Ai tempi dell’università (a)Social: Instagram.

Sicura è solo la morte, diceva mia nonna. Cara nonnina, se tu ci fossi ora penseresti che siamo degli imbecilli (già lo pensavi all’epoca di MSN, quindi figurati).

Sicura è solo la morte… E gli studenti che procrastinano le loro giornate sui social. Quelli sono sicuri forse più dell’amica friz, là.

E qua subentriamo noi. In un momento di intesa riflessione shakespeariana, essere o non essere, dormire o non dormire, mangiare o mangiare fino a scoppiare, ci siamo chieste…

Facebook o Instagram? Questo è il problema.

Un problema davvero esistenziale (si vede che non ne abbiamo tanti di problemi, no?). Beh, guardiamo in faccia la realtà: è così.

Le nostre giornate di studio oscillano tra momenti di noia e dolore, con piccoli picchi di ‘’questa la pubblico su Instagram o su Facebook?’’

E, quindi, la vera domanda è: e TU, si tu, lettore di UniVersoMe… Che studente sei?

 

Lo Studente su Instagram:

  • L’instagrammer ‘’Solo Nature Morte’’

Questa è una delle categorie più atroci che descriveremo.

L’instagrammer “solo nature morte” vive in diretta streaming manco fosse al Grande Fratello speciale Università. Il suo profilo instagram è costantemente aggiornato; Foto, foto, foto e ancora foto ovunque e comunque. Se vi dicessi che il soggetto in questione vive costantemente con lo smartphone in mano, sarei banale (chi di noi non lo fa, dai.. su)

La sua particolarità, però, è quella di tenere sempre attiva la fotocamera. La mattina si sveglia? Foto del libro accanto alla tazza di premuta d’arancia. SCATTATO E POSTATO. Deve dare un esame? Foto del prima e del dopo al libretto (Anche qui… Scattato e Postato) Arriva in facoltà? Foto di sedie, banchi, penne, matite, cattedra e professore.. #LessonTime.

Si, perché gli hashtag sono forse la parte peggiore. Rigorosamente in inglese giusto per sentirsi un po’ più vicini ai colleghi di Oxford, che poi vorrei proprio vederlo uno che ad Oxford utilizza un hashtag del genere (Amici di Oxford vi lanciamo una sfida. Tutti con l’hashtag #ItaliansDoItBetter)

Il posto preferito degli Instagrammer “solo nature morte”? Senza dubbio le biblioteche, il miglior punto di ritrovo per gli scatti da 30 e lode.

  • L’influencer instastories compulsivo

Dai, ammettiamolo: a chi di noi non è piaciuta l’idea delle InstaStories? Quando MARK ZUCKENBERG, sempre il solito simpaticone, ha aggiornato l’app ha fatto un passo in avanti verso la nostra completa rovina (sono quasi sicura che faccia parte di un complotto internazionale per lavarci il cervello a tutti).

 

Da quel momento le persone si sono divise: chi ha continuato a postare in tranquillità e chi ha iniziato ad avere l’InstaStory compulsiva.

E qua entriamo in gioco noi studenti: similmente all’amichetto del punto 1, lo studente ossessionato dalle InstaStories mostra ogni singolo minuto della sua giornata di studio.

Autoproclamandosi regina delle celebrità (no bella, no magnifica MA senza pietà per noialtri), lo studente influencer ci rende perennemente aggiornati dei suoi spostamenti.

 

Non solo: fa l’update come le app. Si aggiorna. Prima erano solo video o foto di lui a lezione/mentre studia/ in biblioteca/ #pausacacca! Poi sono subentrati gli effetti. E i Boomerang. E i video da lontano che tanto c’è l’opzione senza mani (manco fossimo alle giostre). E gli adesivi. E gli adesivi con la posizione. E gli adesivi con l’orario. MA BASTA MARK TI PREGO ABBI PIETA’.

 

Speriamo solo che le sue conoscenze non si eliminino dopo 24h come le sue amate storie, sennò mi sa che finisce a #18&sto.

  • Il Chiara Ferragni dei Poveri

Ah meraviglia. Loro non sono studenti, sono degli sculati. VE LO GIURO. Sono i nostri Chiara Ferragni: viaggiano, ogni notte fanno serata, si rilassano con lo shopping e #Sushino?, che non guasta mai.

 

Che tu guardi i loro post e ti chiedi: MA COME CAZZO FAI, AMICO?

Sui loro profili l’università non è esistente, zero. Solo nuovi outfit, nuovi piatti, nuovi luoghi con #landascape da sogno. Ma PERCHE’?

 

Eppure studiano, vengono a lezione. Come lo sai? Perché LI VEDI. Cavolo, sempre abbronzati e rilassati, pronti per il prossimo hashtag, mentre tu fai schifo e ti sei ridotto come un verme insonne che dalla vita non ha niente.

 

ChiarE Ferragni: vogliamo sapere il vostro segreto. VI PREGHIAMO. Rendereste la nostra vita migliore.

 

  • L’incoerente

Avete presente quello che “no, le Nike le odio”, e poi le compra. “No, io a quella festa? Mai” e poi ci va. “No, io con quella non ci uscirei mai” e poi ci si fidanza (vabbè, diciamo che questo nei film succede tipo sempre)

 

L’incoerente è incoerente sempre, ma anche e soprattutto sui social. Odia e percula tutti quelli che ne fanno un utilizzo spropositato “Compà, cazzo ti posti?”. Finge di essere completamente disinteressato all’universo di like e commenti, si perché FINGE.

 

Prova particolare ribrezzo per coloro i quali sputtanano l’#UniversityLife su Instagram. Ma, ve l’ho già detto… FINGONO, FINGONO SEMPRE.

Con un po’ di attenzione riuscirete a scovare la loro reale ma segreta passione.

 

L’incoerente ha iniziato a seguire Università degli Studi di Messina, UniVersoMe, Vita Universitaria e Lo Studente Modello (con tutte foto di studenti a petto nudo in passerella) L’incoerente ha messo “mi piace” a una foto di Pietro Navarra. Ha lasciato un commento su una foto di “Studenti Disperati”… “Chi non si dispera non piglia CFU” ha scritto…

 

Poi si laurea e… Corone d’alloro, tesi di laurea, torte, champagne e regali. #AdMaiora. No… #AdFanculo.

 

“Ma io uso di più Facebook”… Non ti preoccupare, caro lettore. Arriverà anche il tuo momento, basta che aspetti la prossima settimana.

@elegram18  ( Elena Anna Andronico)

@vanemuna ( Vanessa Munaò)

A Girl At My Door: la vita nella Corea di periferia.

Lee Young-nam (Bae Doona), un’ ispettrice di polizia, è costretta a trasferirsi da Seoul alla stazione di Yeosu, qualificabile come un paesino tranquillo.

La donna, essendo “la nuova arrivata” mantiene un profilo basso, chiudendo un occhio su qualche infrazione, ma senza dimenticare compito che deve svolgere. Nonostante ciò alcuni abitanti di Yeosu sembrano avere una certa diffidenza e un atteggiamento di superficialità nei confronti di Lee, probabilmente non riconoscendola al pari delle normali autorità.
La sua figura, inoltre, è circondata da un alone di mistero, derivante non solo dalla mancata conoscenza della causa del suo trasferimento, ma anche per la sua abitudine a bere una volta tornata a casa dopo il turno.
Un giorno, dirigendosi alla stazione per svolgerne uno, Lee incrocia dei ragazzini intenti a bullizzare un loro compagno di classe. Fatto tornare l’ordine, scopriamo che in realtà quella ad essere stata picchiata è una ragazzina molto trasandata e questo particolare fa incuriosire l’ispettrice, che segue la bambina nel suo tragitto di ritorno verso casa.
In questo modo scopre che quest’ultima vive con il padre e la nonna, senza la madre che li ha abbandonati.
Questo non sarebbe un problema se non per il fatto che proprio questa sua “famiglia” la maltratta sia psicologicamente che con veri e propri abusi fisici. La situazione non è accettabile e Lee decide di denunciare il fatto alla polizia, ma qualcosa va storto.
Sembrerebbe che il padre della bambina, di nome Park Yong-ha (Song Sae-byeok), sia il maggior allevatore di ostriche del paese rivestendo un ruolo chiave nell’economia di Yeosu, per cui gli ufficiali decidono di parlare con Yong-ha in persona piuttosto che procedere per via legali poiché questo avrebbe compromesso la sua figura e attività.
Il tentativo di aiuto e l’interesse mostrato nei confronti di Sun Do-hee (Kim Sae-ron) – ovvero la bambina maltrattata – portano quest’ultima ad  avvicinarsi a Lee, nonostante l’ispettrice non ne sia molto felice.

A Girl At My Door è un film di totale produzione coreana e particolare per molti aspetti.
Tratta temi delicati, difficili da trattare e sicuramente importanti (non si entrerà nello specifico per evitare di rovinare l’esperienza a chiunque voglia vedere il film). Ma questa è solo una delle varie particolarità di cui si è detto prima, infatti le due protagoniste del dramma coreano, Bae Doona e Kim Sae-ron, decisero di recitare nonostante non vi fosse un budget che permettesse alla produzione di pagare la loro prestazione. In parole povere, hanno recitato in maniera assolutamente gratuita.
Con un budget di soli $300,000, la regista July Jung, ha proposto un problema forte ed evidente che spesso è presente nelle periferie coreane. Il film non risulta eccelso, comprensibilmente vista la misera disponibilità economica per girarlo, con diverse vicende discutibili e toni che a volte tendono ad essere un po’ troppo bassi e quasi noiosi. Tuttavia, A Girl At My Door è da apprezzare nelle sue piccolezze e sicuramente, visti i molti ostacoli di produzione, non da biasimare.

Giuseppe Maimone

Al via la Scuola di Liberalismo

Oggi si è svolta la  conferenza stampa nella Sala Senato dell’Ateneo per la presentazione della Scuola di Liberalismo Fondazione Einaudi, un corso di formazione politica e culturale organizzato in collaborazione con Unime, giunto all’ottava edizione.
Il corso si svolgerà presso l’Aula Magna dell’ex Facoltà di Economia e sarà diretto e coordinato dai professori Giuseppe Gembillo e Pippo Rao, rispettivamente direttore scientifico e generale della Scuola di Messina.
In totale sono state previste 18 lezioni, da due ore ciascuna, articolate nel periodo compreso fra aprile e giugno. Relazioneranno sia docenti interni che ospiti esterni.
Il 3 aprile il primo appuntamento.
La Scuola, presieduta dal prof. Giuseppe Benedetto, è sorta a Roma nel 1988 e ha finora svolto la sua attività in quattordici città d’Italia, tra cui appunto Messina.
Le finalità del corso annuale sono state presentate dal prof. Gembillo: “L’obiettivo è quello di offrire ai giovani ciò che possiamo considerare il vanto della cultura occidentale, ovvero il liberalismo, erede della democrazia ateniese, della filosofia della ragione, dei valori tradizionali, dell’etica cristiana, dei principi del diritto romano in cui il cittadino è inviolabile”.
Il professor Pippo Rao, il quale ha evidenziato la collaborazione e il patrocinio, oltre che dell’Università di Messina, della Fondazione Bonino-Pulejo e di sei ordini professionali.
Alla conferenza stampa è intervenuto anche il Responsabile delle Relazioni Istituzionali della Fondazione Einaudi, Edoardo Milio, sottolineando “la soddisfazione per la risposta incisiva delle istituzioni in merito all’iniziativa”.
Le lezioni si svolgeranno il lunedì e il giovedì dalle ore 17 alle 19. Sono incontri destinati a tutto il territorio.
Chiunque vorrà iscriversi potrà farlo scrivendo a www.scuoladiliberalismofle.it.
La formalizzazione e il versamento del contributo per le spese (€ 30, comprensivi del libro degli appunti delle Scuole precedenti) avverranno alla prima lezione utile.
Gli iscritti, che abbiano seguito almeno 12 lezioni, riceveranno l’attestato di frequenza e i crediti formativi stabiliti dai Dipartimenti Universitari e dagli Ordini Professionali.
I partecipanti di età inferiore ai 32 anni potranno, inoltre, concorrere a 3 borse-premio messe in palio da vari enti. La prima, intitolata a Paolo Magaudda, del valore di € 500, offerta dalla Fondazione Luigi Einaudi; la seconda, del valore di € 500, stanziata dall’Ordine dei Notai di Messina; la terza, di € 500, concessa dal Coordinamento messinese della Fondazione Luigi Einaudi.

 

Arianna De Arcangelis

Mi sento un po’ l’apprendista stregone

E’ dura, non è semplice. Avere 21 anni, intendo. Gli acciacchi si fanno sentire, non riesco più a giocare due partite di calcetto nella stessa settimana, se starnutisco 4 volte di fila già mi vedo protagonista del prossimo funerale dentro la chiesa di San Luca e se salgo gli scalini a due a due mi ci vuole un trapianto di cuore arrivato in cima (e si parla di superare un piano). Non ho l’età, potrei dire, ma non la sento neanche addosso. Studio, ed a volte lavoro, e già mi basta per arrivare ko al venerdì, per poi passare un weekend da brivido tra tisana al finocchio (anche allo zenzero se mi sento ispirato) e biscotti pronto per una carrellata davanti Netflix.

Anche se a dire il vero, così vecchio non sono mai stato, o meglio, non mi ci sono mai sentito ai tempi della scuola, per intenderci, quando credevo che avere 20 anni e seguenti, anche avere 18 anni per dirla tutta, significasse una sola cosa: indipendenza economica. Si ero uno di quelli che appena terminato il liceo si vedeva con il portafogli non dico gonfio ma comunque mediamente pieno, capace di gestire le spese e magari ricamarci anche sopra. Quando ero adolescente mi chiedevo come fosse possibile che amici di 19, 20 o più anni prendessero uno stipendio di 500 o 600 euro e arrivassero a dire “non mi è rimasto un soldo sto mese”. Conseguito il diploma presi di faccia la realtà, nel senso, proprio sul muso. Per iscrivermi all’università la mia famiglia strinse la cinghia per pagare iscrizione, tasse e libri. Decisi quindi di dare una mano e risposi ad un annuncio. “Cercasi apprendista in azienda di smistamento prodotti farmaceutici per controllo ordini”, in sostanza, volevano qualcuno che spuntasse la lista di controllo di ogni carico di medicine arrivato in città per portarli poi nei vari esercizi. Mandato il mio curriculum ricevetti secca una risposta “cerchiamo un’apprendista ma vorremmo avesse almeno fatto una minima esperienza”.

Certo, “cercasi auto massimo km 150.000 però la volevamo più bassa di 150.000 quindi la tua non me la compro”, ma allora che scrivi 150.000 km? Presi atto del tutto e cominciai a studiare all’università per poi finire a lavorare nel campo in cui mi sentivo più a mio agio: il giornalismo. Era facile. “Vorrei scrivere per voi”, si, e la paga? “Non posso retribuirti se non hai il tesserino”. Tu volere cammello? E allora ti tocca lavorare sodo, gratis, per poi essere assunto, per poi essere pagato poco e poi continuare a pagare tu per prendere un altro tesserino, per diventare professionista e proporti ai giornali per una retribuzione sana che al mercato mio padre comprò. Il giornalismo diventò un hobby e passai a fare il blogger per un sito che pagava “a provvigione”: più visualizzazioni più soldi, ma senza un minimo di 12000 occhi puntati sul mio articolo, non scattava il pagamento. Iniziai, non avevo niente da perdere, ma non sbarcai mai effettivamente, riuscivo a fare bei numeri, ma per la misera paga di 1,50 € al mese, vista la concorrenza. Lavorai anche per un sito dove era possibile mettere in vendita ciò che si scriveva ma dove non vi era pubblicità (toccava informare gli acquirenti attraverso messaggi privati) ed i diritti d’autore sparivano nel momento in cui tutto veniva messo online: io scrivo per te, tu lo compri, ci metti il tuo nome e mi paghi. Anche lì, per le difficoltà di gestione (avevo 19 anni), non si cavava un ragno dal buco.

Arrivato a 20 anni mi capitò addirittura, lungo il cammino, di vendere entrate nelle discoteche ma a Messina, specialmente, tutti PR, dj, fotografi e modelle, quindi capite quanto il campo economico fosse già pieno di avventori. Rimediavo il mio pass, qualche drink ma finiva lì. Ho anche indossato le cuffie di un call center ma anche qui si, c’è un fisso, ma senza vendere almeno un tot di contratti telefonici non c’è lo stipendio, e già far spendere un euro alle persone è complicato, figuriamoci proporre pacchetti da 10 o 15 € per le schede telefoniche. Quest’estate ho iniziato a lavorare per un ditta di trasporti, un impiego massacrante visto il caldo torrido di luglio, ma per fortuna mediamente remunerativo, l’intesa poi terminò per tagli al personale, nonostante la paga non fosse chissà cosa (a due cifre ed uno 0, e no, la mezza piotta non la si raggiungeva). Sono poi finito a fare il cameriere ma anche lì, tra impegni universitari ed altri impieghi finì per mollare, o meglio, finì per essere costretto a mollare. I curriculum che ho inviato non li ho più contati, ma la risposta non è mai stata tanto differente da quella sopra. “Cercavamo una figura come lei, se solo avesse avuto più esperienza”, “Purtroppo cerchiamo qualcuno da formare ma che già sia un po’ formato, mi spiego? (no fratello stai a pezzi)” e via dicendo. La verità è che Messina in particolar modo, ma in generale questo paese, non è affatto un paese per giovani, i fratelli Coen qui avrebbero avuto qualche problema con il titolo del loro film (chi capisce la citazione è evidentemente disoccupato perché ha tempo di guardare film tipo all day all night).

E allora che ho fatto, niente, mi sono adattato, sto facendo la mia esperienza: con 37 di febbre sono ko, al quarto starnuto mi si stacca il bypass, prendo l’ascensore per fare un piano, le partite di calcetto le commento da fuori il prato e, soprattutto, se cerco di costruirmi un curriculum mi viene risposto che sono troppo giovane. Ho deciso, comincio a fare esperienza così, diventando vecchio, stando sul divano, rimanendo ad invecchiare in una nazione che su di me non ci ha scommesso mai, che su di voi non ci ha scommesso mai, che ci rinchiude in bandi che richiedono peculiarità che non tutti possono avere (perché non tutti possono permettersele) o che ci vuole attivi ma a provvigione, che ci vuole apprendisti ma con esperienza. Non so voi, ma io l’unico apprendista a cui somiglio è l’apprendista stregone, tanto spaventato da ciò che può fare che è sempre convinto che non sia abbastanza e, per questo, rinuncia a tutto, muove le scope a caso e spera che qualcosa accada. Vi lascio, che a 21 anni stare troppo al computer mi fa bruciare gli occhi da morire.

Claudio Panebianco

Feud – Bette & Joan.

E’ sempre un azzardo valutare una serie tv dai primi episodi , specialmente se è una novità.
Feud è l’ultima “figlia” di Ryan Murphy , il re di FX e una delle menti più valide che ci siano nel panorama c.d. seriale.

Dopo il successo di American Crime Story: OJ Simpson (arriverà a breve il ciclo basato sulla storia dell’uragano Katrina) si è imbarcato in questo nuovo progetto che racconta storiche faide. Murphy ha già dichiarato che il ciclo di Feud non avrà sempre al centro lo showbiz e che la seconda stagione vedrà protagonisti i reali inglesi Diana e Charles.

Feud in questa prima stagione racconta il leggendario conflitto fra le iconiche attrici Bette Davis e Joan Crawford rispettivamente interpretate da Susan Sarandon e Jessica Lange.

Il primo episodio si incentra sul momento di crisi che Joan Crawford affrontò alla soglia dei suoi 60  anni perché non le venivano offerte parti, scoperto il libro “Che fine ha fatto Baby Jane?” propone al regista Robert Aldrich (Alfred Molina) , anche lui in un momento di difficoltà, la trasposizione cinematografica. Propone inoltre di scritturare come sua contro parte Bette Davis (anche lei in quel periodo non se la passava bene faceva la caratterista al teatro)

(a sinistra Davis e Crawford a destra Sarandon e Lange)

Già allora i tabloid marcavano la rivalità fra donne e una loro vociferata reciproca antipatia , la Crawford propose la parte alla Davis per smorzare questi pettegolezzi e far tornare entrambe sotto la luce dei riflettori.
Come ci dice Catherine Zeta-Jones / Olivia de Havilland : “le faide non riguardano mai l’odio. Le faide riguardano il dolore”.

La Hollywood cattivissima , uno spietato Jack Warner (Stanley Tucci) , puniscono queste due donne per il loro desiderio di continuare a lavorare a progetti validi a “ben” cinquanta anni.
Bette Davis era una donna che non si piegava alle logiche hollywoodiane, voleva essere libera di scegliere i progetti sulla base di ciò che riteneva più adatto per sé. Joan Crawford era una donna molto dura con se stessa e nel corso degli episodi vediamo anche la tua “relazione” con la vodka.
Quindi cos’è che accomunava queste due donne? La loro incapacità a sottomettersi, andarono contro l’industria e ne pagarono le conseguenze alcune volte.

Bette Davis, Jack Warner, Joan Crawford

Ryan Murphy è molto scrupoloso, quasi maniacale nelle ricostruzioni scenografiche e negli eventi. C’è una attenzione enorme all’estetica, tratto distintivo nella serie American Horror Story. 

Molto del materiale nozionistico utilizzato per le ricostruzioni degli eventi sono frutto di lunghe ricerche e anche delle quattro ore di intervista che lo stesso Murphy ebbe con Bette Davis negli ultimi anni della sua vita. Alcuni fatti sono certi come la cena a casa della giornalista di gossip Hedda Hopper (una eccelsa Judy Davis) la quale voleva degli scottanti scoop ma le due attrici mantennero un atteggiamento molto amichevole. Nessuno sa cosa successe ad un certo punto delle riprese , qualcosa si incrinò colpevoli anche i tabloid, quindi la ricostruzione non si affida a notizie certe.
E’ Hollywood allo stato puro, raccontato in maniera schietta e romanzando lievemente.

 

Cede molto alla critica sociale, il paragone con la situazione delle donne nel mondo del lavoro odierna è facile, affronta la misoginia, l’invecchiare e la relazione con la società e il sessismo. C’è una frase significativa in cui Robert Aldrich si lamenta del fatto che Crawford e Davis si sono alleate contro di lui e fa un paragone con Jack Palance e Lee Marvin i quali non si sarebbero mai comportati così e la moglie gli risponde “No, non ne avrebbero avuto bisogno perché sono uomini”.
Murphy , che è un rivoluzionario e da sempre voce per un cambiamento per quanto riguarda le discriminazioni, ha voluto che per questa antologia la metà degli episodi fossero diretti da registe donne inoltre il cast (stellare come sempre) conta 15 personaggi fra principali e non di donne tutte over 40.

Jessica Lange torna ad essere diretta dall’uomo che anni fa la rilanciò con l’antologia di AHS , un ruolo che le calza a pennello ma la donna sorprendente è Susan Sarandon la quale è la perfetta Bette Davis, sarà anche la somiglianza ma recita magnificamente.

FEUD — Pictured: Susan Sarandon as Bette Davis. CR: FX


Poi ci sono Kathy Bates, Judy Davis, Sarah Paulson, Jackie Hoffman, Alfred Molina, Stanley Tucci insomma “ che ve lo dico a fa’ “ .
Ryan Murphy si circonda sempre di attori di altissimo livello, trovando le perfette combinazioni.

E’ un prodotto ottimo, curato fino all’ultimo dettaglio.
Forse molto più incentrato sulla critica sociale che su Bette Davis e Joan Crawford ma siamo solo alla terza puntata ancora non ci si può esprimere completamente.
Certo è che è una serie da vedere, anche solo le prime due puntate.

Arianna De Arcangelis

Abbatti Lo Stereotipo- Gli studenti di Farmacia

Passano le settimane e i nostri viaggi tra i vari dipartimenti continua. Vento in poppa, noi, paladini della giustizia, non ci fermiamo mai.  Con le nostre tutine in silicone e i mantelli che si trascinano tutta la lordìa dei marciapiedi, prendiamo a pugni gli stereotipi di tutto il mondo abbattendoli per sempre.

E oggi, studenti e studentesse di ogni dove, abbattiamo gli stereotipi sugli Studenti in Farmacia.

 

  • Sei un po’ in ritardo, dunque? Farmacia è 3 anni.

‘’Veramente sarebbero 5 gli anni, Farmacia è una magistrale, sono assolutamente in corso.’’

“SE VABBE’.”

Ma se vabbè cosa, ignorante e troglodita? Allora, ve lo diciamo chiaro e tondo una volta per tutte: FARMACIA È CINQUE, C-I-N-Q-U-E, five, cinq, cinco, vyf (detto in africano antico, secondo google traduttore) ANNI. Ci sono, ovviamente, i corsi di specializzazione, i master, i dottorati e tutto quanto ma sono cinque lunghi, temibili, estenuanti anni.

Chiaro il concetto? Noi lo facciamo per voi, prima che uno studente in farmacia vi stacca gli occhi e decide di vedere cosa succede se prova ad adeguarli alla funzione di supposta.

 

  • Ma quindi la tua più grande aspirazione è fare il commesso?

E la tua più grande aspirazione, invece, è alitare in giro senza un motivo apparente? Ora, analizziamo la cosa per bene. Se la mia più grande aspirazione fosse fare il commesso, fermo restando che è pur sempre un lavoro e quindi, come tale, santo e benedetto; SECONDO IL TUO CERVELLINO DA SCIMMIA RIMBAMBITA, avrei studiato tutto questo tempo?

Per dire, eh.

Con tutto il rispetto, avrei mandato a 18 anni il curriculum da Zara e bon. Fine.

Avete idea delle conoscenze che bisogna avere per gestire e lavorare in una farmacia? Per potere vendere determinati prodotti, sì anche cosmetici, o determinati farmaci? (veramente nemmeno io l’avevo, ecco la bellezza DELL’INFORMAZIONE, scimmiette adorate)

Avete idea che bisogna conoscere le molecole che compongono ognuno di essi, le loro funzioni e i loro effetti collaterali o di interazione, prima di venderli ad un cristiano?!

O pensate che ci si limita a dare scatole ad muzzum? E certo, no? Tanto, se ti do il viagra per combattere la diarrea è la stessa cosa.

 

  • Aaah, ma quindi sei ricco, hai una farmacia!

Beh, no, non si ha per forza una farmacia. E quando si dice questo, ‘’no, non ho una farmacia’’, il seguito del discorso è il punto 2.

Sicchè, l’ebete di turno, dalla sua genuina ignoranza, chiede ‘’e cosa ci fai allora, con la laurea?’’

Coriandoli. Sono un appassionato del carnevale quindi mi diletto a prendere lauree a caso così da poter trasformare libri, tesi e pergamene in coriandoli.

CI FARO’ ALTRO, NO? Avete mai sentito parlare di informatore farmaceutico? Dei rappresentati? O di farmacia clinica? Avete presente quelle grandi strutture dove dentro ci stanno le persone malate che hanno bisogno di farmaci? Pensate, forse, che c’è un grande Dio che li sparge a ondate dal cielo? Oppure, i ricercatori? La formula ‘’studi condotti sui topi’’, non vuol dire che sono i topi a sperimentare nuove molecole, giusto per essere chiari.

(ma anche se avessi una farmacia e fossi ricco sfondato, mi chiedo quanto devo aspettare prima che ti fai i c***i tuoi)

  • Perciò ve lo insegnano a leggere la scrittura dei medici?

Ovvio. C’è una materia che si chiama ‘’Medichese’’ e, allegato, il vocabolario medichese- italiano e italiano- medichese.

Questa domanda è proprio la battuta dell’anno. Decine e decine di simpaticoni pensano che sia il modo più simpatico per rompere il ghiaccio. Perché è, per noi tutti, TERRIBILMENTE DIVERTENTE passare ore a decifrare la scrittura di quei colleghi COSI’ PIGRI da non avere nemmeno la decenza di scrivere un minimo per bene.

No, loro si stancano, sono di fretta e quindi fanno 4 segni. E bisogna capirli. E, NO, non lo insegna nessuno a decifrarli, se non il sudore freddo che scorre dietro il collo le prime volte, con il terrore di dare al paziente l’augumentin invece che il losartan.

 

  • Un giorno, quindi, potrai passarmi i farmaci ‘’BUONI’’ sotto banco?

Quel giorno ti passerò un farmaco tanto buono che non ti sveglierai mai più.

 

Elena Anna Andronico

La Bella e La Bestia: incanto Disney per ogni età.

Era il 1991 quando nelle sale, uscì quello che è stato il 30° film d’animazione della Disney: La Bella e La Bestia.

Questo cartone ha raggiunto il primo grande traguardo del mondo Disney: è stato il primo film d’animazione in assoluto ad essere candidato agli Oscar con ben 5 nomination e, infine, ne vinse due per la Miglior Colonna Sonora e la Miglior Canzone.

La storia della Bella e la Bestia la conosciamo (quasi) tutti. Parla di questa giovane e bellissima ragazza, figlia di un inventore, che abita in un isolato paesino di campagna nel quale si trova stretta. Siamo nel pieno del ‘700 francese e questa splendida ragazza, amante della letteratura, è, per ovvie ragioni, reputata strana, diversa.

Parallelamente, in un castello non molto lontano dal villaggio della ragazza, un giovane principe è stato trasformato in Bestia da una fata, che lo ha fatto per insegnargli che non bisogna mai giudicare le persone dalle apparenze. Infatti, la stessa fata, si era presentata alle porte del castello del giovane arrogante, sotto le sembianze di una vecchina e porse lui una rosa in cambio di una notte di riparo.

Il principe la respinse e lei si rivelò. La rosa era una rosa incantata e solo il vero amore poteva spezzare l’incantesimo. Se nessuno si fosse innamorato della Bestia prima della caduta dell’ultimo petalo della rosa incantata, allora il principe sarebbe rimasto una Bestia per sempre.

Il resto lo conosciamo bene: il padre di Belle si perde nei boschi e cerca riparo nel castello della Bestia, dove viene imprigionato dalla stessa. Belle riesce a raggiungerlo e dona sé stessa in cambio della liberazione del padre.

Da quel momento, tra alti e bassi, inizia questa strana convivenza tra la Bella e la Bestia e, piano piano, tra loro due sboccia l’amore. Un amore che, con una delle morali più dolci e profonde di tutta la Disney, va oltre le sembianze esterne in quanto all’amore basta il cuore e non l’aspetto esterno.

Ed è questo quello che troviamo in questo periodo nelle sale cinematografiche: la fedelissima trasposizione della trama animata in film.

Il film della Bella e la Bestia non lascia delusi perché nulla, a parte qualche parola qua e là nelle canzoni (che, comunque, costituiscono una colonna sonora assolutamente vincente), è diverso dal cartone animato. La magia è rimasta intatta e, grandi e piccini, vengono trascinati da essa in questa favola che così bene conosciamo.

Ci sono, però, delle canzoni e delle scene inedite: queste non spezzano o stravolgono la trama, anzi, ci rendono partecipi di alcuni piccoli particolari che ci fanno affezionare ancora di più a questa storia, che la rendono più umana, più reale. Queste scene inedite (che non vogliamo spoilerare) possono insegnare come tutte le nostre vite sono delle fiabe perché anche nelle fiabe c’è la realtà del dolore e delle sofferenze in cui tutti noi, durante il corso della vita, ci imbattiamo.

Il cast è un cast assolutamente vincente: da Emma Watson (Hermione ndr) a Dan Stevens, Luke Evans, Kevin Kline, Josh Gad, Ewan McGregor. Nella versione originale sono tutti da chapeu in quanto sono loro stessi gli interpreti delle canzoni, mettendo in scena, di conseguenza, un vero e proprio musical.

Nella nostra versione italiana, si riconosce il grande stile del doppiaggio italiano: non ci sono distacchi fastidiosi tra le voci parlate e le voci cantate dei personaggi e, anzi, sono quasi uguali anche alla versione cartone animato tanto da lasciare il dubbio se siano gli stessi doppiatori del ’91.

È stata criticata la figura di Emma, in quanto, ad alcuni, ha dato l’impressione di essere più piccola della Belle che conosciamo: ricordiamoci però che tutte le principesse Disney hanno 16 anni e che, anzi, sono le principesse animate a sembrare troppo donne rispetto alla loro reale età.

Altro punto di dibattito è la figura di Le Tont, il leale amico di Gaston: la Disney ha deciso, in questa versione, di renderlo palesemente un personaggio omosessuale, innamoratissimo del suo amico. Bene o male? Bene! È giusto che la Disney, per prima, spezzi i dogmi che ci circondano e insegni la bellezza della diversità a tutti i bambini, con la sua delicatezza materna.

Per me, promosso con 30 e lode: dolce, veloce, commovente e magico. Personalmente, sono molto legata a questa trama e ai suoi vari insegnamenti. Quello che a me è da sempre arrivato più di tutti, è quello della speranza, del cambiamento che prima o poi arriva: ‘’quando sembra che non succeda più, ti riporta via, come la marea, la felicità’’…

Film o cartone, comunque, il commento è sempre lo stesso: ma chi lo vuole il principe… Noi vogliamo la Bestia!

Elena Anna Andronico

Scivolone CUS

Nella diciassettesima giornata del campionato di Terza Categoria di Messina, un poco concentrato e tanto disattento Cus Unime subisce uno sgambetto casalingo ad opera del Casalvecchio. Una sconfitta a domicilio per gli universitari che costa la seconda posizione in classifica e che consente al Casalvecchio di avvicinarsi alla zona play off.

Domenica 19 marzo, al Nicola Bonanno, alle ore 14:30, il Sig. Costa di Messina dà il via alla partita.

Primo tempo: i primi 45 minuti sono tutt’altro che esaltanti, poche trame, poca lucidità e di conseguenza zero emozioni. Partono decisamente forte gli ospiti che sciupano una nitida palla-gol al minuto 15 con Santoro S., il quale fallisce il tap- in tirando alto dopo una corta respinta in area di rigore di Zito. Per il Cus poco o nulla, pochissima inventiva a centrocampo e troppa poca concretezza da parte degli attaccanti non possono che portare a inconcludenti manovre offensive.

Dopo tre quarti d’ora di pura noia sportiva, il direttore di gara fischia la fine del primo tempo.

Secondo tempo: fortunatamente e inevitabilmente, la seconda metà di gara offre qualche occasione in più. E’ sempre il Casalvecchio però a crederci maggiormente e trova meritatamente il vantaggio con un tiro da fuori di Crisafulli che sblocca il risultato al decimo minuto, 0-1.

Mister Smedile, furioso a bordo campo, decide di cambiare modulo per passare a un super offensivo 3-4-3, per tentare di ribaltare il risultato e non sprecare l’occasione per agguantare la vetta della classifica del campionato. Alla mezz’ora il Cus ha la più ghiotta delle occasioni: verticalizzazione per Stassi che subisce fallo dentro l’area ed è rigore. Dagli 11 metri si presenta Di Bella, ma il bomber universitario stavolta pecca di lucidità, angola troppo e la palla va fuori.

I restanti minuti di gioco sono un’agonia più che altri per i padroni di casa, demoralizzati per l’occasione sprecata e così, lentamente e senza altri importanti spunti, la partita scivola via fino al triplice fischio.

Sconfitta tra le mure amiche per il Cus che disputa la sua peggior prestazione dell’anno e che adesso, a seguito del pari tra Real Zancle e Ludica Lipari e della vittoria dell’SC Sicilia sul campo del Fasport, si trova al terzo posto della classifica a due lunghezze dalla capolista eoliana.

Domenica prossima ci sarà la sosta che in questo momento potrebbe essere una manna dal cielo per il Cus, così da poter recuperare i tantissimi infortunati che evidentemente stanno pesando sulle prestazioni in campo.

Dopo tre vittore di fila, dunque, il Cus scivola in casa contro il Casalvecchio per 0-1.

Tra due settimane gli universitari saranno ospiti del Kaggi, squadra anch’ella vicina alla zona play off e che proverà a fermare la voglia di rivalsa del Cus.

Classifica:

Ludica Lipari 34

Sc Sicilia 33

Cus Unime 32

Arci Grazia 30

Real Zancle 30

FaSport 28

Casalvecchio 24

Stromboli 23

Kaggi* 21

Città di Antillo 13

Cariddi* 11

Malfa 10

*una partita in meno

Formazione Cus (4-4-2): 1 Zito; 2 Russo, 4 Iacopino, 5 Rodà, 3 Insana; 6 Cardella, 8 Lombardo, 7 Papale, 10 Creazzo; 11 Nucera, 9 Oliva.

Panchina: 13 Costa, 14 Smedile, 15 Al Hunaiti, 16 Tiano, 17 Stassi, 18 Di Bella.

Allenatore: Smedile.

Mirko Burrascano

Game Of Thrones: il gioco delle sedie.

Premetto che non riassumerò la trama, perché sarebbe un grossissimo spoiler oltre che un’impresa impossibile. Se dovessi improvvisarmi MYmovies, darei a questa serie tv almeno quattro stelle e mezzo. Uno 0,5 lo teniamo perché l’ultima stagione, la settima, ancora non è uscita. 

George R.R. Martin: dopo aver visto sei stagioni da dieci episodi ciascuna,  proverete anche voi ad immaginare cosa può avere in testa quest’uomo. Non tanto per ‘prevedere’ l’esito degli episodi successivi, ma per capire come possa essere arrivato a sviluppare una trama tanto ingarbugliata.

Game of Thrones è il gomitolo con cui gioca il gatto della nonna. Ogni volta è lì lì per sbrogliarsi, e ogni volta la nonna (in questo caso il nostro George) lo riavvolge come se nulla fosse.
Ho iniziato questa serie tv una di quelle sere vuote di Settembre, quando inizi a sentire il fiato sul collo della sessione che arriva winter is coming” (cit.), e c’è bisogno di smettere di crogiolarsi nelle paranoie almeno un’ora o due.
Probabilmente Game of Thrones (abbreviato in GOT) mi è piaciuta per questo motivo, perché rappresentava a fine giornata un modo di evadere dalla mia piccola realtà fatta di esami e scadenze, ed essere assorbita in un mondo di gente che fa a pugni per una sedia.
E quindi divano, pc sulle gambe, copertina, compagnia di Elena, ed è iniziata la prima stagione.

Considerato il mio scetticismo iniziale devo dire che la prima stagione non mi ha delusa, ma neanche entusiasmata, anzi, un paio di volte mi sono anche addormentata mentre era ancora in riproduzione.
E’ una stagione introduttiva, in cui è fondamentale cercare di capire la dinamica della serie tv, la natura dei rapporti tra i vari personaggi, piuttosto che focalizzarsi sugli eventi.
Un pò come quando apri il libro la prima volta e ti metti ingenuamente a contare le pagine per sapere quanto studierai ogni giorno, senza prestare attenzione agli argomenti.
E così in circa quattro giorni, con l’aiuto del buon mega drive abbiamo finito di vedere la prima stagione.

Dopo qualche giorno di pausa ho iniziato la seconda stagione.
Da qui fino alla sesta stagione (e in particolare la quinta che è la mia preferita) è stato un susseguirsi di colpi di scena, uccisioni random, relazioni amorose (piccolo spoiler) davvero poco convenzionali.
Ho iniziato ad apprezzare il motivo della  della sigla iniziale, sentito la gioia, l’umiliazione, e le piccole rivincite dei personaggi come se fossi lì con loro.
Ho capito che sicuramente non è una serie tv adatta ai più piccoli, l’atmosfera è cruda, gli arti mozzati di netto, e le teste (si, le teste) e i petti trafitti sono parecchi.
Anche Jack lo Squartatore ci penserebbe due volte prima di andare a vivere a Westeros. In generale l’80% dei personaggi assumono quei comportamenti che già da bambini evitavamo e condannavamo.
Ad esempio anche un bambino sa che la porta del bagno è meglio chiuderla, potrebbe arrivare qualcuno armato di balestra e scoccare il dardo in un momento deputato a tutt’altro.

Qualunque azione in GOT diventa necessaria, lecita, persino la più spregevole, perché in ultima analisi si finisce per comprendere e conoscere colui che l’ha compiuta. C’è chi sembra il perno attorno al quale ruota la storia e poi scompare. C’è chi sembra insignificante e poi si ritrova protagonista.

A proposito dei personaggi potrei aprire una piccola parentesi descrittiva, ma la mia opinione è costruita sulla visione di sei stagioni complete, ed essendo tutti i personaggi molto dinamici, costituirebbe una scomoda anticipazione. Come se dicessi che Piton in realtà è un tenero a chi non ha ancora visto/letto gli ultimi capitoli di Harry Potter.
E rimanendo in tema HP, Gazza (alias David Bradley) interpreta in questa serie tv un ruolo tanto irritante quanto quello che interpretava in HP.

Ora alcuni consigli pratici. Come ben sappiamo la lingua originale di parecchie serie tv è l’inglese (al momento l’unica eccezione che mi viene in mente è Narcos), e chi ne mastica un pò si fa sempre la stessa domanda: sarà meglio guardarla direttamente in italiano, o sub ita?
Per Game of Thrones io ho preferito il doppiaggio italiano alle voci originali, che a volte risultavano meno spontanee di quelle dei doppiatori.

Giulia Garofalo

GLI EVENTI DEL FINE SETTIMANA

WORKSHOP SU LINKEDIN-COME FARSI TROVARE DALLE AZIENDE:

Dove: GarHub114 – via Garibaldi, 114 – Messina

Quando: venerdì 17 dalle ore 18:30 alle 20:00

Cosa: “Linkedin, fatti trovare!” inaugura la serie di workshop dedicati alla comunicazione personale e d’impresa.
La giornata di venerdì 17 marzo a partire dalle ore 18:30 sarà dedicata al mondo di Linkedin, scopriremo come poter usare al meglio il Social Business, sviluppare contatti, acquisire nuovi clienti, trovare lavoro e mettere in campo strategie per essere scelti dalle aziende.

ARTIST ENSAMBLE

Dove: Palazzo della cultura Antonello da Messina – Viale Boccetta – Messina

Quando: venerdi 17/03 dalle ore 20:30 alle 23

Cosa: Il Balletto dello Stretto diretto da Mimma Cubeta, il Centro Danza diretto da Genny Ruggeri ed il Centro Formazione Danza diretto da Milena Freni sono lieti di invitarvi allo spettacolo ARTISTS ENSEMBLE. I giovani ballerini, sul palcoscenico, insieme ad importanti artisti messinesi, simbolo della cultura musicale della nostra città. Si esibiranno infatti come special guests dello spettacolo Christian Gravina, accompagnato in una delle sue performance da Riccardo Ferro, ed il Quartetto Atipico Danzarin. Sarà anche presente David Carfì, autore delle musiche di alcune coreografie che verranno rappresentate sul palcoscenico del Palacultura.
Artist Ensemble, una serata di beneficenza a favore di Missione Kenia, una Clinica a Kasue per bimbi e mamme meno fortunati di noi.

WORKSHOP TEATRALE LE 13 LUNE-  PRIMO INCONTRO “SOGNO E INTUIZIONI”

Dove: Centro Rén – via Nicola Fabrizi, 3 – Messina

Quando: sabato 18/03 Orari: 15:00 – 20:00
Domenica 19/03: 10:00 – 13:00

Cosa: “Le tredici Lune” è un ciclo di tre appuntamenti nati dal desiderio di lavorare, attraverso il teatro, sul mondo onirico, sulla ciclicità femminile e sul viaggio dell’eroe/eroina.
E’ possibile partecipare anche ad un solo incontro e non sono richieste esperienze precedenti.
Primo incontro: “Sogni e intuizioni”
OBBLIGATORIA PRENOTAZIONE ENTRO GIOVEDI’ 16 MARZO
Il workshop è legato ad un’idea di rito, comunione tra persone diverse e simili, forme materiali e invisibili, linguaggi, codici e ritmi e ha il fine di riprendere contatto con alcune zone assopite dell’universo femminile.
Partendo dall’analisi di simboli e archetipi dell’immaginario femminile andremo a lavorare sul mondo onirico legato alla nostra naturale ciclicità. Iniziando un viaggio nelle profondità del nostro essere scardineremo tabù opprimenti per liberare creativamente i nostri corpi. Sperimentando insieme tecniche del teatro di ricerca nutriremo sogni, intuizioni e daremo voce ad immagini antiche.

YOMBE LIVE AT RETRONOUVEAU:

Dove: Retronouveau

Quando: sabato 18/03 ore 22:30

Cosa:  Tra le band più “esotiche” che sono uscite fuori negli ultimi anni dal panorama indie dance, Yombe ha dalla sua un’ originalissima visione estetica pregna di black music: WorldBassTrapHouseHip Hop e ancora tribalismi assortiti e ricchi di groove.
Nessun barocchismo smodato, tutto si interlaccia elegante e sinuoso verso percorsi dance che ricordano i Disclosure o in stilosi vortici etnobass astratti e ipnotici, conditi dalla voce di Cyen in bilico fra ricercatezza soul e brividi pop.

Ticket €5
Promo entro le 23.45 birra in omaggio.
Aftershow Dj set Davide Patania

 

 

Jessica Cardullo

Arianna De Arcangelis