Trump e Zelensky: equilibri in bilico

Il catastrofico confronto

Si era concluso in maniera disastrosa l’incontro tenutosi il 28 febbraio scorso alla Casa Bianca presso lo Studio Ovale tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. I due, insieme al vicepresidente americano JD Vance, avevano tentato di discutere le condizioni che avrebbero potuto dare inizio delle trattative di pace per la guerra in atto tra Ucraina e Russia. Ma alla fine i toni si sono accesi, divenendo denigratori nei confronti del leader ucraino, accusato di non essere abbastanza diplomatico, addirittura un dittatore, e di non auspicare ad una vera pace per il proprio paese.

Il colloquio si era concluso con l’abbandono anticipato del suolo americano da parte di Zelensky, la mancata concessione delle terre rare e, di conseguenza, la mancata firma degli accordi.

Zelensky pronto alle trattative in virtù di un nuovo dialogo

Subito dopo, la notizia che aveva messo in agitazione tutto il mondo: l’America non avrebbe più fornito a Kiev le armi, e sarebbe saltata anche la condivisione di dati di intelligence da parte della Cia, come affermato dal suo capo John Ratcliffe. Tali pressioni probabilmente avevano l’obiettivo di “costringere” l’Ucraina ad accettare senza troppe pretese le condizioni americane, privandola delle sue difese.

Dunque, messo alle strette, Zelensky alla fine sembra cedere, dichiarando che il dialogo con gli Stati Uniti è stato ristabilito, e “molto presto” avverrà un nuovo incontro, in cui probabilmente i leader ridiscuteranno l’intesa sui minerali. Ad esortare il presidente ucraino affinché avvenisse un riavvicinamento era stato anche il primo ministro inglese Keir Starmer.

Sul social X Volodymyr Zelensky scrive: “Vogliamo tutti un futuro sicuro per il nostro popolo. Non un cessate il fuoco temporaneo, ma la fine della guerra una volta per tutte. Con i nostri sforzi coordinati e la leadership degli Stati Uniti, questo è del tutto realizzabile”, riferendo della telefonata avuta con il cancelliere tedesco Olaf Scholz.

Dmitry Peskov, portavoce di Putin, afferma che il Cremlino giudica ora positivamente il riavvicinamento di Stati Uniti d’America e Ucraina per le trattative.

Le reazioni dal mondo

Tutti i paesi europei, nel frattempo, stanno avviando un processo di mobilitazione compatto per correre al riparo.

Visto il cambiamento delle posizioni americane, il presidente francese Emmanuel Macron si è mostrato preoccupato, e nel suo discorso alla Nazione francese, sottolineando la pericolosità della Russia per la Francia e per tutti i paesi europei, ha invitato questi ultimi ad un “summit militare con chi vuole la pace”, affermando: “L’Europa rafforzi la difesa e sia più indipendente”.

A questo proposito, si è riunito nella giornata del 6 marzo il vertice europeo straordinario di Bruxelles sull’Ucraina e sulla difesa, per discutere il ruolo dei paesi europei nel progetto illustrato dalla presidente della commissione Ue Ursula von der Leyen, confluito nel piano ReArm Europe, che prevede 800 miliardi di euro da investire per equipaggiare militarmente Kiev.

Noemi Munafò

Intervista a Giampiero Massolo, ex capo dei servizi segreti

Nel corso di Taobuk 2024 abbiamo avuto il piacere di ascoltare l’ambasciatore ed ex capo dei servizi segreti Giampiero Massolo durante l’appuntamento intitolato «La concretezza della Realpolitik contro le insidie dello scacchiere mondiale». L’incontro, che si è tenuto presso il Palazzo dei Duchi di Santo Stefano, ha avuto al suo centro una conversazione a tre in cui hanno partecipato Viviana Mazza, corrispondente negli Stati Uniti per il Corriere della Sera, e Andrea Montanari, direttore di Rai Radio 3.

Chi è Giampiero Massolo

Giampiero Massolo è attualmente presidente della società Mundys, del settore delle infrastrutture autostradali e aeroportuali. Il gruppo gestisce, fra le altre cose, lo scalo di Roma-Fiumicino (primo aeroporto italiano per traffico passeggeri) e quello di Nizza Costa Azzurra. È stato inoltre presidente di Fincantieri e dal 2017 al 2024 presidente dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI). La parte più consistente della sua carriera è però occupata dal suo ruolo di diplomatico. Dopo aver lavorato presso l’ambasciata della Santa Sede e a Mosca, dal 2007 al 2012 è stato Segretario Generale del Ministero degli affari esteri. Successivamente, dal 2012 al 2016, è stato direttore del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza (DIS), la più alta carica di coordinamento dell’Intelligence italiana. Inoltre è stato sherpa durante il G8 dell’Aquila.

Data la notevole esperienza diplomatica e conoscenza della geopolitica, i suoi interventi sono stati ricchi di aneddoti e analisi degli equilibri internazionali. Nell’affrontare i diversi argomenti proposti da Mazza e Montanari, l’ambasciatore ha parlato soprattutto dei rapporti fra Cina e Stati Uniti, del ruolo dell’Unione Europea all’interno del quadro politico ed economico occidentale e di una nuova definizione di “Mediterraneo”. Inoltre ha discusso di altri temi che stanno spesso all’ombra delle maggiori crisi internazionali, come la crescente influenza militare ed economica Russa in Africa (specie dopo la disgregazione del gruppo Wagner) e dei fragili equilibri dell’area Indo-Pacifica.

Giampiero Massolo (centro), Viviana Mazza e Andrea Montanari al Taobuk 2024

L’intervista all’ambasciatore Massolo

Dopo l’appuntamento abbiamo avuto il piacere di fare qualche domanda all’ambasciatore Massolo, volgendo la nostra attenzione soprattutto sui due grandi fronti bellici del momento: l’Ucraina e la Striscia di Gaza.

Buonasera ambasciatore Massolo, come sa il tema di quest’anno del Taobuk è “identità”. In Occidente sono state molte le manifestazioni universitarie contro l’aggressione israeliana in Palestina. Tuttavia sembra essersi diffuso un sentimento di sfiducia contro le establishments occidentali. Viene percepito un uso di “doppi standard” nei confronti della questione israeliana e russa. Secondo lei questa visione è legittima? Se sì, rappresenta un problema di fiducia nei confronti delle istituzioni?

Va intanto detto che la reazione israeliana, legittima dal punto di vista del diritto internazionale, fa seguito a un’aggressione terroristica da parte di Hamas che ha provocato delle vittime e un trauma terribile nell’opinione pubblica israeliana. Ciascun governo parametra le proprie reazioni sulla base di ciò che la propria opinione pubblica si aspetta e sulla base degli obiettivi che persegue. L’obiettivo, che è essenziale, del primo ministro Netanyahu di annientare Hamas e mettere in sicurezza Gaza sta costando molto a Israele in termini di isolamento nella comunità internazionale e chi ha aggredito Israele ha contato anche su questo: ha contato sulla reazione della comunità internazionale, dei giovani, su questo isolamento in cui Israele è entrato.

Non so per quanto il primo ministro Netanyahu continuerà quest’iniziativa, ma so che la sua opinione pubblica è d’accordo con gli obiettivi che persegue. Lo sforzo della comunità internazionale è invece quello di evitare di pregiudicare i futuri sviluppi, ovvero il ritorno agli accordi di Abramo e di dare al Medio Oriente una sistemazione pacifica di segno occidentale e basata sulla cointeressenza su questi temi. Per quanto riguarda la “legittimità”, io trovo che l’espressione di forti opinioni pubbliche entrano nell’equazione con cui i governi portano avanti le loro decisioni. Sarebbe quindi un errore pensare che conti solo un fattore: quando fanno i loro atti di sintesi entrano in gioco una pluralità di fattori. È molto importante il ruolo delle opinioni pubbliche, ma aspettarsi che le decisioni dei governi si basino solo su queste istanze sarebbe eccessivo.

Riguardo invece al conflitto russo-ucraino, recentemente è arrivata una proposta della Russia che include un cessate al fuoco in cambio della cessione di quattro delle regioni orientali e delle aspirazioni di ingresso nella NATO dell’Ucraina. Secondo lei è una proposta credibile o è soltanto un tentativo da parte della Russia di apparire aperta al dialogo rispetto all’opinione pubblica occidentale?

Putin dice: “mi siedo al tavolo della pace se si fa come dico io”. Questo è inaccettabile sia per la resistenza degli ucraini che per l’esistenza dell’Ucraina. Ma anche per i futuri equilibri politici europei. Se gliela dessimo vinta, la Russia farebbe con ogni probabilità in tre o quattro anni nuovi tentativi di politica di potenza ed espansione. C’è però una cosa interessante in questa proposta. Putin ammette implicitamente che la sostituzione del governo ucraino con uno fantoccio di pertinenza russa, uno dei primi obiettivi, non è più perseguibile. Sarebbe poi un errore negoziare come se la situazione sul campo non esistesse. Attendiamo quindi il prossimo anno, quando il campo stesso ci dirà fino a che punto sia possibile arrivare a un tavolo.

Se domani, per assurdo, Israele cessasse le sue ostilità in Palestina e si ritirasse dai territori occupati, considerando anche l’Iran e le milizie affiliate, la situazione in Medio Oriente si stabilizzerebbe oppure no?

Io credo che questa ipotesi sia del tutto irrealistica, perché la situazione in Medio Oriente dipende da interessi contrapposti. L’interesse dell’Iran, di Hamas, di Hezbollah e degli Houthi è che un’ipotesi di questo tipo non si avveri.

Francesco D’Anna

 

Attentato a Mosca: l’ISIS-K rivendica la strage

Lo scorso venerdì quattro uomini armati di fucili automatici, coltelli e armi incendiarie hanno fatto irruzione al Crocus City Hall di Mosca, uccidendo più di 130 persone e ferendone centinaia. La sala concerti si preparava ad ospitare una famosa rock band dell’era sovietica e ancora attiva, i Picnic. Non si conosce l’esatto numero di presenti al momento dell’attentato, ma i biglietti venduti sono stati più di seimila. Gli attentatori hanno sparato sulla folla cercando di uccidere quante più persone possibili. Successivamente hanno dato fuoco alla struttura causando il cedimento parziale del tetto.

I responsabili della strage

L’attacco è stato rivendicato nelle ore successive dall’ISIS-K, il braccio afghano dello Stato Islamico della Siria e dell’Iraq (ISIS): attraverso un comunicato rilasciato su diversi canali Telegram della forza jihadista, allegando poi filmati ripresi dalle bodycam indossate dagli attentatori. Nei video si sentono parlare gli uomini in arabo e tagiko, mentre infieriscono con armi da taglio e da fuoco sui corpi dei feriti.

Le forze armate russe hanno arrestato i quattro attentatori e altre sette persone coinvolte probabilmente nell’organizzazione dell’attacco. I quattro esecutori stavano fuggendo su una Renault bianca verso il confine bielorusso. In seguito all’arresto, le forze armate hanno torturato i sospettati con pestaggi e mutilazioni, condividendo i filmati su diversi canali Telegram. Si vedono uomini dai volti tumefatti e sanguinanti, alcuni in sedia a rotelle o con il volto coperto da un sacchetto. Ad alcuni di loro è stato persino tagliato un orecchio.

L’attentato è avvenuto due settimane dopo l’allarme lanciato dall’ambasciata statunitense in Russia, che aveva suggerito ai propri connazionali di evitare assembramenti nelle quarantotto ore successive. Il preavviso era stato giudicato da Putin e dalle autorità russe come “allarmismo” da parte dell’Occidente, intento a indebolire la Russia. Quest’ultima inoltre aveva già nelle precedenti settimane neutralizzato alcune cellule terroristiche: una di queste stava progettando un attacco in una sinagoga di Kaluga (vicino Mosca), poi sventato.

Il tetto della sala concerti collassato dopo l’incendio (Wikimedia)

Da dove viene l’ISIS-K

Sebbene l’ISIS sia ormai conosciuto in Occidente, specie a causa dei diversi attentati condotti in Europa (fra cui quelli di Parigi del 2015), la sua costola afghana ISIS-K gode di minor fama. La lettera “K” sta per Khorasan, una provincia compresa fra Afghanistan, Pakistan e Iran, dove il gruppo si è inizialmente strutturato.

Il primo nucleo dell’ISIS-K era composto da alcuni talebani pakistani fuggiti dal Pakistan per rifugiarsi in Afghanistan. Fra questi vi era il fondatore Hafid Saeed Khan, il quale giurò fedeltà all’allora neonato Stato Islamico di Siria e Iraq, ottendendo finanziamenti e uomini. Per anni il gruppo è rimasto all’ombra del suo corrispettivo siriano e iracheno, ma a partire dal 2020 diversi eventi e situazioni ne hanno consentito una notevole crescita. Fra questi spicca il ridimensionamento dell’ISIS in Siria e Iraq, combattuto dalle forze governative di Assad (sostenuto dalla Russia). Inoltre la ritirata degli statunitensi dall’Afghanistan ha lasciato il paese nelle mani dei soli talebani, più deboli nei confronti di uno Stato Islamico sempre più forte.

Forze armate afghane contro l’ISIS-K (DVIDS)

Perché la Russia?

Nonostante l’ISIS-K condivida con alcune organizzazioni terroristiche e paesi islamici la radicale applicazione della sharia, si trova in conflitto con molti dei loro vicini. Sono nemici degli iraniani, poiché quest’ultimi sono sciiti. Ma sono anche nemici dei talebani e al Qaida (protetta dai talebani), sebbene questi siano sunniti. Le aspirazioni jihadiste di questi ultimi due gruppi sono infatti ritenute troppo tiepide dall’ISIS-K. Lo scopo esistenziale dello Stato Islamico è la costituzione di un califfato che vada oltre i confini afghani, per il cui successo qualsiasi metodo è ritenuto accettabile. Non si fa distinzione fra i nemici del califfato, siano essi «ebrei, cristiani, atei, sciiti, apostati e tutti gli infedeli del mondo».

Negli ultimi anni l’ISIS-K ha preso di mira la Russia. I jihadisti stanno cercando di usare la guerra russo-ucraina a scopo propagandistico, descrivendola agli occhi dei loro seguaci come un conflitto di “crociati contro crociati”. In tal modo tentano di attrarre più miliziani incitandoli all’odio e alla violenza contro Mosca, ritenuta responsabile di diverse stragi di musulmani. In particolar modo vogliono vendicare eventi come l’invasione sovietica dell’Afghanistan degli anni ’80, la repressione dei separatisti Ceceni e l’appoggio al regime di Assad in Siria contro le forze ribelli (fra cui l’ISIS).

Soldati russi in Cecenia (Wikimedia)

Le reazioni del Cremlino

Nel suo messaggio alla nazione Putin non ha mai citato lo Stato Islamico. Nei giorni seguenti ha riconosciuto i jihadisti come esecutori, ma sottolineando un presunto coinvolgimento ucraino. Questo si baserebbe su una presunta “finestra sul confine ucraino” attraverso la quale fuggire. Tuttavia non esiste nessuna prova a supporto.

Sembra che il Cremlino cerchi un pretesto per aumentare gli attacchi contro l’Ucraina. Vorrebbe poi distogliere l’attenzione interna dalle falle della sicurezza russa: il governo ha minimizzato l’allarme americano, i soccorsi sono stati disorganizzati secondo alcune fonti e gli attentatori sono stati persino in grado di fuggire dal luogo della strage.

Vladimir Putin durante il discorso alla nazione (Wikimedia)

Francesco D’Anna

Guerra ucraina: le due potenze ai conti con i “proiettili all’uranio impoverito”

La guerra in Ucraina procede e l’Occidente, determinato, protrae i suoi aiuti a Kiev. Il Regno Unito, in particolare, ha deciso per l’invio di un nuovo, letale tipo di equipaggiamento: i proiettili all’uranio impoverito. Vediamo ora le loro caratteristiche, quindi perché possono essere parecchio incisivi e pericolosi, tanto per chi li utilizza quanto per chi ne subisce l’impiego.

Le ambiguità dei proiettili “speciali”

Riporta le informazioni L’Indipendente. Il 20 marzo, durante un’audizione alla Camera dei Lord, la baronessa Annabel Goldie, viceministra della Difesa, ha dichiarato:

Assieme a uno squadrone di carri armati pesanti da combattimento Challenger 2 manderemo anche le relative munizioni, inclusi proiettili perforanti che contengono uranio impoverito poiché altamente efficaci per neutralizzare tank e blindati moderni russi

Un annuncio importante per tutto il mondo, che dal conflitto sovietico è preso in causa. Scioccante per chi conosce la natura di questi mezzi, provocante forse più sgomento che gioia. Perché c’è una cosa che la baronessa ha omesso; cioè che l’impatto delle pallottole genera la diffusione di microparticelle di uranio, sì impoverito, ma diversamente radioattivo, per le persone e le cose circostanti gli spari.

La storia dei proiettili all’uranio impoverito

La storia vede i proiettili all’uranio impoverito protagonisti degli assalti occidentali in Iraq, in Kuwait e nei Balcani. E fu proprio all’epoca dei fatti, nel 2001, che Carla del Ponte, allora procuratrice capo del Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia, definì “crimine di guerra” l’utilizzo di quegli strumenti.

Invece oggi? Per il motivo succitato, il dibattito internazionale sulla fruizione delle armi all’uranio impoverito è più che mai vivo, e queste munizioni non sono ancora state messe al bando. Solo un ristretto numero di paesi, tra cui il Regno Unito, impiega questi mezzi senza considerare i danni ambientali e fisici che possono generare.

D’altronde, pochi studi riescono efficacemente a dimostrare il legame consequenziale tra proiettili e malattie da essi scaturite; perché pochi studi sono stati condotti in merito e la correlazione non è semplice da dimostrare. Dulcis in fundo: non esistono trattati restrittivi a proposito.

Proiettili. Fonte: PxHere

La notizia incattivisce il Cremlino

Alla luce di quanto scritto, si spiegano le reazioni di Putin e del suo ministro della Difesa Sergei Shoigu alle parole della Goldie. «La Russia sarà costretta a reagire alle forniture occidentali di munizioni all’uranio» ha affermato il Presidente, mentre il membro del governo ha definito oramai «a pochi passi» lo scontro nucleare.

Tutto questo è avvenuto nel momento in cui il Capo del Cremlino e il Presidente cinese Xi Jinping si trovavano a Mosca per un dialogo, bigotto, su “negoziati e piani per la pace”. Un dialogo basato su dodici punti redatti dall’amministrazione di Jinping.

I dodici obiettivi di Xi Jinping

Di seguito elencati i dodici obiettivi, qui concentrati in brevi frasi, contenuti nel piano “per la pace” del Presidente Xi Jinping:

  1. Rispettare la sovranità di tutti i paesi.
  2. Abbandonare la mentalità della guerra fredda.
  3. Cessare le ostilità.
  4. Riprendere i colloqui di pace.
  5. Risolvere la crisi umanitaria.
  6. Protezione dei civili e dei prigionieri di guerra (POW).
  7. Mantenere sicure le centrali nucleari.
  8. Riduzione dei rischi strategici.
  9. Facilitare le esportazioni di grano.
  10. Stop alle sanzioni unilaterali.
  11. Mantenere stabili le catene industriali e di approvvigionamento.
  12. Promuovere la ricostruzione postbellica.

Gabriele Nostro

Guerra Russia-Ucraina: il punto sulla situazione

Il conflitto tra Russia e Ucraina, iniziato il 24 Febbraio, non accenna a placarsi. Dopo il periodo di apparente stasi, durante le stagioni estive, la tensione è di nuovo altissima a causa degli ultimi avvenimenti. Nel mese di settembre, infatti, le milizie ucraine hanno quasi totalmente ribaltato la situazione, sfondando il muro delle truppe sovietiche in alcune zone precedentemente occupate. Questo ha spinto i vertici del Cremlino a minacciare l’uso di armi nucleari tattiche.

 

L’attacco al ponte tra la Russia e la Crimea

Nel mese di ottobre, seppur appena cominciato, la situazione non fa altro che aggravarsi. Lo scorso 8 ottobre, a seguito di una violentissima esplosione, è crollata una parte del ponte che collega la Russia alla Crimea. Ad oggi vi sono ancora molti dubbi riguardanti le cause e i mandanti dell’attentato. L’autorità antiterrorismo russa ha comunicato che il crollo sarebbe stato conseguente all’esplosione di un camion che trasportava carburante.

Più che cercare di capire chi sia il possibile mandante o interrogarsi sulle difficoltà logistiche dovute al crollo dell’unica strada che collega Russia e Crimea – difficoltà quasi inesistenti dato che è stata completamente riparata in un giorno – occorre comprendere fino in fondo la gravità di un attacco di questo tipo.

Il ponte di Kerč, dopo la sua costruzione nel 2014, è divenuto di fatto il simbolo dell’annessione della Crimea. Particolarmente emblematica fu l’inaugurazione del segmento del trasporto su gomma compiuta da Putin alla guida di un camion nel maggio del 2018.

L’Ucraina non ha rivendicato l’attacco anche se il presidente Volodymyr Zelensky si è mostrato “non troppo dispiaciuto” dell’accaduto. Queste le sue dichiarazioni:

«Oggi è stata una bella giornata, per lo più soleggiata sul nostro territorio. In Crimea era nuvoloso, ma faceva caldo»

Il Ponte subito dopo l’esplosione. Fonte: adnkronos.com

La risposta della Russia: missili su Kiev

Come pronosticabile la replica da parte delle autorità sovietiche è stata repentina ed è stata sia verbale che, purtroppo, militare.

«Questo è un atto terroristico e un sabotaggio commesso dal regime criminale di Kiev. Non ci sono dubbi e non c’erano. Tutti i rapporti e le conclusioni sono chiari. La risposta della Russia a questo crimine può essere solo la distruzione diretta dei terroristi. Questo è ciò che i cittadini russi stanno aspettando»

Sono state queste le parole del vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, Dmitry Medvedev. Un’uscita che ha lasciato poco spazio ai fraintendimenti e che si è rivelata in seguito tutt’altro che una semplice e innocua minaccia. Dopo circa un giorno dall’esplosione del ponte, infatti, la Russia ha effettuato un attacco missilistico su tutto il territorio ucraino. L’offensiva ha causato diversi morti e altrettanti feriti e che ha destabilizzato notevolmente i cittadini, soprattutto a Kiev. La capitale infatti, dopo mesi di stabilità, è stata la città più colpita.

Si è dimostrato particolarmente scosso dall’attacco anche Zelensky che nelle ore successive ha diffuso un messaggio, carico di frustrazione e ira, tramite Telegram. Questo il testo:

«Vogliono spazzarci via dalla faccia della terra. distruggi la nostra gente che dorme a casa a Zaporizhzhia. Uccidi le persone che vanno a lavorare a Dnipro e Kiev. L’allarme aereo sta continuando a suonare in tutta l’Ucraina. Ci sono missili che colpiscono. Purtroppo ci sono morti e feriti.»

Immagine di un missile caduto su Kiev. Fonte: lastampa.it

Le reazioni degli altri Paesi: convocato un G7 straordinario

Non solo il presidente ucraino, anche gli altri capi di Stato delle forze occidentali sembrano essere preoccupati per i possibili sviluppi legati al conflitto. In particolare, il presidente Joe Biden nei giorni scorsi si era esposto abbastanza duramente riguardo alla possibilità di un’escalation nucleare, da lui definita “un’apocalisse“. Al fine di smorzare la situazione è intervenuto il segretario di stato degli Usa, Antony Blinken, che si è mostrato aperto ad una possibile soluzione diplomatica chiarendo, però, che:

«Mosca sta andando nella direzione opposta. Quando la Russia dimostrerà seriamente di essere disposta a intraprendere la strada del dialogo noi ci saremo.»

Intanto nella giornata di ieri si è tenuto, in modo virtuale, un vertice speciale del G7, in cui le nazioni partecipanti hanno ribadito la volontà di dare appoggio all’Ucraina e di colpire la Russia tramite l’imposizione di ulteriori sanzioni economiche. Collegato anche Zelensky che prima dell’incontro ha dialogato privatamente con Mario Draghi.

Francesco Pullella

Guerra in Ucraina: Nato intransigente sulle annessioni della Russia e le minacce nucleari di Putin

Il conflitto Russia-Ucraina iniziato 7 mesi fa con l’invasione russa del territorio ucraino non intravede al momento una fine, bensì una coltre densa di minacce nucleari e incessanti attacchi incombono sul Paese che continua la sua controffensiva nel nord-est, cercando di riprendersi altri territori occupati dalla Russia. Quest’ultima venerdì scorso ha annunciato l’annessione tramite referendum di quattro regioni ucraine, gesto che la comunità internazionale non ha esitato nel definire illegittimo e assurdo.

Ciononostante, nelle ultime 48 ore le forze ucraine hanno guadagnato terreno significativo nel nord-est dell’Ucraina, intorno a Lyman, e nella regione di Kherson, a sud. Questo significa che la Russia non ha più il pieno controllo di nessuna delle quattro regioni dell’Ucraina che affermava di aver annesso la scorsa settimana.

Referendum annessione. Fonte: Euronews

La condanna dei “referendum farsa”

Lunedì 3 ottobre il Parlamento russo, la Duma, ha ratificato l’annessione delle quattro regioni dell’Ucraina nelle quali si sono svolti quelli che la comunità internazionale ha definito ”referendum farsa”. Lo ha annunciato il presidente della camera bassa del Parlamento russo Vyacheslav Volodin. Le regioni in questione sono Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia, che insieme rappresentano circa il 18 per cento del totale del territorio ucraino.

Di fronte ad un simile risvolto, i capi di Stato di nove Paesi europei membri della Nato (Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Macedonia del Nord, Montenegro, Polonia, Romania e Slovacchia) hanno fermamente sostenuto che non riconosceranno l’assorbimento delle quattro regioni da parte della Russia. Nella stessa dichiarazione congiunta sostengono poi il percorso verso l’adesione dell’Ucraina all’Alleanza Atlantica e invitano tutti i 30 Paesi membri a intensificare gli aiuti militari a Kiev, esprimendo così piena solidarietà all’Ucraina:

“Ribadiamo il nostro sostegno alla sovranità e all’integrità territoriale dell’Ucraina e non riconosciamo e non riconosceremo mai i tentativi della Russia di annettere il territorio ucraino”, si legge nella nota congiunta.

Il segretario generale NATO, Stoltenberg. Fonte: Agenzia Nova

A chiarire ulteriormente le posizioni intransigenti della Nato le parole del segretario generale, Jens Stoltenberg, durante una conferenza a Bruxelles:

“Le regioni di Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia sono ucraine, così come lo è la Crimea”, ha detto.

“Putin è il principale responsabile di questa guerra e il principale attore che deve fermare il conflitto. Se la Russia fermerà il conflitto, ci sarà la pace, se l’Ucraina si arrenderà, smetterà di esistere come una nazione indipendente”, sottolineando che “la Nato non è in guerra con la Russia, il nostro obiettivo adesso è continuare a sostenere l’Ucraina in ogni modo, per metterla in condizione di difendersi dall’aggressione della Russia”.

Putin minaccia sul nucleare

“Il popolo ha fatto una scelta netta. Ora i loro abitanti diventano nostri cittadini per sempre”, ha esordito Putin al termine dei referendum. Il non riconoscimento del risultato dei referendum, e delle conseguenti annessione, da parte della comunità internazionale potrebbe aumentare il rischio di utilizzo di armi nucleari: quella del presidente Putin è infatti una retorica tanto ripetitiva quanto pericolosa e imprudente. Un qualsiasi uso di armi nucleari avrebbe conseguenze gravi per la Russia e cambierebbe la natura del conflitto, come fatto esplicitamente sapere dal segretario generale della Nato Stoltenberg, nel corso di un’intervista al programma “Meet the press” su Nbc.

Il messaggio che la Nato e gli Alleati della Nato mandano alla Russia è atto a far capire che, nonostante l’organizzazione non faccia parte del conflitto, una guerra nucleare non può essere vinta e mai deve essere combattuta; anche perché l’Ucraina – in quanto nazione indipendente e sovrana in Europa – ha pienamente diritto di difendersi da un’aggressione di guerra. Pertanto, sarebbe impensabile assecondare le minacce di Vladimir Putin sull’impiego di testate atomiche tattiche per proteggere i nuovi confini autoproclamati per mezzo di annessioni stabilite a tavolino.

Numeri da paura nei bilanci di vittime

Dopo aver riconquistato nel fine settimana Lyman, città chiave dell’Ucraina orientale, le forze ucraine hanno continuato la loro controffensiva spingendosi fino alla regione di Luhansk.
Divisioni russe nella regione settentrionale di Kherson e sul fronte di Lyman erano in gran parte composti da unità che erano state considerate tra le principali forze di combattimento convenzionali della Russia prima della guerra, come riportato in precedenza dall’Istituto per lo studio della guerra. Dunque, il fatto che l’esercito russo abbia riconosciuto che le forze di Kiev hanno sfondato le linee di difesa nella regione di Kherson rappresenta la loro più grande svolta nella regione dall’inizio della guerra. Una mappa del Financial Times evidenzia i progressi delle truppe ucraine.

Ma qualche recente successo delle truppe ucraine non basta per chiudere un occhio su un bilancio di vittime, feriti e sfollati che continua a crescere di settimana in settimana: dal 24 febbraio si contavano già ad agosto almeno 5 mila civili uccisi, di cui più di 300 minori e circa 6,6 milioni di rifugiati.

Strage di civili. Fonte: Il Mattino

Sarà un inverno difficile per l’Europa

Lunedì, una settimana dopo le esplosioni e la rottura del gasdotto Nord Stream nel Mar Baltico (causate da almeno due esplosioni con centinaia di chili di esplosivo, secondo i governi di Danimarca e Svezia), la guardia costiera svedese ha dichiarato che la fuoriuscita di gas dal Nord Stream 1 si è interrotta, mentre il gas continua a fuoriuscire in parte dal Nord Stream 2, con il metano che sale in superficie. La multinazionale russa Gazprom ha tuttavia affermato che i flussi di gas potrebbero essere presto ripresi nel filone B del gasdotto Nord Stream 2.

Sabotaggio gasdotto NordStream. Fonte: TGCom24

Ma non basta chiudere una voragine per risolverne un’altra altrettanto seria: secondo David Petraeus, ex direttore della CIA, l’Europa avrà un inverno difficile perché ci saranno pochissimi flussi di gas naturale. Ma ciononostante lo supererà, anche perché il generale statunitense non crede che sulle questioni del sostegno all’Ucraina si creerà una divisione tale da causare scontri interni: la coesione europea è cruciale più che mai.
Intanto Zelensky ha affermato che eventuali negoziati ci saranno solamente in una fase finale, mentre un imminente risultato diplomatico è alquanto improbabile, dal momento che lo stesso presidente ha comunicato venerdì che l’Ucraina avrebbe accettato colloqui di pace solo “con un altro presidente della Russia“. E per ora Putin, nonostante le recenti proteste contro la mobilitazione, risulta essere ben saldo al potere.

Verso la cronicizzazione del conflitto

Il conflitto in Ucraina è solo la punta dell’iceberg in un mare più ampio in cui Stati Uniti e Russia si confrontano per ragioni strategiche vitali: per Washington si tratta di mantenere l’Europa nella sua sfera di influenza a tutti i costi, usando la crisi per recidere quanti più legami economici possibili tra i paesi dell’UE e il suo rivale russo; nel caso di Mosca, i combattimenti alle sue porte si stanno estendendo sempre più verso est da quando, da oltre vent’anni, la NATO minaccia in un modo o nell’altro di inghiottire l’Ucraina.

Tutto ciò indica non la fine imminente del conflitto, bensì una sua cronicizzazione, probabilmente ben oltre il prossimo inverno del 2022-2023. E anche se la mediazione della Turchia potesse portare ad un ormai improbabile cessate il fuoco, si concretizzerebbe piuttosto, nella migliore delle ipotesi, in una fragile tregua, vale a dire senza la firma di una pace veramente duratura.

Gaia Cautela

 

Russia in “default tecnico”: il Paese non potrà pagare le sue obbligazioni, ma non per una mancanza di soldi

La Russia è in default, da oggi, lunedì 27 giugno. Uno schiaffo morale al Paese e il suo leader, Vladimir Putin, ma, stando alle parole degli esperti, si tratta di un fatto simbolico, più che di un vero e proprio problema, almeno per ora. È stato, per questo, definito “default tecnico”.

La Banca Centrale russa a Mosca (fonte: ANSA)

I precedenti

Un altro avvenimento analogo, nella storia della Russia, si è verificò nel 1918, per la prima volta, quando il governo sovietico si rifiutò di ripagare le somme accumulate dagli zar.

Un altro default, ma interno, si registrò nel 1998, quando il rublo andò in crisi e la Federazione russa dovette dichiararsi inadempiente verso il debito interno. All’epoca, annunciò una moratoria sul rimborso del debito contratto con gli investitori esteri.

Quello attuale era stato annunciato già ieri sera, domenica 26 giugno, in corrispondenza della fine dei 30 giorni scattati il 27 maggio, un “periodo di grazia”, entro cui la Russia avrebbe dovuto pagare due bond. Alcuni avvocati sostengono, però, che il Paese abbia tempo fino alla fine del giorno lavorativo successivo, quindi fino a stasera, per pagare.

Il suddetto mancato pagamento corrisponde a 100 milioni di dollari di interessi sulle due obbligazioni – una in dollari e l’altra in euro – in scadenza nel 2026 e nel 2036, i due bond di cui sopra. Sostanzialmente, la Russia risulta inadempiente nei confronti dei suoi creditori e degli investitori che detengono le sue obbligazioni internazionali.

 

 

Mosca sostiene di aver già i pagamenti per cui è stata dichiarata inadempiente

Il Cremlino ha rilasciato dichiarazioni che preannunciano una probabile complicazione di tale situazione:

«Le accuse di default della Russia sono illegittime, il pagamento in valuta estera è stato effettuato a maggio».

Il ministro delle Finanze russo, Anton Siluanov, negli scorsi giorni si era già espresso in merito: «Chiunque può dichiarare quello che vuole e può provare ad attaccare alla Russia qualsiasi etichetta. Ma chiunque capisca la situazione sa che non si tratta in alcun modo di un default».

Dunque, la Russia nega l’inadempienza nei pagamenti per cui è stato dichiarato il default. Prima, però, bisogna chiarire le modalità in cui questo è scattato: il default tecnico non è dovuto alla mancanza di denaro da parte del debitore (la Russia), ma alla chiusura dei canali di trasferimento da parte dei creditori internazionali.

Mosca sostiene di aver sempre effettuato tutti i pagamenti a cui doveva adempiere, anche se, negli ultimi tempi, in rubli anziché nelle valute previste dai contratti, proprio per l’impossibilità di farlo. Da qui a fine anno, sui circa 40 miliardi di titoli denominati in valuta estera, circa 1 o 2 miliardi di dollari di pagamenti.

I mercati non hanno ancora ricevuto alcuna dichiarazione ufficiale, sulla nuova condizione per la potenza russa, ma, non avendo gli investitori esteri ricevuto le somme spettanti entro la scadenza prestabilita, il default è comunque scattato, appunto, tecnicamente.

Ma a chi compete decretare ufficialmente il fallimento di un qualsiasi Stato sovrano? Di solito sono le agenzie di rating maggiori. Il caso russo è unico nel suo genere, poiché le agenzie sono state impossibilitate a intrattenere rapporti con il Paese, per via delle sanzioni impostegli per aver scatenato il conflitto con l’Ucraina.

 

Un default “artificiale”, architettato dall’Occidente

Prima di arrivare a tal punto, era stato proposto alla Russia di emettere debito nominato in dollari, ma essa si rifiutò. Proprio la decisione degli Stati Uniti, di non rinnovare, successivamente alla suddetta proposta, la “licenza speciale” per cui, fino alla fine di maggio e nonostante le sanzioni già applicate, era concesso alla Russia di continuare come sempre a pagare le obbligazioni verso gli investitori americani, è stato determinante per la dichiarazione di default.

La Russia si era difesa con l’utilizzo di conti correnti doppi e la richiesta di pagamenti in rubli, per i titoli di Stato. In ogni caso, il Paese sostiene, non essendovi una reale impossibilità a procedere come finora ai pagamenti, per la gran disponibilità di denaro che comunque affluisce nelle sue casse, che questo sia un default “artificiale”, architettato dall’Occidente e legato alle sanzioni da esso imposte.

Essendo uno scenario mai verificatosi prima, quantomeno non nelle stesse modalità, ancora non si sa cosa possa accadere dopo, quali possano essere i risvolti per l’economia russa.

Potrebbe accadere che gli obbligazionisti verso cui Mosca è inadempiente potrebbero unirsi e formulare una dichiarazione congiunta oppure, al contrario, attendere per monitorare l’evoluzione del conflitto in Ucraina.

Attualmente il Paese non può, inoltre, chiedere dei prestiti internazionali. Però, pare non ne abbia bisogno, considerati i ricchi introiti per il gas e il petrolio. Si può prendere ad esempio che il Centro per la ricerca sull’energia e l’aria pulita, “Crea”, stima che la Russia abbia ricavato 70 miliardi di euro dalla vendita di petrolio e gas, soltanto nei primi 100 giorni dall’inizio della guerra

Comunque, non si hanno certezze su ciò che accadrà, la situazione risulta senza precedenti sin dalle sue premesse anomale: il default russo, infatti, comporterebbe l’esclusione per il Paese dai mercati finanziari in seguito alla perdita di fiducia per i mancati pagamenti, ma la Russia, di fatto, è già stata tagliata fuori dai rapporti con i Paesi occidentali per gli effetti delle sanzioni per la guerra.

Alcuni, sostengono che si debba attendere che un tribunale si esprima ufficialmente, su richiesta degli investitori, visto che nessun’altra dichiarazione, neanche dalle agenzie internazionali di rating, è arrivata.

 

Rita Bonaccurso

 

 

L’invio delle armi in Ucraina accende una forte tensione nel M5S. Di Maio accusato da una parte del partito

Il Movimento 5 Stelle nelle ultime ore sta respirando aria di crisi: Luigi Di Maio ha scatenato il dissenso del consiglio nazionale del partito con la sua posizione in merito alla questione dell’invio delle armi all’Ucraina.

Scontro tra Di Maio e una parte del M5S di cui Conte si è fatto portavoce (fonte: www.ilmessaggero.it)

La bozza che ha innescato gli scambi di accuse tra i pentastellati

I pentastellati avevano subito il crollo nelle elezioni amministrative svoltesi pochi giorni fa e ora si ritrovano davanti a uno scontro interno. “Non si proceda, stante l’attuale quadro bellico in atto, ad ulteriori invii di armamenti che metterebbero a serio rischio una de-escalation del conflitto pregiudicandone una soluzione diplomatica”: così recita il passaggio principale della bozza stilata dal M5S per il 21 giugno, giornata in cui sono previste le comunicazioni del premier Mario Draghi per il Consiglio europeo del 23-24 giugno.

Il contenuto del testo, da cui si è originato l’acceso dibattito, ha iniziato a circolare, nella mattina di venerdì 18 giugno, tramite alcune agenzie di stampa, quando Di Maio e i viceministri, rispettivamente, dell’Economia, Laura Castelli e, allo Sviluppo Economico, Alessandra Todde si trovavano a Gaeta per presenziare un evento della Confcommercio di Frosinone.

Nella bozza era stata fatta una premessa che si soffermava soprattutto sulla durata ormai consistente del conflitto e sul fatto che questo si stia trasformando in una guerra di logoramento.

L’Italia, secondo quanto emerso tramite il testo, per i sostenitori della linea contraria all’invio di altre armi, dovrebbe rafforzare la sua azione diplomatica.

Proprio da Gaeta sono state scagliate le prime accuse, la viceministro Castelli è stata la prima ad esporsi sulla pubblicazione della bozza redatta da alcuni membri del partito: «Io di sicuro non voterei una risoluzione, qualora presentata dal mio gruppo, che va fuori dalla collocazione storica dell’Italia».

Castelli è nota per essere vicina a Di Maio, perciò le sue dichiarazioni non potevano che essere di biasimo rispetto alle critiche mosse al ministro degli Esteri, il quale ha, subito dopo, risposto in maniera più netta al contenuto della bozza, generando l’escalation di tensione all’interno del partito:

«C’è una parte del Movimento che ha proposto una bozza di risoluzione che ci disallinea dall’alleanza della Nato e dell’Ue, la Nato è un’alleanza difensiva, se ci disallineiamo dalla Nato mettiamo a repentaglio la sicurezza dell’Italia.».

Di Maio è convinto della sua posizione favorevole all’invio dell’armi, considerandolo un dovere rispetto all’Alleanza Atlantica.

Successivamente, il viceministro Todde, si è, invece, espressa in difesa e a favore della linea ufficiale adottata dal resto del partito anche in relazione allo stesso testo. Con lei d’accordo anche Michele Giubitosa, il quale aveva parlato di “fango sul Movimento 5 Stelle” e “punto di non ritorno”, per poi, nei giorni successivi essere ancora più deciso nelle sue critiche:

«È gravissimo che un ministro degli Esteri, in un periodo di guerra delicato come quello che viviamo, alimenti un clima di incertezza e di allarme intorno alla sicurezza del proprio Paese, accusando con delle palesi falsità la sua stessa comunità politica di attentare alle sue alleanze e credibilità internazionale.».

Così, nella giornata di ieri, ha avuto inizio la resa dei conti tra Giuseppe Conte, postosi a portavoce di tutti coloro che sono contrari alla scelta di Di Maio sulla questione relativa all’Ucraina, e quest’ultimo.

 

La lotta per la leaderhip

Tra Conte e Di Maio, però, lo scontro si era acceso già qualche mese fa, precisamente lo scorso gennaio, durante le votazioni per il presidente della Repubblica. Gli attriti erano stati smorzati solo in virtù delle elezioni amministrative.

Quella di ora è solo una ripresa di dissapori già in atto, che, in realtà, vanno oltre l’attuale decisione in merito alle armi per l’Ucraina: lo scontro è per la leadership nel Movimento.

Per l’ex premier, Di Maio non oserebbe criticare le scelte di Draghi, rinnegando alcuni importanti principi del partito, per tornaconto personale: il ministro degli Esteri vorrebbe assicurarsi la possibilità di un altro mandato, in vista delle prossime elezioni politiche del 2023. A breve, gli iscritti al M5S, verranno consultati per votare sulle regole del partito in merito proprio al doppio mandato. Conte e Beppe Grillo sperano che le regole non cambino. Dunque, i prossimi giorni saranno decisivi per le sorti del partito, non sono escluse scissioni.

«Mi sorprende molto che mentre Draghi è a Kiev, Di Maio tiri fuori beghe interne al M5S. – ha detto Conte – Oggi il nostro ministro degli Esteri ha rischiato di sporcare questo passaggio di Draghi, questa visita così importante, che il M5S ha chiesto a gran voce perché l’Europa deve essere protagonista verso un negoziato di pace. Mi sorprende che il ministro degli esteri tiri fuori beghe che rischiano di indebolire il governo.».

Il no all’invio di nuove armi all’Ucraina è un tema caldo per il Movimento, ormai da mesi. Conte aveva votato a favore all’inizio del conflitto, per iniziare a schierarsi contro solo in un secondo momento, fino a farsi principale portavoce di questa corrente di pensiero nel partito. La maggioranza stava cercando di arrivare a una risoluzione che facesse accordare tutti i pentastellati, venerdì scorso c’era stato un incontro proprio tra gli esponenti che avevano deciso di rinviare il dibattito sulle armi alla giornata di oggi e che avevano fatto sapere di non ci sarebbe stato “un testo separato”, ma poi sono iniziate le accuse reciproche, il giorno dopo, a partire da Gaeta.

 

Di Maio rischia l’espulsione dal partito?

Durante la scorsa notte, si è svolta una riunione notturna dei 14 membri consiglio nazionale del M5S, durata più di quattro ore. Si pensava che l’esito di tale incontro potesse portare all’espulsione di Di Maio dal partito. La questione è stata “congelata”. L’ipotesi, ventilata durante tutta la giornata di ieri, era stata rafforzata dalle parole del vicepresidente del Movimento, Riccardo Ricciardi, che aveva definito il ministro “un corpo estraneo” e che si auspicava dei provvedimenti ai danni di questo. Si pensava persino che Di Maio potesse anche auto-espellersi, vista la rottura che si era verificata. Però, per ora, il Movimento ha scelto di perseguire la stabilità che sembra comunque vacillare.

Uno dei partecipanti alla riunione ha chiarito che con la bozza che aveva riacceso la crisi nel partito non si voleva in alcun modo mettere in discussione la posizione dell’Italia nella linea euroatlantica.

È stato discusso della risoluzione che dovrà essere votata al Senato domani e dopodomani, 21 e 22 giugno: il movimento non sarà di impedimento alla scelta sull’invio delle armi, si cercherà solo di premere per una una de-escalation militare e perché venga mantenuta la centralità del Parlamento.

Lo scontro nel Movimento è stato messo in stand-by, ma potrebbe riaccendersi presto e forse per mano dello stesso Beppe Grillo. Nelle scorse ore, il fondatore del partito è ritornato sulla questione della regola dei due mandati, che “previene il rischio di sclerosi del sistema di potere, se non di una sua deriva autoritaria, che è ben maggiore del sacrificio di qualche (vero o sedicente) Grande Uomo”.

 

Rita Bonaccurso

 

 

 

Il Donbass dipende da Severodonesk: la città si divide a metà tra i combattimenti

La guerra in Ucraina ha ormai superato i cento giorni: soprattutto durante gli ultimi si sono verificati diversi eventi chiave per le sorti del conflitto, da cui lo Stato aggredito non sembra poterne uscire facilmente illeso. Infatti, durante gli ultimi giorni di maggio, l’esercito russo si è impegnato a completare la propria avanzata sulla regione del Donbass, entrando a Severodonetsk, città ucraina che oggi è rimasta l’ultimo grosso centro nella regione orientale di Luhansk.

Il Donbass al centro della seconda fase del conflitto

La conquista di Severodonetsk comporterebbe un importante vantaggio militare per la Russia, che potrebbe chiudere la cosiddetta “seconda fase” del conflitto per concentrare le proprie forze sulla conquista di altre regioni orientali dell’Ucraina, come Kramatorsk e Slovyansk. Inoltre, sarebbe già una prima vittoria da presentare al pubblico russo, in attesa di risultati da più di cento giorni. Secondo la rivista online Formiche, quanto ottenuto dall’esercito russo sarebbe dovuto ad una diversa gestione dello strumento militare russo, grazie alla quale «in queste ultime settimane il centro di gravità delle operazioni nel Donbass è rappresentato non solo dalla conquista della regione in senso stretto, quanto piuttosto dalla cattura, eliminazione o accerchiamento del dispositivo militare ucraino impiegato nella regione».

Mil.ru, CC BY 4.0, via Wikimedia Commons – Il generale russo Aleksandr Dvornikov

Sempre secondo la rivista, l’eliminazione delle forze ucraine dispiegate nel Donbass lascerebbe Kyiv senza le proprie unità migliori ed avrebbe delle ripercussioni sul morale dell’esercito ucraino.

Severodonesk resiste

In sostanza – continua Formiche –  la difesa di Severodonesk e Lysychansk risulta cruciale per l’Ucraina. Ed infatti, la città del Luhansk si trova adesso divisa a metà, con una controffensiva ucraina che è riuscita, dapprima, a recuperare il 70% della città, per poi ritrarsi fino al 50%. Secondo il governatore della regione, Serhiy Gaidai, nei prossimi cinque giorni ci potrebbero essere nuovi e più potenti attacchi russi e la situazione potrebbe cambiare ancora.

Grande preoccupazione per i civilicirca 15mila – rimasti bloccati nella città e impossibili da evacuare per via dei continui bombardamenti. Si teme, in particolare, che un assedio prolungato come quello verificatosi a Mariupol possa comportare una strage per quanti rimasti bloccati nella città.

Anche in caso di conquista, però, il destino dei civili rimasti non è positivo: secondo quanto riportato da Il Post, la russificazione delle città ucraine conquistate (come Kherson) si sta svolgendo all’insegna delle violenzeintimidazioni e degli stupri di guerra.

Il Presidente ucraino Zelensky ha affermato di essersi recato a Lysychansk e Soledar, in una visita estremamente vicina al fronte su cui si sta svolgendo una delle battaglie più intense del conflitto e, soprattutto, un caso raro in cui il Presidente varca i confini di Kyiv.

Ukrainian Presidential Press Service/ Reuters

Nuovi bombardamenti su Kyiv

Intanto, domenica mattina, Kyiv si è svegliata con dei nuovi bombardamenti (provenienti presumibilmente da sud) da parte di Mosca. Secondo il sindaco di Vitali Klitschko non ci sono feriti gravi, ma una persona è stata ricoverata in ospedale. Secondo ANSA, i missili avrebbero colpito una fabbrica nella zona orientale della capitale ucraina.

Immagini del fumo nero scaturito dal bombardamento sono girate sul web, con alcune testimonianze di civili che si trovavano nei paraggi.

https://twitter.com/TpyxaNews/status/1533333902273691648?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E1533333902273691648%7Ctwgr%5E%7Ctwcon%5Es1_c10&ref_url=https%3A%2F%2Fwww.ilpost.it%2F2022%2F06%2F05%2Fbombardamento-kiev-giugno%2F

Intanto il Regno Unito si prepara ad inviare lanciarazzi a gittata di 80 km a Kyiv. La notizia è stata criticata dal Presidente russo Putin, che ha affermato che la consegna di nuove armi avrebbe il solo obiettivo di «estendere il conflitto».

Resta incerto il destino dei negoziati, dopo la notizia di alcuni incontri segretissimi tra vertici Ue, Usa e Uk per cercare un punto di svolta e, possibilmente, la fine del conflitto. Tra le questioni discusse negli incontri, anche il piano in quattro punti proposto dall’Italia, il cui contenuto era stato reso noto il mese scorso dal Ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Resta ferma, secondo quanto sostenuto dal Ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, «l’insindacabilità della liberazione del Donbass».

Valeria Bonaccorso

 

Presunti incontri segreti tra vertici Ue, Usa e Uk per giungere alla soluzione del conflitto in Ucraina

Sul conflitto Russia-Ucraina alleggia lo spettro delle ultime stime, secondo le quali esso potrebbe protrarsi ancora dai due ai sei mesi. Secondo quanto rivelato dall’emittente televisiva americana Cnn, nelle ultime settimane, si sarebbero svolti diversi incontri segretissimi tra vertici Ue, Usa e Uk, per trovare il modo di mettere la parola fine alla guerra che sta sconvolgendo l’Ucraina e, indirettamente, il resto del mondo.

Il conflitto tra Russia e Ucraina potrebbe protrarsi per altri 2-6 mesi (fonte: ANSA)

Non si sa molto, non sono neanche chiare le modalità a cui si starebbe pensando per arrivare al cessate il fuoco, per portare l’Ucraina a trattare con la Russia. Kiev, però, non sarebbe stata direttamente coinvolta nelle presunte riunioni, nonostante gli Stati Uniti avessero promesso di “non decidere nulla sull’Ucraina senza l’Ucraina”.

Tra le questioni discusse, sarebbe finito sul tavolo anche il piano in quattro punti proposto dall’Italia il mese scorso. Il contenuto di questo documento era stato reso noto dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, al segretario delle Nazioni Unite, Antonio Guterres.

 

Il contenuto del documento italiano

Il suddetto documento è stato redatto dalla Farnesina e propone un percorso verso il cessate il fuoco, tramite quattro tappe. Di Maio lo aveva fatto avere al segretario dell’Onu, il 18 maggio, a New York, inoltre, anche ai diplomatici dei ministeri degli Esteri del G7 e del Quint (Usa, Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia).

Il ministro Di Maio e il segretario Onu (fonte: ANSA)

Ad ideare la proposta è stata la Farnesina, in collaborazione e con la supervisione di Palazzo Chigi, in seguito all’incontro tra il premier Mario Draghi e il presidente statunitense Joe Biden. Il presidente del consiglio italiano aveva, in quell’occasione, ribadito che l’Italia vorrebbe formare un tavolo euroatlantico per discutere delle eventuali opzioni per la guerra.

Il secondo fine sarebbe quello di portarvi, poi, l’Ucraina, lasciandole il ruolo principale nelle trattative. Dunque, ancora una volta, il dialogo tra le nazioni in guerra è ritenuto essere potenzialmente l’unico strumento utile per arrivare davvero alla fine del conflitto.

Il percorso delineato si dovrebbe svolgere sotto la supervisione di un “Gruppo internazionale di Facilitazione”. Le quattro fasi si articolerebbero in: il cessate il fuoco, la neutralità dell’Ucraina, concordare delle decisioni sulle questioni territoriali di Donbass e altre zone come la Crimea, trovare un nuovo accordo multilaterale sulla pace e la sicurezza nel continente Europeo.

Alla prima tappa si potrebbe arrivare tramite dei meccanismi di supervisione e con la smilitarizzazione della linea del fronte. Successivamente – per la realizzazione della seconda tappal’Ucraina dovrebbe dichiarare la sua neutralità a livello internazionale e, modificando il suo status, potrebbe, inoltre, conquistare una condizione che le permetterebbe di poter divenire un membro dell’Unione Europea.

La terza tappa comporterebbe ancor più difficoltà: arrivare a una soluzione che pongano fine alle controversie sui confini tra i due Stati, che vengano poi riconosciuti a livello internazionale, prevedrebbe un grande sforzo e decisioni su vari aspetti, tra cui quella su quale tipo di sovranità instaurare in queste aree. Qualora si arrivasse a tal punto, bisognerebbe anche capire cosa fare in ambito culturale, come regolare i diritti in materia di conservazione del patrimonio storico-culturale.

Il quarto e ultimo punto consisterebbe nel riorganizzare gli equilibri internazionali, elaborando un nuovo accordo multilaterale sulla pace. nel dopoguerra, si dovrebbe arrivare al ritiro delle truppe russe dai territori occupati durante il conflitto, per poi pensare di ritirare le sanzioni adottate contro la Russia.

La pace dovrebbe poi essere costruita su solide basi, prendendo misure come il disarmo e il controllo degli armamenti, per prevenire qualsiasi possibilità di conflitto.

Due esponenti statunitensi avrebbero, però, dichiarato alla stessa Cnn che gli Stati Uniti non sarebbero d’accordo con il piano proposto dall’Italia, nonostante negli scorsi giorni l’ambasciatrice americana, Linda Thomas Greenfield, aveva detto all’Onu che la proposta italiana potrebbe essere davvero una delle pochissime strade percorribili per porre fine alla guerra.

 

La questione del grano e della sicurezza alimentare

A New York, il ministro Di Maio aveva anche riportato l’attenzione sulla problematica del grano. Il tema della sicurezza alimentare era stato affrontato pure dai Paesi del G7, considerando l’iniziativa della Banca Mondiale di stanziare altri 12 miliardi di dollari per prevenire ulteriori disastri. Di Maio ha sottolineato la necessità di “costruire insieme un corridoio sicuro per provare a portare via il grano dal Paese e permettere quindi ai produttori ucraini di esportarlo e riportarlo sul mercato”.

I prezzi del grano hanno subito un rialzo a causa del conflitto, che potrebbe raggiungere picchi più alti di un ulteriore 20%, entro la fine dell’anno. Così, si verificherebbe una perdita d’acquisto sostanziale che colpirebbe anche gli italiani.

«L’Ue con i suoi progetti di cooperazione allo sviluppo ha una grande responsabilità anche perché saremo i Paesi che direttamente subiranno gli effetti di questa insicurezza alimentare».

 

L’intervista di Putin a un’emittente tv russa

Intanto, Putin ha parlato ai microfoni dell’emittente tv pubblica Rossiya 24, affrontando anche il tema delle esportazioni di grano dall’Ucraina. Il presidente russo si è detto pronto a garantire il passaggio tramite anche i porti occupati dalle sue truppe.

«I porti del Mar d’Azov, Berdyansk, Mariupol, sono sotto il nostro controllo. Siamo pronti a garantire un’esportazione senza problemi, anche del grano ucraino, attraverso questi porti – ha dichiarato il leader russo – Stiamo finendo i lavori di sminamento”, ha aggiunto, “il lavoro è in fase di completamento, creeremo la logistica necessaria, lo faremo».

Putin ha assicurato di non voler impedire l’export di grano ucraino, aggiungendo che la crisi alimentare non sia direttamente imputabile alla Russia, accusando anche per questo l’Occidente. Per il presidente, le notizie di un blocco all’esportazioni di grano dall’Ucraina, sarebbe un’invenzione dell’Occidente per coprire gli sbagli fatti proprio dai Paesi occidentali.

Inoltre, ha detto di aver invitato Kiev a rimuovere le mine poste nel territorio ora sotto il controllo russo, per rendere sicure le esportazioni del grano, aggiungendo che di tale situazione la Russia non ne approfitterebbe per sferrare attacchi dal mare.

In ogni caso, al di là delle dichiarazioni fatte dalla Russia e della questione della veridicità degli incontri tra vertici europei, statunitensi e britannici, ciò che più conta è che i protagonisti politici siano d’accordo nel tentare di trovare la via per la pace più corta.

 

 

Rita Bonaccurso