CUS de PRÉCISION

foto1“C’est la précision qui fait la différence!”. In uno spot degli anni ’80, l’ex fantasista francese della Juventus, Michel Platini, regalava questa straordinaria citazione, ovvero  “è la precisione che fa la differenza”. La partita tra CUS e Kaggi, infatti, può essere semplificata in questa breve dicitura.

Alle ore 14,30 di domenica 11 dicembre 2016, al campo “N. Bonanno“, l’arbitro Garzo della sezione di Messina, dà il fischio d’inizio alla settima giornata del campionato di terza categoria.

In un primo tempo noioso, caratterizzato più da sterili attacchi che da attente difese, vi è ben poco da raccontare, se non due interventi di Denaro (estremo difensore del Kaggi) su Lombardo, il primo su un diagonale dal vertice dell’area e il secondo deviando sul palo un calcio di punizione con un fotografabile colpo di reni. Il tutto rispettivamente a inizio e fine prima frazione di gara. Per il resto dei primi 45 minuti, solo possessi inconcludenti da ambedue le parti. Kaggi inoperoso in zona offensiva, CUS più vicina al vantaggio, ma il primo tempo si conclude 0-0. Manca ancora la precisione.

Il secondo tempo sembra avviarsi sulle orme del primo: nel primo quarto d’ora tanto giro palla e poche conclusioni nello specchio delle porte. Tuttavia la stanchezza inizia a farsi sentire, soprattutto tra i padroni di casa, i quali, a causa di clamorosi cali di concentrazione, concedono due limpide occasioni da gol non sfruttate, dolosamente, dagli ospiti ed entrambe con Cortese. Il 7 del Kaggi, infatti, presentandosi totalmente solo dinnanzi a Battaglia calcia prima a lato del palo e subito dopo alto sopra la traversa in un tentativo di pallonetto. Manca ancora una volta la precisione. Tra una sostituzione e l’altra, è da segnalare una straordinaria azione del CUS, figlia di un gioco a due tra Di Bella e Fiorello, con il tiro al volo da fuori area del 9 che sfiora il palo e va sul fondo a portiere incolpabilmente battuto. Peccato, ma è la precisione a far la differenza.

foto2Quattro minuti di recupero. Esattamente al 93esimo, si sblocca il punteggio in favore degli universitari: Lombardo, che (complice la squalifica di Creazzo) porta sulle spalle il numero 10 e non sarà un caso, pesca dal cilindro un meraviglioso destro dai 20 metri che si insacca all’incrocio dei pali! 1-0! L’ultimo minuto di gioco è solo rammarico per il Kaggi che non è riuscito ad ottimizzare le palle-gol avute nel secondo tempo ed è, invece, gioia pura per il CUS che della precisione ne ha appunto fatto la differenza, aggiungendo altri 3 importantissimi punti alla propria classifica e nuovamente nei minuti di recupero. Adesso la classifica è più affascinante che mai: tre squadra a 15 punti (Fasport, Real Zancle, Stromboli) e subito dopo, a 13 punti, CUS UniMe e Arci Grazia.

Domenica prossima i ragazzi di mister Smedile saranno ospitati dallo Stromboli, in una trasferta tanto impegnativa quanto fondamentale, vista la posizione ai vertici della classifica di entrambe le squadre.

Nella settimana che verrà, in cui il mercato dei trasferimenti giocherà un ruolo di primaria importanza, il CUS dovrà prepararsi in modo ottimale per la trasferta eoliana per continuare a sognare.

Formazione CUS (4-5-1): 1 Battaglia; 2 Russo, 4 Iacopino, 5 Occhipinti, 3 Arena; 8 Iamonte, 10 Lombardo, 6 Tiano, 7 Vinci, 11 Carbone; 9 Di Bella.

12 Lo Voi, 13 Morabito, 14 Cardella, 15 Fiorello, 16 Singh, 17 La Torre, 18 Caputo.

Mirko Burrascano 

“Il primo uomo cattivo” di Miranda July

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“Questo libro vi farà ridere, sussultare e immedesimarvi in una donna che non avreste mai previsto di essere. E quando Miranda July parla della maternità, il libro diventerà la vostra bibbia.” Lena Dunham

Ci sono persone che scelgono i libri basandosi sulla copertina , non rientro fra questi ma nella scelta de “Il primo uomo cattivo” mi è capitato di sceglierlo proprio per il disegno e i colori esterni e per l’autrice : Miranda July della quale avevo visto solo un film e letto qualche intervista.

 

Cheryl Glickman è la protagonista-narratrice del racconto, lavora alla Open Palm una società no profit che si occupa di autodifesa per le donne.

Conduce una vita piuttosto semplice, forse monotona, minimale soprattutto nell’economia domestica dove vige il principio di efficienza.

E’ affetta da globus hystericus, un nodo alla gola, ed infatuata di un collega, una figura ricorrente nella narrazione. C’è la maternità, ma non descritta come nella maggior parte dei film o libri, Cheryl ha una relazione quasi karmica basata sul “primo sguardo” con Kubelko Bondy lo spirito di un bambino che lei immagina di vedere nei figli altrui.

La vita di Cheryl prende una direzione inaspettata quando deve ospitare Clee, figlia ventenne dei suoi capi all’Open Palm. Una ragazza che è totalmente opposta a lei, dalla fisicità, Cheryl molto magra, quasi androgina, Clee viene definita “molto donna”, allo stile.

Clee è un personaggio un po’ sgradevole, sporca, una passiva-aggressiva, in alcune situazioni attiva-aggressiva.

Ed è in questo momento che il libro prende una piega che non mi sarei mai aspettata e la July si dimostra perfetta narratrice: tracciando il crescere della libido di Cheryl con una nota ironica e , di contrappasso, delicatamente il suo istinto materno. Ci rende partecipi ai sussulti della protagonista.

 

I meno puritani di me non si scioccheranno delle crude scene di violenza , le descrizioni delle condizioni igieniche di Clee mi hanno nauseata ma sono funzionali al personaggio , non le si perdonano ma si accettano.

Cheryl vede solo il suo mondo non c’è contorno, essenziale.

Sono personaggi sgradevoli in parte, così maniacali, strani, imprevedibili da essere in realtà comuni e umani , che alla conclusione del libro li accettiamo.

Miranda July è una artista stimolante e provocatoria, a vent’anni trasferitasi a Portland entra nel movimento delle Riot grrrl (il movimento punk-rock femminista) e inizia a frequentare, colei che è la sua più stretta amica, Carrie Brownstein (altra artista eccezionale) chitarrista e voce delle Sleater Kinney , band simbolo del movimento e ancora oggi una delle migliori rock band femminili.

Definirla è difficile, è una regista, scrittrice, musicista, attrice, creatrice di app , è un soggetto molto stravagante, irriverente a tal punto da pensare che sia folle : è geniale.

“Il primo uomo cattivo” è il suo primo romanzo, caldo, ironico, disgustoso è pura vita comune.

Arianna De Arcangelis 

 

 

Suicide Squad, dai fumetti al film: l’affascinante mondo dei cattivi

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Il 6 dicembre 2016, esce il Dvd del film ‘’Suicide Squad’’, opera cinematografica che ha riempito le sale quest’estate.

Con un cast stellare e diversi record al botteghino, Suicide Squad, è una pellicola basata sui cattivi dei fumetti firmati DC Comics. Per la prima volta nella storia del mondo sono proprio i cattivi quelli che salveranno la terra: dopo la morte di SuperMan e la sparizione di BatMan, non c’è nessun altro a cui il governo americano può rivolgersi.

Ai cattivi, però, non viene dato niente in cambio: nessun premio, nessuna gloria, nemmeno la libertà. Loro sono stati crudeli, quindi o obbediscono o verranno uccisi. A tutti loro, infatti, viene impiantato un cip sotto pelle: se provano a ribellarsi, boom, saltano in aria.

Ci mancava, penserete voi: dopotutto stiamo parlando delle menti più contorte e folli che ci hanno sempre spaventati, fin da bambini. Infatti, la Suicide Squad (Squadra Suicida) è formata da: l’ex-psichiatra Harley Quinn (Margot Robbie), il cecchino mercenario Deadshot (Will Smith), l’ex-gangster pirocinetico El Diablo (Jay Hernandez), il ladro Capitan Boomerang (Jay Courtney), il mostruoso cannibale Killer Croc ( Adewale Akinnuoye-Agbaje) e il mercenario Slipknot (Adam Beach).

A loro si uniscono anche la dottoressa June Moone, un’archeologa posseduta da un’antica entità malvagia nota come Incantatrice (Cara Delevigne) e Katana ( Karen Fukuhara), mercenaria in possesso di una spada mistica.

C’è anche il Joker (Jared Leto) che, da dietro le quinte, segue la squadra: il suo unico obiettivo? Liberare Harley Quinn e riprendersela con sé (figuratevi a lui quanto può fregare di salvare gli esseri umani).

È interessante vedere come, fin dai primi minuti del film, si resta affascinati e si scatena un innamoramento nei confronti di questi pluriomicidi: chi l’ha mai detto, dopotutto, che non provano alcun sentimento? Con il susseguirsi della storia scopriamo proprio questo: tutti loro hanno amato qualcuno più di loro stessi e tutti loro, inevitabilmente, lo hanno perso.

Ma per chi è appassionato di fumetti, cosa è cambiato? Ovviamente questi personaggi, a prescindere dall’aspetto che mai poteva essere assolutamente uguale a quello dei disegni, sono stati umanizzati, sono (forse) meno folli del fumetto.

Obiettivamente alcuni cambiamenti sono obbligati: una pellicola non potrà mai essere fedele ad anni e anni di fumetti. Il fulcro di ogni personaggio rimane indenne, dalle loro perversioni, alle manie, all’istinto quasi suicida e la sintesi delle loro storie individuali è assolutamente fedele.

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Due personaggi in particolare sono stati, da alcuni, criticati: la coppia (che scoppia?) Joker- Quinn. Nei fumetti, infatti, Harley Quinn è una donna completamente sottomessa, che ama le violenze imposte dal Joker, che quasi si diverte a provocarlo pur di farsi fare del male.

Il Joker, d’altro canto, non sembra innamorato, nei fumetti, anzi: la presenza di Harley, il più delle volte, lo infastidisce; mentre, nel film, anche lui ha un’attrazione per lei.

Il confronto, ovviamente, è molto soggettivo: possono sembrare, per alcuni, una coppia di amanti con una grande indipendenza; per altri, invece, l’ossessione del Joker è esattamente quella dei fumetti: lui va a riprendersela perché è l’unico che può comandarla.

Harley Quinn, d’altro canto, è sottomessa in tutte le parti del film a lui: si rincorrono flash back dove si vede come lei, più e più volte, è pronta anche a morire per lui.

A prescindere dalle puntigliose critiche, dalle disquisizioni su dove e come il film poteva essere migliore, se Suicide Squad ha sbancato un motivo c’è, ed è il motivo per cui noi vi consigliamo di vederlo: in sintesi? È una figata.

Elena Anna Andronico

 

 

Bulli e bullismo: quando l’ossigeno dovrebbe essere un privilegio per pochi

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Piaga sociale n° 374302: il bullismo. Non staremo qua a scrivere un papello su cosa sia il bullismo: lo sappiamo tutti. C’è una persona che si alza una mattina e decide di dare fastidio e invadere gli spazi vitali di un’altra persona, senza un motivo apparente (che io li manderei tutti nelle miniere di carbone e poi vediamo).

I bulli sono la prova che, ad un certo punto, l’evoluzione è andata a farsi fottere.

Il bullismo va dai 0 ai 100 anni. È come il gioco dell’oca: un gioco di società a cui possono giocare dai 0 ai +99 anni (c’è scritto veramente così).

E noi, che difendiamo i deboli (tipo Batman), siamo qua a studiare con voi i vari tipi di bulli e darvi qualche chicca su come difendervi.

Here, we, go…!

  1. Bulli Fisici

È forse la forma più “antica” di questo fenomeno ignobile. E no, con “antico” ahimè non intendo superato o “passato di moda” come i pantaloni a zampa di elefante. Il bullismo che si manifesta tramite la violenza fisica è paralizzante. Solitamente è collocato in una delicatissima fascia d’età che, indicativamente, va dai 6 (si, perché anche a 6 anni qualcuno riesce ad essere così maligno) ai 18 (anche se, non sarebbe errato scrivere venti o ventidue o vergognatevi). Questo tipo di bullo comincia proprio fra le mura di scuola: ti ruba la merenda perché lui è il più figo. Ti spintona perché lui è il più forte e deve dimostrarlo a tutti (che poi, diciamocelo pure, l’unica persona alla quale devono dimostrare qualcosa sono loro stessi). Ti umilia verbalmente e pubblicamente perché è lui ad avere il potere. Ma il potere di cosa? Il potere su chi? Ti esaspera, ti toglie le energie, la voglia di uscire, di vivere.

Non ci pensare nemmeno. Non perdere la speranza. Qui l’unico a dover smettere di uscire di casa, di guardarsi allo specchio, di sentirsi umano è proprio lui. E quindi vivi, reagisci, bucagli le ruote dello scooter o in alternativa contatta le autrici di questo articolo. Eh, , bullo che ci leggi, è una minaccia.

  1. Bulli Virtuali

Chiunque di noi può essere un bullo virtuale. Sono quelle ‘’persone’’, e ve lo virgoletto perché non penso si meritino questo appellativo, che si nascondono dietro una tastiera e si accaniscono contro qualcun altro, così a caso: si accaniscono contro i post, contro le foto, contro le frasi. Contro qualsiasi cosa.

Pubblichi una canzone? Fa schifo. Scrivi una frase poetica? Sei un comunista. Cambi foto del profilo? Hai i denti gialli. Pubblichi un articolo su quanto fa bene praticare una dieta equilibrata? Sei un vegano di merda perché non muori insieme a tua nonna morta (nb: se il bullo è un vegano ti darà dell’assassino come se il tuo passatempo preferito fosse soffocare cuccioli di cane nel Nilo).

Ormai sono conosciuti come haters. Insultano soprattutto i personaggi famosi (no sense). La fascia d’età, in questo caso, è molto ristretta: essenzialmente devi avere un oggetto elettronico e saperlo usare. Quindi, diciamo, vanno dai 16 ai 50 (dai 60 in poi inizia la fase ‘’devo pubblicare foto di gatti che danno il buongiorno’’). Umiliano. Creano nell’animo del bullizzato una mortificazione tale che lo stesso ha l’istinto di sparire dai social. Cancellare il proprio profilo. Non pubblicare più nulla. Pouf.

Non fatelo! Mai. Loro commentano a manetta? Insultano in chat? E voi bloccateli. Non è dare soddisfazione e, in questi casi, non vale la regola ‘’l’indifferenza è la migliore arma’’. La migliore arma è l’omicidio, ma è illegale. Segnalateli. Segnalateli 10, 20, 100 volte. Chiamate la polizia postale. Fate sparire loro, non sparite voi. E VAFFANCULO.

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3- Bulli Morali

Ah, che brutta categoria. Questi sono i peggiori. Perché, similmente a quelli virtuali, sfruttano il potere della parola (che poi perché tutti dobbiamo imparare a parlare? Quanto era bello l’analfabetismo). Solo che lo fanno alla luce del sole. Ed è peggio perché, ovviamente, non puoi spegnere il computer. Anche se potresti spegnere la luce e recidere loro la giugulare (ma anche questo, penso, sia illegale). Il loro punto di forza sta nell’attirare altre persone. Fanno branco. Iniziano a prendere in giro una persona qualsiasi, fanno ridere le pecorelle intorno a loro e continuano. E più fanno ridere, più continuano. E più persone li circondano, più si sentono forti e continuano. Spesso la vittima non è difesa da nessuno e questo, ragazzi miei, è l’errore più grande che ognuno di noi possa fare: lasciare il compagno, collega, amico solo. La ‘’presa in giro’’, anche qua, potrebbe essere su tutto: i vestiti, i capelli, gli occhiali e l’apparecchio, l’altezza, la sessualità, se ti piacciono i fumetti o no. Come le zanzare, non risparmiano nessuno. Dalle elementari, in cui troviamo 7enni (talvolta più taglienti degli adulti) che prendono in giro il compagnetto perchè ha un gioco vecchio, rotto, non di marca; al liceo, università e, perché no, ufficio dove, per quanto inizi l’età adulta, gli argomenti sono più pesanti, dove la vittima si sente dire che è una fallita o un ricchione di merda.

Ti soffocano.

Io ho incontrato il mio bullo alle medie. Anzi, i miei bulli. Ero piccolina, bassa, con gli occhiali e l’apparecchio. Non potevo usare la piastra, avevo i capelli arruffati, i vestiti me li comprava ancora la mamma. Facevano branco e mi prendevano in giro, ogni giorno, su qualunque cosa. Tornavo a casa piangendo, ogni santo giorno. Cosa feci? Diedi un pugno. E un altro, un altro, un altro. Reagii con le mani, forse un modo sbagliato per una bambina di 12 anni, ma l’unico modo che trovai per difendermi (mia madre, che venne convocata dalla preside, mi fece un applauso e poi andò a bruciare la scuola).

Abbiate una reazione, qualsiasi essa sia. Per quanto stupide, portate le pecore dalla vostra parte (puzzano di letame, ma ne vale la pena). Abbiate anche tanta pazienza: i cadaveri passano tutti sulla sponda del fiume. Sapete che fine hanno fatto i miei bulli? Beh, le ragazze sono delle racchie che lassamu peddiri, alte 1.30m e con le dentature che vanno dalla cavallina alla versione rospo viscido. I ragazzi… Beh, probabilmente stanno sotto i ponti. Mi devo informare.

Eh sì, ora, talvolta, vorrei poter fare io la bulla con loro. Ma, poveracci, ci pensa la vita tutti i giorni.

Stronzi.

  1. Bulli “Inter Nos”

Ogni famiglia è un po’ un’associazione a delinquere, all’interno della quale, spesso, le personalità più forti spiccano nei confronti di quelle più “deboli”. Il primo caso di bullismo (e forse qui sto un po’ esasperando la situazione) è quello che vede protagonisti i genitori un po’ “troppo protettivi”. Ti costringono a frequentare quel liceo perché l’ambiente è tranquillo, quella facoltà perché ti offre lavoro, il corso di yoga perché ti rigenera il corpo e la mente. Ma no dai, questo non è mica bullismo, ve lo avevo detto che stavo esasperando la situazione. Quello dei genitori, in fondo, è solo amore smisurato e incontrollato. Ma il bullismo inter nos cos’è allora? Ma dai, non ce lo hai avuto quel cugino antipatico che ad ogni pranzo di famiglia, ad ogni cena di Natale, ad ogni pomeriggio trascorso insieme ti ha torturato? Menomale.

Il bullo, che è anche un componente della tua famiglia, è altamente pericoloso: conosce di te, non solo ciò che lasci vedere agli altri, ma anche la tua più intima debolezza. E non ha paura ad usarla per sminuirti ed apparire come il gallo col canto più forte della famiglia, o semplicemente per toglierti di mezzo.

Sa che non sai nuotare? Tenterà di annegarti in mezzo al mare per poi fingersi lui la vittima della situazione. Sa che ti piace il cioccolato al latte, ti lascerà solamente quello fondente. Sa che non vai bene in matematica? Ti chiederà, davanti a tutti, quanto fa 7×8 (che crudeltà).

La cosa positiva? Il bullismo inter nos prima o poi finisce perché si cresce. E, a quel punto, puoi pure decidere di non farti vedere mai più (alleluia). Almeno solo dopo che al giorno del tuo matrimonio, il famoso cugino in questione non simuli di essere stato sequestrato (un po’ come Lapo) solo per rovinarti pure quel giorno.

Puoi vendicarti. Appostati durante le sue chiamate più intime. Registrale e mandale per posta alla sua famiglia (che poi sono tipo i tuoi zii). Inserisci un biglietto anonimo scritto con le lettere di giornale (così non potranno mai risalire a te): “Suo figlio mi ha bullizzato per una vita; ora la sua ragazza lo costringe a provare i nuovi trucchi della Kiko…”

Ah, che meraviglia il Karma.

 

Siate più furbi, sempre. Al costo di mettere in mezzo l’FBI. Chiedete aiuto. Ditelo agli adulti, agli amici, fate branco anche voi. Che voi siate dei ragazzi delle medie, del liceo, dell’università, ricordatevi: nessuno si salva da solo. L’unione fa la forza. E la vendetta è un piatto che va gustato freddo.

Come si dice? Tieniti stretti gli amici, ma ancora di più I BULLI. Voi, che non siete nullità come loro, teneteveli stretti e poi… I colli sono un ottimo posto per nascondere i cadaveri.

Elena Anna Andronico

Vanessa Munaò

 

Intervista con la scrittrice Noemi Villari

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Per chi ama l’avventura e la fantasia, leggere Believeland, è un tuffo in un mondo in cui le parole d’ordine sono proprio queste; ma c’è di più: credere, un’imprescindibile parola che accompagna il lettore per tutto il romanzo.

La giovane scrittrice Noemi Villari, con il suo primo libro, apre una finestra su un nuovo mondo: Believeland; creature e poteri magici si intrecciano alla vita di alcuni adolescenti, protagonisti del romanzo che coinvolgono il lettore con le loro emozioni.

La gentilissima Noemi, subito dopo la presentazione del suo libro, ha risposto ad alcune domande e ha regalato dei preziosi consigli agli appassionati di scrittura.

 

 

 

 

Parliamo degli albori di Believeland: inizi a scriverlo quando eri nella primissima fase dell’adolescenza, avevi dodici anni. L’idea che hai avuto allora è rimasta la stessa?

  • L’idea è stata elaborata diverse volte e aveva tutt’altra impostazione; del modello iniziale è rimasto il concetto del mondo fantastico di Believeland, che prima non si chiamava così: un aneddoto simpatico riguarda, per l’appunto, il nome. All’inizio l’ho chiamato Magics (che in realtà è quello delle Winx), poi Magic Village (che sa molto di villaggio turistico) ed infine quello attuale.

Le protagoniste, in un certo senso, è come se fossero cresciute con me e ho lasciato loro un’età adolescenziale perché mi piace trattare questo periodo della vita, che per me è fondamentale nella nostra esistenza: se si capisce ciò che prova un adolescente, si capisce come diventerà da grande.

A quale personaggio sei più legata?

  • Istintivamente rispondo che sono più legata ad Alessia (la ragazza del mondo reale), perché proviene dal mio stesso contesto scolastico, ovvero da un istituto d’arte, a cui tengo molto, quindi ho voluto che lei, almeno in questo aspetto, fosse identica a me. Poi, come personaggio, è stato elaborato in modo totalmente opposto al mio: lei indossa una maschera di sicurezza che nasconde la sua insicurezza e, invece, per me è al contrario.

 

Un aggettivo con cui descriveresti il tuo libro.

  • Più che un aggettivo, a me viene in mente la parola “credere”, sostanzialmente il motore che fa camminare il romanzo.

 

Hai un luogo in cui preferisci scrivere?

  • Solitamente, preferisco scrivere a letto con il pc sulle gambe e di sera; invece, la mattina preferisco prendere appunti sui quadernoni (perché mi piace scrivere a mano), ma sulla scrivania.

 

Progetti futuri: scriverai ancora?

  • Sicuramente continuerò a scrivere: ho un’idea per continuare Believeland, ma vorrei anche guardare nuovi orizzonti, per affrontare tematiche diverse.

Di certo, non voglio abbandonare questo racconto, a cui sono legata affettivamente.

 

 

Hai dei consigli per i giovani scrittori?

  • Sicuramente direi loro di seguire il primo istinto ed iniziare a scrivere partendo da ciò che sentono, per poi affidarsi alla tecnica.

Consiglierei anche di usare internet, dove ci sono molti siti che guidano alla scrittura e dove, personalmente, ho imparato tanto. Poi, apprendere dai libri che si leggono ma, soprattutto, impegnarsi per realizzare il proprio sogno.

 

 

 

Jessica Cardullo

 

La prevenzione sismica in città ad elevato rischio

whatsapp-image-2016-11-27-at-12-03-02Si è tenuta ieri mattina presso il CERISI la tavola rotonda dal titolo: “LA PREVENZIONE SISMICA IN CITTÀ AD ELEVATO RISCHIO” organizzata dal Prof.re Giovanni Falsone, docente si Scienze delle Costruzioni, del Dipartimento di Ingegneria.

Prima dell’apertura dei lavori è intervenuto il Prof.re Michele Limosani Prorettore alla Gestione delle Risorse Finanziare, che ha portato a gli intervenuti il saluto del Magnifico Rettore, lodando il Prof.re Falsone per quanto organizzato, facendo un attenta analisi economica, e non solo, sull’argomento.

Sono seguiti i Saluti del Prof.re D’Andrea direttore del Dipartimento di Ingegneria che ha ringraziato il Prof.re Falsone, e raccontando qualche aneddoto a messo in evidenza, come nonostante le nuove tecnologie, si continuino ad utilizzare vecchie tecniche nel campo della prevenzione.

Assente il sindaco di Messina Renato Accorinti.

Perché la tavola rotonda

Apre ufficialmente i lavori il Prof.re Falsone che spiega le ragioni dell’incontro.

La tavola rotonda nasce dalla necessità di smentire le corbellerie dette da alcuni geologi  ed architetti, dopo le ultime catastrofi, sulle strutture(che come più volte ribadito dal Prof.re Falsone non rientrano nella loro competenza professionale). E cosa più importante fare il punto della situazione a Messina della prevenzione sismica.

Sinergia: parola d’ordine per la prevenzione

Per una buona prevenzione è essenziale la figura del geologo, infatti dopo la catastrofe di San Giuliano di Puglia lo stato impose che tutti i comuni italiani si dotassero di una micromappa di prevenzione, ma nella maggior parte dei comuni italiani non furono mai realizzate perché purtroppo, essendo in Italia, la norma non prevedeva sanzioni.

Oltre alla figura di geologi sono importanti le figure di ingegneri(geo-tecnici, costruttori, viari), architetti ed economisti.

Rapporto tra prevenzione sismica e politica

Il Prof.re Falsone definisce difficilissimo questo rapporto: basti vedere le fasi di ricostruzione molto lente.

La gente dopo un sisma rimane minimo trentanni a vivere nelle baracche. I soldi per la ricostruzione prendono strade diverse e non viene mai fatta prevenzione sismica prima di ricostruire, e si ricostruisce male.

Miglioramento o adeguamento sismico?

Il Prof.re Falsone non ha dubbi sull’argomento nonostante i costi siano maggiori l’adeguamento sismico è la scelta opportuna.

Ed è proprio qui che entra in campo la figura dell’architetto che ha il compito di intervenire sull’adeguamento dei centri storici.

Va cambiato anche la mentalità del cittadino medio rispetto alla sismicità de territorio. Una delle cose più importanti da fare quando si sceglie una casa è preoccuparsi dei dettagli di sicurezza.

Prevenire costa meno che ricostruire

Una delle massime corbelleria, come afferma il Prof.re Falsone, se si parlasse di un palazzo non c’è alcun dubbio che la demolizione e la ricostruzione costerebbero molto meno della prevenzione.

Prevenzione e ricostruzione si basano su due scale diverse!

La prevenzione costa molto di più della ricostruzione su larga scala, un esempio è il territorio italiano.

Ma quanto passa per raccogliere il frutto della prevenzione? – Anche in questo caso la politica è molto lenta e la gente non ha consapevolezza dei rischi.

La prevenzione dovrebbe essere incentivata!

Messina esempio di prevenzione nella ricostruzione del 1908

Dopo il terremoto del 1908  con lo studio di tecnici venne inventata una nuova tecnica per prevenire altre catastrofi:  la “muratura armata”.

Purtroppo nel tempo, questa tecnica fu dimenticata. Solo nel 1958 un team di ingegneri, che riporto alla luce questa tecnica, organizzo in occasione del cinquantesimo anniversario del terremoto un convegno internazionale sulla prevenzione.

A Messina la sicurezza non ha interesse, nonostante nell’ultimo ventennio sono stati educati centinai di ingegneri sul rischio sismico.

A termine del suo intervento il Prof.re Falsone si dice rammaricato per l’assenza delle istituzioni politiche, presente solo Maurizio Croce Assessore al Territorio e Ambiente della Regione Siciliana.

 

Gaetano Bongiovanni

Umberto Spaticchia e il suo ‘’Null01- La storia di Downey’’: quando le menti messinesi si mettono in gioco

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A tutti i lettori chiediamo: cosa è che vi attrae di un libro? La copertina, il titolo, il nome di quell’autore famoso, il posto in classifica.

Tra le caratteristiche, secondo noi, dovrebbe essercene anche un’altra: è stato scritto da un mio concittadino. A maggior ragione se, lui o lei, è uno studente come noi. In questo caso stiamo parlando di un lui: Umberto Spaticchia, giovane di 21 anni, nerd alla mano e spiritoso.

Il suo libro, Null01- La storia di Downey, distribuito dalla Libreria Bonanzinga (anch’essa nostrana), è stato presentato presso i locali dell’istituto tecnico industriale Verona Trento e in alcune province di Messina.

Noi abbiamo avuto il piacere di averlo come ospite di Radio UniversoMe e questa è la sua intervista.

Umberto, tu hai scritto questo libro, ‘’Null01- La storia di Downey’’, che si può trovare sia in forma digitale che cartacea. Di cosa parla?

Sì, è pubblicato anche in cartaceo ed è disponibile presso la Libreria Bonanzinga. Il libro viene esposto come un secondo viaggio dantesco (niente di meno!). È un romanzo a sfondo psicologico- narrativo e parla di come una persona può reagire a seguito di uno shock, sia esso positivo o negativo. Ognuno di noi, infatti, può reagire in maniera diversa: chi inizia a soffrire di depressione, chi sviluppa doppie personalità. In questo caso, attraverso il romanzo, viene raccontata la storia di questo uomo che fa il programmatore informatico e nel tempo libero studia biologia. A un certo punto si trova in uno stadio di fermo appunto perché, essendo un informatico e non un biologo, non riesce ad andare avanti, si trova davanti a un muro: lui, infatti, studia su studi già fatti. E questo lo porta ad uno stato di depressione e stress. La sua mente, quindi, non può far altro che trovare altri piani che prendono vita sotto forma di un’ape azzurra. Questa si riferisce all’ unica guida mentale dello stato in cui si ritrova.

Quindi, sostanzialmente, un viaggio nella sua stessa mente.

In un certo senso. Il punto sta, però, nel fatto che è tutto fine a sé stesso, non coinvolge il mondo, tutto avviene nella sua testa. Intorno a questo sta il secondo viaggio dantesco: è come un Dante dei nostri giorni.

Diciamo però le cose come stanno, Umberto: un romanzo non è un vero romanzo se i personaggi non fanno all’amore almeno una volta.

Eh, diciamo che, nel mio caso, i personaggi lo fanno con il cervello!

Sappiamo che lo hai presentato in alcune province di Messina, a giorni, inoltre, lo presenterai proprio qua a Messina, presso l’istituto Verona Trento.

Sì, lo ho presentato sia a Spadafora, che nel comune di Naso dove ho trovato persone, che mi hanno ospitato, davvero squisite. La presentazione a Messina durerà circa un’ora e spero di vedere il coinvolgimento delle persone de dei ragazzi! Devo dire che, comunque, sono contento, perché ha avuto molti feedback positivi. Oltre i soliti curiosi, anche alcuni professori mi hanno i complimenti, dicendo che ho preso spunto da Kafka (che io, però, non ho mai letto!).

Toglici una curiosità, come è nato il tuo libro? Cosa ti ha ispirato?

Allora, il libro è nato da un disegno che ho fatto io stesso: sarebbe l’ape che c’è sulla copertina del libro. Quindi la storia è stata ispirata da me stesso. Poi ci sono stato un anno a scriverlo, tra alti e bassi, per cui ci sono dei momenti di allegria e dei momenti un po’ più introspettivi, legati al fatto che, ovviamente, durante questo anno, io stesso ho affrontato periodi della mia vita diversi.

Ma quindi è un po’ autobiografico?

No, vi giuro di no!

Da cosa è nata questa idea di scrivere un libro? Ad alcuni rimane per sempre questo ‘’sogno nel cassetto’’, tu, invece, ci sei riuscito!

Io sono dell’idea che tutti possono scrivere un libro e che, allo stesso tempo, non tutti possono. Perché, inutile nasconderlo, ci sono dei momenti in cui vorresti mollare tutto, perché non ci riesci, non sai più cosa devi dire: il classico blocco dello scrittore. Bisogna avere costanza, questo sicuramente, e non mollare nemmeno durante quei momenti. Bisogna essere, in ogni caso, fieri delle proprie opere.

Umberto per noi sei un grande esempio anche perché, se non sbaglio, ancora non sei laureato. Secondo te, cosa serve realmente a un ragazzo, che magari non ha terminato gli studi come te, per mettersi in gioco e realizzare qualcosa di concreto?

No, purtroppo, ancora no!

Secondo me il problema non è tanto dei ragazzi che non fanno qualcosa, il problema sta nel fatto che non c’è partecipazione. Questa è la grande pecca dei nostri cittadini. Ci sono tantissimi eventi di diverso genere in tutta la città, in svariati locali e così via: ma nessuno partecipa. Ci lamentiamo tanto ma poi, a conti fatti, il nuovo non ci interessa.

E allora grazie perché sei un grande esempio per la nostra generazione e, soprattutto, in bocca al lupo!

Grazie a voi ragazzi, siete fortissimi!

Elena Anna Andronico

 

Elezioni studentesche: proclamazione sospesa in attesa del pronunciamento del TAR

Sono state completate le procedure di scrutinio e verbalizzazione relative alle elezioni dei rappresentanti degli studenti in seno al Senato Accademico, al Consiglio di Amministrazione dell’Ateneo, ai Consigli dei Dipartimenti e dei Corsi di Laurea, al Comitato Sovrintendente alle Attività Sportive Universitarie (CSASU), nonché di un rappresentante dei Dottorandi e Assegnisti di ricerca in seno al Senato Accademico e di un rappresentante degli Specializzandi in seno al Senato Accademico. La proclamazione verrà effettuata dopo che il TAR concluderà la fase cautelare, pronunciandosi sulle istanze di sospensiva avanzate dai rappresentanti delle liste che erano state escluse per irregolarità nell’autentica delle firme. Le udienze, presso il Tribunale Amministrativo di Catania, sono già state fissate per il 15 dicembre prossimo.

Pesce Zebra: come può un minuscolo pesciolino aiutare l’essere umano

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Pesce Zebra, Daino Zebrato, Zebrafish, Danio Rerio: questi sono i nomi con cui viene chiamato lo stesso piccolo pesciolino d’acqua dolce, appartenente alla famiglia Cyprinidae.

Il pesce zebra è molto comune in Asia, anche se lo si ritrova in quasi tutti gli acquari del mondo poiché si adatta facilmente ai vari habitat. Negli ultimi anni è diventato il modello animale più utilizzato negli studi di sviluppo e di funzione di geni, in tossicologia, oncologia e di rigenerazione.

La ragione di questo ampio utilizzo è sia di natura genetica, il suo genoma sequenziato nel 2001, è infatti molto simile a quello umano, sia di natura pratica poiché è un pesce che si riproduce molto velocemente ed i suoi embrioni, trasparenti, facilitano l’osservazione di numerosi aspetti biologici legati allo sviluppo e differenziazione cellulare.

La particolarità, in assoluto, del pesce zebra è che il suo organismo è in grado, allo stadio larvale, di rigenerare tutti i tessuti, per questo motivo è un modello di grande interesse per la medicina rigenerativa.

Negli ultimi mesi, grazie ai ricercatori della Duke University, è stato visto che, tra i tessuti dell’animaletto, anche il tessuto nervoso detiene questa capacità di rigenerazione. Se, infatti, l’animale va incontro a una lesione al midollo spinale, nell’arco di 8 settimane questa si rigenera.

L’esatto contrario accade nell’uomo. Il midollo spinale dell’essere umano, essendo il nostro tessuto nervoso di tipo permanente e quindi perdendo la capacità di rigenerarsi, non può andare incontro a tale fenomeno. Succede quindi che, se il midollo spinale si lede, si va incontro a paralisi o, nei casi più gravi, a morte.

Ma, qual è il meccanismo biologico che avviene nel pesce zebra? Se c’è una lesione nel midollo spinale dello zebrafish, questo va incontro ad una fase di rigenerazione durante la quale si crea un ponte cellulare al di sopra di essa. Un gruppo di cellule nervose di supporto (le cellule della glia) forma proiezioni che si estendono a distanze di decine di volte la loro lunghezza: solo a questo punto nuove cellule nervose le seguono a ruota, riempiendo il “buco” della ferita.

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Tra le decine di geni di zebrafish che si sono mostrati più attivi dopo una lesione spinale, i ricercatori ne hanno identificati sette che codificano per proteine secrete dalle cellule. Una di queste, chiamata CTGF (fattore di crescita del tessuto connettivo) ha calamitato l’attenzione perché i suoi livelli sono massimi nelle cellule della glia che intervengono a far da ponte in caso di danno. Quando gli scienziati hanno eliminato geneticamente il CTGF dagli zebrafish, gli animali sono risultati incapaci di riparare alle lesioni.

La versione umana di CTGF condivide il 90% degli amminoacidi con quella degli zebrafish: quando i ricercatori hanno aggiunto il nostro fattore di crescita alle lesioni dei pesci, gli animali sono ritornati a nuotare a due settimane dal danno.

La differenza sembra essere nel modo in cui la proteina viene controllata: la semplice presenza di proteina CTGF nell’uomo non garantisce infatti la medesima capacità di rigenerazione. Gli stessi studi compiuti sui topi chiariranno forse perché, nei mammiferi, non avvenga un simile processo di guarigione e se, in qualche modo, si possa “insegnare” al nostro Dna il segreto del pesce zebra e, finalmente, trovare una cura anche per noi.

Elena Anna Andronico

Grazie, UniVersoMe

È passato un anno e mezzo dalla prima volta che venne nominato “UniVersoMe”, progetto nato dalla collaborazione tra Università e studenti.
Nel corso dei mesi, una semplice idea è diventato un vero e proprio progetto, una testata giornalistica ufficiale in cui dire la propria, imparare a scrivere, farsi apprezzare dai lettori, intrattenere gli ascoltatori in radio, cimentarsi in esperienze che vanno oltre il canone dell’Università-esamificio, che UniVersoMe si è sempre riproposta di abbattere.

La foto di seguito rappresenta la prima riunione ufficiale del Direttivo di UniVersoMe, là dove tutto iniziò. I primi dubbi, la prima linea editoriale da adottare, l’identità da dare al giornale, quella della radio, l’impostazione del sito, la voce da spargere tra gli studenti.

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Dal lancio ufficiale di UniVersoMe, a dicembre, sarà passato un anno. Un anno in cui il progetto ha iniziato a prender forma, a pedalare, per poi non fermarsi più. In breve tempo, iniziano ad arrivare numerose candidature per scrivere, fare gli speaker, per partecipare al progetto.

Pochi mesi, e la testata inizia ad essere presente ovunque: in prima linea in qualsiasi evento universitario, dalla Piazza dell’Arte all’Unime Live Show, dalle giornate di orientamento alle conferenze più importanti in Ateneo, dai tornei di calcetto al Messina Olympic Party, dalla Notte Bianca dello sport universitario alla election week del nostro Ateneo.

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Esperienze importanti che hanno permesso a tutti di maturare, di conoscere prima che dei collaboratori e dei colleghi, degli amici.

Non sono mancate, poi, le iniziative: dai contest sulla pagina, al flash mob “Unime Water Battle”.

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Dopo un anno e mezzo di mandato, ci sarebbe tanto, tantissimo da dire, ma spesso (triste ironia della sorte per un aspirante giornalista), non sono le parole a poter descrivere tutte le emozioni.
L’unica cosa che vale la pena di dire, senza frasi di circostanza, è che è stata un’esperienza incredibile. Un grazie a tutti quelli che si sono dedicati ad UniVersoMe, a chiunque abbia dato fiducia al gruppo, a tutti coloro i quali hanno reso questo mio “mandato” così intenso e speciale, ad una meravigliosa redazione, ad un direttivo speciale.

I ricordi sono tantissimi: dalle corse in ufficio stampa, dove si trovava sempre il sorrisone di Valeria e lo sguardo critico (ma sempre affettuoso sotto sotto) di Luciano, al “Bonjo sta scrivendo…”, gli stereotipi con Elena, i chilometri di Giulia a scattar foto, le immense scalette di Claudio e i mille messaggi del gruppo radio, i problemi di VPN prontamente riparati da Salvo Bonjo e Daniele, il duo Gugliotta-Paologiorgio, lo statuto di Valerio.

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Si sa, ogni addio fa male (Pragma almeno ha avuto la propria rivincita sul gruppo Whatsapp, ma questa è un’altra storia), ma ogni fine segna un nuovo inizio, e l’avvenire di UniVersoMe appare già da ora quanto mai radioso e pieno di prospettiva.

Vi auguro il meglio.

presentazione

Alessio Micalizzi