Ai tempi dell’università (a)Social: Facebook

“Ma io uso di più Facebook… Non ti preoccupare, caro lettore. Arriverà anche il tuo momento, basta che aspetti la prossima settimana.”

 

Ci siamo lasciati la scorsa settimana con questa frase che FINALEDISTAGIONEBYSHONDARHIMESLEVATE, lasciandovi sospesi in un limbo di curiosità incontrollabile (leggi: non gliene frega un c***o a nessuno).

 

Prima di Instagram, prima di Snapchat, prima anche di Twitter ma dopo MSN, Dio ha creato il sole, il mare, il cielo e MARK ZUCKENBERG che, contro il volere del serpente, ha inventato FACEBOOK.

 

TA TA TAAAAAAAN. Il più potente mezzo di tentazione al mondo, è a lui che si devono addebitare tutti i 18 e i 4 degli studenti universitari e non.

 

E tu, sì TU, lettore di UniVersoMe… che tipo di studente sei?

Lo Studente su Facebook:

  • Il condivisore compulsivo di link ‘’amo il mio indirizzo universitario e non parlo d’altro’’

 

Qui, lo scenario è diverso. Ci stiamo spostando sul social che ha fatto di Zuckerberg l’uomo più odiato del pianeta (cazzo ci metti le storie? Coglione. Cazzo mi togli l’elenco di persone attualmente in linea? Crudele)

 

Su Facebook la situazione è un po’ diversa nella forma, ma non nella sostanza. Il Condivisore compulsivo di link, infatti, nella maggior parte dei casi non è esattamente un estimatore di selfie ed autoscatti. Diciamo che potremmo immaginarlo come un ufficio pubblicitario/ufficio stampa del proprio indirizzo di laurea.

 

Condivide con la stessa frequenza in cui un incontinente sente il bisogno di fare pipì (spero di aver azzeccato il paragone). Con una media di 10/15 condivisioni giornaliere, il condivisore compulsivo non perde un colpo.

 

Convegno scientifico da 0,5 CFU? Postato. Colombo è vivo ed ha fondato una nuova Università intitolata ad Amerigo Vespucci? Postato. Gli alieni credono che frequentare l’Università nuoccia gravemente all’equilibrio dell’Universo? Postato.

 

Insomma, più che personale e privato, il suo profilo sembra l’ufficio informazioni…. INUTILI. Nessuna foto in costume a Formentera dunque, solo saggi filosofici e ricerche sull’ultima pubblicazione di Einstein prima di esalare l’ultimo respiro.

 

Un consiglio, amico mio, prova a comprare uno strumento musicale; una TROMBA, magari…

 

  • L’invisibile

Houdini diceva “nella magia il trucco c’è ma non si vede”.

Ecco, l’utente definito ‘’l’invisibile’’ su Facebook, c’è ma non si vede. È iscritto, ha un mucchio di amici, ha messo mi piace a varie pagine, fa parte di vari gruppi… Ma non si vede. Non fa nulla. È una re- interpretazione moderna del fantasma formaggino.

Lui usa Facebook solo per controllare il gruppo universitario del suo anno. Infatti è sempre informatissimo su tutto. Qualche volta fa un giro pure sulla sua home quindi, caratteristica terribile, sa anche cosa fate voi ma voi non sapete cosa fa lui.

Una tantum, pubblica qualcosa. E là scatta la valanga di mi piace. 100, 200, 300 (che il decadente può pubblicare quante poesie struggenti vuole, otterrà solo il mi piace di sua mamma). Anche se il post è su una scimmia su un monociclo su un filo da equilibristi mentre mangia una banana (post al quale metterei mi piace pure io).

E poi scompare. Latita nell’internet.

C’è, ma non si vede.

  • Il decadente

Ve li ricordate, no? D’Annunzio, Pascoli, Pirandello e Svevo. Ognuno con vicissitudini e poetiche strane, con traumi infantili o  problemi col nido o gli uccelli.. Tutti, però,  accomunati da un enorme, immenso, infinito MAL DI VIVERE che Leopardi hai creato dei mostri (e fanculo li dobbiamo pure studiare..)

 

Il decadente è così, ha il mal di vivere e vuole lasciarne indelebile traccia come prima di lui fecero i suoi illustri predecessori sopracitati. E quale mezzo migliore se non il caro diario di Facebook?

 

Il decadente posta e condivide i suoi personali “Mai Na Gioia – University Edition”. Ogni cosa, sulla sua bacheca, racconta della disperazione di un esame andato male, di un pomeriggio di sole passato in casa a studiare, di una multa presa sul tram perché ha lasciato a casa il MAV (so che sapete di cosa sto parlando) “E come lo fa?” Vi starete sicuramente chiedendo.

 

Pubblica canzoni che Lana Del Rey SCELGO TE e frasi che Bukowski dammi un assist per lo stato.

Ragazzi miei belli, non per stroncare le vostre carriere da poeti degli anni duemila e più, ma a noi, che cazzo ce ne importa a noi?

 

 

 

  • Quelli di UniVersoMe

E poi ci siamo noi. Che ci vorreste cancellare un minuto sì e l’altro pure. Che pure io mi cancellerei, pure io mi sto sulle palle. Siamo degli spammatori accaniti. Non solo: siamo pure degli stalker che ogni due e tre vanno nei profili dei colleghi a controllare se è presente la condivisione.

I redattori e referenti del giornale e gallery/social, condividono ogni proprio articolo o post anche 6 volte al giorno. Prima o poi, per stanchezza, lo leggerai o metterai mi piace. Prendiamo le persone per sfinimento.

Gli speakers del canale radio, però, forse sono ancora peggio. Loro condividono tutto, a profusione: il post la mattina delle rubriche, i video delle dirette, il link della puntata, la foto fatta il giorno della puntata con il link del post-della diretta- della puntata.

La cosa peggiore è che siamo almeno 4 al giorno. Quindi bisogna moltiplicare tutte queste condivisione per 4, con rispettivi compagni taggati come se non ci fosse un domani. Un incubo.

Ah, poi arriva il lunedì. Il lunedì non importa che tu sia nell’area grafica, nella redazione, nella radio o sia Valeria Ruggeri: il lunedì si condivide l’editoriale. PUNTO.

E se non lo condividi, via, subito spedito ad Azkaban.

Come minimo.

Elena Anna Andronico

Vanessa Munaò

Sebbene la primavera

Il sole accarezza le mie palpebre che piano piano si sbarrano per accogliere quell’infuocato, quanto fastidioso, spiraglio di luce che fuoriesce dalla tapparella.

Con la mano a penzoloni cerco di avvicinarmi al cellulare poggiato sul comodino per sapere che ora sia; sbuffo: mancano due minuti prima che suoni la sveglia.

Con fatica, scosto le coperte dentro cui mi avvolgevo fino a qualche secondo prima, e mi precipito in cucina per preparare una tazza di caffè, che spero mi aiuti nel risveglio.

Sarà questo calore che mi sembra di avvertire guardando oltre la mia finestra, o forse il cielo azzurro senza nessuna macchia bianca, o forse ancora gli uccellini che sento cinguettare da lontano, non so perché esattamente, ma avverto una sensazione di rinascita questa mattina.

Mi scappa un sorriso.

Penso che l’aria della primavera stia facendo sbocciare in me nitidi ricordi, che subito si impossessano della mia mente, in balia fra emozioni e profumi.

Il caffè: ne sento l’odore, come quando mi svegliavo con un bacio e la colazione mi era servita su un vassoio della stessa tonalità delle lenzuola.

Una nostalgica trepidazione si impossessa dell’allegria che una nuova bella giornata sembrava avermi portato.

  • “Ehi, buongiorno!” – sento alle mie spalle.
  • “Anche a te! Vuoi del caffè?”
  • “No, io lo prendo in ufficio con gli altri colleghi.”

Abbasso lo sguardo come per acconsentire; verso il caffè nella mia tazza e faccio per andarmene in giardino.

  • “Dove vai?”
  • “C’è una bella giornata, non voglio che diventi brutta”

Mi siedo sotto il gazebo che avevamo montato qualche tempo prima, ripromettendoci che nelle giornate più calde avremmo mangiato lì sotto.

L’inverno aveva portato nel nostro nido solo sfascio e rovina, e ci aveva fatto dimenticare anche quanto fosse bello condividere degli stupidi pasti. Quel vaso, poggiato sul tavolo, sfoggia ancora il fiore marcio di mesi prima: ha resistito ai venti più forti, alle giornate più rigide e alle piogge più violente; ora è immobile, deturpato, quasi morente e niente, ormai, è in grado di rianimarlo.

Sebbene la primavera fuori, dentro è tutto appassito.

 

Jessica Cardullo

 

 

CUS fermo al palo

Non va oltre lo 0-0 un buon Cus Unime in una delle trasferte più impegnative del campionato di Terza Categoria di Messina. Dinnanzi a una calorosa cornice di pubblico, a Gaggi (ME), alle 16,00 di sabato 1 aprile, il Sig. Garzo dà il via alla diciottesima giornata che vede affrontarsi Kaggi e Cus Unime.

Primo tempo: primi 45 minuti caratterizzati da tanta intensità a centrocampo ed equilibrio. Entrambe le compagini appaiono concentrate e determinate nell’attenzione sin dall’inizio. Il Kaggi prova a fare qualcosa in più del Cus Unime nella prima mezz’ora, ma senza mai riuscire a impensierire alcuna volta l’estremo difensore ospite. Nell’ultimo quarto d’ora della prima frazione di gara il Cus va vicino al vantaggio prima con Vinci che viene fermato sul più bello negli ultimi dieci metri dopo una prodigiosa serpentina e poi con Papale su punizione dal limite, ma la palla termina fuori, per pochi centimetri sopra la traversa.

Secondo tempo: il copione non cambia, anzi è praticamente lo stesso. Il Cus detta i tempi di gioco e il Kaggi prova qualche ripartenza, ma nessuna delle due squadre riesce a concretizzare le azioni create, merito soprattutto di un’elevata attenzione dei reparti difensivi.

Tuttavia il Cus ha da rammaricare con la sfortuna le più nitide occasioni; ci prova prima Creazzo dalla sinistra, ma il suo mancino viene salvato sulla linea da un difensore del Kaggi con un colpo di testa quasi d’istinto. La più grande palla-gol della partita capita sul destro di Di Bella, il bomber universitario, infatti, si procura un interessante calcio di punizione ai limiti dell’area di rigore avversaria e s’incarica lui stesso della battuta, ma il suo missile terra-aria centra in pieno il palo per poi spegnersi sul fondo.

Dopo le rituali sostituzioni e 4 minuti di recupero, arriva il triplice fischio arbitrale. Un pari che non serve a nessuna delle due squadre, ma che forse è il risultato più giusto.

Importante prova di carattere della squadra di Mister Smedile, che in qualche modo ha ben figurato dopo lo scivolone interno dello scorso match. Questa volta a mancare è stata la fortuna e non la prestazione dei giocatori in campo.

Così il Cus muove leggermente la classifica nelle zone alte della classifica, visto che tutte le altre squadre che stanno in testa non hanno disputato le rispettive gare a causa dell’impraticabilità dei terreni di gioco vittime del maltempo.

Domenica prossima, al Bonanno, alle ore 12,00, il Cus Unime ospiterà lo Stromboli, ultima partita prima della lunga sosta di tre settimane.

FORMAZIONE CUS (4-5-1): 1 Zito; 2 Rodà, 4 Iacopino, 5 Monterosso, 3 Insana; 11 Papale, 7 Vinci, 6 Fiorello, 8 Lombardo, 10 Creazzo; 9 Di Bella.

Panchina: 12 Faranda, 13 Costa, 14 Smedile, 15 Cardella, 16 Tiano, 17 Oliva, 18 Russo.

Allenatore: Smedile.

CLASSIFICA:

Ludica Lipari* 34

Cus Unime 33

Sc Sicilia* 33

Real Zancle 33

Arci Grazia 31

Fasport 29

Kaggi 25

Casalvecchio* 24

Stromboli* 23

Città di Antillo 13

Cariddi* 11

Malfa* 10

*una partita in meno

PAGELLE:

Zito 6: Dalle sue parti circolano pochi pericoli, quei palloni che arrivano nel suo territorio li disinnesca senza grossi problemi. Giornata tutto sommato tranquilla nella quale si fa notare per degli occhiali da vista bizzarri. RAY CHARLES

Roda 6: Il solito GMR che gioca senza fronzoli. Dalle sue parti si soffre poco ma difficilmente riparte l’azione in maniera pulita. Leggermente appannato nella ripresa dove soffre leggermente di più ma nel compenso una prestazione sufficiente. SOLDATINO

Iacopino 6.5: Non la sua migliore prestazione e ad essere sinceri qualche buco lo fa anche, ma giocare con una caviglia delle dimensioni di una noce di cocco è un alibi più che sacrosanta. SURVIVOR

Monterosso 7: Migliore in campo in assoluto, gioca con ordine al centro della difesa sbagliando praticamente nulla. Forse siamo arrivati ad una certezza, il suo nuovo ruolo è quello di libero vecchio stampo. BEPPE BERGOMI

Insana 6.5: Un moto perpetuo a sinistra. A inizio partita il mister gli raccomanda di contenere gli avversari dal suo lato e Pipo non se lo fa dire due volte. Tutti gli attacchi avversari si sbattono contro un muro, talvolta potrebbe osare anche di più in sovrapposizione ma per il resto una partita da incorniciare. PICCOLO GRANDE PIPO

Creazzo 6+:Grande, grandissima corsa ma talvolta un po confusionario. Nel primo tempo è sicuramente il più pericoloso del Cus con le sue sgroppate che mettono in apprensione la retroguardia avversaria. In riserva nella ripresa dove commette qualche errore prima del cambio. STREMATO

Papale 5.5: Per caratteristiche potrebbe essere un’arma devastante, anche grazie alle praterie che i suoi avversari lasciano sulla sua corsia. Papo però si limita al compitino quando forse avrebbe potuto osare un po’ di più. Alterna momenti in cui sembra in partita ad altri in cui scompare. SVOGLIATO

Fiorello 6.5: Dopo uno stop di tanti mesi, rieccolo al centro del campo. Paga ogni tanto la condizione fisica approssimativa, commettendo qualche errore (anche gravi) di lucidità ma è quello che dà ordine in mezzo al campo in un primo tempo in cui il Cus sembra padrone. Crollo giustificato nella ripresa prima del cambio. BENTORNATO APU

Lombardo 6-: Gioca un buonissimo primo tempo, con spunti interessanti quando si fa vedere tra le linee. Pecca di cattiveria negli ultimi 20 metri con qualche tiro degno dello 0-0 finale. Anche per lui crollo fisico nella ripresa. PIEDI DI BAMBOLA

Vinci 6.5: Anche per lui rientro dopo uno stop forzato. Primo tempo di ottimo livello con inserimenti costanti e grande grinta. Poco cattivo sotto porta in una circostanza che poteva dare il vantaggio ai cussini. Nonostante il calo fisico comprensibile è tra i pochi che conferma la buona prestazione nel secondo tempo. BENTORNATO MANU

Di Bella 6.5: Atteso a Gaggi come il tacchino nel giorno del ringraziamento, Fafo disputa una partita coraggiosa. Picchiato dal primo minuto, non si risparmia mai ed è sempre pronto a dettare il passaggio ai compagni nonostante i continui falli dei centrali difensivi. Grida vendetta quel palo preso su punizione che avrebbe ammutolito tutta Gaggi. NO FEAR

Tiano 6-: Sostituisce Fiorello ma fatica a trovare la posizione in campo con conseguente sofferenza in fase di non possesso. Periodo un po’ di appannamento, ha bisogno di ritrovare un pizzico di tranquillità. CICLO MESTRUALE

Oliva 6: Entrato forse troppo tardi per dare una mano a Fausto lì davanti, non incide come dovrebbe e non riesce a dare la scossa sperata.

Mister Smedile 6: Le idee ci sono ma un po’ la sfortuna (vedi forfait di Iamonte) e un po’ la settimana storta, finiscono per portare un pareggio a casa che sa più di beffa. TARANTOLATO

Mirko Burrascano 

IT di Stephen King

Il 1986 è l’anno in cui il terrore ha fatto la conoscenza della carta stampata.
L’anno in cui gli incubi di ogni persona hanno avuto un contatto diretto con la realtà.
L’anno in cui viene pubblicato il capolavoro dell’orrore di Stephen King “It”.

“E una volta andato non puoi più tornare indietro

Quando di punto in bianco sei nel buio”

Queste sono le parole di “My My, Hey Hey (Out Of The Blue)” storico pezzo di Neil Young, che perfettamente sintetizzano la sensazione che questo libro regala ad ogni lettore sin dalle prime pagine. Una volta iniziato non ci si può più fermare, non c’è scampo, veniamo immersi nella realtà tetra, umida e stantia dove vive la paura mascherata da clown, dove il male si nutre e prolifera. Nella dimora di It!

Tutto inizia nel 1957 nella cittadina, fittizia, di Derry dove da parecchi giorni imperversano forti temporali che stanno allagando la città e causando non pochi problemi a tutta la popolazione. Qui facciamo la conoscenza del piccolo George Denbrough che, nonostante il diluvio, si trova nelle strade della città a giocare nei piccoli canali che si sono formati ai bordi della strada con una barchetta di carta fabbricatagli dal fratello Bill.
Il cielo è grigio ed il vento soffia forte spingendo la barca sempre più veloce lungo il marciapiede di Witcham Street, tanto forte che Georgie quasi non riesce a stargli dietro. Ma le acque in cui la barchetta naviga sono troppo mosse per permetterle di resistere a lungo nel suo tragitto ed in poco tempo finisce per affondare ed essere trasportata dalla corrente in uno dei canali di scolo presenti lungo la strada. Li è dove si nasconde il pagliaccio Pennywise con il suo sorriso sgargiante ed il coloratissimo mazzo di palloncini, ma, come in ogni sogno che ci fa risvegliare sudati e sconvolti, ciò che può sembrare innocuo e sicuro in realtà rappresenta la più oscura delle paure. In un attimo il demone si palesa e uccide brutalmente il piccolo Georgie seminando il panico a Derry…

Dopo questo terribile avvenimento, un gruppo di bambini guidati proprio dal fratello maggiore di George, Bill Denbrough, decidono di formare una squadra, o meglio un club, “il Club dei Perdenti”, per riuscire a stanare il mostro e fermare la sua sete di sangue.

La storia si muove su due piani temporali diversi, uno parallelo alla morte del piccolo Denbrough (1957-1958) ed uno futuro in cui i membri del club sono ormai grandi e vivono la propria esistenza lontani da Derry (1985), ma si mantiene sempre lineare, semplice, grazie soprattutto alla capacità dello Scrittore di miscelare alla perfezione i momenti di riflessione dei vari personaggi con corposi flashback che ci permettono di vivere a cavallo di tre decadi senza mai sentirci spaesati nel testo. La scrittura di King è dinamica, fluente, introduce il lettore nelle scene e gli permette di viverle nella realtà, di immaginarsele alla perfezione nella mente, non in maniera grezza o approssimativa, ma estremamente particolareggiata.
Ogni personaggio ha una sua specifica immagine, un suo carattere ben delineato, una sua personale e profonda paura e questo consente di creare legami stretti con ognuno di loro, di viverne le avventure e non di osservarle da lontano come spettatori asettici.

Il genere horror vive in perfetto equilibrio sul filo sottile che separa la magia dalla realtà, la mera falsità dal puro terrore umano, e con questo libro Stephen King si dimostra il migliore tra i funamboli riuscendo a rendere vere e carnali le sensazioni che questa storia immaginaria ci incide nella mente. Mai una volta ci ritroveremo a pensare che una delle scene narrate sia troppo esagerata o falsa, appunto. Ogni particolare è sapientemente inserito tassello per tassello in un mosaico che ci permette di arrivare ad un’unica conclusione: la magia esiste!

Abbiate timore di leggere questo libro, non quel timore che congela il pensiero e costringe ad un vigliacco dietrofront, ma quello che ci incuriosisce, che ci spinge ad avvicinarci al burrone ed a guardare giù anche quando chiunque sarebbe pronto a dirci di non farlo, perché, in fondo, chi non ha mai provato a rapportarsi con la propria paura, ad avvicinarsi solo per sfiorarla in una profonda introspezione.            Abbiate quindi il coraggio di avere paura, di allontanarvi dalla luce chiara e sicura del sole, per trovarvi cosi, di punto in bianco, nel buio…

Giorgio Muzzupappa

 

(nda di seguito il trailer del remake cinematografico del libro che uscirà l’8 settembre)
https://youtu.be/w7Zv5nPLDqw

 

Alfano in visita all’UniMe: “Il governo abbatterà le tasse universitarie”

Si è svolto presso l’Aula Magna del Rettorato l’incontro intitolato “60 anni di Europa con un futuro da disegnare”, organizzato dall’Università degli Studi di Messina in occasione delle celebrazioni per 60° anniversario dei Trattati di Roma ed a cui ha partecipato anche il Ministro agli Affari Esteri e Cooperazione Internazionale, Angelino Alfano….

….E pure voi che ci credete. Buon pesce d’aprile dalla redazione di UniVersoMe.

Ai tempi dell’università (a)Social: Instagram.

Sicura è solo la morte, diceva mia nonna. Cara nonnina, se tu ci fossi ora penseresti che siamo degli imbecilli (già lo pensavi all’epoca di MSN, quindi figurati).

Sicura è solo la morte… E gli studenti che procrastinano le loro giornate sui social. Quelli sono sicuri forse più dell’amica friz, là.

E qua subentriamo noi. In un momento di intesa riflessione shakespeariana, essere o non essere, dormire o non dormire, mangiare o mangiare fino a scoppiare, ci siamo chieste…

Facebook o Instagram? Questo è il problema.

Un problema davvero esistenziale (si vede che non ne abbiamo tanti di problemi, no?). Beh, guardiamo in faccia la realtà: è così.

Le nostre giornate di studio oscillano tra momenti di noia e dolore, con piccoli picchi di ‘’questa la pubblico su Instagram o su Facebook?’’

E, quindi, la vera domanda è: e TU, si tu, lettore di UniVersoMe… Che studente sei?

 

Lo Studente su Instagram:

  • L’instagrammer ‘’Solo Nature Morte’’

Questa è una delle categorie più atroci che descriveremo.

L’instagrammer “solo nature morte” vive in diretta streaming manco fosse al Grande Fratello speciale Università. Il suo profilo instagram è costantemente aggiornato; Foto, foto, foto e ancora foto ovunque e comunque. Se vi dicessi che il soggetto in questione vive costantemente con lo smartphone in mano, sarei banale (chi di noi non lo fa, dai.. su)

La sua particolarità, però, è quella di tenere sempre attiva la fotocamera. La mattina si sveglia? Foto del libro accanto alla tazza di premuta d’arancia. SCATTATO E POSTATO. Deve dare un esame? Foto del prima e del dopo al libretto (Anche qui… Scattato e Postato) Arriva in facoltà? Foto di sedie, banchi, penne, matite, cattedra e professore.. #LessonTime.

Si, perché gli hashtag sono forse la parte peggiore. Rigorosamente in inglese giusto per sentirsi un po’ più vicini ai colleghi di Oxford, che poi vorrei proprio vederlo uno che ad Oxford utilizza un hashtag del genere (Amici di Oxford vi lanciamo una sfida. Tutti con l’hashtag #ItaliansDoItBetter)

Il posto preferito degli Instagrammer “solo nature morte”? Senza dubbio le biblioteche, il miglior punto di ritrovo per gli scatti da 30 e lode.

  • L’influencer instastories compulsivo

Dai, ammettiamolo: a chi di noi non è piaciuta l’idea delle InstaStories? Quando MARK ZUCKENBERG, sempre il solito simpaticone, ha aggiornato l’app ha fatto un passo in avanti verso la nostra completa rovina (sono quasi sicura che faccia parte di un complotto internazionale per lavarci il cervello a tutti).

 

Da quel momento le persone si sono divise: chi ha continuato a postare in tranquillità e chi ha iniziato ad avere l’InstaStory compulsiva.

E qua entriamo in gioco noi studenti: similmente all’amichetto del punto 1, lo studente ossessionato dalle InstaStories mostra ogni singolo minuto della sua giornata di studio.

Autoproclamandosi regina delle celebrità (no bella, no magnifica MA senza pietà per noialtri), lo studente influencer ci rende perennemente aggiornati dei suoi spostamenti.

 

Non solo: fa l’update come le app. Si aggiorna. Prima erano solo video o foto di lui a lezione/mentre studia/ in biblioteca/ #pausacacca! Poi sono subentrati gli effetti. E i Boomerang. E i video da lontano che tanto c’è l’opzione senza mani (manco fossimo alle giostre). E gli adesivi. E gli adesivi con la posizione. E gli adesivi con l’orario. MA BASTA MARK TI PREGO ABBI PIETA’.

 

Speriamo solo che le sue conoscenze non si eliminino dopo 24h come le sue amate storie, sennò mi sa che finisce a #18&sto.

  • Il Chiara Ferragni dei Poveri

Ah meraviglia. Loro non sono studenti, sono degli sculati. VE LO GIURO. Sono i nostri Chiara Ferragni: viaggiano, ogni notte fanno serata, si rilassano con lo shopping e #Sushino?, che non guasta mai.

 

Che tu guardi i loro post e ti chiedi: MA COME CAZZO FAI, AMICO?

Sui loro profili l’università non è esistente, zero. Solo nuovi outfit, nuovi piatti, nuovi luoghi con #landascape da sogno. Ma PERCHE’?

 

Eppure studiano, vengono a lezione. Come lo sai? Perché LI VEDI. Cavolo, sempre abbronzati e rilassati, pronti per il prossimo hashtag, mentre tu fai schifo e ti sei ridotto come un verme insonne che dalla vita non ha niente.

 

ChiarE Ferragni: vogliamo sapere il vostro segreto. VI PREGHIAMO. Rendereste la nostra vita migliore.

 

  • L’incoerente

Avete presente quello che “no, le Nike le odio”, e poi le compra. “No, io a quella festa? Mai” e poi ci va. “No, io con quella non ci uscirei mai” e poi ci si fidanza (vabbè, diciamo che questo nei film succede tipo sempre)

 

L’incoerente è incoerente sempre, ma anche e soprattutto sui social. Odia e percula tutti quelli che ne fanno un utilizzo spropositato “Compà, cazzo ti posti?”. Finge di essere completamente disinteressato all’universo di like e commenti, si perché FINGE.

 

Prova particolare ribrezzo per coloro i quali sputtanano l’#UniversityLife su Instagram. Ma, ve l’ho già detto… FINGONO, FINGONO SEMPRE.

Con un po’ di attenzione riuscirete a scovare la loro reale ma segreta passione.

 

L’incoerente ha iniziato a seguire Università degli Studi di Messina, UniVersoMe, Vita Universitaria e Lo Studente Modello (con tutte foto di studenti a petto nudo in passerella) L’incoerente ha messo “mi piace” a una foto di Pietro Navarra. Ha lasciato un commento su una foto di “Studenti Disperati”… “Chi non si dispera non piglia CFU” ha scritto…

 

Poi si laurea e… Corone d’alloro, tesi di laurea, torte, champagne e regali. #AdMaiora. No… #AdFanculo.

 

“Ma io uso di più Facebook”… Non ti preoccupare, caro lettore. Arriverà anche il tuo momento, basta che aspetti la prossima settimana.

@elegram18  ( Elena Anna Andronico)

@vanemuna ( Vanessa Munaò)

Al via la Scuola di Liberalismo

Oggi si è svolta la  conferenza stampa nella Sala Senato dell’Ateneo per la presentazione della Scuola di Liberalismo Fondazione Einaudi, un corso di formazione politica e culturale organizzato in collaborazione con Unime, giunto all’ottava edizione.
Il corso si svolgerà presso l’Aula Magna dell’ex Facoltà di Economia e sarà diretto e coordinato dai professori Giuseppe Gembillo e Pippo Rao, rispettivamente direttore scientifico e generale della Scuola di Messina.
In totale sono state previste 18 lezioni, da due ore ciascuna, articolate nel periodo compreso fra aprile e giugno. Relazioneranno sia docenti interni che ospiti esterni.
Il 3 aprile il primo appuntamento.
La Scuola, presieduta dal prof. Giuseppe Benedetto, è sorta a Roma nel 1988 e ha finora svolto la sua attività in quattordici città d’Italia, tra cui appunto Messina.
Le finalità del corso annuale sono state presentate dal prof. Gembillo: “L’obiettivo è quello di offrire ai giovani ciò che possiamo considerare il vanto della cultura occidentale, ovvero il liberalismo, erede della democrazia ateniese, della filosofia della ragione, dei valori tradizionali, dell’etica cristiana, dei principi del diritto romano in cui il cittadino è inviolabile”.
Il professor Pippo Rao, il quale ha evidenziato la collaborazione e il patrocinio, oltre che dell’Università di Messina, della Fondazione Bonino-Pulejo e di sei ordini professionali.
Alla conferenza stampa è intervenuto anche il Responsabile delle Relazioni Istituzionali della Fondazione Einaudi, Edoardo Milio, sottolineando “la soddisfazione per la risposta incisiva delle istituzioni in merito all’iniziativa”.
Le lezioni si svolgeranno il lunedì e il giovedì dalle ore 17 alle 19. Sono incontri destinati a tutto il territorio.
Chiunque vorrà iscriversi potrà farlo scrivendo a www.scuoladiliberalismofle.it.
La formalizzazione e il versamento del contributo per le spese (€ 30, comprensivi del libro degli appunti delle Scuole precedenti) avverranno alla prima lezione utile.
Gli iscritti, che abbiano seguito almeno 12 lezioni, riceveranno l’attestato di frequenza e i crediti formativi stabiliti dai Dipartimenti Universitari e dagli Ordini Professionali.
I partecipanti di età inferiore ai 32 anni potranno, inoltre, concorrere a 3 borse-premio messe in palio da vari enti. La prima, intitolata a Paolo Magaudda, del valore di € 500, offerta dalla Fondazione Luigi Einaudi; la seconda, del valore di € 500, stanziata dall’Ordine dei Notai di Messina; la terza, di € 500, concessa dal Coordinamento messinese della Fondazione Luigi Einaudi.

 

Arianna De Arcangelis

Il peso della libertà

Con i miei occhi vedo il grigio della città, sento sulla pelle il freddo di quello che qui chiamano inverno, sento il profumo e il gusto di un pasto, diverso ogni giorno, e il rumore dell’acqua che scorre lentamente dal rubinetto di un lavandino; quando sciacquo il viso, sento la freschezza e la limpidezza poggiarsi sul mio volto ed apprezzo ogni singola goccia che riga la guancia.

Da bambino credevo che tutto il mondo avesse gli occhi grandi, le case sfasciate monocolore e lo credevo tutto giallo come i lineamenti caldi del deserto e marrone. Allora, sembrava quasi non importarmi del ‘’sapore’’ lurido dell’acqua dei pozzi dispersi o delle giornate passate a non mangiare: a me piaceva giocare con quel pallone di pezza, insieme ai miei amici.

Ma da piccolo non sai che le leggende sui bianchi e sulla loro ricchezza, sulle terre verdi e sui palazzi alti, sono più che semplici storielle.

Un giorno, mi ricordo, i miei mi svegliarono nel cuore della notte – è arrivato il momento – mi dissero; così presi l’unica cosa che possedevo: la mia palla di stracci.

Se chiudo gli occhi vedo ancora la moltitudine di stelle che si riflettevano sul mare e poi quel barcone; vedo ancora tutta quella massa di gente, accalcata e stipata in una ‘’nave’’ che non ci avrebbe potuto sorreggere tutti.

Una volta salitoci su, mi sentivo schiacciato dagli omoni che erano almeno tre volte più alti di me e sentivo il mare dondolare sotto i piedi scalzi: eravamo delle bestie guidate da una chimera.

Non so quanto durò quel viaggio, che tutti chiamano ‘’della speranza’’, ma per noi, poveri animali in fuga, era una traversata della disperazione.

Il sole rinsecchiva le pelli, le labbra asciutte chiedevano acqua e gli occhi lucidi si rassegnavano alle onde del mare distanti dal nostro miraggio; la gente moriva lentamente cullata da una speranza naufragata nelle acque salate; i corpi affondavano giorno dopo giorno e sul quel barcone c’era un’inspiegabile senso di sollievo nel trovare più spazio per appoggiarsi a quella che ormai era la nostra precaria casa galleggiante.

Quando i miei genitori morirono sfiniti da quell’infinito tragitto, sentii che ci sarei morto anche io là sopra e che non avrei mai più visto la terraferma.

Fortunatamente, mi sbagliai.

Poche ore dopo vidi in lontananza una nave che probabilmente ci avrebbe salvato, ma nessuno di noi lì aveva la voce per urlare né la speranza di avere ancora un briciolo di speranza.

 

 

Subito dopo lo sbarco, ricordo ben poco.

Ma la sensazione di aver perso la mia dignità, di non avere più un’identità, mi accompagna ancora.

Adesso sono libero. Libero da quella ‘’puzza di oriente’’ che sembrava distinguermi dall’odore della leggendaria terra dei bianchi; libero di vivere; libero di sentire il peso della mia libertà.

 

Jessica Cardullo

Mi sento un po’ l’apprendista stregone

E’ dura, non è semplice. Avere 21 anni, intendo. Gli acciacchi si fanno sentire, non riesco più a giocare due partite di calcetto nella stessa settimana, se starnutisco 4 volte di fila già mi vedo protagonista del prossimo funerale dentro la chiesa di San Luca e se salgo gli scalini a due a due mi ci vuole un trapianto di cuore arrivato in cima (e si parla di superare un piano). Non ho l’età, potrei dire, ma non la sento neanche addosso. Studio, ed a volte lavoro, e già mi basta per arrivare ko al venerdì, per poi passare un weekend da brivido tra tisana al finocchio (anche allo zenzero se mi sento ispirato) e biscotti pronto per una carrellata davanti Netflix.

Anche se a dire il vero, così vecchio non sono mai stato, o meglio, non mi ci sono mai sentito ai tempi della scuola, per intenderci, quando credevo che avere 20 anni e seguenti, anche avere 18 anni per dirla tutta, significasse una sola cosa: indipendenza economica. Si ero uno di quelli che appena terminato il liceo si vedeva con il portafogli non dico gonfio ma comunque mediamente pieno, capace di gestire le spese e magari ricamarci anche sopra. Quando ero adolescente mi chiedevo come fosse possibile che amici di 19, 20 o più anni prendessero uno stipendio di 500 o 600 euro e arrivassero a dire “non mi è rimasto un soldo sto mese”. Conseguito il diploma presi di faccia la realtà, nel senso, proprio sul muso. Per iscrivermi all’università la mia famiglia strinse la cinghia per pagare iscrizione, tasse e libri. Decisi quindi di dare una mano e risposi ad un annuncio. “Cercasi apprendista in azienda di smistamento prodotti farmaceutici per controllo ordini”, in sostanza, volevano qualcuno che spuntasse la lista di controllo di ogni carico di medicine arrivato in città per portarli poi nei vari esercizi. Mandato il mio curriculum ricevetti secca una risposta “cerchiamo un’apprendista ma vorremmo avesse almeno fatto una minima esperienza”.

Certo, “cercasi auto massimo km 150.000 però la volevamo più bassa di 150.000 quindi la tua non me la compro”, ma allora che scrivi 150.000 km? Presi atto del tutto e cominciai a studiare all’università per poi finire a lavorare nel campo in cui mi sentivo più a mio agio: il giornalismo. Era facile. “Vorrei scrivere per voi”, si, e la paga? “Non posso retribuirti se non hai il tesserino”. Tu volere cammello? E allora ti tocca lavorare sodo, gratis, per poi essere assunto, per poi essere pagato poco e poi continuare a pagare tu per prendere un altro tesserino, per diventare professionista e proporti ai giornali per una retribuzione sana che al mercato mio padre comprò. Il giornalismo diventò un hobby e passai a fare il blogger per un sito che pagava “a provvigione”: più visualizzazioni più soldi, ma senza un minimo di 12000 occhi puntati sul mio articolo, non scattava il pagamento. Iniziai, non avevo niente da perdere, ma non sbarcai mai effettivamente, riuscivo a fare bei numeri, ma per la misera paga di 1,50 € al mese, vista la concorrenza. Lavorai anche per un sito dove era possibile mettere in vendita ciò che si scriveva ma dove non vi era pubblicità (toccava informare gli acquirenti attraverso messaggi privati) ed i diritti d’autore sparivano nel momento in cui tutto veniva messo online: io scrivo per te, tu lo compri, ci metti il tuo nome e mi paghi. Anche lì, per le difficoltà di gestione (avevo 19 anni), non si cavava un ragno dal buco.

Arrivato a 20 anni mi capitò addirittura, lungo il cammino, di vendere entrate nelle discoteche ma a Messina, specialmente, tutti PR, dj, fotografi e modelle, quindi capite quanto il campo economico fosse già pieno di avventori. Rimediavo il mio pass, qualche drink ma finiva lì. Ho anche indossato le cuffie di un call center ma anche qui si, c’è un fisso, ma senza vendere almeno un tot di contratti telefonici non c’è lo stipendio, e già far spendere un euro alle persone è complicato, figuriamoci proporre pacchetti da 10 o 15 € per le schede telefoniche. Quest’estate ho iniziato a lavorare per un ditta di trasporti, un impiego massacrante visto il caldo torrido di luglio, ma per fortuna mediamente remunerativo, l’intesa poi terminò per tagli al personale, nonostante la paga non fosse chissà cosa (a due cifre ed uno 0, e no, la mezza piotta non la si raggiungeva). Sono poi finito a fare il cameriere ma anche lì, tra impegni universitari ed altri impieghi finì per mollare, o meglio, finì per essere costretto a mollare. I curriculum che ho inviato non li ho più contati, ma la risposta non è mai stata tanto differente da quella sopra. “Cercavamo una figura come lei, se solo avesse avuto più esperienza”, “Purtroppo cerchiamo qualcuno da formare ma che già sia un po’ formato, mi spiego? (no fratello stai a pezzi)” e via dicendo. La verità è che Messina in particolar modo, ma in generale questo paese, non è affatto un paese per giovani, i fratelli Coen qui avrebbero avuto qualche problema con il titolo del loro film (chi capisce la citazione è evidentemente disoccupato perché ha tempo di guardare film tipo all day all night).

E allora che ho fatto, niente, mi sono adattato, sto facendo la mia esperienza: con 37 di febbre sono ko, al quarto starnuto mi si stacca il bypass, prendo l’ascensore per fare un piano, le partite di calcetto le commento da fuori il prato e, soprattutto, se cerco di costruirmi un curriculum mi viene risposto che sono troppo giovane. Ho deciso, comincio a fare esperienza così, diventando vecchio, stando sul divano, rimanendo ad invecchiare in una nazione che su di me non ci ha scommesso mai, che su di voi non ci ha scommesso mai, che ci rinchiude in bandi che richiedono peculiarità che non tutti possono avere (perché non tutti possono permettersele) o che ci vuole attivi ma a provvigione, che ci vuole apprendisti ma con esperienza. Non so voi, ma io l’unico apprendista a cui somiglio è l’apprendista stregone, tanto spaventato da ciò che può fare che è sempre convinto che non sia abbastanza e, per questo, rinuncia a tutto, muove le scope a caso e spera che qualcosa accada. Vi lascio, che a 21 anni stare troppo al computer mi fa bruciare gli occhi da morire.

Claudio Panebianco

Abbatti Lo Stereotipo- Gli studenti di Farmacia

Passano le settimane e i nostri viaggi tra i vari dipartimenti continua. Vento in poppa, noi, paladini della giustizia, non ci fermiamo mai.  Con le nostre tutine in silicone e i mantelli che si trascinano tutta la lordìa dei marciapiedi, prendiamo a pugni gli stereotipi di tutto il mondo abbattendoli per sempre.

E oggi, studenti e studentesse di ogni dove, abbattiamo gli stereotipi sugli Studenti in Farmacia.

 

  • Sei un po’ in ritardo, dunque? Farmacia è 3 anni.

‘’Veramente sarebbero 5 gli anni, Farmacia è una magistrale, sono assolutamente in corso.’’

“SE VABBE’.”

Ma se vabbè cosa, ignorante e troglodita? Allora, ve lo diciamo chiaro e tondo una volta per tutte: FARMACIA È CINQUE, C-I-N-Q-U-E, five, cinq, cinco, vyf (detto in africano antico, secondo google traduttore) ANNI. Ci sono, ovviamente, i corsi di specializzazione, i master, i dottorati e tutto quanto ma sono cinque lunghi, temibili, estenuanti anni.

Chiaro il concetto? Noi lo facciamo per voi, prima che uno studente in farmacia vi stacca gli occhi e decide di vedere cosa succede se prova ad adeguarli alla funzione di supposta.

 

  • Ma quindi la tua più grande aspirazione è fare il commesso?

E la tua più grande aspirazione, invece, è alitare in giro senza un motivo apparente? Ora, analizziamo la cosa per bene. Se la mia più grande aspirazione fosse fare il commesso, fermo restando che è pur sempre un lavoro e quindi, come tale, santo e benedetto; SECONDO IL TUO CERVELLINO DA SCIMMIA RIMBAMBITA, avrei studiato tutto questo tempo?

Per dire, eh.

Con tutto il rispetto, avrei mandato a 18 anni il curriculum da Zara e bon. Fine.

Avete idea delle conoscenze che bisogna avere per gestire e lavorare in una farmacia? Per potere vendere determinati prodotti, sì anche cosmetici, o determinati farmaci? (veramente nemmeno io l’avevo, ecco la bellezza DELL’INFORMAZIONE, scimmiette adorate)

Avete idea che bisogna conoscere le molecole che compongono ognuno di essi, le loro funzioni e i loro effetti collaterali o di interazione, prima di venderli ad un cristiano?!

O pensate che ci si limita a dare scatole ad muzzum? E certo, no? Tanto, se ti do il viagra per combattere la diarrea è la stessa cosa.

 

  • Aaah, ma quindi sei ricco, hai una farmacia!

Beh, no, non si ha per forza una farmacia. E quando si dice questo, ‘’no, non ho una farmacia’’, il seguito del discorso è il punto 2.

Sicchè, l’ebete di turno, dalla sua genuina ignoranza, chiede ‘’e cosa ci fai allora, con la laurea?’’

Coriandoli. Sono un appassionato del carnevale quindi mi diletto a prendere lauree a caso così da poter trasformare libri, tesi e pergamene in coriandoli.

CI FARO’ ALTRO, NO? Avete mai sentito parlare di informatore farmaceutico? Dei rappresentati? O di farmacia clinica? Avete presente quelle grandi strutture dove dentro ci stanno le persone malate che hanno bisogno di farmaci? Pensate, forse, che c’è un grande Dio che li sparge a ondate dal cielo? Oppure, i ricercatori? La formula ‘’studi condotti sui topi’’, non vuol dire che sono i topi a sperimentare nuove molecole, giusto per essere chiari.

(ma anche se avessi una farmacia e fossi ricco sfondato, mi chiedo quanto devo aspettare prima che ti fai i c***i tuoi)

  • Perciò ve lo insegnano a leggere la scrittura dei medici?

Ovvio. C’è una materia che si chiama ‘’Medichese’’ e, allegato, il vocabolario medichese- italiano e italiano- medichese.

Questa domanda è proprio la battuta dell’anno. Decine e decine di simpaticoni pensano che sia il modo più simpatico per rompere il ghiaccio. Perché è, per noi tutti, TERRIBILMENTE DIVERTENTE passare ore a decifrare la scrittura di quei colleghi COSI’ PIGRI da non avere nemmeno la decenza di scrivere un minimo per bene.

No, loro si stancano, sono di fretta e quindi fanno 4 segni. E bisogna capirli. E, NO, non lo insegna nessuno a decifrarli, se non il sudore freddo che scorre dietro il collo le prime volte, con il terrore di dare al paziente l’augumentin invece che il losartan.

 

  • Un giorno, quindi, potrai passarmi i farmaci ‘’BUONI’’ sotto banco?

Quel giorno ti passerò un farmaco tanto buono che non ti sveglierai mai più.

 

Elena Anna Andronico