sismico?

Il Prof.re Falsone non ha dubbi sull’argomento nonostante i costi siano maggiori l’adeguamento sismico è la scelta opportuna.

Ed è proprio qui che entra in campo la figura dell’architetto che ha il compito di intervenire sull’adeguamento dei centri storici.

Va cambiato anche la mentalità del cittadino medio rispetto alla sismicità de territorio. Una delle cose più importanti da fare quando si sceglie una casa è preoccuparsi dei dettagli di sicurezza.

Prevenire costa meno che ricostruire

Una delle massime corbelleria, come afferma il Prof.re Falsone, se si parlasse di un palazzo non c’è alcun dubbio che la demolizione e la ricostruzione costerebbero molto meno della prevenzione.

Prevenzione e ricostruzione si basano su due scale diverse!

La prevenzione costa molto di più della ricostruzione su larga scala, un esempio è il territorio italiano.

Ma quanto passa per raccogliere il frutto della prevenzione? – Anche in questo caso la politica è molto lenta e la gente non ha consapevolezza dei rischi.

La prevenzione dovrebbe essere incentivata!

Messina esempio di prevenzione nella ricostruzione del 1908

Dopo il terremoto del 1908  con lo studio di tecnici venne inventata una nuova tecnica per prevenire altre catastrofi:  la “muratura armata”.

Purtroppo nel tempo, questa tecnica fu dimenticata. Solo nel 1958 un team di ingegneri, che riporto alla luce questa tecnica, organizzo in occasione del cinquantesimo anniversario del terremoto un convegno internazionale sulla prevenzione.

A Messina la sicurezza non ha interesse, nonostante nell’ultimo ventennio sono stati educati centinai di ingegneri sul rischio sismico.

A termine del suo intervento il Prof.re Falsone si dice rammaricato per l’assenza delle istituzioni politiche, presente solo Maurizio Croce Assessore al Territorio e Ambiente della Regione Siciliana.

 

Gaetano Bongiovanni

Umberto Spaticchia e il suo ‘’Null01- La storia di Downey’’: quando le menti messinesi si mettono in gioco

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A tutti i lettori chiediamo: cosa è che vi attrae di un libro? La copertina, il titolo, il nome di quell’autore famoso, il posto in classifica.

Tra le caratteristiche, secondo noi, dovrebbe essercene anche un’altra: è stato scritto da un mio concittadino. A maggior ragione se, lui o lei, è uno studente come noi. In questo caso stiamo parlando di un lui: Umberto Spaticchia, giovane di 21 anni, nerd alla mano e spiritoso.

Il suo libro, Null01- La storia di Downey, distribuito dalla Libreria Bonanzinga (anch’essa nostrana), è stato presentato presso i locali dell’istituto tecnico industriale Verona Trento e in alcune province di Messina.

Noi abbiamo avuto il piacere di averlo come ospite di Radio UniversoMe e questa è la sua intervista.

Umberto, tu hai scritto questo libro, ‘’Null01- La storia di Downey’’, che si può trovare sia in forma digitale che cartacea. Di cosa parla?

Sì, è pubblicato anche in cartaceo ed è disponibile presso la Libreria Bonanzinga. Il libro viene esposto come un secondo viaggio dantesco (niente di meno!). È un romanzo a sfondo psicologico- narrativo e parla di come una persona può reagire a seguito di uno shock, sia esso positivo o negativo. Ognuno di noi, infatti, può reagire in maniera diversa: chi inizia a soffrire di depressione, chi sviluppa doppie personalità. In questo caso, attraverso il romanzo, viene raccontata la storia di questo uomo che fa il programmatore informatico e nel tempo libero studia biologia. A un certo punto si trova in uno stadio di fermo appunto perché, essendo un informatico e non un biologo, non riesce ad andare avanti, si trova davanti a un muro: lui, infatti, studia su studi già fatti. E questo lo porta ad uno stato di depressione e stress. La sua mente, quindi, non può far altro che trovare altri piani che prendono vita sotto forma di un’ape azzurra. Questa si riferisce all’ unica guida mentale dello stato in cui si ritrova.

Quindi, sostanzialmente, un viaggio nella sua stessa mente.

In un certo senso. Il punto sta, però, nel fatto che è tutto fine a sé stesso, non coinvolge il mondo, tutto avviene nella sua testa. Intorno a questo sta il secondo viaggio dantesco: è come un Dante dei nostri giorni.

Diciamo però le cose come stanno, Umberto: un romanzo non è un vero romanzo se i personaggi non fanno all’amore almeno una volta.

Eh, diciamo che, nel mio caso, i personaggi lo fanno con il cervello!

Sappiamo che lo hai presentato in alcune province di Messina, a giorni, inoltre, lo presenterai proprio qua a Messina, presso l’istituto Verona Trento.

Sì, lo ho presentato sia a Spadafora, che nel comune di Naso dove ho trovato persone, che mi hanno ospitato, davvero squisite. La presentazione a Messina durerà circa un’ora e spero di vedere il coinvolgimento delle persone de dei ragazzi! Devo dire che, comunque, sono contento, perché ha avuto molti feedback positivi. Oltre i soliti curiosi, anche alcuni professori mi hanno i complimenti, dicendo che ho preso spunto da Kafka (che io, però, non ho mai letto!).

Toglici una curiosità, come è nato il tuo libro? Cosa ti ha ispirato?

Allora, il libro è nato da un disegno che ho fatto io stesso: sarebbe l’ape che c’è sulla copertina del libro. Quindi la storia è stata ispirata da me stesso. Poi ci sono stato un anno a scriverlo, tra alti e bassi, per cui ci sono dei momenti di allegria e dei momenti un po’ più introspettivi, legati al fatto che, ovviamente, durante questo anno, io stesso ho affrontato periodi della mia vita diversi.

Ma quindi è un po’ autobiografico?

No, vi giuro di no!

Da cosa è nata questa idea di scrivere un libro? Ad alcuni rimane per sempre questo ‘’sogno nel cassetto’’, tu, invece, ci sei riuscito!

Io sono dell’idea che tutti possono scrivere un libro e che, allo stesso tempo, non tutti possono. Perché, inutile nasconderlo, ci sono dei momenti in cui vorresti mollare tutto, perché non ci riesci, non sai più cosa devi dire: il classico blocco dello scrittore. Bisogna avere costanza, questo sicuramente, e non mollare nemmeno durante quei momenti. Bisogna essere, in ogni caso, fieri delle proprie opere.

Umberto per noi sei un grande esempio anche perché, se non sbaglio, ancora non sei laureato. Secondo te, cosa serve realmente a un ragazzo, che magari non ha terminato gli studi come te, per mettersi in gioco e realizzare qualcosa di concreto?

No, purtroppo, ancora no!

Secondo me il problema non è tanto dei ragazzi che non fanno qualcosa, il problema sta nel fatto che non c’è partecipazione. Questa è la grande pecca dei nostri cittadini. Ci sono tantissimi eventi di diverso genere in tutta la città, in svariati locali e così via: ma nessuno partecipa. Ci lamentiamo tanto ma poi, a conti fatti, il nuovo non ci interessa.

E allora grazie perché sei un grande esempio per la nostra generazione e, soprattutto, in bocca al lupo!

Grazie a voi ragazzi, siete fortissimi!

Elena Anna Andronico

 

Abbatti lo stereotipo – Il polentone al Sud

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Dopo aver affrontato i cliché degli studenti conterranei, come non parlare degli stereotipi che noi meridionali affibbiamo agli ospiti nordici? C’è chi fa la vacanzina al Sud, chi ci studia, chi ci lavora… insomma, anche il meridione è invaso dagli amici “di su”.

Proviamo a sfatare i quattro miti che narrano dei polentoni!?

1- Ci si vede per un “ape”?

“ Ape cosa?” – Ci si vede per mangiare focaccia, o un arancino, o una granita, non per un “ape” ( che poi è aperitivo). Il buon polentone, alle prime armi, “osa” fare una proposta tale al Sud; ma quando l’amico terrone lo porta ad assaggiare qualche chilo di focaccia, è subito magia: già dal giorno dopo, suggerirà una focacciata.

2 – Scopre l’esistenza del sole ( e del caldo).

Anche a Novembre e a Dicembre, e per tutto il resto dell’anno (tranne nel fine settimana, ovviamente). In realtà, è proprio difficile spazzare via la nebbia di questo stereotipo, ma vi possiamo assicurare che i polentoni sono così stufi del caldo afoso delle loro terre, da essere felici delle nubi invernali padane. Alla fine dei conti, quindi, conoscono fin troppo bene il sole.

 

3 – Puntualità.

Nello scorso pezzo, abbiamo parlato del tipico ritardo dei meridionali; per i polentoni esiste il problema opposto.

Se dicono “ci vediamo alle 18”, loro sono puntualissimi, anzi, sono capaci di presentarsi all’appuntamento anche 5 minuti prima, ignari del fatto che dovranno attendere l’amico del Sud ALMENO mezz’ora.

Ma dopo un paio di volte in cui l’attesa sembra infinita, è il polentone stesso a presentarsi molto dopo l’orario prefissato.

 

4 – Alle 19 ha già cenato.

Probabilmente, lo fa il primo giorno che arriva, ma non appena vede la gente attorno a lui cenare non prima delle 20:30, silenziosamente cucina ad un orario intermedio, così da non sembrare il tipico nordico e, nel frattempo, non soffrire troppo la fame.

 

Bene polentoni, avete: cibo buonissimo, il mare, qualche clacson che suona a caso ( sicuramente per salutare l’amico nella macchina accanto), qualche parola in dialetto da imparare…insomma, con un buono spirito di adattamento, potete farcela!

 

Jessica Cardullo

Animali Fantastici e dove trovarli: JK Rowling è ufficialmente tornata!

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Nana nanana nanaaa naaaa na nanana nanaaaa….

Se siete dei potterhead (come me) l’avete canticchiata ad alta voce e con l’intonazione giusta. Sì, amici miei, è la colonna sonora dell’infanzia della maggior parte di noi: Harry Potter.

Al mondo esistono due categorie di persone: chi lo ama fino alla malattia mentale e chi invece non lo sopporta propria. Io, penso si sia capito, faccio parte della prima.

Dopo 5 anni, un libro sceneggiatura di un’opera teatrale (che ha lasciato un po’ d’amaro in bocca), e tante repliche (su Italia 1 il sabato sera) dei film sui nostri maghi preferiti, finalmente, il 17 novembre, è uscito il nuovo film firmato Jk Rowling: Animali Fantastici e dove trovarli.

Come ogni film sul mondo magico di Harry Potter, sono andata a vederlo di domenica pomeriggio insieme a mia mamma e a mia cugina (potterhead come me). Ero un po’ in ansia, avevo paura fosse una grande delusione: dopotutto, spesso, le opere che vengono fatte dopo l’originale lasciano sempre l’amaro e la delusione del ‘’ non è come era una volta’’.

E invece, ragazzi e ragazze, possiamo ufficialmente esclamare ad alta voce: Jk Rowling è tornata!

Animali Fantastici e dove trovarli, è un film basato sulla storia dell’autore di uno dei libri utilizzati dagli studenti di Hogwarts. Insomma, è come se facessero il film sulla vita del mio professore di anatomia (Anastasi, ndr).

Al contrario degli altri film, tutti tratti dai rispettivi romanzi, questo era totalmente inedito: si può trovare, in libreria, il libro vero e proprio sugli animali fantastici, il libro, insomma, che hanno usato i nostri maghetti mentre andavano a scuola.

Come il mio libro di anatomia. È la, ho studiato su quello, l’ho sottolineato e martoriato ma non conosco la vita del suo autore.

Quindi, era assolutamente un salto nel buio. Nessuno sapeva come sarebbe andata. Ed è andata bene.

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Newt Scamander, futuro autore di un inutile libro di scuola, è un mago espulso dalla scuola di magia e stregoneria di Hogwarts (contro il volere di Albus Silente che ha, come sempre, un debole per gli sfigatelli) che va in giro a raccogliere creature magiche.

Le infila tutte nella valigetta, prontamente camuffata con un incantesimo estensore (ma voi che ne dovete sapere, stupidi babbani). Finisce a New York, dove sa di poter trovare un esemplare raro.

Siamo in una New York durante gli anni del proibizionismo, dove c’è ancora la caccia alle streghe. Per questo, tutti i maghi e le streghe viventi, devono nascondersi, vivere nel segreto.

Ovviamente, come è solito nelle trame della Rowling, appena arriva il protagonista, per un errore banale, succede un putiferio. A Newt, infatti, scappa il suo snaso (che assomiglia ad un ornitorinco) e succede un manicomio.

Non voglio svelarvi troppo della trama. Vi dico solo che sentirete, anzi, per il piacere delle vostre orecchie, risentirete tanti termini conosciuti: auror, babbani (che in america chiamano ‘’nomag’’), Silente, Grindelwald, magono, incantesimi e bacchette.

Girato da David Yates, regista di parecchi film su Harry Potter, è un film con effetti speciali e ambientazioni sorprendenti. Tutto è, come sempre, perfetto, fino ai più piccoli particolari.

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E poi, il cast. Un cast stellare. Ci sono nomi come Colin Farrell, Dan Fogler, Allison Sudol, Katherine Waterstone. E, ancora, Johnny Depp che ha una scena lunga, si e no, 45 secondi ma, ehi, è magnifico come sempre. Ed è proprio la sua scena finale, di assoluta sospensione, che conferma quello che già si sapeva: ci saranno altri 4 film. Ed io onestamente non vedo l’ora.

Ma parliamo dell’attore protagonista: Eddie Redmayne. Ok, sarà che io l’ho visto per la prima volta nel 2006 in ‘’Symbiosis’’ e ne sono rimasta folgorata… Ma non si può. Non si può, gente. Questo tizio ha una mimica faciale, un linguaggio del corpo, un modo di porsi che è qualcosa di straordinario.

Ogni pellicola che interpreta sembra scritta su di lui. Che sia alla corte di Elisabetta, o l’agente di Marilyn Monroe, o un membro della CIA durante la seconda guerra mondiale; che sia uno studente rivoluzionario, o un grande scienziato a cui viene la SLA, o un transgender che combatte con sé stesso negli anni ’20… È sempre, sempre, meraviglioso (e poi, che gli volete dire, è un bono da paura).

Potterheads, simpatizzanti e anche chi Harry Potter lo odia (dicasi babbani): io vi dico SI. Andate a vedere questo film e non rimarrete delusi.

Il mondo di Harry è tornato nel modo più furbo: attraverso il primo dei 5 prequel che ci aspettano. Perché il sequel è pericoloso, scontato, può annoiare. Il prequel no.

E Jk lo sa, lo ha sempre saputo. Ci ha mezzi delusi con ‘’Harry Potter e il bambino maledetto’’ (che a me, per onor del vero, è piaciuto), ci ha fatto perdere ogni speranza, per poi ritornare così: attraverso il primo dei 5 film che, finalmente, ci sveleranno tutte quelle storie, tutti quei dettagli, di cui ci è stato dato solo un assaggio nella saga del maghetto.

Anche a chi non è mai piaciuto lo consiglio: perché no, magari con questo film potrebbe venirvi una curiosità tale da cambiare completamente il vostro punto di vista.

Dopotutto, in questo mondo, non si sa mai quello che può succedere.

Nana nanana nanaaa naaaa na nanana nanaaaa….

Elena Anna Andronico

 

Pesce Zebra: come può un minuscolo pesciolino aiutare l’essere umano

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Pesce Zebra, Daino Zebrato, Zebrafish, Danio Rerio: questi sono i nomi con cui viene chiamato lo stesso piccolo pesciolino d’acqua dolce, appartenente alla famiglia Cyprinidae.

Il pesce zebra è molto comune in Asia, anche se lo si ritrova in quasi tutti gli acquari del mondo poiché si adatta facilmente ai vari habitat. Negli ultimi anni è diventato il modello animale più utilizzato negli studi di sviluppo e di funzione di geni, in tossicologia, oncologia e di rigenerazione.

La ragione di questo ampio utilizzo è sia di natura genetica, il suo genoma sequenziato nel 2001, è infatti molto simile a quello umano, sia di natura pratica poiché è un pesce che si riproduce molto velocemente ed i suoi embrioni, trasparenti, facilitano l’osservazione di numerosi aspetti biologici legati allo sviluppo e differenziazione cellulare.

La particolarità, in assoluto, del pesce zebra è che il suo organismo è in grado, allo stadio larvale, di rigenerare tutti i tessuti, per questo motivo è un modello di grande interesse per la medicina rigenerativa.

Negli ultimi mesi, grazie ai ricercatori della Duke University, è stato visto che, tra i tessuti dell’animaletto, anche il tessuto nervoso detiene questa capacità di rigenerazione. Se, infatti, l’animale va incontro a una lesione al midollo spinale, nell’arco di 8 settimane questa si rigenera.

L’esatto contrario accade nell’uomo. Il midollo spinale dell’essere umano, essendo il nostro tessuto nervoso di tipo permanente e quindi perdendo la capacità di rigenerarsi, non può andare incontro a tale fenomeno. Succede quindi che, se il midollo spinale si lede, si va incontro a paralisi o, nei casi più gravi, a morte.

Ma, qual è il meccanismo biologico che avviene nel pesce zebra? Se c’è una lesione nel midollo spinale dello zebrafish, questo va incontro ad una fase di rigenerazione durante la quale si crea un ponte cellulare al di sopra di essa. Un gruppo di cellule nervose di supporto (le cellule della glia) forma proiezioni che si estendono a distanze di decine di volte la loro lunghezza: solo a questo punto nuove cellule nervose le seguono a ruota, riempiendo il “buco” della ferita.

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Tra le decine di geni di zebrafish che si sono mostrati più attivi dopo una lesione spinale, i ricercatori ne hanno identificati sette che codificano per proteine secrete dalle cellule. Una di queste, chiamata CTGF (fattore di crescita del tessuto connettivo) ha calamitato l’attenzione perché i suoi livelli sono massimi nelle cellule della glia che intervengono a far da ponte in caso di danno. Quando gli scienziati hanno eliminato geneticamente il CTGF dagli zebrafish, gli animali sono risultati incapaci di riparare alle lesioni.

La versione umana di CTGF condivide il 90% degli amminoacidi con quella degli zebrafish: quando i ricercatori hanno aggiunto il nostro fattore di crescita alle lesioni dei pesci, gli animali sono ritornati a nuotare a due settimane dal danno.

La differenza sembra essere nel modo in cui la proteina viene controllata: la semplice presenza di proteina CTGF nell’uomo non garantisce infatti la medesima capacità di rigenerazione. Gli stessi studi compiuti sui topi chiariranno forse perché, nei mammiferi, non avvenga un simile processo di guarigione e se, in qualche modo, si possa “insegnare” al nostro Dna il segreto del pesce zebra e, finalmente, trovare una cura anche per noi.

Elena Anna Andronico

Grazie, UniVersoMe

È passato un anno e mezzo dalla prima volta che venne nominato “UniVersoMe”, progetto nato dalla collaborazione tra Università e studenti.
Nel corso dei mesi, una semplice idea è diventato un vero e proprio progetto, una testata giornalistica ufficiale in cui dire la propria, imparare a scrivere, farsi apprezzare dai lettori, intrattenere gli ascoltatori in radio, cimentarsi in esperienze che vanno oltre il canone dell’Università-esamificio, che UniVersoMe si è sempre riproposta di abbattere.

La foto di seguito rappresenta la prima riunione ufficiale del Direttivo di UniVersoMe, là dove tutto iniziò. I primi dubbi, la prima linea editoriale da adottare, l’identità da dare al giornale, quella della radio, l’impostazione del sito, la voce da spargere tra gli studenti.

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Dal lancio ufficiale di UniVersoMe, a dicembre, sarà passato un anno. Un anno in cui il progetto ha iniziato a prender forma, a pedalare, per poi non fermarsi più. In breve tempo, iniziano ad arrivare numerose candidature per scrivere, fare gli speaker, per partecipare al progetto.

Pochi mesi, e la testata inizia ad essere presente ovunque: in prima linea in qualsiasi evento universitario, dalla Piazza dell’Arte all’Unime Live Show, dalle giornate di orientamento alle conferenze più importanti in Ateneo, dai tornei di calcetto al Messina Olympic Party, dalla Notte Bianca dello sport universitario alla election week del nostro Ateneo.

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Esperienze importanti che hanno permesso a tutti di maturare, di conoscere prima che dei collaboratori e dei colleghi, degli amici.

Non sono mancate, poi, le iniziative: dai contest sulla pagina, al flash mob “Unime Water Battle”.

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Dopo un anno e mezzo di mandato, ci sarebbe tanto, tantissimo da dire, ma spesso (triste ironia della sorte per un aspirante giornalista), non sono le parole a poter descrivere tutte le emozioni.
L’unica cosa che vale la pena di dire, senza frasi di circostanza, è che è stata un’esperienza incredibile. Un grazie a tutti quelli che si sono dedicati ad UniVersoMe, a chiunque abbia dato fiducia al gruppo, a tutti coloro i quali hanno reso questo mio “mandato” così intenso e speciale, ad una meravigliosa redazione, ad un direttivo speciale.

I ricordi sono tantissimi: dalle corse in ufficio stampa, dove si trovava sempre il sorrisone di Valeria e lo sguardo critico (ma sempre affettuoso sotto sotto) di Luciano, al “Bonjo sta scrivendo…”, gli stereotipi con Elena, i chilometri di Giulia a scattar foto, le immense scalette di Claudio e i mille messaggi del gruppo radio, i problemi di VPN prontamente riparati da Salvo Bonjo e Daniele, il duo Gugliotta-Paologiorgio, lo statuto di Valerio.

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Si sa, ogni addio fa male (Pragma almeno ha avuto la propria rivincita sul gruppo Whatsapp, ma questa è un’altra storia), ma ogni fine segna un nuovo inizio, e l’avvenire di UniVersoMe appare già da ora quanto mai radioso e pieno di prospettiva.

Vi auguro il meglio.

presentazione

Alessio Micalizzi

 

The Big Bang Theory: essere Nerd is the new essere popolari

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Le donne, dicono, sono il problema di tutti gli uomini. Arrivano nella loro vita e gliela distruggono, li destabilizzano.

Voi immaginate se questo accade a quattro 30enni nerds, bruttini e sfigatelli. Quello che ne esce è la serie tv che ormai va in onda da 10 stagioni: The Big Bang Theory.

Per chi non l’ha mai vista perché ‘’facendo zapping ci sono capitato più volte ma, a me, non fa ridere’’, posso dire solo questo: ERRORE. Vai, prendi il tuo pc e clicca play sulla prima puntata della prima stagione. Non te ne pentirai.

The Big Bang Theory è costruita sul classico format americano: 20 minuti in cui vediamo i personaggi spostarsi tra poche locations, con tanto di pubblico che applaude e ride quando viene fatta una battuta. Ma tu, caro mio, non te ne accorgerai perché sarai impegnato a sganasciarti (con tanto di lacrime e pipì che corre).

I personaggi principali sono, come detto, questi quattro 30enni nerds: Leonard, il classico ragazzo geniale, bruttino, timido e con gli occhiali; Sheldon, alto e allampanato ma con un QI superiore a qualsiasi media normale e, tra l’altro, affetto dalla sindrome di Asperger. Questo lo porta a non avere senso dell’umorismo, a essere anaffettivo e a dover pianificare tutto: anche gli orari in cui il suo coinquilino può andare di corpo.

Howard, il perverso del gruppo, che ci prova a trovare una donna e alla fine, incredibilmente, ci riesce; Raj, indiano ricco e di colore, accusa problemi nel parlare con le donne a cui sopperisce con l’uso dell’alcool.

Insieme trascorrono la maggior parte della giornata perché, non solo lavorano insieme, ma hanno gli stessi interessi che includono videogames, Star Wars e fumetti.

Un giorno, nell’appartamento di fronte quello di Leonard, arriva Penny: un’oca giuliva bionda di cui, ovviamente, tutti si innamorano (tranne Sheldon, che si limita a dispregiarla e basta come fa con tutto il resto degli esseri umani). Il resto, se volete, lo andrete a vedere.

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La bellezza di The Big Bang Theory è l’evoluzione di tutti i personaggi che, nelle prime stagioni, rimangono e permangono nei loro ‘’status quo’’ ma, piano piano, riescono a sbloccare alcuni lati del loro carattere. Con lo stesso umorismo di sempre, è una serie che, non solo facilmente può fare compagnia con la sua leggerezza, porta ad affezionarsi ai protagonisti mantenendo alta la curiosità.

Rumors dicono, da un paio di mesi, che la 10 stagione, quella attualmente in onda, dovrebbe essere l’ultima. In attesa di scoprire se la notizia è reale (e, quindi, prepararsi a un eventuale lutto) c’è solo una cosa poter fare: metterla in play!

Elena Anna Andronico

La Paura fa 90: gli studenti universitari e i mezzi pubblici

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Questo articolo nuoce gravemente la sensibilità di chi non si sposta in città con i mezzi pubblici, non lo ha mai fatto e mai lo farà. Se sei ricco e motorizzato, non puoi che premere il tasto ‘indietro’ e tornare a guardare il catalogo di Rolex che vorresti comprarti a Natale. Se invece, come me, sei da sempre condannato a spostarti con i mezzi, ecco a te le 7 categorie di TIPI DA TRAM che potresti incontrare o che hai già incontrato. Scopriamole insieme..

 

  1. “Il vecchio saggio”

È mattino presto, sei in ritardo come al solito e la vita ti dona mille ragioni diverse per farti pensare che no, dal letto era meglio non alzarsi. Ti convinci che tutto andrà meglio una volta dato inizio alla giornata e che in fin dei conti, finché nessuno ti parla, è ancora tutto salvabile. Il tram arriva ed è pieno, ma tu non ti vuoi nemmeno innervosire più di tanto e ti fai spazio tra la gente alla ricerca di un piccolo angolo tranquillo, nel quale rinchiuderti senza farti troppo notare. Lo trovi. Tutto procede per il meglio, il tram si ferma e riparte ad intervalli regolari ed il flusso di gente è continuo. Non te ne sei ancora accorto? Un uomo sulla sessantina ti sta fissando da dieci minuti, ed ora che hai posato lo sguardo su di lui, non hai più scampo: “Ai miei tempi era un lusso prendere il tram… Ah, i giovani di oggi… E lei che va all’Università, che ne pensa di questa riforma di Renzi?” E tu sei li, con gli occhi sbarrati, che torni a voler desiderare di essere ancora a letto.

 

  1. “Il poco pulito”

No, non voglio essere cattiva, ne voglio insinuare che qualcuno di voi, frequentatori assidui di mezzi pubblici, abbia problemi ad usare bagnoschiuma e deodorante, ma giuro, sono costretta a farlo. Si, perché proprio quando il tuo interlocutore saggio preferito sarà sceso, nel tuo piccolo angolino fuori da mondo, ti giungerà alla gola uno di quegli odorini disarmanti da cadavere morto ed essiccato al sole che DAI RAGAZZI, è già dura per tutti sopravvivere per i 45 minuti di tragitto da capolinea a capolinea, fatelo per il bene della collettività: LAVATEVI

 

  1. “Il giacca e cravatta”

Anche il secondo pericolo sembra essere scampato, la situazione torna stabile e l’aria sembra circolare nuovamente limpida sotto al tuo naso. Il dondolìo del tram quasi ti rilassa, a tratti chiudi gli occhi e ti lasci trasportare da quel movimento. Poi, una brusca frenata. Le porte si riaprono all’ennesima fermata e l’orda di gente aspetta di salire. Ecco lui, l’uomo in giacca e cravatta più losco di sempre, colui che si diverte a vestirsi bene per creare il panico generale. Tutti si guardano terrorizzati; “Oddio, il controllore”, e con la mente cominci a cercare il momento della mattinata in cui hai obliterato il biglietto. Ti rendi conto che forse hai dimenticato anche di comprarlo il biglietto. Poi lo vedi accomodarsi senza indugio, ma col ghigno malefico, e niente, l’ennesimo agente immobiliare porta a porta. A sto giro, pericolo scampato.

 

  1. “Il controllore”

Beh, non potevo non menzionarlo. Che poi, non esiste IL controllore, ma la squadra di basket dei controllori. Fanno il loro ingresso manco fossero cani antidroga affamati, alla ricerca di chissà quale narcotrafficante Colombiano. Ti puntano. Loro sanno già se hai tutto in regola e godono nel vederti in difficoltà. “Biglietto, prego” ed è li che comincia la recita sul tuo essere uno studente Universitario, sulla fila che hai fatto alla banca per pagare il Mav, sul tempo che hai perso a ritirare la UnimeCard, sul bollino filigranato che ci hai dovuto far attaccare, del cane che ti è scappato ieri, di tua nonna in ospedale, della pace nel mondo. Il tutto solo per convincerlo a non farti la multa per aver dimenticato tutto questo elenco di cose sulla tua scrivania. A volte ti graziano, altre volte maledirai per la milionesima volta di esser salito su quel tram.

 

  1. “La coppia innamorata”

Sono lì, seduti da 30 minuti uno accanto all’altro che non smettono di fissarsi e scambiarsi effusioni. Loro, del vecchio saggio, del tipo in giacca e cravatta e perfino del controllore, non se ne sono nemmeno mai accorti. Vivono nella loro bolla felicemente disgustosa, fatta di cuori e caramelle rosa. Tu un po’ li guardi con aria sognante, un po’ ti giri per evitare di memorizzare le loro lingue che si intrecciano, e non rischiare di portare quell’immagine nella tua mente durante l’ora di economia aziendale che oh: “Che rapporto c’è tra domanda e offerta?” e tu che pensi: “Intimo professore, molto intimo…

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  1. “I liceali”

Sono un po’ come la banda dell’ultima fila quando si andava in gita con tutta la classe. I liceali hanno energia da vendere anche alle 7.00 mattino. Solo a me, quando dovevo andare a scuola, sembrava di fare l’ultima camminata sul ponte dei sospiri prima di essere giustiziata? I liceali urlano. Hanno una cuffia dell’iphone in un orecchio, con rigorosamente un Dj set di Avicii a tutto volume. Con l’altro orecchio tentano di fare conversazione col resto del gruppo, che a sua volta ha un orecchio occupato in discoteca. Il risultato? Il tuo piccolo angolo tranquillo si è trasformato in un rave party. Sono solo le 07.15, chi mi passa un Mojito?

 

  1. “Tu”

Sei sei arrivato alla fine di questo articolo, meriti una menzione speciale. Si, questo articolo è per te che ogni mattina affronti con onore le mille avventure da pendolare. A te che non temi lo stretto contatto con la gente, che hai viaggiato in posizioni che non pensavi nemmeno di poter assumere, inscatolato come sardine. A te che hai evitato multe con l’arte della tenerezza. A te che riesci ad annuire alle lamentele dei sessantenni. A te che, se sale una donna incinta, preghi che non venga nella tua direzione perché per trovare quel posto, hai sudato più di quanto possa farlo lei durante il parto. A te, che ogni volta che quelle porte si aprono, sai che comunque, sarà una meravigliosa avventura.

Vanessa Munaò