A Kiev si è concluso il primo processo per crimini di guerra a carico di un soldato russo

Vadim Shishimarin è il primo soldato russo ad essere condannato per crimini di guerra commessi nel territorio ucraino dall’inizio dell’occupazione russa. Il processo svoltosi a Kiev si è concluso con la condanna all’ergastolo, la pena massima prevista dall’ordinamento giuridico ucraino. Shishimarin, ventun anni, ha ucciso un civile disarmato pochi giorni dopo l’inizio l’invasione.

Il Sergente russo Vadim Shishimarin, 21 anni, fonte: en.puru-news

L’omicidio di Shelipov

Il civile si chiamava Oleksandr Shelipov e aveva sessanta due anni quando il 28 febbraio, pochi giorni dopo l’inizio del conflitto, è stato raggiunto dai colpi d’arma da fuoco di Shishimarin. Si trovava al telefono mentre percorreva in bicicletta una strada di Chupakhivka, città nella regione nordorientale del Sumy, quando ha incrociato quattro soldati russi in fuga a bordo di una macchina rubata. Sprovvisti del loro mezzo, avendolo perso in seguito a un attacco della resistenza, il gruppo si sarebbe allertato per la possibilità che il civile segnalasse il loro passaggio all’esercito ucraino. Raggiunto dall’ordine di sparare all’uomo, Shishimarin lo ha ucciso con diversi colpi alla testa. Sul posto è immediatamente giunta la moglie di Shelipov, uscita di casa allertata dagli spari e trovatasi il marito a terra privo di vita.

 

La cattura e il processo

Settimane dopo i fatti di cui sopra il gruppo di cui faceva parte Shishimarin è caduto in un’imboscata ucraina venendo catturato. Imprigionato, identificato e individuato come possibile autore materiale dell’omicidio, Vadim è stato portato nella capitale ucraina per essere processato. Fin dalla prima udienza del processo, lo scorso 18 maggio, il giovane soldato russo, rispondendo a una domanda del giudice, si è dichiarato colpevole di avere ucciso il civile disarmato. Sempre davanti al giudice del tribunale di Kiev ha raccontato di essersi inizialmente rifiutato di uccidere Shelipov ma che, incalzato a più riprese prima dall’ordine di un commilitone e successivamente dall’invito di tutto il gruppo, non ha potuto esimersi. Un esecuzione descritta come sommaria, rapida e priva di alcun accertamento dell’avvenuta morte di Shelipov.

“Capisco che non puoi perdonarmi, ma ti supplico di farlo”, Vadim Shishimarin alla moglie di Shelipov

Nessuno sconto di pena

L’essersi dichiarato immediatamente colpevole e avere collaborato nella ricostruzione dei fatti non ha garantito però alcuno sconto di pena per Shishimarin. Uccidere un civile disarmato nel corso di un conflitto rappresenta uno dei peggiori crimini di guerra previsti dalla Convezione di Ginevra. A ciò si aggiunge il fatto che il ventunenne non ha potuto invocare in alcuna maniera l’eccezione di avere adempiuto ad un ordine di un superiore militare essendo che i soldati russi presenti erano tutti commilitoni dello stesso grado di Shishimarin. Inoltre, benché abbia nel corso del processo affermato di provare risentimento per le proprie azioni, il tribunale non ha considerato sincero il rimorso dell’imputato. “Anche se l’imputato ha affermato che non intendeva uccidere, la corte non si fida di queste affermazioni e crede che ci fosse un intento”, ha dichiarato il giudice Serhiy Ahafonov.

“Dato che il crimine commesso è contro la pace, la sicurezza, l’umanità e l’ordinamento giuridico internazionale, la corte non vede la possibilità di imporre una pena detentiva più breve”

 

Processo a carico di Shishimarin, fonte: zazoom.it

Solo il primo di una lunga serie

Come detto, il processo di Vadim Shishimarin è solo il primo in ordine cronologico. L’ufficio del procuratore generale Iryna Venediktova sta indagando su 12.909 presunti crimini di guerra russi, e ha dichiarato che 4.600 civili, inclusi 232 bambini, sono stati uccisi in Ucraina da quando la Russia ha iniziato la guerra. Ad essere stati identificati sono altri 41 soldati russi, accusati di stupri, bombardamenti sui civili, saccheggi e uccisioni indiscriminate, ma solo pochi di questi sono già stati arrestati. Le indagini del tribunale di Kiev proseguono spedite ed anche la Corte penale internazionale dell’Aia, il principale tribunale internazionale per i crimini di guerra e contro l’umanità, lavora svolgendo parallelamente le sue indagini.

 

Filippo Giletto

Finisce la resistenza di Azovstal, Mariupol è presa. Adesso si pensa ai prigionieri

Venerdì sera la Russia ha dichiarato che «Mariupol e l’acciaieria Azovstal sono state liberate dalle Forze Alleate di Russia, Repubblica Popolare del Donetsk (DPR) e Repubblica Popolare del Luhansk (LPR)».

Nel comunicato si leggerebbe di più di 2400 militanti neonazisti arresi e divenuti prigionieri. Le immagini diffuse dall’account Twitter del Ministero degli Esteri russo mostrano le perquisizioni eseguite sui soldati arresi. Tuttavia, il Comitato internazionale della Croce Rossa ha parlato invece di «centinaia» di persone. (Il Post)

La fine della resistenza: Mariupol è presa

La resa dei combattenti rinchiusi dentro l’acciaieria Azovstal per mesi senza aiuti umanitari, bloccati dalle forze russe che avevano circondato l’area. Ma ad essere bloccati nel complesso di Azovstal vi erano anche numerosi civili, tra donne, bambini ed anziani. Le trattative condotte assieme all’ONU ed alla Croce Rossa avevano permesso di liberarli poche settimane fa.

Alcune ore prima, un messaggio del Presidente ucraino Volodymyr Zelensky alla tv nazionale ha dato anche il via libera per l’evacuazione degli ultimi difensori:

Oggi i ragazzi hanno ricevuto dal comando militare il chiaro segnale che sono liberi di uscire e salvarsi la vita.

Dopo mesi di combattimenti finisce la resistenza di Mariupol, una delle città fulcro del conflitto, ormai completamente rasa al suolo. Mariupol rappresenta una città portuale di fondamentale importanza strategica: il Ministro degli Affari Esteri ucraino Dmytro Kuleba ha infatti twittato che «la Russia bloccando i nostri porti mette milioni di persone a rischio di fare la fame. Assieme agli alleati, l’Ucraina ha previsto due rotte di terra alternative per consegnare le esportazioni di cibo e salvare l’Africa ed altre regioni dalla fame. La Russia deve porre fine al suo blocco per permettere la piena e libera esportazione».

Il destino dei prigionieri

All’interno del sito industriale si trovava il Battaglione Azov, una milizia incorporata nell’esercito ucraino che ha posizioni esplicitamente neonaziste. Il timore per la loro prigionia è alto: nonostante il Presidente della Federazione russa Vladimir Putin abbia dichiarato che la detenzione si svolgerà «secondo gli standard delle leggi internazionali pertinenti», molti talk-show russi hanno chiesto la loro condanna a morte, in quanto «criminali nazisti». 

Certamente un processo svolto dal Paese di prigionia andrebbe contro i principi internazionali e le stesse leggi invocate da Putin, ma non manca l’ipotesi che la designazione di criminali nazisti o di organizzazione terroristica possa permettere alla Federazione di girare l’ostacolo e condannare effettivamente i suoi prigionieri.

(fonte: reuters.com / Alexander Ermochenko)

Adesso le autorità ucraine hanno iniziato ad invocare uno scambio di prigionieri, ma la Russia non ha espresso commenti in merito. Il Battaglione Azov e quanti rimasti dentro Azovstal sono però diventati un simbolo della resistenza ucraina, ottenendo un effetto che – certo – Putin “sperava” di scongiurare: che i – da lui designati – neonazisti venissero elevati ad eroi.

Il consigliere del Ministro dell’Interno ucraino Anton Gerashchenko ha infatti affermato che la difesa dell’acciaieria verrà insegnata nelle scuole militari per gli anni a venire. «Riuscite a capire cosa significhi amputare un arto senza anestesia? Ciò che vedete nei film horror di Hollywood non è niente in confronto a ciò che i difensori di Azovstal hanno dovuto vedere e sopportare».

Le parole di Zelensky

La guerra in Ucraina può terminare solo con mezzi “diplomatici”

Ha dichiarato il Presidente ucraino alla tv nazionale; intanto i negoziati tra Mosca e Kiev non progrediscono. «La guerra sarà sanguinosa, si combatterà, ma si concluderà definitivamente con la diplomazia», afferma Zelensky.

 

Valeria Bonaccorso

Un sistema che non precluda voci ma che sappia riconoscere i falsi

Ha un limite la libertà?

Il 3 maggio si è celebrata la Giornata Mondiale della Libertà di Stampa ma ancora oggi ci si interroga su quale sia il suo limite invalicabile, semmai debba esservene uno.

Una storia sbagliata

Il primo paese che abolì la censura, nel 1695, fu l’Inghilterra, dove già nel corso del Cinquecento era stato istituito un severissimo sistema di controlli sulla stampa. Dovette passare quasi un secolo, prima che tale censura venisse abrogata anche in Francia. Appena dopo la presa della Bastiglia, il 14 luglio 1789, la libertà di stampa fu proclamata dalla “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”. Non tardarono però ad arrivare contestazioni da un gruppo di rivoluzionari. E anche un giurista francese considerò non un’utopia ma un’assurdità questa libertà illimitata che mai dovrebbe esistere nella legislazione di un popolo civile.

Si aprì così a Parigi, nell’estate del 1789, un dibattito sui limiti della libertà di stampa e di parola, a cui si cerca ancora una risposta. Sempre in Francia, infatti, lo stesso dibattito si riaccese dopo la strage al settimanale satirico Charlie Hebdo” nel 2015. Sorse dunque spontaneo chiedersi se fosse giusto o meno fare della satira, in quel caso sulla religione, senza tener conto della sensibilità di alcuni lettori. E la risposta non può che essere affermativa, in una società in cui (purtroppo o per fortuna?) vige la tutela dell’illimitata libertà di parola e di stampa. In cui illimitato vuol dire che tutto può essere oggetto di satira e di giudizio.

Libertà di stampa: utopia o distopia?

Dovremmo forse affidarci alle parole del filosofo olandese Baruch Spinoza, che all’interno del suo “Trattato teologico politico” propone per tutti una libertà di pensiero e di parola non illimitata. Il filosofo afferma infatti che è un diritto di ognuno esprimere il proprio pensiero, ma bisognerebbe limitarsi ad esporlo semplicemente seguendo la propria ragione, senza inganno, ira o odio nei confronti altrui.

C’è chi invece nel corso della storia non ha esitato a riconoscere ai sovrani la piena facoltà di giudicare le varie opinioni. Ma pensiamo davvero a cosa significherebbe istituire un controllo sulla libertà di stampa, evitando la pubblicazione di quei giornali ritenuti magari sconvenienti. Ciò rievocherebbe soltanto uno dei più terribili scenari orwelliani, mettendo nelle mani di un giudice l’immenso potere di decidere quando una libertà possa essere esercitata e quando no, sulla base del solo gusto personale. Può essere questa considerata “libertà di stampa”?
Essa dovrebbe piuttosto rappresentare un potere per contrasto: i giornali, in primis, dovrebbero dimostrare la capacità e la volontà di opporsi ad un potere “malato”, e non farsi soggiogare da esso.
Ora più che mai abbiamo bisogno che la stampa si metta in ascolto dell’altro ed eviti di appiattirsi sullo scontro politico.

La libertà di stampa non è un privilegio…

“Voi, la stampa libera, contate più di quanto abbiate mai fatto nel secolo scorso”

Sono state queste le parole pronunciate qualche giorno fa dal Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, alla cena dei Corrispondenti alla Casa Bianca. Tradizione ripresa dopo i due anni di sospensione voluti da Donald Trump, che ha sempre dimostrato una certa sfiducia nei confronti dei media, scagliandosi di continuo contro stampa e giornalisti. Per Biden, invece, il buon giornalismo serve da specchio della società, per riflettere sul bene, sul male e soprattutto sulla verità. Il Presidente non ha perso l’occasione per ringraziare i reporter di tutto il mondo che con coraggio oggi si fanno portavoce proprio di quella verità che affligge l’Ucraina, mettendo a rischio la loro stessa vita. Perché “libertà di stampa” in fin dei conti vuol dire anche “assoluta indipendenza dagli uomini del Governo”.

Lo sanno bene tutti quei giornalisti indipendenti della Russia che rischiano fino a quindici anni di carcere parlando della guerra in modo oggettivo e subendo la peggiore censura degli ultimi decenni. La stampa, dunque, non dev’essere nemica del popolo, ma piuttosto porsi come guardiana di una libertà ormai in bilico da troppo tempo, sempre pronta a mettersi dall’altro lato della barricata, nella parte scomoda, per difendere i propri ideali e la propria autonomia.

…è una necessità!

Lo stesso Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel discorso tenuto in occasione dei 70 anni della Gazzetta del Sud, ha colto l’occasione per sottolineare l’importanza dell’indipendenza dell’informazione, definendola “l’unico riparo dalle sfide imposte dagli eventi del mondo”. Il Capo dello Stato ha poi continuato spiegando l’importanza di un sistema informativo che senza precludere nessuna voce riesca ad informare con proprietà critica i suoi lettori su ciò che accade nel mondo.

La libertà di stampa è alla base della democrazia e in quanto tale è necessaria alla sua realizzazione: fin quando un Paese avrà un’informazione indipendente e funzionale allora potrà vantare un buon governo.

 

Domenico Leonello

* Articolo pubblicato il 05/05/22 all’interno dell’inserto “Noi Magazine” di Gazzetta del Sud.

Aiuti, Accise e Iva: il Governo Draghi stanzia 14 miliardi per contenere i costi del conflitto in Ucraina

Il premier Mario Draghi vuole provare a fare miracoli per l’Italia e per farlo nella giornata di ieri il Consiglio dei ministri ha approvato un pacchetto di misure dal valore di ben 14 miliardi. Lo scopo è quello di contenere il rincaro prezzi causato dal conflitto in Ucraina il quale, sommato ai due anni di pandemia e alla crisi generale, sta mettendo da tempo in ginocchio l’economia nel nostro Paese.

Il premier Draghi durante la cabina di regia di ieri ha dichiarato che il governo è pronto a tutto per aiutare l’Italia (fonte: zazoom.it)

Tentare di sostenere famiglie e imprese

Come detto, l’azione del governo è volta a sostenere le famiglie e le imprese nel far fronte al caro energia e carburante. Parallelamente, per non dovere nuovamente ricorrere a misure temporanee, l’esecutivo sta studiando dei metodi per ridurre la dipendenza italiana nei confronti del gas russo, unico vero fattore di ricatto per l’Europa da parte di Putin.

Solo poche settimane fa gli italiani si accalcavano in folte folte code presso le stazioni di rifornimento, per accaparrarsi carburante prima dell’annunciato rincaro del costo del petrolio. Poi, l’arrivo di bollette dell’energia dalle cifre duplicate, a parità di consumo con i mesi precedenti. Scenari questi che non hanno fatto altro che rincarare difficoltà già sussistenti dal periodo della pandemia.

«Nel clima di grandissima incertezza che c’è il governo cerca di far il possibile per poter dare un senso di direzione, di vicinanza a tutti gli italiani» ha dichiarato Draghi per spiegare le ragioni dei provvedimenti varati.

Secondo i dati, non si tratterebbe ancora di recessione dell’economia, ma di una fase di rallentamento pari a -0,2% nel trimestre. In ogni caso, c’è stato bisogno di un intervento del governo, il quale sarebbe pronto anche ad altro, a qualsiasi misura necessaria, in caso di peggioramento.

 

Due i decreti approvati

Due sono stati i decreti approvati per dare l’ok a tutto il pacchetto di misure da 14 miliardi, senza scostamento di bilancio. Inizialmente, era stata preventivata una cifra di 6-7 miliardi attraverso l’aumento della tassazione degli extraprofitti guadagnati dall’aziende dell’energia. Gli altri 8 miliardi sono stati “trovati” solo dopo, grazie a ulteriori manovre.

Nella tarda mattinata di ieri, dopo un confronto con i sindacati, il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto “Accise e Iva” per la proroga dello sconto sul carburante fino all’8 luglio, che altrimenti nella stessa giornata sarebbe scaduto.

Nel pomeriggio, poi, la riunione con i capidelegazione di maggioranza e il via libera al secondo, il decreto “Aiuti”, riguardante aiuti alle famiglie e all’economia, gli interventi pubblici a sostegno alle imprese e anche l’emergenza profughi per la guerra.

 

Il Decreto legge “Accise e Iva”: contegno dei prezzi e il pericolo della speculazione

Dopo una brevissima tregua, sono tornati a crescere i prezzi dei carburanti in tutta Italia. I dati rilevano una media nazionale del prezzo della benzina in modalità self sale a 1,798 euro/litro, mentre ancora più alta per il diesel a 1,815 euro/litro. Ovviamente i costi del servito sono più consistenti mentre il Gpl resta elevatissimo.

Con il decreto “Accise e Iva”, che conta un solo articolo e vale due miliardi, viene prorogato, come suddetto, il taglio delle accise e dell’Iva sui carburanti. Inoltre, sarà previsto un monitoraggio anti-speculazione, condotto dal Garante per la sorveglianza dei prezzi con l’aiuto della Guardia di Finanza. Saranno sottoposti a controllo anche i prezzi relativi alla vendita al pubblico.

Per Federconsumatori i costi sono ancora troppo alti e soprattutto privi di alcuna giustificazione. I provvedimenti potrebbero non servire a molto e a ciò si aggiunge l’ombra della speculazione.

Il Codacons spiega che, nonostante i tagli, ma anche il calo delle quotazioni in borsa del petrolio, gli italiani continuino a pagare i rifornimenti il 20% in più rispetto allo scorso anno e che per questo servirebbero interventi sui listini.

 

Il Dl “Aiuti”

Ben più numerosi (cinquanta) gli articoli del decreto “Aiuti”. Il principale intervento è quello ancora sul caro bollette. Verrà sfruttata l’estensione del credito d’imposta per le imprese energivore e il bonus Energia” (gas e luce) diventa retroattivo, venendo applicato dall’1 gennaio: l’eventuale pagamento di somme eccedenti sarà automaticamente compensato in bolletta una volta presentata l’Isee, la quale dovrà essere sotto i 12mila euro per poter ottenere il bonus.

Sta per essere messo a punto un fondo di 200 milioni che finanzia contributi a fondo perduto alle imprese più colpite dalle ripercussioni della guerra, le quali, per questo, hanno subito perdite di fatturato dovute alla flessione della domanda, dall’interruzione di contratti, progetti e dalla carenza di materie prime.

Verrà finanziato nuovamente il fondo di sostegno per gli affitti per il 2022, con 100 milioni. Per il Servizio sanitario, in arrivo 200 milioni per compensare i maggiori costi per l’aumento dell’energia. Infine, le garanzie sui prestiti bancari saranno estese fino al 31 dicembre.

 

Gli altri “Aiuti” approvati e il braccio di ferro sul termovalorizzatore della Capitale

Oltre a ciò, verrà anche corrisposto un contributo di 200 euro a lavoratori e pensionati con reddito medio-basso per contrastare l’inflazione. I rincari delle materie prime, invece, hanno spinto il Cdm a stanziare 3 miliardi nel 2022, 2,5 nel 2023 e 1,5 per 2024 e 2026, per contrastare il caro appalti, il quale mette a rischio anche il Pnrr.

Prorogato, inoltre, al 30 settembre il termine per poter accedere al Superbonus 110% da destinare alle villette unifamiliari.

Aiuti previsti anche per l’emergenza profughi. I Comuni che accolgono i minori non accompagnati in fuga dall’Ucraina verranno rimborsati dei costi sostenuti fino a un massimo di 100 euro al giorno pro capite.

Infine, per ridurre la dipendenza dalle importazioni di gas russo – uno dei temi più attenzionati – si guarda ancor di più alle fonti di energia rinnovabile. Verranno nominati uno o più commissari di governo per i rigassificatori galleggianti. Il mondo delle energie rinnovabili, però, fatica a causa dei lunghi iter per le autorizzazioni: ben undici i passaggi che gli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili devono fare per avere il consenso per i progetti. A questo proposito, intanto, si partirà dalla definizione di criteri uniformi per la valutazione dei progetti degli impianti.

Sul tema ambiente, peraltro, si è discusso ampiamente in cabina di regia, a causa di una norma sul termovalorizzatore per Roma, approvata nonostante il rifiuto del Movimento 5 Stelle.

 

Rita Bonaccurso

50 giorni dall’invasione in Ucraina: le parole di Zelensky. Si stringe la morsa russa su Mariupol

Il 14 aprile ha segnato il cinquantesimo giorno di conflitto dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, lo scorso 20 febbraio. Il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha commentato la ricorrenza affermando che nessuno pensava che il popolo ucraino avrebbe resistito così a lungo, «ma non sapevano quanto sono coraggiosi gli ucraini, quanto amano la libertà». Zelensky si è poi soffermato sull’eroismo del suo popolo:

«Siete diventati tutti eroi. Tutti, uomini e donne ucraini che hanno resistito e non si arrendono. E che vinceranno, che riporteranno la pace in Ucraina. Ne sono sicuro».

Intanto, il conflitto continua tra tentativi di de-escalation dell’Unione Europea, che pensa anche ad un embargo graduale sul petrolio russo (da discutere, però, al termine delle Presidenziali francesi), e tra una Finlandia che preme sempre più per l’adesione alla NATO. Il ministro finlandese per gli Affari europei Tytti Tuppurainen ha affermato, infatti, che il rapporto con la Russia sarebbe cambiato in seguito alle ultime azioni della Federazione, che – continua – sarebbero un «campanello d’allarme per tutti noi».

Mariupol sempre più in difficoltà

Peggiora la situazione a Mariupol, ormai rasa al suolo e accerchiata dalle truppe russe, che hanno preso il controllo della parte centrale della città, dividendo le forze ucraine al porto da quelle che si trovano nel quartiere industriale a est. I combattimenti si stanno concentrando soprattutto intorno all’acciaieria Azovstal, nel porto. Un vice comandante separatista russo avrebbe descritto alla TV di Stato russa l’acciaieria come: «la fortezza dentro la città».

Dentro l’acciaieria si nasconderebbe il cosiddetto Battaglione Azov, che rappresenta uno dei principali obiettivi di Putin.

Inoltre, il consiglio comunale della città di Mariupol afferma che gli occupanti russi hanno iniziato a riesumare i cadaveri sepolti nei cortili dei blocchi residenziali. Lo scrivono i funzionari su Telegram, citati dalla Bbc. A Mariupol ci sarebbero, secondo Kiev, 13 forni crematori mobili e le autorità cittadine sospettano che i russi stiano cercando di coprire i crimini di guerra. (ANSA)

(fonte: dailynews.ansneed.com)

Il caso dell’incrociatore russo affondato

Giovedì sera l’incrociatore russo “Moskva” è affondato mentre veniva rimorchiato, dopo aver perso stabilità a causa dei danni subiti dallo scafo durante un incendio avvenuto a bordo ore prima. Questa la versione ufficiale del Ministero della Difesa russo, che imputerebbe l’incidente, appunto, ad un incendio. Tuttavia, la controparte ucraina afferma di aver affondato l’incrociatore con due missili “Neptune” antinave.

Ad ogni modo, per ora nessuna delle due versioni sembra essere stata verificata. L’incrociatore “Moskva” era una delle navi più importanti di tutta la flotta russa, e l’affondamento è considerato da molti un duro colpo per l’esercito russo, sia dal punto di vista militare che simbolico.

Il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha detto che cinque navi da guerra russe che si trovano nel Mar Nero settentrionale si sarebbero spostate verso sud, lontano dalle coste ucraine, poche ore dopo l’affondamento dell’incrociatore. Secondo diversi esperti militari potrebbe essere una conferma della versione ucraina: allontanandosi dalle coste ucraine le navi russe potrebbero voler prevenire un altro possibile attacco.

Tra l’altro, questa mattina a Kyiv sono stati confermati i bombardamenti di una fabbrica di sistemi missilistici antiaerei a lungo e medio raggio e di missili antinave.

(L’incrociatore Moskva. Fonte: analisidifesa.it)

Mosca blocca un giornale indipendente. Nell’ambasciata russa a Washington una lotta tra proiettori

Venerdì l’agenzia russa delle comunicazioni ha bloccato l’accesso nel paese al sito in lingua russa del Moscow Times, giornale online indipendente, per un articolo pubblicato dal sito il 4 aprile in cui si raccontava che alcuni agenti delle forze speciali russe si sarebbero rifiutati di combattere in Ucraina. L’agenzia ha giudicato la notizia falsa, procedendo a bloccare l’accesso al sito.

Intanto, è diventato virale un video pubblicato su Twitter che ritrae la bandiera ucraina proiettata sulle mura dell’ambasciata russa di Washington, opera di un piccolo gruppo di attivisti, a cui sembra che i funzionari dell’ambasciata abbiano provato a “porre rimedio” inseguendola con un altro proiettore. La didascalia del tweet recita: «Il gatto e il topo».

https://twitter.com/benjaminwittes/status/1514422654152982529?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E1514422654152982529%7Ctwgr%5E%7Ctwcon%5Es1_c10&ref_url=https%3A%2F%2Fwww.ilpost.it%2Fflashes%2Fambasciata-russa-bandiera-ucraina-washington%2F

Biden contro Mosca: «è un genocidio»

Negli ultimi giorni il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha accusato la Vladimir Putin di essersi macchiato di genocidio nei confronti della popolazione civile ucraina, in seguito all’ennesimo blocco dei corridoi umanitari in varie parti del paese mercoledì scorso. Inoltre, Kyiv ha affermato di star raccogliendo prove per dimostrare l’utilizzo di armi chimiche da parte dell’esercito russo.

Il Presidente Biden ha anche affermato – riporta il Daily Mail – di essere pronto per una visita ufficiale a Kyiv. Sembrerebbe che nelle ultime ore si stia decidendo su una visita da parte di un membro dell’Alta amministrazione americana. L’impegno del Presidente nei confronti della situazione ucraina sembra auspicare anche ad una rimonta nei sondaggi, che vedono a favore di Biden solo un 33%.

Valeria Bonaccorso

Italia, Eni e il gas algerino: tutti i dettagli del nuovo accordo per aumentare l’indipendenza dalla Russia

Il Governo italiano ha formalizzato un nuovo accordo sul gas con l’Algeria. Si mira a trovare fornitori alternativi per rimpiazzare la dipendenza dal gas russo.

Accordo Italia-Algeria -Fonte:ilsussidiario.net

L’Esecutivo in tal senso si è messo al lavoro per “difendere i cittadini e le imprese dalle conseguenze del conflitto”. L’incontro tenutosi lunedì 11 aprile nella capitale algerina, Algeri, presso il Palazzo presidenziale “El Mouradia” ha visto le firme del Presidente del Consiglio Mario Draghi e del Presidente della Repubblica algerina democratica e popolare, Abdelmadjid Tebboune. Lo scopo di tale missione ruota attorno all’incremento della fornitura di gas, in quanto l’Algeria risulta esserne tra i principali fornitori. Essa presenta infatti un import totale superiore del 30% rispetto all’Italia, ma si dovrà però attendere il 2024.

Il contenuto dell’accordo

Alla firma sulla cooperazione bilaterale nel settore dell’energia, si aggiunge l’accordo tra Eni e Sonatrach, l’azienda di stato algerina, che prevede un aumento per le esportazioni di gas in Italia. Ad esservi presenti vi erano anche i ministri degli Esteri Luigi Di Maio, della Transizione ecologica Roberto Cingolani, il capo di gabinetto Antonio Funiciello, l’amministratore delegato Eni Claudio Descalzi e l’ambasciatore italiano ad Algeri Giovanni Pugliese.

Gasdotto Transmed -Fonte:geopop.it

Sebbene il piano inziale prevedesse un aumento delle forniture già da quest’anno, per poi entrare a regime nel 2023, l’accordo ha trovato approvazione in tempi più dilatati. Si è così previsto che entro il 2024 l’Italia riceverà dall’Algeria circa 9 miliardi m3 di gas in più all’anno ed incrementando così i 22,6 miliardi di m3 importati già nel 2021.

Quest’anno saranno erogati 3 miliardi m3 in più incidendo notevolmente sulla dipendenza dall’esportazioni di gas russo che, riducendosi di circa un terzo, favorirà la riorganizzazione dei consumi, nonché la ricerca di nuove fonti al fine di reciderne il legame. Non si tratta infatti di un mero trattato estemporaneo bensì, come affermato dal ministro Cingolani “un flusso costante o una rampa che tenderà a crescere”.

Lo scopo dell’accordo

Lo scopo dell’accordo mira a fornire una risposta significativa a Mosca ed avvia le procedure per porre con celerità degli accordi che ledano l’economia Russa. A seguito dell’invasione dell’Ucraina, da parte di Vladimir Putin, l’Italia si è così mossa per creare obiettivi strategici.

Dipendenza dell’Italia dal gas russo -Fonte:ilcorriere.it

Tra le missioni per “accaparrarsi il gas” l’Esecutivo ha previsto la stipula di altri accordi al fine di tutelare la sicurezza energetica del Paese. Dopo le festività pasquali è pertanto prevista la visita in Congo, Angola e Mozambico del Presidente del Consiglio Draghi. Si cercherà di ottenere forniture extra nel medio-lungo periodo. Ciò non consentirà nel breve termine di sostituire i 29 miliardi m3 di gas russo, ma permetterà al Paese di lavorare per redigere nuove trattative per le forniture, livellando e ottimizzando i consumi riguardanti il fabbisogno anno di cittadini e dell’industrie, che toccano livelli compresi tra 75-80 miliardi m3 .

Le proposte dal Governo

Sono state previste dall’Esecutivo nazionale delle opzioni per favorire la riduzione dei consumi. Sul tavolo la possibilità di predisporre dei periodi dell’anno in cui le aziende lavoreranno a regime ridotto concentrando così la produzione in brevi e specifici mesi e riducendo i picchi, pronosticando consumi uniformi.

Imprese energivore -Fonte:lumi4innovation.it

Altra possibilità avanzata dal ministro Cingolani è la riduzione dei consumi di energia elettrica non solo attraverso il calo dell’illuminazione urbana e dei monumenti, ma anche attraverso una diversificazione delle fonti. L’obiettivo mira ad incrementare l’uso di energia da fonti rinnovabili che però necessiterà di investimenti e tempi lunghi per funzionare a pieno regime.

Fonti rinnovabili -Fonte:eticasgr.com

Si comprende come l’intesa accordata non sia risolutiva, ma di certo inciderà positivamente sulla sicurezza delle forniture. Oltre a porre fine al finanziamento diretto di Mosca si eviteranno ipotesi di razionamenti energetici, sempre più concreti il prossimo inverno.

Giovanna Sgarlata

L’Unione Europea taglia sul carbone russo. Si pensa ad embargo anche su petrolio e gas

Ieri sera, durante una riunione dei suoi ambasciatori, l’Unione Europea ha approvato il quinto pacchetto di sanzioni contro la Russia. Tra queste spicca l’approvazione dell’embargo al carbone russo. Si tratta di una misura presa in considerazione e auspicata già settimane fa, ma che arriva in seguito alle pressioni derivanti dai sospetti di crimini di guerra perpetrati negli ultimi tempi in Ucraina dall’esercito russo. Così ha commentato la proposta la Presidente della Commissione UE Ursula Von Der Leyen «che – aggiunge – costerà circa quattro miliardi di euro l’anno».

La proposta della Commissione prevedeva, inoltre, il divieto a navi ed autotrasportatori russi di entrare nei territori dell’Unione, con alcune eccezioni per determinati prodotti agricoli, aiuti umanitari ed energetici. Quest’ultimo punto è stato accolto nel pacchetto definitivo di sanzioni, cui si aggiunge l’incremento di personalità russe inserite nella black list europea e ulteriori divieti dal valore di circa 15,5 miliardi.

La prima stilettata all’energia russa

L’embargo sul carbone rappresenta un primo colpo all’energia russa, ossia il punto più discusso in materia di sanzioni. L’Unione Europea (ed in particolare l’Italia, assieme alla Germania) ha una forte dipendenza dalle fonti di energia importate dalla Russia, soprattutto dal suo gas naturale e dal petrolio. Ma gli ultimi eventi – ed in particolare il massacro di civili verificatosi a Bucha – hanno compattato la linea UE verso l’inasprimento delle sanzioni. Chiarisce la Presidente della Commissione Von Der Leyen:

Queste atrocità non possono e non rimarranno senza risposta.

D’altronde, lo stesso Premier italiano Draghi ha aperto alla possibilità di un embargo (oltre che sul carbone) sul gas russo, con un già “rinomato” quanto criticato aut-aut:

Preferite la pace o il condizionatore acceso?

Ma ad ogni modo – chiarisce il Premier – sarà l’Unione a decidere. Una linea, quella dell’Esecutivo, sempre più certa sul da farsi, a discapito delle voci di diverse aree del Parlamento che invitano alla negoziazione, anziché alle sanzioni e all’invio di armi a favore della difesa ucraina.

E l’embargo sul carbone trova l’accordo anche della Germania, che fino ad ora si era duramente opposta (assieme all’Ungheria di Orbán) allo stop collettivo di tutte le importazioni di energia russa. Il Ministro della Finanza tedesco Christian Lindner aveva infatti suggerito di considerare separatamente petrolio, carbone e gas, poiché la velocità per la sostituzione dei fornitori potrebbe variare.

Ed infatti, opponendosi ancora aspramente all’embargo sul gas, ha affermato:

Ci troviamo davanti ad un criminale di guerra, è chiaro che dobbiamo porre fine ai legami economici con la Russia il prima possibile, ma il gas non potrebbe essere sostituito nel breve periodo. Farebbe più male a noi che a loro.

(fonte: au.sports.yahoo.com)

Stop all’energia russa sì, ma quando?

Corre veloce la Francia, che col suo Ministro dell’Economia Bruno Le Maire, si ritiene «pronta ad uno stop alle importazioni non solo di carbone, ma anche di petrolio russo». Ed aggiunge:

La realtà è che bloccare le importazioni di petrolio dalla Russia è la cosa che le farebbe più male.

Tuttavia, anche La Maire riconosce l’importanza di un intervento a livello comunitario, più che nazionale. «Importante convincere anche gli altri Stati membri».

Peraltro, lo stop a tutte le importazioni energetiche da Mosca non è tra i piani a breve termine dell’Unione. Né lo stop immediato al carbone: la Germania ha infatti ottenuto di posticipare di quattro mesi l’entrata in vigore del divieto, in modo tale da realizzare il piano nazionale per l’indipendenza dal carbone russo entro l’estate. «Se rimandassimo indietro quelle navi [che trasportano carbone] rischieremmo di non averne abbastanza», ha detto di recente il vicecancelliere tedesco Robert Habeck. (Il Post)

Ad ogni modo, testate come EuroNews hanno immaginato le possibili conseguenze di uno stop alle forniture di gas russo: tra le soluzioni proposte, quella di ricorrere al gas naturale liquefatto importato dagli Stati Uniti.

Sostituire il carbone russo e ridurre le emissioni

È possibile che tagliare il carbone russo non faccia poi così male: dopotutto – afferma Bloomberg – già prima delle sanzioni le compagnie energetiche europee faticavano a trovare il suddetto carbone, anche per via delle banche che ne negavano i finanziamenti. Nota il centro di studi Bruegel, poi, che le importazioni di carbone a livello europeo erano calate drasticamente dai 400 milioni di tonnellate nel 1990 ai 136 milioni nel 2020.

Sostituire il carbone russo non sarà difficile, ma sarà più costoso: i principali esportatori sono infatti Australia Indonesia, Paesi molto più distanti dall’Europa rispetto dalla Russia. Si tratterà di aumentare i costi di spedizione.

(fonte: balkaninsight.com)

Infine, si tenga a mente l’impegno delle varie città europee verso la decarbonizzazione, uno degli obiettivi da raggiungere entro il 2050 per evitare gli effetti catastrofici del cambiamento climatico. Secondo un report della Commissione Europea, gli edifici europei sarebbero responsabili di circa il 40% delle emissioni comunitarie e del 36% delle emissioni di gas serra.

Ottimizzare l’efficienza energetica rappresenta, quindi, la chiave per l’obiettivo “zero emissioni”: secondo Caterina Sarfatti, direttrice dell’azione della C40 Climate Leadership Group, permetterebbe anche di risolvere il crescente problema della povertà energetica in Europa. Politico ha delineato una serie di azioni che aiuterebbero nel raggiungimento di tale scopo a livello cittadino.

Valeria Bonaccorso

Grammys Awards 2022: come sono andati?

La notte del 4 aprile, tra le 21.30 e le 5.00 italiane, si è tenuta la 64esima edizione dei Grammys Awards, la premiazione canora più importante del panorama musicale. Ritenuti da molti come gli “Oscar della musica“, sono un appuntamento fisso ogni anno.

La cerimonia si è tenuta all’ MGM Grand Garden Arena di Las Vegas, un’arena già ampiamente utilizzata per altre premiazioni negli scorsi anni. Il presentatore Trevor Noah, comico e attore statunitense, ha aperto la serata ironizzando su quanto accaduto durante gli Oscar con la famiglia Smith (che fortunatamente non era tra il pubblico, per cui nessun presentatore è stato maltrattato e\o schiaffeggiato in diretta nazionale).

Grafica digitale della statuetta dei Grammys Awards di quest’anno. Fonte: GRAMMY.com

Grammys Awards: and the winner is…

Grandi premiazioni inaspettate quest’anno. Jon Batiste è stato il musicista più candidato, con ben undici nomination; seguono Justin Bieber, Doja Cat ed H.E.R. con otto candidature a testa. Altri artisti nominati sono stati Taylor Swift, Billie Eilish con il fratello Finneas e Olivia Rodrigo. Spunta anche il nome di The Weeknd in un featuring con Kanye West. Anche se in realtà, la pop star canadese ha deciso di non partecipare più alla competizione a causa dell’esclusione da qualsiasi categoria avvenuta nel 2021.

Jon Batiste è stato anche il musicista più premiato della serata. Ben cinque grammofoni per il jazzista autore della colonna sonora del film Disney: Soul. Porta a casa i premi “Best American Roots Performance“, “Best American Roots Song“, “Best Score Soundtrack for Visual Media“, “Best Music Video” con Freedom e l’ambito “Album of the Year” con We Are.

Fortunato anche il duo Silk Sonic, composto dall’incredibile Bruno Mars e da Anderson Paak, che ha portato a casa ben quattro grammofoni. Il duo ha vinto nelle categorie “Record of the Year“, “Song of the Year“, “Best R&B Performance” e “Best R&B Song” per lo più grazie al brano Leave the Door Open, che tutt’ora è presente in molte delle classifiche musicali più importanti. Proprio il duo ha aperto la premiazione esibendosi sulle note di 777.

Olivia Rodrigo è – senza sorpresa per nessuno – la migliore artista emergente dell’anno. La 19enne, autrice di brani di successo come Good 4 U e Deja Vu e dell’album Sour, porta a casa tre statuette (ma uno le cade di mano durante gli scatti nel dopo show).

Olivia Rodrigo, Silk Sonic e Jon Batiste durante la premiazione dei Grammys Awards. Fonte: CBC

Gli artisti non premiati

Ora passiamo al lato scioccante della competizione. Twitter, il social network più usato durante questi eventi, è letteralmente esploso dall’inizio alla fine dello show a causa dei BTS. La boy band sudcoreana più famosa al mondo era palesemente la favorita di chiunque nella categoria come “Best Pop Duo/Group Performance” ma, anche quest’anno, l’Accademy ha deciso di snobbare i ragazzi. La categoria infatti è stata vinta da Doja Cat e SZA con la loro Kiss Me More. Gli stessi Bangtan Boys (BTS), probabilmente consapevoli di non vincere, hanno più volte ribadito il concetto già espresso lo scorso anno:

Sia che vinciamo o meno il Grammy, noi abbiamo già ottenuto ciò che volevamo. Abbiamo voi (ARMY) quindi abbiamo tutto. – RM

I BTS sono stati in ogni caso gli artisti più attesi della serata. La loro esibizione di Butter ha fatto ballare tutti i presenti in sala e tremare i muri e le pareti dell’arena.

La boy band BTS sul red carpet dei Grammys. Fonte: Ginger Generation.it

Altro fandom che è rimasto “a bocca asciutta” è stato quello di Justin Bieber. Nonostante le nomination, anche lui non ha portato nulla a casa e la sua esibizione è stata la peggiore della serata. La CBS (il canale che trasmette la premiazione) ha infatti deciso di censurare il linguaggio “scurrile” di Peaches, la canzone in collaborazione con Daniel Caesar e Giveon. Il risultato è stato qualcosa di esilarante: la regia non era a tempo con la canzone e toglieva l’audio troppo tardi o troppo presto, censurando tutto tranne le parolacce.

L’Italia ai Grammys Awards

Subito dopo l’esibizione della giovanissima e talentuosissima Billie Eilish con Happier Than Ever, la cantante Dua Lipa e la collega Megan Thee Stallion hanno presentato il premio Best New Artist. Nell’esatto momento in cui le due donne si sono messe davanti al microfono, una voce fuori campo ha urlato:

Dai, basta, basta. Ragazze, basta!

Gli italiani che hanno visto live la scena in un primo momento hanno pensato: “Ho acceso per sbaglio la televisione?”. Invece no. La famosa stilista italiana Donatella Versace era lì presente! È stata lei ad occuparsi dei vestiti delle due artiste e, una volta salita sul palco con loro, ha modificato ulteriormente i loro abiti, si è presa un applauso e poi è tornata tra il pubblico. Un momento che i social hanno amato e che ha acceso una luce ancora più luminosa sulle creazioni della stilista italiana addosso ai presenti (Dua Lipa ha avuto diversi cambi d’abito ed erano tutti della casa di moda Versace).

Menzione speciale per l’Ucraina

Nonostante il clima euforico e festivo della serata, nel secondo blocco dello spettacolo si è deciso di dedicare uno spazio alla situazione di guerra in Ucraina. Il conflitto con la Russia è sempre presente nelle news di questi giorni, non ha bisogno di ulteriori spiegazioni, ma è opportuno non dimenticarlo mai. Il presidente ucraino Zelens’kyj è riuscito a mandare un bellissimo messaggio di resistenza e di pace a tutto il mondo grazie agli schermi dei Grammys Awards:

Qual è il contrario della musica? La guerra. La guerra non ci fa scegliere chi sopravvive e chi giacerà in un silenzio eterno. Difendiamo la nostra libertà per vivere. Per amare. Per suonare. Nella nostra terra combattiamo la Russia che porta un silenzio orribile con le sue bombe. Un silenzio di morte. Riempite questo silenzio con la vostra musica. Riempitelo oggi per raccontare la nostra storia. Per raccontare la verità sulla guerra nei social media e in TV. Supportateci in qualsiasi modo, qualsiasi ma non il silenzio. E la pace arriverà.

John Legend ha ulteriormente siglato le parole del presidente con l’esibizione del suo brano Free. Accompagnato dalla cantante ucraina Mika Newton, dalla musicista Siuzanna Igidan e dalla poetessa Lyuba Yakimchuk oltre che dall’orchestra vestita con i colori della bandiera ucraina.

La musica unisce sempre e comunque. Non importa quale siano le tue sfumature: se trovi la tua canzone, trovi la pace.

Sarah Tandurella

L’Ucraina accusa la Russia del massacro di Bucha e avverte: “Russia muove truppe in Transnistria”

Il 40esimo giorno di guerra tra Russia e Ucraina si apre con la lunga scia di sangue lasciata dal passaggio delle truppe russe, prontamente smentita dal Ministero della Difesa russo, ma confermata dai video e dalle fotografie che testimoniano le atrocità avvenute nella cittadina ucraina di Bucha, palcoscenico di un massacro ai danni di decine di civili freddati dai soldati russi di stanza nella città a 37 km a nord ovest di Kiev fino allo scorso venerdì. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen si è detta “scioccatadai resoconti del massacro, poi ha richiesto un’indagine indipendente per approfondire e sostenendo che” chi ha perpetrato crimini di guerra sarà ritenuto responsabile”. Nelle ultime ore si è tornati a parlare della Transnistria per via di un’indiscrezione diffusa dallo Stato maggiore ucraino e riportata da Ukrainska Pravda. Secondo Kiev

“è stato intensificato il lavoro per mobilitare unità di truppe russe con sede nel territorio della regione transnistriana della Repubblica di Moldova al fine di condurre provocazioni e svolgere azioni dimostrative al confine con l’Ucraina”

Le accuse dell’Ucraina 

Nella giornata di domenica, le autorità ucraine e diversi leader europei hanno accusato l’esercito russo di aver massacrato decine di civili a Bucha, a nord ovest di Kiev, durante le cinque settimane di occupazione. Come ha riferito il sindaco di Bucha ad AFP, Anatoly Fedoruk, l’esercito russo ha seppellito 280 persone in fosse comuni, dichiarazione confermata dalle testimonianze dei giornalisti internazionali che negli ultimi due giorni sono riusciti ad entrare a Bucha. Secondo quanto riportato dai corrispondenti, le vie della città sarebbero ricoperte di corpi in decomposizione e di una gigantesca fossa comune scavata nel giardino della chiesa ortodossa della cittadina. Come riporta ilPost, gli abitanti di Bucha raccontano che le violenze e le esecuzioni sommarie sono iniziate già nei primi giorni di occupazione russa.

Soldati ucraini e mezzi militari russi distrutti a Bucha (fonte: ilpost.it)

Le testimonianze dei giornalisti 

Oliver Carroll, corrispondente dell’Economist ha raccontato di avere visto diversi corpi all’ingresso della città. Il New York Times ha raccontato di una donna uccisa con colpi di arma da fuoco durante il primo giorno di occupazione semplicemente perché era scesa in giardino a controllare se i carri armati in giro per la città fossero ucraini o russi. Ancora l’Economist scrive:

“Nove corpi giacciono a lato di un cantiere, altri due nella strada che collega Bucha a Irpin. Tutti avevano fori di ingresso di proiettili nella testa o sul petto, oppure su entrambi. Almeno due di loro avevano le mani legate dietro la schiena. Dall’odore dei corpi in decomposizione, si trovano lì da un bel po’ di tempo”

Il ministero della difesa russo respinge le accuse 

Di tutt’altro avviso è l’ambasciatore russo a Washington, Anatoly Antonov che, stando a quanto riporta la Tass, in risposta ad una domanda formulata da “Newsweekha negato categoricamente il coinvolgimento delle truppe russe nel massacro di Bucha, sostenendo che “non sono state segnalate vittime civili nella città ucraina di Bucha quando era controllata dalle forze armate russe“. Discolpando il proprio Paese ha poi rivolto l’attenzione sul comportamento degli Stati Uniti e dei media americani, accusandoli di aver “ignorato i bombardamenti della città da parte dell’esercito ucraino, che sono seguiti al ritiro delle truppe russe“. L’ambasciatore ha poi aggiunto:

“Questo è ciò che potrebbe aver causato vittime civili. Detto questo, il regime di Kiev sta chiaramente cercando di addossare le sue atrocità sulla Russia”.

 

La Russia chiede una riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite

La Russia avrebbe avanzato la richiesta di una riunione di emergenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, da svolgersi nella giornata di oggi, lunedì 4 aprile, sulle accuse di crimini di guerra di Bucha. Secondo quanto riporta la BBC, Dmitry Polyansky, vice rappresentante russo del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ha affermato di aver avanzato la richiesta “alla luce della palese provocazione dei radicali ucraini“. Samantha Power, ex ambasciatrice degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite, ha così commentato la richiesta della Russia: “La Russia sta attingendo dallo stesso copione che ha già usato per la Crimea e Aleppoed è “costretta a difendere l’indifendibile”. Per questo sta chiedendo una riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite in modo da poter fingere indignazione e chiederne le responsabilità”.

La mobilitazione in Transnistria

La Transnistria, repubblica indipendente filorussa, al momento ha il solo riconoscimento della Federazione Russa. Considerata la “terra di nessuno” e situata al confine tra l’Ucraina occidentale e la Moldova, “ospita” circa 1.500 soldati russi, ma “non ci sono informazioni che confermino la mobilitazione delle truppe in Transnistria” si legge in una nota. Secondo quanto riporta il Financial Times, anche le autorità della Transnistria hanno negato questo scenario definendo le informazioni diffuse da Kiev “assolutamente false”.

Secondo quanto denuncia lo stato maggiore ucraino, un eventuale intervento via mare nel Budjak colpirebbe una zona adiacente alla Transnistria invierebbe un segnale molto più aggressivo sia nei confronti dell’Europa che della Nato.

Elidia Trifirò 

Approvato il Decreto Ucraina, ma senza l’aumento della spesa militare. Ecco l’accordo della maggioranza

In mattinata si è svolto a Palazzo Madama il voto del Senato circa l’approvazione del cosiddetto “Decreto Ucraina”, il disegno di legge già approvato alla Camera contenente disposizioni urgenti per sostenere l’Ucraina contro l’invasione russa. Il governo aveva apposto la questione di fiducia sul decreto, dal momento che la notizia del possibile aumento della spesa militare italiana al 2% del PIL entro il 2024 – apposto come ordine del giorno da Fratelli d’Italia – rischiava di mettere in pericolo la stabilità dell’Esecutivo, soprattutto dopo il no secco del leader del MoVimento 5 Stelle Giuseppe Conte a qualsiasi aumento della spesa militare che gravi sul bilancio nazionale.

Ad ogni modo, il Governo Draghi non ha avuto particolari difficoltà ad ottenere la fiducia al Senato: il voto si è concluso attorno alle 12 con 214 voti favorevoli 35 contrari, senza astensioni. Il provvedimento si deve quindi ritenere approvato.

Il motivo sta nel fatto che la maggioranza è riuscita a trovare un punto d’incontro sul decreto facendo cadere l’ordine del giorno che prevedeva l’aumento delle spese militari. L’odg era già passato alla Camera, ma per essere definitivamente approvato avrebbe dovuto essere sottoposto alla votazione delle commissioni congiunte Difesa ed Esteri al Senato, ove però la votazione non è stata possibile per via del ritardo della commissione Bilancio a presentare pareri sul testo.

L’odg sull’aumento della spesa militare è stato, quindi, automaticamente espunto assieme agli altri emendamenti ed il testo è stato votato così come approvato già alla Camera. Alla fine, l’accordo è stato raggiunto anche grazie alla mediazione del ministro della Difesa Lorenzo Guerini, che ha affermato che l’aumento si avrà in modo graduale e l’obiettivo è stato spostato dal 2024 al 2028.

Cosa contiene adesso il Decreto Ucraina

Il provvedimento approvato presenta ora misure per l’accoglienza dei profughi e dispone l’invio di equipaggiamenti militari a Kiev. Ai fini del primo obiettivo, è previsto lo stanziamento di 10 milioni di euro per incrementare di 16mila posti complessivi i centri di accoglienza e un fondo di 1 milione di euro per finanziare iniziative di università e enti di ricerca a favore degli studenti, ricercatori e professori di nazionalità ucraina che sono in Italia per ragioni di studio o di ricerca.

(fonte: tgcom24.mediaset.it)

Inoltre, sono state disposte misure per l’aumento della disponibilità di gas e la riduzione programmata dei consumi in qualità di strumenti di contrasto alla crisi del gas naturale derivante dal conflitto in Ucraina.

Un ulteriore punto di dibattito – per cui il capogruppo della commissione Esteri ed esponente del MoVimento Vito Petrocelli ha scelto di non votare la fiducia, nonostante le minacce di espulsione dal partito – è quello sul rafforzamento della presenza del personale militare italiano nelle iniziative della NATO e la cessione a titolo gratuito all’Ucraina sia di mezzi ed equipaggiamenti militari non letali di protezione sia di armi letali.

L’aumento della spesa militare e l’impegno preso con la NATO

In realtà, quello dell’aumento della spesa militare al 2% del PIL è un impegno decennale che l’Italia, assieme ad altri Paesi membri della NATO, si era assunta nel 2014 al vertice di Newport, in Galles. Da allora, nonostante l’aumento graduale della spesa militare, l’Italia non ha raggiunto la soglia prevista, fermandosi all’1,41% del PIL. Mancherebbero quindi circa 13 miliardi di euro per raggiungere quanto dedotto in accordo, ossia circa 38 miliardi in spesa militare entro il 2024.

Tuttavia, l’obiettivo in questione non rappresenta un accordo vincolante né un requisito per rimanere nella NATO: si pensava di accelerare il raggiungimento della soglia in occasione del conflitto in Ucraina. Invece, l’aumento sarà graduale e l’obiettivo è rimandato al 2028.

La NATO si finanzia tramite due tipi di contributi: diretti, che si realizzano tramite finanziamenti alle operazioni comuni dell’Alleanza, che presenta un bilancio annuale di 2,5 miliardi di euro; indiretti, che si realizzano tramite il contributo di ogni Paese ad un’operazione militare specifica. Pur non essendo vincolante, quello dell’aumento della spesa militare italiana rimane un impegno che gli ultimi governi alla guida del nostro Paese hanno rinnovato, assumendosene la responsabilità.

(fonte: teleborsa.it)

Il dibattito in aula questa mattina

Il voto in Senato è stato preceduto dalle dichiarazioni degli esponenti dei vari partiti, che hanno spiegato le proprie ragioni.

Delusi gli esponenti di Fratelli d’Italia come la senatrice Isabella Rauti, capogruppo della commissione Difesa, che ha affermato:

Avremmo votato a favore, come alla Camera, anche al Senato il decreto se avesse avuto un normale percorso con emendamenti, ordini del giorno, miglioramenti, confronto. Invece, il ricorso al voto di fiducia su una materia così sensibile sconfessa il governo.

Favorevoli invece le forze di maggioranza come Partito Democratico, Italia Viva, Forza Italia e Lega. Infine, favorevole anche il M5S. Durante il dibattito sono stati alzati da alcuni senatori dei cartelloni con scritto: «No alle armi», secondo un’iniziativa assunta dai gruppi di Alternativa, Italexit ed alcuni esponenti del gruppo Misto.

Le parole di Draghi

Intanto si sta svolgendo una conferenza stampa del Presidente del Consiglio Mario Draghi con la Stampa Estera, a cui ha dichiarato:

Sulle spese militari l’Ue superi le decisioni nazionali. Serve un coordinamento sulla Difesa, la Commissione proceda.

Il Premier ha anche commentato la telefonata col Presidente russo Vladimir Putin, affermando che -secondo quest’ultimo – non sarebbero mature le condizioni per un cessate il fuoco in Ucraina. Emerge, inoltre, la richiesta di avere l’Italia come garante – spiega il Premier – dell’attuazione delle eventuali clausole negoziate tra Russia e Ucraina.

Valeria Bonaccorso