Jonicofest 2025: a Furci Siculo la primavera esplode

Il 25 aprile il Parco Furci Verde si trasforma in un palcoscenico a cielo aperto per celebrare la Riviera Jonica tra artisti emergenti, comicità e street food.

Sarà una giornata di festa, tradizione e pura energia quella che animerà il 25 aprile 2025 a Furci Siculo. Torna infatti lo Jonicofest, l’evento gratuito che ormai si afferma come tappa imprescindibile per chi vuole vivere la Riviera Jonica tra musica dal vivo, ballo, comicità e sapori locali.

Il Parco Furci Verde, cuore pulsante della cittadina, ospiterà dalle ore 11 fino a tarda sera un ricco programma pensato per tutte le età.

Organizzato dalle associazioni Jonicache e Morgana, in collaborazione con la Pro Loco e con il patrocinio del Comune e dell’Assemblea Regionale Siciliana, il festival intende valorizzare il territorio e i suoi talenti, creando un ponte tra cultura popolare e creatività contemporanea.

Musica, danza e risate sul palco

Tra gli ospiti musicali, una carrellata di nomi che spaziano tra generi e sensibilità: da GLT-Bless a Elena Rizzo, dai Seaside Promenade a The Isotopes, fino alle voci di Barbara Ceccio, Neolle, Debora Ferrero, Sono Mole, e molti altri. Un’occasione preziosa per scoprire nuove sonorità e applaudire artisti del territorio.

Ad accendere il palco anche i corpi di ballo The Diamonds of Dance, Diletta Dance Academy, Asia e Domenico, Passione Danza, mentre il sorriso sarà garantito dall’irresistibile ironia del comico Cateno de Clò. Chiuderà la serata il DJ Set Contest con Salvo Basile, Carmelo Puliatti e Cesare Delgado, pronti a far ballare il pubblico fino all’ultima nota.

Il gusto della festa: street food e tradizioni culinarie

Ampio spazio anche all’enogastronomia con oltre 10 punti ristoro tra specialità locali e street food. Dai maccheroni al pistacchio di Pasta e Fantasia alle cuzzole calde de La Cuzzola, passando per gli arancini gourmet di Era Ura, l’insalata di mare croccante di Sapori di Mare, i panini con salsiccia della Pro Loco, e i dolci artigianali di Yogorino. Il tutto accompagnato dal vino ufficiale della manifestazione, offerto dalla Cantina Catarussa.

Una festa aperta a tutti

Lo Jonicofest 2025 è gratuito e pensato per tutti: famiglie, giovani, appassionati di musica, curiosi e buongustai. Un’occasione unica per celebrare la primavera con uno sguardo rivolto al futuro, ma con radici ben piantate nella cultura jonica.

Il 25 aprile, a Furci Siculo, la festa è servita.

Gaetano Aspa

Alberi in fiore

Il soffio del vento,
i teneri raggi di sole
che s’infiltrano nel cielo.
Nel cuore del verde prato,
bagnato dalla rugiada,
si trova un piccola foresta.
A un tratto una tempesta
si scatena nel silenzio.
Rami spezzati
da un albero in fiore.
Il fiore della vita,
di un futuro da costruire,
di un’anima rubata.
Agisce nell’ombra
quella spietata tempesta
che ruba i rami
da quei bellissimi
alberi in fiore.

 

Alda Sgroi

Il mito del Grind e della Produttività: produrre significa vivere?

Viviamo in un’epoca che ha trasformato la produttività in una religione, con i suoi dogmi, i suoi sacerdoti e le sue eresie. Ogni giorno siamo bombardati da video, podcast e post motivazionali che ci spingono a massimizzare il nostro tempo, a svegliarci alle 4 del mattino per meditare, docce fredde, allenarci e leggere un libro prima che il resto del mondo apra gli occhi.

Ma cosa significa davvero essere produttivi? E soprattutto, questa incessante corsa all’efficienza ci sta davvero rendendo più felici e realizzati?

L’illusione della produttività infinita

Negli ultimi anni, il concetto di produttività si è trasformato in un dogma. I social network sono invasi da figure come i “guru della finanza” e da influencer che consigliano di eliminare ogni distrazione, dormire meno e trasformare ogni momento libero in un’opportunità di guadagno, monetizzare le proprie passioni, ignorando completamente le implicazioni sulla salute mentale e fisica. Frasi come “lavora mentre gli altri dormono” o “se non sei ricco è colpa tua” sono diventate i mantra di questa nuova ondata di business online.

Tutto questo va a discapito dei giovani, che si ritrovano dentro un meccanismo perfetto: gli insegnano che il tempo è denaro, che riposarsi è una colpa, che ogni momento libero è uno spreco se non viene investito nella costruzione di un capitale, di un curriculum, di una carriera. Lo addestrano a non bastare mai a se stesso: deve migliorare, deve ottimizzare, deve lavorare di più. Non è più un uomo, è un’azienda.

Il suo corpo deve farsi strumento, la sua mente una catena di montaggio. Ogni minuto dev’essere riempito di qualcosa di utile. E nel frattempo la vita gli scorre tra le dita come sabbia, e non lo sa.

 

Grind
Il tempo è denaro. Fonte: sapere.virgilio.it

Il “Grind” e il paradosso del Burnout

Il mito del “grind” si fonda su una promessa tanto seducente quanto ingannevole: se lavori senza sosta, sarai premiato con il successo. Il problema principale di questa narrazione è che ignora la realtà biologica e psicologica dell’essere umano. Tuttavia, la realtà è ben diversa: il successo dipende da molteplici fattori, inclusi privilegi sociali, opportunità economiche e perfino fortuna. L’idea che chiunque possa diventare un milionario solo con la forza di volontà è una semplificazione che ignora le complessità della vita reale.

Lavorare incessantemente non significa essere più produttivi: dopo un certo punto, la mancanza di riposo porta a un calo drastico della creatività e dell’efficienza, oltre che a gravi problemi di stress, ansia e burnout. Chi si spinge oltre i propri limiti finisce per perdere lucidità, creatività e motivazione. Le aziende e la società moderna incentivano questa corsa alla performance senza sosta, ma raramente si preoccupano delle sue conseguenze a lungo termine.

Molti studi dimostrano che la produttività non è direttamente proporzionale alle ore di lavoro, anzi, in molti casi la riduzione dell’orario lavorativo ha portato a risultati migliori. Paesi come la Finlandia e aziende come Microsoft Giappone hanno sperimentato settimane lavorative più brevi ottenendo un incremento della produttività e un miglioramento del benessere dei lavoratori.

 

Grind
Fonte: manageyourlife.it

Il vero lusso contemporaneo è fermarsi

Ma quale vita si sta costruendo questo uomo nuovo? Egli non ama, non gioca, non si ferma mai a guardare il tramonto. L’arte non gli serve, la poesia lo annoia, il pensiero lo distrae. Deve lavorare. Sempre. Deve correre. Sempre. Come il bue sotto il giogo, come l’ingranaggio dentro la macchina.

Questo mondo che produce senza sosta non ha generato più bellezza, più amore, più felicità. Ha solo prodotto stanchezza. Stanchezza nei volti spenti dei giovani, stanchezza nelle rughe premature degli adulti, stanchezza nelle città che non dormono mai.

Ribellarsi non significa rifiutare il lavoro, ma rifiutare questa religione della produttività che non ammette pause, non concede respiro. Ribellarsi significa camminare senza meta, significa guardare il cielo senza sensi di colpa, significa perdere tempo. Perché solo perdendolo si può veramente ritrovare se stessi.

Il mito della produttività deve essere decostruito: non siamo macchine e non dovremmo trattarci come tali. Forse la vera chiave del successo non sta nel fare di più, ma nel saper scegliere ciò che davvero conta.

Bisogna spezzare la catena, prima che sia troppo tardi. Prima che, alzando gli occhi dalla scrivania, ci accorgiamo che il mondo è finito e che noi non ce ne siamo nemmeno accorti.

 

Gaetano Aspa

Maura Gancitano all’Università di Messina: una masterclass per decostruire gli stereotipi di genere

Mercoledì 23 aprile alle ore 10.30, presso la Sala dell’Accademia Peloritana dei Pericolanti, l’Università di Messina ospiterà Maura Gancitano, filosofa, saggista e co-fondatrice del progetto culturale Tlon, per una masterclass pubblica dedicata al tema della costruzione sociale degli stereotipi di genere e al ruolo del pensiero critico nella formazione delle identità.

L’iniziativa nasce nell’ambito della partnership tra l’Ateneo e Taobuk – Taormina International Book Festival, un’alleanza che intende rafforzare il dialogo tra cultura contemporanea e formazione accademica, attraverso momenti di confronto aperto e interdisciplinare.

La filosofia come pratica di consapevolezza

Maura Gancitano, da anni figura di riferimento nel panorama della divulgazione filosofica, condurrà un intervento che intreccia filosofia, sociologia e studi di genere, con l’obiettivo di esplorare i meccanismi attraverso cui gli stereotipi si originano e si diffondono all’interno della società. La sua lezione sarà un invito alla decostruzione delle narrazioni dominanti, che troppo spesso condizionano il modo in cui ci percepiamo e ci relazioniamo.

Il pensiero critico diventa così uno strumento trasformativo, capace di smascherare le strutture simboliche e culturali che sorreggono le disuguaglianze di genere e di offrire nuove possibilità di racconto e di esistenza.

Un dialogo interdisciplinare

A dialogare con la filosofa saranno la professoressa Vittoria Calabrò, storica delle istituzioni politiche e Presidente del CUG (Comitato Unico di Garanzia) dell’Ateneo, e la professoressa Milena Meo, sociologa politica e Vicepresidente del CUG. Insieme esploreranno i contesti in cui gli stereotipi si sedimentano e si riproducono – dalla scuola ai media, fino alla famiglia – interrogando anche le responsabilità delle istituzioni educative nella costruzione del pensiero libero.

L’incontro sarà introdotto dai saluti istituzionali della Rettrice Giovanna Spatari e si rivolge a studenti, docenti e alla cittadinanza, con l’intento di promuovere un confronto aperto e partecipato su uno dei temi più urgenti della contemporaneità.

Parteciperanno anche i corsisti di UniMe GDS Lab, coordinato da Natalia La Rosa (Ses) e la prof.ssa Maria Laura Giacobello (UniMe).

Una lezione per ripensare l’identità

In un momento storico in cui la riflessione sull’identità e sulle relazioni di genere attraversa il dibattito pubblico, questa masterclass rappresenta un’occasione preziosa per attivare nuove consapevolezze, ripensare i modelli culturali dominanti e offrire strumenti critici per trasformare la realtà sociale.

Gaetano Aspa

Quando la passione grida e la ragione tace. Medea oltre la vendetta

Quante voci soffocate tra le pagine della letteratura? Quante parole, intrise di pregiudizio e ostilità, hanno contribuito a marginalizzare l’esperienza femminile? Notiamo una costante, un’ombra che ci perseguita attraverso i secoli:  le voci soffocate delle donne, accompagnate dall’eco di un linguaggio che denigra e oscura. Come il grido disperato e poi vendicativo di Medea, la cui passione tradita si trasformò in un monito eterno sulla furia di una donna ferita e sulla violenza che può scaturire dal silenzio imposto.

Una letteratura che ha spesso oscillato tra l’idealizzazione e la marginalizzazione della figura femminile, descritta come creatura angelica o demoniaca, incapace di ragionare, privata di una voce autonoma e rappresentata attraverso il filtro dello sguardo maschile.

 

Medea e la vendetta nella tragedia

Medea. Eroina tragica, un turbine di emozioni, una psiche contorta. Una donna che ha abbandonato tutto e ha  dimostrato una labilità emotiva tipicamente umana. Tragica è la complessità della potente donna di Euripide, demonizzata per il suo dolore e la sua rabbia, interpretati attraverso la follia e la vendetta.

Medea, barbara e straniera in terra greca, abbandona la sua patria e la sua famiglia per amore di Giasone, eroe in cerca del Vello d’Oro.
Grazie alla sua astuzia e alle sue arti magiche, lo aiuta a conquistare l’impresa, legando indissolubilmente il suo destino a quello dell’amato. Tuttavia, la passione si incrina di fronte all’ambizione di Giasone, che la ripudia per sposare la giovane principessa Glauce, figlia del re Creonte.

È in questo abisso di umiliazione e abbandono che emerge una Medea “iconica”: non più l’amante devota, ma la donna ferita nell’orgoglio e nella dignità, che non può sopportare di essere messe in un angolo. Consumata dalla rabbia e da un desiderio di vendetta che non conosce limiti, arriva a compiere tradimenti e uccisioni, pur di ricevere un amore totalizzante e incondizionato.

Attraverso un’oscillazione tra la forza intellettuale e la vulnerabilità emotiva,  la protagonista di una delle tragedie più note di Euripide mostra come la sua voce, quando ignorata, possa trasformarsi in un atto di distruzione.

 

Un potente archetipo femminile

«Di tutte le creature che hanno anima e cervello, noi donne siamo le più infelici; per prima cosa dobbiamo, a peso d’oro, comprarci un marito, che diventa padrone del nostro corpo – e questo è il male peggiore. Ma c’è un rischio più grande: sarà buono o cattivo? Separarsi è un disonore per le donne, e rifiutare lo sposo è impossibile. Se poi vieni a trovarti fra nuove usanze e abitudini diverse da quelle di casa tua, dovresti essere un’indovina per sapere come comportarti con il tuo compagno. […] Dicono che viviamo in casa, lontano dai pericoli, mentre loro vanno in guerra; che follia! È cento volte meglio imbracciare lo scudo piuttosto che partorire una volta sola».

(Euripide, Medea, vv.230-251)

Questo sfogo di Medea, definito come il primo manifesto femminista della letteratura greca, esprime la sua profonda infelicità e la condizione di svantaggio delle donne della Grecia antica, legate a una forma di ingiustizia.

Una mentalità androcentrica quella della cultura greca, contestata dal tragediografo greco. Con un accenno alla propria condizione, Medea si presenta come una parte di insieme, richiedendo una certa complicità all’identità femminile.

La tragedia mette in discussione i ruoli di genere e le dinamiche di potere nelle relazione, in cui la donna si ribella e affronta la battaglia emotiva che la rende vittima di se stessa.

Medea ci offre una lettura in chiave femminista, rivelando una donna che si ribella alla subordinazione e si riappropria del proprio destino, sebbene con mezzi estremi.

Il cuore della tragedia è il tradimento e la conseguente vendetta. Niente di nuovo se pensiamo alla condizione che ci ritroviamo ad affrontare ai nostri giorni. Relazioni tossiche, crimini “passionali” e confini di libertà oltrepassati.

Oggi, in un’epoca di crescente consapevolezza sulla necessità di decostruire gli stereotipi, la figura di Medea si rivela stimolante nelle riflessioni sul potere femminile, sulla sua repressione e sulle sue possibili, anche tragiche, manifestazioni. Ci invita a considerare la storia non solo come un racconto di orrore, ma ad affrontare sempre gli stessi problemi, evidentemente non superati.

Una tragedia che, dopo 2500 anni, continua a rappresentare un attuale specchio doloroso delle passioni umane.

Elisa Guarnera

Dio 2.0: il Vangelo del nuovo millennio

Dio 2.0
Dio 2.0 è uno dei romanzi che meglio descrive la nostra era. Voto UVM: 5/5

 

Quando il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche annunciò, nel frammento 125 de La Gaia scienza, che Dio fosse morto, aggiunse anche che ora le ombre di Dio ne avrebbero preso il posto, perché l’uomo ha bisogno di qualcosa in cui credere, in cui riporre le sue speranze. Dopo la morte del primo Dio, ne sorge uno nuovo, fatto però non di speculazioni metafisiche ma di algoritmi; sorge il Dio 2.0 raccontato da Danilo Conti.

Copertina di Dio 2.0 di Danilo Conti

 

Il mondo di Dio

La storia di Dio 2.0 è semplice e lineare: a Gift Town, una cittadina stile USA anni ’50, vive la famiglia Turner, composta dal padre Seth, la madre Samantha, e il figlio preadolescente Brian. Tutti, a Gift Town, vivono seguendo i precetti del Codice Sacro, testo donato all’umanità da Dio in persona, il quale si manifestò nel cosiddetto Giorno della Rivelazione. Da allora, l’umanità vive sotto la guida diretta di Dio e dei suoi sacerdoti, i quali amministrano la società tramite i “punti sociali”, una sorta di metro del buon cittadino: chi compie azioni positive, segue il volere di Dio e non crea problemi, guadagna punti e riceve benefici di varia natura; chi invece si ribella all’ordine costituito li perde, e, qualora i punti si azzerassero, ecco che si spalancano le porte dell’Inferno, una landa desolata e inospitale, nella quale i condannati svolgono lavori forzati.

Dio 2.0
La Gaia Scienza di Friederich Nietzsche. Edizioni Adelphi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un Abramo mancato

Brian è un ragazzino irrequieto e pieno di domande sul mondo, in conflitto con la società in cui vive, troppo chiusa e ingabbiata nei dogmi di Dio e del Codice Sacro. Questo abito mentale indossato da tutti, dai compagni di classe alla madre, sta stretto a Brian, il quale inizia la sua personale ribellione contro la società in cui vive. Di fronte a quest’irrequietezza, i suoi genitori reagiscano in due modi molto diversi: la madre Samantha, estremamente devota, reagirà duramente e severamente, e cercherà di ricondurre il ragazzo ai principi del Codice Sacro; Seth, invece, cercherà una via di dialogo col figlio, di capire il momento che Brian sta passando e aiutarlo nel difficile compito di trovare delle risposte.

Tuttavia, sarà proprio questo atteggiamo accondiscendente di Seth a infastidire Dio, il quale si manifesterà all’uomo per dargli un ordine: punire severamente suo figlio. Seth sarà quindi diviso tra l’ordine superiore che dovrebbe rispettare e l’amore che prova per Brian, in maniera non dissimile dall’Abramo kierkegaardiano, al quale fu ordinato di sacrificare Isacco. Ma se Abramo deciderà di affidarsi completamente alla volontà superiore dalla quale l’ordine era giunto, così non riuscirà a fare Seth, il quale non solo si rifiuta di punire Brian, ma rimarrà al fianco del figlio anche nel momento peggiore che i due si troveranno ad affrontare: la condanna all’Inferno.

Dio 2.0
Il sacrificio di Isacco

Un Dio desiderato

Durante la sua prigionia all’Inferno, Seth entrerà in contatto con un piccolo nucleo di resistenza contro la dittatura teocratica che li governa. Questo nucleo sta organizzando un piano di fuga, che prevedeva anche la liberazione di una fabbrica di giocattoli dove sono confinati ragazzini come Brian. Sarà durante l’attuazione del piano che Seth rincontrerà suo figlio. I due scappano insieme al resto del gruppo e, quando il piano andrà a buon fine, sarà uno dei capi della resistenza chiamato Isaac a prendere la parola: egli rivela che il Dio che governa il mondo altro non è se non un complesso artificio reso possibile da avanzatissime forme di intelligenza artificiale, il cui solo scopo era pacificare definitivamente l’umanità. Era qualcosa di voluto, di desiderato per non cedere al caos, e infatti la fede stessa in questo Dio altro non è se non un massiccio lavaggio del cervello.

Deus in machina

L’umanità aveva dunque bisogno di un Dio a guidarla, e alcuni ingegneri hanno creato quella divinità, inscrivendone anche dei codici morali tramite i quali guidare e giudicare la condotta umana. Dio e le macchine coincidono in quello che l’ingegnere Federico Cabitza chiama deus in machina, ossia una forma di tecnologia talmente avanzata da sembrare una divinità dalla quale far discendere verità e giustizia morale. Ma entrambe sono, in realtà, né più né meno che codici inscritti dall’uomo stesso all’interno di quelle macchine.

Tuttavia, la divinità di Dio 2.0 riuscì a garantire, come dice Isaac, solo la felicità umana, e non la giustizia, e lui lo sa bene poiché era stato tra i programmatori di quella macchina, ed è stato mandato all’Inferno. Ma non per questo Isaac si è lasciato abbattere, e anzi ha organizzato un gruppo di resistenza, al quale dice che Dio, in realtà, non è necessario all’umanità per fare del bene o anche solo coesistere, e anzi, aggiunge l’anziano parlando con Brian, se un qualche Dio esiste, ha creato gli umani proprio per essere liberi.

Dio 2.0 e il nostro mondo

Dio 2.0 è un romanzo che ha moltissimo da dire sulla nostra epoca, nella quale proliferano, dopo la morte del vecchio Dio, nuove chiese, e una nuova divinità. Una divinità meccanica, tecnologica, non metafisica, ma che assolve alle stesse funzioni della divinità metafisica. L’uomo, come diceva Nietzsche, ha ancora bisogno di credere, e ancora è da venire il giorno in cui l’umanità si sarà affrancata a tutte le divinità, uscendo così da ogni forma di nichilismo, divenendo finalmente libero.

 

Alberto Albanese

UniMe Open Day 2025: due giornate per orientarsi tra futuro formazione

Martedì 15 e mercoledì 16 aprile 2025, l’Università degli Studi di Messina apre le sue porte agli studenti degli Istituti superiori per l’attesa edizione 2025 dell’UniMe Open Day, la rassegna annuale dedicata all’orientamento universitario. L’evento rappresenta un momento chiave per tutti coloro che si apprestano a intraprendere un nuovo percorso accademico, offrendo uno sguardo diretto, coinvolgente e ricco di stimoli sulla vita universitaria e sulle molteplici prospettive di crescita che l’Ateneo peloritano mette a disposizione.

Quest’anno l’appuntamento si articolerà su due giornate, dalle ore 9:00 alle 14:00, nella splendida cornice del Polo Annunziata, sede immersa nel verde e dotata di strutture moderne e all’avanguardia. Sarà un’occasione unica per conoscere da vicino l’offerta formativa di UniMe e vivere un’esperienza immersiva nel mondo universitario, fatta di scoperta, confronto e ispirazione.

Un viaggio tra corsi, laboratori ed esperienze interattive

L’Open Day non si limiterà alla semplice presentazione dei Corsi di Laurea triennali e magistrali, ma offrirà ai partecipanti un ricco ventaglio di attività dinamiche: percorsi laboratoriali, esperimenti interattivi, simulazioni, visite guidate nei laboratori e nelle biblioteche. Gli studenti potranno così toccare con mano le strutture e l’approccio didattico di UniMe, scoprendo le peculiarità dei singoli Dipartimenti e orientandosi tra le varie discipline con maggiore consapevolezza.

Non mancheranno momenti di approfondimento tematico e dimostrazioni pratiche, pensati per stimolare curiosità e riflessione, non solo sulla scelta del corso di studi, ma anche sul futuro personale e professionale che può prendere forma grazie all’università.

Servizi, supporto e una rete a misura di studente

Un grande valore aggiunto dell’Open Day sarà la possibilità di incontrare direttamente docenti, tutor universitari, personale amministrativo e responsabili delle strutture dell’Ateneo. Saranno presenti tutti i principali Centri di Ateneo – dall’Ufficio Orientamento e Placement al Centro per il supporto psicologico e motivazionale, passando per le strutture dedicate alla mobilità internazionale, alle biblioteche, ai trasporti, alle residenze universitarie e agli impianti sportivi.

Durante le due giornate, sarà anche possibile effettuare uno screening personalizzato delle attitudini, degli interessi e delle risorse individuali, attraverso strumenti pensati per favorire una scelta consapevole e in linea con le proprie inclinazioni e obiettivi.

UniMe: un ponte verso l’Europa e il mondo del lavoro

L’Università di Messina conferma la propria vocazione all’internazionalizzazione e alla formazione di profili competitivi a livello europeo. I partecipanti all’Open Day potranno scoprire le opportunità offerte dai programmi Erasmus+, dai tirocini formativi in Italia e all’estero, dalle convenzioni con enti pubblici e privati e dalle numerose iniziative di raccordo tra formazione accademica e mondo del lavoro. Il dialogo diretto con chi vive quotidianamente l’università permetterà agli studenti di comprendere non solo “cosa” studiare, ma anche “perché” e “come” costruire un percorso autentico e orientato al successo.

Una partecipazione facilitata per tutte le scuole

Per garantire il massimo coinvolgimento, UniMe mette a disposizione un servizio transfer gratuito rivolto a tutte le scuole che aderiranno all’iniziativa, facilitando così la partecipazione anche degli istituti più lontani. L’obiettivo è rendere l’università accessibile, inclusiva e pronta ad accogliere le nuove generazioni con strumenti adeguati, ascolto e opportunità concrete.

Qui il programma completo https://www.unime.it/sites/default/files/202504/2025_04_11_PROGRAMMA_OPENDAY2025_02.pdf

Gaetano Aspa

Effetto Werther: il tragico fascino del suicidio

L’effetto Werther è un fenomeno psicologico e sociologico secondo cui la rappresentazione romantica del suicidio nei media può indurre comportamenti emulativi, soprattutto tra i giovani e le persone vulnerabili. Il termine nasce dal romanzo I dolori del giovane Werther (1774) di Johann Wolfgang von Goethe, in cui il protagonista, sopraffatto da un amore impossibile, si toglie la vita con un colpo di pistola. Continua a leggere “Effetto Werther: il tragico fascino del suicidio”

Baustelle “El Galactico”: il viaggio del disincanto

El Galactico è un album lucidissimo e necessario, fotografia di una profondità esistenziale. I Baustelle raccontano la società moderna attraverso una serie di brani dall’alta caratura testuale e musicale. Voto UVM: 5/5

 

I Baustelle tornano con “El Galactico“, un album che non è semplicemente un disco, ma un teorema esistenziale.  Quest’opera, che si muove come una costellazione nello spazio della memoria collettiva e individuale, esplora l’inevitabile collisione tra passato e presente, tra illusioni e la cruda realtà del quotidiano, dei miti che ci siamo raccontati per sopravvivere.

Lo specchio della temporalità

Con un sound che richiama la psichedelia californiana degli anni ’60 e la tradizione cantautorale italiana, la band di Francesco Bianconi, Rachele Bastreghi e Claudio Brasini conferma ancora una volta la sua capacità di rinnovarsi senza perdere la propria identità.

El Galactico segue un dualismo quasi inconciliabile, un “viaggio senza meta” condotto su due binari diversi. Da un lato, la musica che si stratifica come la geologia di un pianeta abbandonato: troviamo tracce di glam rock, new wave, baroque pop, chansone francese e colonne sonore immaginarie. Dall’altro lato, grazie a una scrittura profondamente cinematografica, i Baustelle ci proiettano in un film esistenzialista, in cui i protagonisti si interrogano sulla natura del reale, del tempo che fugge e della memoria, vista non come mera riproduzione del passato, ma piuttosto nella sua reinvenzione.

In sostanza, il trio di Montepulciano intreccia la filosofia continentale al pop italiano, Godard alla nostalgia postmoderna, Pavese ai synth anni Ottanta, creando un tempo non lineare, ma circolare, o forse spezzato, dove ogni canzone sembra arrivare da un futuro che ha già fallito, una distopia malinconica in cui le macerie del vintage diventano materiale da costruzione per nuove utopie emotive.

   

Una poetica della disillusione…

C’è un istante, poco prima che parta la musica, in cui tutto è silenzio. È lì che comincia il viaggio. Non verso un luogo, ma verso una memoria che non abbiamo mai avuto eppure ci appartiene.

Il brano di apertura, Pesaro, riunisce in sé quell’atavico binomio eros-thanatos, che si mescola in un gioco di luci e ombre, alternando immagini potenti e contrastanti, e lo fanno con una liricità quasi pavesiana unita alla tragicità di Godard.

In Spogliami, il brano si carica di sensualità e disincanto, di echi elettronici e toni languidi che pongono il corpo al centro del brano, una discesa nei meandri della fragilità e della bellezza fisica. Il testo riflette sulla superficialità del desiderio in un mondo dove il corpo è diventato solo una merce di consumo, in cui spogliarsi diventa un atto simbolico di rivelazione e non di profonda intimità. La canzone si può leggere come una critica alla cultura postmoderna e al pensiero di Baudrillard sul simulacro: ci spogliamo degli strati esterni senza mai svelare il nostro vero io.

La Canzone verde, amore tossico è una riflessione politica mascherata da elegia postmoderna del disastro ambientale e morale. A tratti sembra di vedere un racconto di Pasolini, un paesaggio contaminato che perde la sua funzione poetica e diventa discarica del silenzio e dell’ipocrisia.

In Filosofia di Moana, la famosa pornodiva diventa musa e merce, corpo sacro e profanato, in una società che ha fatto dell’erotismo un atto automatico.

E non mi innamoro mai, Porno è la bellezza se lo sfascio va veloce

In questo testo viene evidenziata l’eleganza con cui Moana attraversa “l’Impero dell’Oscenità”, che può sostanzialmente paragonarsi alle figure della modernità di Benjamin, quali il flâneur, l’angelo della Storia o, come in questa in questa canzone, la pornodiva che osserva lo spettacolo del mondo che crolla, come un Ofelia postmoderna che affoga nel disprezzo altrui. La canzone è permeata da un’estetica tragica, simile a Diane Arbus, dove la bellezza è intrisa di malinconia e, il sesso, diventa un forma di linguaggio alienante.

Prosegue con Una Storia, titolo fortemente generico che dimostra la propria forza nel fatto che ognuno può facilmente identificarsi. Questo brano è il racconto di una violenza, ambigua e devastante, che si consuma nel silenzio, nella colpa, nella connivenza silenziosa dello sguardo pubblico. Il tema è attualissimo: la spettacolarizzazione del trauma e del dolore. La vittima involontaria diventa protagonista di una tragedia condivisa, ma al contempo banalizzata dal male mediatico, il circolo digitale che diventa mero contenuto social. In tutto questo c’è un’impotenza strutturale, una ballata di De André filtrata al contemporaneo, post-Instagram, post-TikTok.

                                 

…e dell’esistenza

L’imitazione dell’amore è una delle canzoni più sottili dell’album, forse la più politica in senso estetico. Qui, i Baustelle, smascherano l’industria culturale dell’amore, denunciando l’omologazione dei sentimenti.  L’amore non è più eroico, erotico, tragico o politico, ma banalmente un prodotto da consumare.

Con L’arte di lasciare andare si entra in una zona poetica classica, quasi montaliana. L’idea del viaggio, dell’irrequietezza , del girare a vuoto, evoca una condizione umana ancestrale: l’angoscia del tempo nell’uomo moderno che non trova pace nella lentezza. Sembra quasi che, in questo brano, venga svelato il vero problema moderno l’impossibilità di stare al mondo, ovunque, è questo sfiora il camusiano.

Una delle più emotive e immediate dell’album è Giulia come stai, che presenta una costruzione molto sofisticata e ricercata. Questa è una canzone d’amore universale per tutte quelle “Giulie” presenti nelle vite di ciascuno, quella persona importante da amare e proteggere. Sembra poco, ma è tutto. In un mondo in cui la parola è diventata rumore, la gentilezza diventa il vero atto rivoluzionario. Il testo non dice molto, ma ascolta, senza egoismo, diventando un abbraccio contro l’isolamento.

Infine Lanzarote, una Azzurro (di Celentano) disidratata, che è la rappresentazione dell’abbandono, ma senza il dramma conseguente. Il brano è esilio e spaesamento, il luogo lontano che si fa simbolo di mancanza, sia fisica che morale, in sostanza, la noia moraviana.

   

Fotografia del nostro tempo

Mi viene in mente un frammento di Borges: Il tempo è un fiume che mi trascina, ma io sono il fiume.

Ecco, ascoltando El Galactico, mi sembra di scivolare dentro quel fiume, di diventare quel tempo. Ogni ascolto svela nuovi strati di significato, come se le canzoni fossero specchi deformanti attraverso i quali osserviamo noi stessi. I Baustelle non offrono risposte facili, né cercano di rassicurare,  al contrario, ci mettono di fronte alle nostre contraddizioni e ai nostri desideri irrisolti.

In un’epoca in cui la musica è spesso ridotta a mero intrattenimento, “El Galactico” è un’opera necessaria, un viaggio in cui ogni canzone è una tappa di un pellegrinaggio interiore, alla ricerca di quel senso che forse non esiste, ma che continuiamo ostinatamente a cercare.

 

Gaetano Aspa

Sara Campanella: perché anche vivere ha un prezzo

Si chiamava Sara Campanella, aveva 22 anni, ed era tirocinante presso il Policlinico di Messina. Usciva da lezione, ignara che qualcun altro avesse già deciso come sarebbe finito il suo pomeriggio. È profondamente angosciante pensare che una ragazza della mia età non abbia più voce, che qualcun altro abbia deciso per lei. I suoi sogni, le sue paure, le sue speranze, tutto rimosso per mano della violenza che si è arrogata il diritto di scegliere al posto suo.

Questa tragedia non è solo un atto di follia individuale, ma un riflesso di una società che troppo spesso alimenta possessività e l’idea che l’amore debba essere conquistato, un mondo dove il controllo e il dominio spesso vengono scambiati per affetto. Nessuno dovrebbe mai temere che qualcun altro possa scrivere il proprio destino, eppure, troppo spesso, questa paura si tramuta in realtà.

Lui, l’assassino, si chiama Stefano Argentino, ed è il frutto di una società che fatica a distinguere l’emozione dall’ossessione, l’amore dal possesso e la gelosia, che è ormai sinonimo di qualcosa di incontrollabile. Il problema di fondo è pensare che sia proprio questa ad uccidere, mentre invece risiede chiaramente nell’incapacità di riconoscerla, di poterla gestire e di trasformarla in qualcosa di umano, senza lasciare che diventi un’arma.

Ignorare il bisogno di educare alle emozioni, di insegnare che il desiderio di controllo non è amore ma una distorsione di esso, è come voltare le spalle a un incendio credendo che si estinguerà da solo. Cresce così la paura della normalità di certi comportamenti, delle parole che minimizzano e giustificano, della società che preferisce voltarsi dall’altra parte, che si limita a condannare la violenza senza mai chiedersi davvero da dove nasca. È inutile insegnare a difendersi se prima non si insegna a non essere una minaccia.

In un mondo iperconnesso, la gelosia trova terreno fertile nel monitoraggio costante, nel bisogno morboso di sapere tutto, persino di possedere anche l’immagine digitale di una persona. Ma chi educa quindi a rispettare i confini anche online, a non scambiare la trasparenza con un diritto di controllo?

L’indifferenza e il silenzio sono complici di ogni tragedia. La morte di Sara Campanella, come quella di tante altre, è il drammatico risultato di un’educazione che troppo spesso ignora l’importanza di gestire le emozioni. Non si tratta di trasmettere conoscenze, ma di insegnare a riconoscere i propri limiti, a rispettare quelli degli altri e a gestire le emozioni in modo sano. Insegnare il valore del rispetto reciproco, dell’autocontrollo e della responsabilità, significa anche formare individui consapevoli, capaci di riconoscere i segnali di abuso, di gelosia tossica e di intervenire prima che si trasformino in violenza. Educare alla parità, alla comunicazione sana e all’empatia è fondamentale. Solo così possiamo prevenire tragiche conseguenze che nascono da fraintendimenti, insicurezze o desideri di dominio.

Sara Campanella era come me, come il ragazzo che siede di fronte a me, come chiunque legga queste parole. E oggi mi rifiuto di sentirmi fortunata per essere ancora viva, come se l’esistenza fosse un privilegio. Perché l’unico vero merito dovrebbe essere di vivere senza paura.

Asia Origlia