Halloween smascherato: dalle origini al perché molti non lo festeggiano.

In occasione di questo fenomeno culturale -che non chiamerei festa perché collide con il significato etimologico della parola festa dal latino festus ‘gioioso, felice’– ti spiegherò perché Halloween non è una tradizione Cristiana e tanti decidono di non festeggiare.

In origine era… 

Halloween è una festa di origine celtica anche se molti credono abbia origini americane.

Si celebra il 31 ottobre e i suoi protagonisti sono fantasmi, zombie, streghe e zucche indemoniate ma per molti continua ad essere una festa innocua, per divertire adulti e bambini.

Si diffonde in Italia attraverso la cultura di massa con film, serie Tv e la strategia dell’up selling, incoraggiando i consumatori a comprare prodotti commerciali che sponsorizzano Halloween.

Per diverso tempo, e ancora oggi, questo evento è stato camuffato e offerto come una festa di tradizione cristiana, parafrasando il nome in All Hallows’ Eve e cioè vigilia di Ognissanti così coinvolgendo credenti e non, a partecipare.

Per quanto alcuni siano inconsapevolmente attirati dal mondo dell’occulto, l’esoterismo e rituali vari, vi sfido a trovare un solo elemento che colleghi la santità a vampiri assetati di sangue, licantropi feroci e  morti putrefatti che ti perseguitano di notte sotto l’effetto di un incantesimo.

Beh, nessuno!

Credo che chiunque, soprattutto i promotori di questo evento, possa dire che ci troviamo in uno scenario antitetico.

Questo non è uno scritto medievale trasportato nel XXI secolo, al contrario, questa premessa è confermata e supportata dall’origine della stessa ricorrenza.

I Druidi- sacerdoti celtici. Fonte: Studiarapido.it
I Druidi- sacerdoti celtici nella notte di Samhain. Fonte: Studiarapido.it

 

…la notte di Samhain

Halloween coincide con la notte di Samhain, una festa mitico-rituale considerata come il capodanno celtico, in cui si inaugurava la stagione delle tenebre e del freddo, le persone lanciavano in omaggio ai morti cibo affinché questi, uniti a fate ed elfi, non facessero dispetti agli abitanti. I druidi, sacerdoti celtici, si mascheravano per eseguire riti in tutto il paese spesso accompagnati da sacrifici di bambini e vergini.

Nel tempo del Samhain i sacerdoti praticavano la divinazione per connettersi al mondo degli spiriti, evento che per gli stessi celti era piuttosto pericoloso perché permetteva facilmente l’attraversamento degli spiriti con conseguenze rilevanti per chi partecipava.

I simboli di Halloween 

Ben presto Halloween si diffuse in tutto il popolo americano, diventando quasi una festa nazionale.

Tra i simboli di Halloween vi è la zucca personificata dalla storia di Stingy jack, un uomo poco raccomandabile con un brutto carattere e a cui piaceva bere, che una sera contrattò con il Diavolo, venuto per prendere la sua anima, affinché gli concedesse un ultimo bicchierino ma non appena il diavolo si rese conto di essere stato preso in giro, si vendica condannando Jack ad essere per sempre un tizzone acceso e passare alla storia come Jack O’Lantern.

 

Halloween
Zucca di Halloween, simbolo di Jack O’lantern. Fonte: hvmag.com

 

Altro simbolo, il vampiro, quale essere immortale, uno spirito turbato che si può trasformare in un animale, si nutre di sangue e viene associato alla morte e alla malattia; la strega, una donna anziana maestra nei rituali e porzione magiche. 

Luce e… 

…tenebre

In conclusione

Elena Zappia
Fonti: https://www.corriere.it/tecnologia/22_ottobre_30/halloween-etimologia-significato-origini-e-la-vera-storia-della-festa-del-31-ottobre-842ce0cf-0701-4e4f-b781-10842e062xlk.shtml
https://www.ilpost.it/2022/10/31/halloween-festa-storia/
https://www.worldhistory.org/trans/it/1-19183/samhain/
https://gianfrancoamato.it/la-festa-delle-tenebre/
https://www.adi-rc.org/blog/?halloween–cosa-c-e-dentro-la-zucca
Pastore della chiesa evangelica di Messina Phil Cannavò

https://www.tuttoamerica.it/cultura-e-societa-americana/feste-negli-stati-uniti/halloween/#:~:text=Ben%20presto%2C%20questa%20usanza%20si,che%20ne%20era%20rimasta%20estranea. https://www.focusjunior.it/comportamento/feste/halloween/halloween-quando-si-festeggia-e-perche/ https://www.irlandando.it/halloween/storia/

Funghi, castagne e rock’n’roll: gli ingredienti vincenti per emergere

Lo scorso weekend si è svolta a Salice, villaggio appartenente alla VI circoscrizione del Comune di Messina, la prima edizione della manifestazione “Casali Peloritani in Musica”: una serata all’insegna del buon cibo e dell’ottima musica, caratterizzata dalla voglia di riscatto delle piccole comunità che hanno contribuito alla riuscita dell’evento.

Organizzato dalla Pro Loco “Casali Peloritani” in concorso con l’Assemblea Regionale Siciliana, la Parrocchia di Salice e con il Centro di Cultura Micologica di Messina, un semplice sabato di ottobre si è trasformato in un momento di festa per grandi e piccoli.

I visitatori hanno gustato una varietà di prodotti tipici: strozzapreti ai funghi, mostarda e castagne accompagnati da vino e biscotti artigianali, il tutto di provenienza locale. Ad arricchire l’atmosfera, il gruppo musicale dei Bezz Bizz, che hanno sfoderato un repertorio di grandi classici degli anni ’80-’90 facendo ballare e cantare le vecchie e nuove generazioni.

I funghi : un mondo da scoprire

A dare inizio all’evento l’inaugurazione della mostra micologica, dove gli appassionati (e non solo) sono stati accolti da diverse specie di funghi: dalla più velenosa alla più stramba, tutte provenienti dai Colli San Rizzo. Sotto la direzione del micologo Vincenzo Visalli, interessatosi per caso a quella che è la disciplina della micologia, la mostra ha rappresentato un exursus sull’importanza dei funghi in natura, un ruolo fondamentale che molti disconoscono.

Fu proprio Visalli a portare questa cultura a Messina e a diventare il presidente della prima associazione micologica nella città. Prima del 1971, infatti, il Sud non vantava grandi conoscenze in materia.

Nel 1988 – racconta con orgoglio Visalli – nacque l’idea di creare un disegno di legge che poi si tramutò nella legislazione ancora vigente sulla raccolta e commercializzazione dei funghi che fino ad allora non esisteva. «Purtroppo, col tempo, questa passione sta scomparendo. Conoscere i funghi è necessario perché ci sia la vita sul pianeta Terra» dice con un sottile velo di malinconia negli occhi. E aggiunge: «I funghi non sono solo esseri vegetali, come crediamo, ma nel DNA appaiono più vicini a noi essere umani che alle piante; tant’è che per nutrirsi devono trovare sistemi nutritivi differenti in quanto non presentano la clorofilla».

Esempio di fungo fuori stagione a causa del cambiamento climatico
Esempio di Coprinus Comatus

E anche i funghi testimoniano gli effetti del cambiamento climatico sulla flora locale: lungo la tavolata erano presenti alcune specie piuttosto rare che solitamente nascono solo in estate. Inoltre, risulta complicato stilare una lista di possibili varietà in via di estinzione proprio perché tuttora alcune di esse sono sconosciute, mentre altre esistono da secoli, come il Coprinus Comatus che – piccola curiosità – contiene inchiostro e per questa ragione veniva utilizzato nell’antichità dagli scrivani. 

Parole d’ordine: valorizzare e promuovere

La Pro loco nasce a dicembre del 2022. Costituita da ben quattordici casali della zona nord “sospesi tra mare e cielo nel verde dei peloritani“, punta a divenire un esempio di impegno e solidarietà per le comunità che la compongono. Lo scopo è «quello di acquisire uno sviluppo nell’ambito turistico coinvolgendo le associazioni del territorio», come afferma il presidente Salvatore Feminò. Nonostante sia nata da pochi mesi le idee sono tante,  «eventi come questo servono per fare in modo che le persone prendano coscienza delle realtà che ci sono, per entrare in quella mentalità di sviluppo attivo

Le iniziative non mancano: per esempio, è attualmente attivo un corso tenuto dall’università di Messina per diventare guide ambientali escursioniste, investendo così sulla formazione per rendere fruibili i percorsi turistici naturalistici. In programma anche una manifestazione l’11 novembre per festeggiare San Martino al Forte dei Centri, «L’obiettivo di fondo è quello di dare valore ai luoghi di cui disponiamo, valorizzandoli; essere custodi di identità e di tradizioni e per farlo bisogna costruire assieme. La collaborazione è fondamentale per andare avanti.»

Salvaguardare i borghi con l’aiuto dei giovani

L’Associazione Borghi più Belli di Sicilia proprio alcuni giorni fa ha evidenziato una grande problematica: quella dello spopolamento delle aree interne. Gli abitanti diminuiscono a vista d’occhio con conseguenze inevitabili.  Negli ultimi anni i borghi hanno incrementato il turismo e alcune aree sono state riqualificate, rischiando però di vanificare tutti gli sforzi compiuti dalle piccole realtà.

La Pro Loco “Casali peloritani” si impegna ad «Avvicinare e coinvolgere i ragazzi e le ragazze alla propria terra, rendendoli in primo luogo protagonisti, mettendo in atto quella cooperazione con le altre associazioni di volontariato di cui disponiamo».

A tal proposito, un esempio di amore e dedizione è quello dei volontari del gruppo “CuriAmo Salice“, presenti alla manifestazione, che dal 2020 si impegnano attivamente per migliorare il villaggio e con idee originali hanno dato il via ad un’opera di pulizia di alcuni scorci che erano andati dimenticati. «Da tre anni abbiamo deciso di rimboccarci le maniche, piano piano abbiamo dato vita a tante creazioni. Passeggiando per il paese troverete: vasetti colorati, poesie, murales e angolini dove poter sostare in tranquillità. Inizialmente scendevamo in campo solo durante le festività come Natale o Carnevale, oggi cerchiamo di essere presenti sempre quando possiamo. Non siamo tantissimi, chiunque voglia darci una mano può farlo».

Serena Previti

Halloween in Sicilia

Abbiamo visto il Sole splendere incandescente in estate, poi le ore di luce e le ore d’oscurità equivalersi in autunno e adesso è venuto il momento in cui le tenebre sono sempre più preponderanti; e non è finita, continueranno ad accrescersi. È il momento in cui la natura dorme, che da sempre ha fatto pensare i nostri antenati non soltanto al ringraziamento per la stagione del raccolto, ma anche alla morte.

Questo periodo ha fatto nascere in àmbito cristiano le festività che sono Ognissanti e la Festa dei Morti, che nel contesto soprattutto celtico sono precedute da Halloween, cioè “Vigilia d’Ognissanti”. Da anni, a causa della popolarità di questa festa, infuriano polemiche d’ogni genere e travisamenti della peggior specie: i cristiani ritengono diabolica la ricorrenza, i tradizionalisti ne denunciano il contrasto con le nostre usanze, i mondani se ne fregano e preferiscono andare a ballare. Ma qual è la verità?

Luna e tenebre – Fonte: latinaquotidiano.it

Frutta e oltretomba

Innanzitutto, partiamo dalle origini. È vero che così per come appare Halloween sia celtica, ma fare questa affermazione sarebbe inappropriato. Nella nostra parte del mondo, a cominciare da Roma e sin in epoca imperiale, si festeggiavano le Pomonalia, cioè in onore della dea Pomona, per ringraziarla del raccolto, anche i frutti raccolti: questo fa pensare, per esempio, all’abbondanza di dolci di questo periodo, che nella forma di frutta martorana imita proprio i frutti e dunque par ricordare un’offerta che si faceva alla dea, ma anche ai defunti ovviamente. Le date delle Pomonalia non erano fisse e non sono accertate, tuttavia si ritiene generalmente che coprissero questo periodo.

Ma qui termina il lato luminoso della vicenda.

Nella maggior parte delle culture, l’incremento delle ore di tenebre sono associate a un’intensificazione dell’attività soprannaturale, che sia benefica, neutrale o nefasta, ma soprattutto i casi sono questi ultimi due. No, che gli spiriti girino nella notte del 31 Ottobre – per cui bisogni scacciarli con spaventosi mascheroni – non è affatto un’idea celtica: anche nella nostra Sicilia si crede all’attività spiritica, che però diviene incontrastabile piuttosto durante la Novena di Natale.

Va detto che le feste cristiane furono collocate in luogo dell’antico SamonioSamhain in gaelico – che si teneva in 31 Ottobre, e non il contrario, proprio per porre fine ai riti non cristiani che ancóra vi venivano celebrati in onore dei defunti. Halloween, in realtà, altro non è che l’antico Samhain che cambia nome, camuffandosi come Vigilia d’Ognissanti – dunque parzialmente un prodotto cristiano – ma riprendendo diversi caratteri dell’antica celebrazione, talvolta in forma parodistica tanto da essere disprezzati anche da coloro che oggi professano qual propria religione il Druidismo.

La celebre frutta martorana – Fonte: radiortm.it

Ma noi siamo peggio…

Come si è visto, dunque, i punti di partenza sono i medesimi. Ma allora perché ogni hanno tanto litigio, tanta amarezza? Si sente dire continuamente che la nostra Festa dei Morti (2 Novembre con vigilia l’1) “è carina” mentre invece quella proveniente dai famigerati paesi anglosassoni “è lugubre”. È davvero così?

Checché ne dicano coloro che vogliono fare della nostra una festa per bambini – i quali per altro sembrano non desiderarla affatto il più delle volte (s’indaghi perché) – essa non è affatto tale. Lo volete sapere che cosa si crede generalmente in Sicilia riguardo ai Morti, in quella notte? O meglio, si credeva, visto che probabilmente abbiamo dimenticato.

Si credeva che i Morti nella notte tra l’1 e il 2 Novembre (anziché tra 31 e 1!) uscissero dalle tombe componendo lunghi cortei e invadessero le città attraverso complicati e misteriosi cerimoniali che comprendevano il loro vestiario, le formule pronunciate, i comportamenti tenuti e persino il percorso seguìto. Questo lo si racconta in più o meno tutte le parti della Sicilia, e in alcune di esse queste figure sono davvero spaventose e financo pericolose (a Milazzo, per non andare lontano), tanto che non è quasi mai contemplata nemmeno l’idea di poter fare incontri ravvicinati. Tutte queste informazioni le ha tramandate l’insigne etnologo Giuseppe Pitrè, nel volume sulle feste della sua Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane.

Per non parlare poi di quali sono i dolci che ci mangiamo… le ossa di morto in primis, che nel nome e nella forma richiamano a qualcosa di piuttosto evidente, e le almuzze che raffigurano anime del Purgatorio con le braccia incrociate in penitenza. Noi non ce ne accorgiamo, ma dovremmo fare caso al fatto che nelle dolcerie adibite ad Halloween in Britannia o in Irlanda non esistono simili lugubri dolci, ma li facciamo soltanto noi; sicuramente, se dovessimo fare a gara, li batteremmo per chi fa i migliori dolcetti di Halloween a tema!

Casca tutta l’impalcatura a questo punto, non è vero che si tratta d’una festa mite e infantile. Il ritenerla tale è semplicemente il risultato dell’averne dismesse le usanze più antiche, relegandola a un gioco d’infanti: quando un oggetto si rompe o è vecchio lo si dà a loro per giocarci, passa da oggetto d’uso a giocattolo improprio destinato a distruzione definitiva.

Poi, certo, c’è tanto altro. C’è che questi Morti sono in fondo i nostri antenati, per quanto inquietante il loro monito possa essere, e che lasciano doni quando visitano le case lungo il loro tragitto, anche se non vogliono farsi incontrare.

Classico travestimento da fantasma – Fonte: wearegaylyplanet.com

Una nuova festa?

Il problema però resta, i tradizionalisti non hanno tutti i torti: perché festeggiare qualcos’altro se abbiamo la nostra, di tradizione? Ebbene, per preservare una tradizione innanzitutto bisogna conoscerla, e la maggioranza delle persone non la conosce o ne ha una versione edulcorata. Bisogna osservare che cosa piace, dunque, e capire che cos’è nella nostra tradizione che appare bene in linea con tal gusto (tutto, invero!).

Se oggi, soprattutto la gioventù, in Halloween brama la possibilità di confrontarsi con la dimensione della morte ed esorcizzarla, perché insistere per forza sull’aldilà placido e beato che in fondo noi stessi sappiamo essere una semplificazione? Abbiamo creduto per secoli le stesse cose alle quali si fa accenno nella “tradizione halloweenesca”, perciò recuperiamo la nostra, piuttosto, e non potremo certamente più lamentarci della distruzione dei nostri costumi.

Sicuramente sarebbe bello inscenare – con rispetto, senza fare gli sguaiati – le processioni dei Morti secondo l’antica tradizione, in queste sere, o vedere appositi mercatini ove le pasticcerie possano vendere i dolci tradizionali da esse prodotti, e dunque dare nuovo incentivo al recupero delle usanze culinarie.

Tante cose sarebbero belle, come in molti campi, ma se prima non cambiamo mentalità e atteggiamento, tanto vale rassegnarci a farci seppellire dalla mercificazione consumistica delle festività che tanto critichiamo (Natale compreso).

Ai posteri l’arduo giudizio!

Daniele Ferrara

 

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Fonte: blogsicilia.it

 

Corpus Domini: lu Vascilluzzu

La solennità del Corpus Domini è da dieci giorni trascorsa, ma, considerato che la sua massima espressione nella civiltà messinese non si è potuta quest’anno dispiegare, certamente fa bene parlarne ancòra! Mi riferisco alla Processione del Vascelluzzo, che buona parte delle persone a Messina avrà potuto vedere almeno una volta, ma forse senza conoscerne pienamente il significato.

È una processione cristiana, ma come tutte le manifestazioni non va mai fraintesa, mai ridotta al puro significato apparente, mai va guardata come a una superstizione! Ha un’intensità, quest’evento, ch’è saldamente radicata nella storia di Messina, e una spiritualità che rimonta a epoche remote.

Voilà: lu Vascilluzzu

Il Vascelluzzo è la piccola riproduzione d’un galeone a tre alberi, della lunghezza d’un metro, costruito in legno all’interno ma rivestito integralmente di lamina d’argento in ogni sua parte; è inclusa la base, decorata con motivi marini e quattro medaglioni con immagini devozionali. Proprio per questa sua particolarità, esso è lascito della plurisecolare tradizione degli argentieri messinesi, rinomata un tempo in lungo e in largo come una vera eccellenza artistica. In contrasto con il bianco e lucido argento sono stendardi e bandiere rosse bordate d’oro, che in ogni parte adornano il galeone. Dalla coperta, inoltre, emergono floride spighe di grano.

Talvolta il Vascelluzzo annoverato tra le machine processionali, ovverosia quegli apparati festivi complessi (la Vara, il Cammellaccio…), sui quali non sarebbe errato dire che Messina ne abbia il più elevato numero almeno tra tutte le città d’Europa.

Per tradizione devozionale il Vascelluzzo viene diligentemente custodito dalla Confraternita di Santa Maria di Portosalvo (nata più di trecento anni fa), che vi fa per tutto l’anno buona guardia e lo conduce a spalla in processione nel giorno del Corpus Domini ogni anno, sin dall’inizio di questa usanza e dalla creazione della preziosa varetta.

Una curiosità piuttosto rilevante: per la processione del Corpus Domini, sul Vascelluzzo viene sistemato il reliquiario contenente i capelli con cui sarebbe giunta legata la Sacra Lettera scritta da Maria madre di Gesù, i capelli della Madonna stessa. Appare inspiegabile che Messina non sia mèta di pellegrinaggio mariano, considerato che possiede (se si vuole prestare fede alla tradizione) l’unica reliquia consistente in un resto corporeo della Beata Vergine Maria!

Fonte: colapisci.it

Bastimenti miracolosi e provvidenziali

Come mai si porta in processione lu Vascilluzzu?

Secondo la versione più antica bisogna risalire al tempo della Guerra del Vespro. Quando Carlo d’Angiò divenne Re di Sicilia, usurpando il trono di Corrado II (il giovane e coraggiosissimo Corradino) e uccidendolo, e quando impose sulla Sicilia un governo duro insediato a Napoli e le cui direttive venivano eseguite da soldati francesi, le città siciliane decisero di ribellarsi e cacciare gli uomini stranieri del Re, e rovesciare il Re stesso; tra queste c’era Messina, che per la sua posizione sarebbe stata la prima a essere attaccata. Così avvenne: Messina, guidata dal capitano di popolo Alaimo da Lentini, si ritrovò assediata e, ben presto, ridotta alla fame, come certi racconti ci tramandano. In una situazione di tale calamità, dal nulla una nave carica di frumento riuscì miracolosamente a superare il blocco navale e a entrare in porto, mandata dalla Madonna grazie all’intercessione di Alberto degli Abati.

Un’altra versione dell’origine, più recente, rimanda a una carestia verificatasi alle porte del secolo in cui fu commissionato il Vascelluzzo (XVII), ed è quella che in principio fu insegnata anche a me da bambino. Nel 1603 d.C. il territorio fu colpito da una terribile carestia, che purtroppo in quei tempi era un fenomeno che si ripeteva periodicamente e di difficile risoluzione. Questa, in quell’occasione, si presentò per Messina quando un grosso bastimento greco di grano che transitava nello Stretto fu colto da una tempesta e a causa dei danni riportati si ritrovò impossibilitato a navigare. I marinai si ritrovarono allora costretti a chiedere aiuto a Messina pur temendone una razzia, ma, dato che si erano appellati alla Madonna, la nostra città decise comunque d’aiutarli rimorchiando la nave in porto, e in cambio furono distribuiti pani che sfamarono la popolazione. Da quel momento, per decreto del Senato di Messina, si sarebbe per sempre fatta questa processione.

Fonte: strettoweb.com

Le varette naviformi isiache

In generale, come in molti altri casi ricorrenti nelle nostre gloriose festività municipali dei secoli scorsi, qualora il Vascelluzzo non dovesse ricordare alcun miracolo esso rimarrebbe il simbolo della potenza e dell’essenza marinara di Messina, una città sposata con il mare sin dal tempo in cui si adorava l’enosigeo dio Poseidone e che da esso ha sempre tratta tutta la sua ricchezza che in altre epoche fu poderosa e difficilmente eguagliata da altre città.

Ma comunque, nonostante gli eventi storici ben riconoscibili e relativamente a noi vicini che si propongono come cause fondanti di questa nostra consuetudine, bisogna risalire a un tempo ancor più distante per spiegare l’origine di usare navigli come oggetti di devozione e processionali.

L’utilizzo di una varetta a forma di nave era tipico delle processioni ellenistiche in onore della dea Iside, nel tempo in cui il suo culto era diffuso in tutto il Mediterraneo. Si tratta del Nauigium Isidis (“Naviglio di Iside”, appunto) che si celebrava in ricordo del suo peregrinaggio alla ricerca delle membra divise del suo defunto sposo Osiride; la data si determinava astronomicamente, esattamente come e quando ricorre la Pasqua cristiana oggi. Iside è dunque patrona dei naviganti, che si possono anche intendere metaforicamente come coloro che navigano verso una mèta spirituale.

Anche nei paesi iberici si riscontrano diverse reminiscenze isiache proprio nel Corpus Domini. Probabilmente è vero che i popoli hanno memoria così come le persone, e anche se consciamente rimuovono un’esperienza, inconsciamente mai la dimenticano.

Altri due apparati festivi messinesi di forma navale è importante menzionare allo scopo di ricondurre l’usanza alle celebrazioni isiache: la Galea della Lettera che si montava per il 3 Giugno (Gran Madre della Lettera) e il Vascello Granario che si allestiva per il 15 Agosto (Maria Assunta in Cielo), in entrambi i casi si tratta di solennità dedicate alla Vergine Maria, che in moltissime occasioni è proprio la controfigura cristiana della potentissima e soavissima Iside. Anche per queste altre imbarcazioni vale l’interpretazione sopradetta, ossia la glorificazione di Messina sul mare.

Come vedete, nelle tradizioni identitarie ce ne sono a iosa di motivazioni e significati per festeggiare: è perché non sono feste di Cristiani, ma feste di Messinesi, della municipalità tutta. E come ripudiare la propria identità?

Fonte: granmirci.it

 

Daniele Ferrara

 

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Fonte: vivasicilia.com

La Madonna della Lettera: tradizioni e verità di un culto identitario

Quella che vi presentiamo è una storia che troppe persone, purtroppo, soprattutto delle nuove generazioni, sconoscono anche completamente; a prescindere dal sentimento religioso d’ogni messinese, essa costituisce un elemento risolutivo della nostra identità stessa, che non si può spazzare via. Ci riferiamo alla Madonna della Lettera che oggi si celebra, alla sua leggenda, alla sua tradizione e alla sua travagliatamente discussa autenticità.

Chiedo al pubblico che legge di accostarsi serenamente all’argomento, dimenticando, per qualche momento, la propria affiliazione religiosa o la mancanza d’essa. Se aprite il vostro cuore, troverete ciò che segue affascinante.

Fonte: immaculate.one

La lettera venuta dall’Oriente

Ecco cosa narrano gli aedi cristiani…

San Paolo apostolo si trovò a passare dallo Stretto, in semplice viaggio missionario oppure durante la sua deportazione a Roma; scese dalla nave nel porto di Messina, o forse nell’antico approdo di Briga Marina ove oggi ancòra si conserva la pietra sulla quale salì per predicare; e così Paolo parlò ai Messinesi del suo Gesù, crocifisso e risorto un decennio prima, convincendoli a convertirsi al Cristianesimo; consacrò anche il primo Vescovo di Messina, Bacchilo.

Secondo la pia tradizione, l’intera Città di Messina si convertì alla nuova religione, a cominciare dal Senato che la governava in ossequio dei patti con Roma. La popolazione fu talmente colpita dalla figura di Maria madre di Gesù che il Senato decise di mandarle un’ambasciata per incontrarla e chiederne la benedizione. Una tradizione più tarda consegna anche i nomi dei quattro inviati: Geronimo Origgiano, Marcello Bonifacite, Brizio Ottavio e Centurione Mulè.

L’ambasceria, giunta a Gerusalemme, cercò Maria nella casa dell’apostolo Giovanni, ove viveva secondo l’ultima richiesta del figlio morente, e là la trovò. Sull’incontro che avvenne non sappiamo molto, talvolta s’immagina una presentazione dei quattro uomini da parte di Paolo; ciò che sappiamo è che Maria scrisse di proprio pugno una lettera ove accordava a Messina una benedizione perpetua ed elezione a sua città protetta, con la quale gli ambasciatori fecero ritorno in città, accolti trionfalmente dalla popolazione.

Era il 3 Giugno del 42 d.C. quando la lettera fu mandata. Il resto è storia, del culto di quella che divenne nota come Gran Madre della Lettera.

Fonte: immaculate.one

Qual è la verità sulla Sacra Lettera?

Viene da domandarsi quali prove possediamo; nessuna veramente solida, ahimè. Come se non bastasse, il racconto predetto contiene svariate contraddizioni storiche, e per giunta lo stesso testo pervenutoci della Sacra Lettera non sembra affatto scritto in quel tempo e da quella mano. Ora discutiamo tutti gli argomenti, per il bene della più savia conoscenza.

I primi problemi riguardano il vettore della conversione: Paolo di Tarso. Non risulta che l’Apostolo abbia viaggiato oltre l’Egeo prima del 60 d.C., quando fu condotto a Roma per essere processato, figuriamoci nel 42! Anche affermare che la predicazione a Messina avvenne durante l’ultimo viaggio è sbagliato, giacché questo appunto fu attorno al 60.

Poi, appare assurda la conversione al Cristianesimo d’un’intera città nel 42 d.C., già considerando che il Cristianesimo per com’inteso non nacque se non molto tempo dopo la morte di Cristo; prima, era soltanto una corrente eretica dell’Ebraismo. I Gesuani erano ancòra traumatizzati dalla morte del loro Messia (ebraico, non “cristiano”), e aspettavano di vederlo in qualunque momento ritornare in terra per la vittoria finale sui peccatori. La propagazione della nuova dottrina poteva avvenire soltanto in ambienti ove fosse radicata una comunità ebraica, autoctona o immigrata, che eventualmente l’avrebbe accolta (ma non tutta la città, men che meno il Senato).

Quanto ai nomi dei quattro ambasciatori: appaiono più tardi che bizantini, altro che I secolo d.C.! Difatti, furono introdotti nel XVII secolo d.C. da suor Maria Roccaforte, la quale affermò d’averli saputi mediante una visione (taccio).

Il testo della lettera invece evidenzia problematiche strettamente inerenti la sua presunta autrice. Ella parla già come se si fosse instaurata una Chiesa come non la si vedrà fino al Concilio di Nicea (325 d.C.): si proclama vergine, madre di Gesù crocifisso, il quale è sia dio che uomo… tutte cose che non facevano assolutamente parte della mentalità ebraica dei protocristiani, e perdipiù l’ipotetica Maria si attribuisce già il potere di proteggere. Inoltre, la data è, testualmente, il “42° anno dal Figlio”, praticamente con l’Anno Domini inventato da Dionigi il Piccolo (VI secolo d.C.)!

Per finire, possiamo affermare che un chiaro culto della Madre della Lettera non esistesse prima del 1490 d.C., quando fu recuperata e tradotta dal greco al latino la Sacra Lettera dal grande letterato Costantino Lascaris, che molti – ingiustamente! – indicano come vero autore del documento.

Non è un mistero che Messina, dal XV secolo d.C. in poi, cercasse in ogni modo di dimostrare la propria superiorità sulle altre città siciliane, anche facendo carte false, nella lotta spietata per il titolo di capitale del Regno di Sicilia; tra tutte, Messina era indubbiamente la più fiera e i vanti maggiori sono stati suoi.

Fonte: lecodelsud.it

Eppur non può non essere vero!

Di sicuro, la coscienza della propria elezione mariana sin dalle origini del Cristianesimo è stata motore primo della grandezza di Messina nell’ultimo mezzo millennio.

A tutte queste concretissime e giustissime contestazioni, ci sono degli argomenti fondamentali che bisogna contrapporre, ancorché vaghi, per tentare di chiudere la falla.

È vero, la versione della pia tradizione sembra stravagante e antistorica, ma nel corso del XVII secolo d.C. sono fioccate in diverse biblioteche del Mediterraneo delle copie della Sacra Lettera, in diverse lingue e in versioni diverse, anche nelle località più insospettabili (in Siria, perfino!). Viene da domandarsi: sono tutte state scritte e sparse in giro da falsarî al soldo di Messina?, o forse il Senato di Messina pagò eruditi stranieri affinché affermassero d’avere trovate le benedette copie?, o peggio ancòra, furono gl’intellettuali messinesi che riportarono le notizie dei ritrovamenti a inventarsi tali fatti di sana pianta? Sono ipotesi improbabili.

Oso aggiungere una verifica che sento sempre d’applicare in materia religiosa: il “criterio della buonafede”. Partiamo dal presupposto che nel passato la schiacciante maggioranza delle persone credeva davvero e in ogni particolare alla propria religione: mentire per ottenere potere, inventare qualcosa di sana pianta e soprattutto mettere in mezzo la Santa Madre, sarebbe apparso certamente come un terribile peccato mortale con conseguente pena. Solamente una reale convinzione avrebbe potuto generare certe affermazioni.

I devotissimi aggiungerebbero come prove molti miracoli, ma quelli non sono di nostra competenza.

Fonte: strettoweb.com

In conclusione dobbiamo ammettere che qualcosa di vero debba esserci, che gli eruditi del passato non abbiano mentito, ma abbiano soltanto tentato di ricostruire i fatti, eventualmente falsandoli “in buonafede”. Ma la ricerca non può fermarsi qui, deve continuare, affinché sempre più parti di verità possano riemergere.

Buona Solennità della Madonna della Lettera!

 

Daniele Ferrara

 

Per approfondire:

Marco Grassi, La Devozione a Maria SS. della Sacra Lettera – Patrona Principale della Città di Messina, EDAS 2021

Immagine in evidenza:

La Madonna della Lettera – Fonte: messinatoday.it

La Basilica di Sant’Antonio a Messina

Ancora una volta – a causa pandemia – un altro importante anniversario rischia di non essere celebrato adeguatamente; proprio quest’anno, infatti, ricorre il centenario dalla fondazione – a Messina – della Basilica di Sant’Antonio da Padova, voluta da Padre Annibale Maria Di Francia.

La rinascita di un quartiere malfamato

La Basilica è situata nel cuore della città di Messina, nel quartiere Avignone, dove, più di un secolo fa, papa Pio X donava alla comunità un luogo che sarebbe diventato anni dopo un centro religioso e un punto d’incontro per fedeli, orfani e, soprattutto, per i più poveri. Un quartiere malfamato bisognoso di un risanamento morale e che, grazie all’arrivo di un giovane sacerdote – padre Annibale – divenne un luogo dedito alla redenzione, avente come fulcro una piccola cappella dedicata al Cuore SS. di Gesù.

La dedizione nei confronti dei più bisognosi spinse padre Annibale a venerare la santità di Antonio da Padova, in particolare per il rapporto con gli orfanotrofi; infatti, nel 1882, diede vita agli Orfanotrofi Antoniani, cambiando radicalmente la realtà del quartiere Avignone.

Padre Annibale assiste un mendicante del quartiere Avignone – Fonte: basilicaantoniana.it

La devozione a Sant’Antonio, il Santo dei Miracoli

Confidando sempre nell’aiuto divino e nell’assistenza del Santo di Padova, i1 13 giugno del 1906 Annibale lanciò un invito a tutti i devoti di S. Antonio affinché con un solo obolo di ciascuno venisse acquistata una statua in onore del Santo. La statua fu trasportata da Roma nel maggio del 1907. Da quel momento molti dei miracoli invocati dai credenti divennero realtà tangibile. La prima processione fu celebrata il 13 giugno 1907.

Dopo il terremoto del 1908 – che rase al suolo le due città dello Stretto -, la statua fu ritrovata integra e adagiata.

Inoltre, in seguito a quel drammatico evento, l’allora papa Pio X donò una “chiesa-baracca” alla città di Messina, nella quale Sant’Annibale proclamò Sant’Antonio da Padova “Singolarissimo e instancabile benefattore nostro e di tutti quelli che alle nostre preghiere si raccomandano”.

Nella notte tra il 26 e il 27 aprile 1919 un misterioso incendio distrusse la chiesa-baracca; immediatamente le parole di una donna offrirono un barlume di speranza in quel momento di sconforto:

Non vi preoccupate, ora Padre Francia ne farà una tutta d’oro!

Il Santuario di Sant’Antonio – Fonte: torrese.it

La struttura della Basilica

Così il 3 aprile 1921 venne posta la prima pietra per la costruzione dell’attuale Basilica, inaugurata il 4 aprile 1926 sotto il nome di “Tempio della Rogazione Evangelica del cuore di Gesù e Santuario di Sant’Antonio”.

La realizzazione dell’opera fu affidata allo Studio dell’Ingegner Letterio Savoja: obbiettivo principale era la resa armonica di una struttura ottocentesca elegante, coerente e perfetta. L’impianto a navate che dirigono lo sguardo del fedele direttamente alle absidi rivelavano l’influenza rinascimentale. Inoltre le vetrate istoriate sostituite dopo gli assedi bellici del ’44, permettono alla luce di filtrare tenue creando un’atmosfera mistica che invita il fedele stesso alla preghiera.

Oggi la Basilica è considerata uno dei luoghi di culto più importanti per Messina e i messinesi. Essa, dal grande esempio di Sant’Annibale, offre ancora un servizio semiresidenziale per i minori tramite l’Istituto Antoniano.

All’interno della maestosa Basilica è possibile visitare la cripta dedicata a Padre Annibale, dove si trova l’urna contenente il corpo del Santo fondatore.

Annesso alla chiesa vi è un museo nel quale è visibile in due ali separate oggetti dedicati rispettivamente a Sant’Annibale e Sant’Antonio.

L’interno della Basilica – Fonte: lasiciliainrete.it

La processione di Sant’Antonio

Come è noto, Messina è una città ricca di secolari tradizioni religiose; e infatti, ogni anno – il 12 e il 13 giugno -, la comunità messinese rinnova la sua immensa devozione al Santo dei Miracoli svolgendo un’imponente processione. La statua di Sant’Antonio sfila per le vie del centro, seguita da innumerevoli devoti e pellegrini che indossano il saio francescano, ed è posta su di un mappamondo abbellito di fiori e ori votivi dei fedeli e attorniata da piccoli marinaretti e paggetti antoniani, in ricordo dei piccoli orfani e poveri della comunità.

Processione del Santo – Fonte: basilicaantoniana.it

Le celebrazioni per il centenario

Quest’anno le celebrazioni in onore del Santo dei Miracoli sono iniziate l’8 aprile e si concluderanno il 13 dello stesso mese.

Oggi, 10 aprile, alle ore 18 si celebrerà la Santa Messa presieduta dal Superiore Generale dei Padri Rogazionisti, Padre Bruno Rampazzo, mentre alle ore 21 si terrà – a porte chiuse –  il concerto presieduto dagli allievi del Conservatorio “A. Corelli” di Messina, con la partecipazione dell’onorevole Antonio Martino.

Domani, data del centenario, alle ore 17:30 si terrà il Solenne Pontificale, presieduto dal cardinale Marcello Semeraro – Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi -, con la lettura delle Bolla Pontificia per l’apertura del Giubileo. Conclusa la celebrazione – concelebrata dall’arcivescovo di Messina Monsignor Giovanni Accolla –  è in programma una processione interna con le reliquie di Sant’Antonio e un omaggio alla spoglie di Sant’Annibale di Francia nella cripta del Santuario.

Un festival di luci ed immagini sulla facciata della Basilica concluderà questa intensa e memorabile giornata.

 

Marika Costantino

Fonti:

basilicaantoniana.it

Si ringrazia Padre Orazio Anastasi, in particolare per le informazioni sul calendario delle celebrazioni

Immagine in evidenza:

 La facciata della Basilica di San’tAntonio – Fonte: basilicaantoniana.it

 

 

Il giorno della maschera

Carnevale nelle vie di Messina e provincia.

Anche quest’anno, nella nostra città, si sente e si vede aria di festa, tra il profumo dei dolci carnevaleschi e i colori che riempiono le strade, tra coriandoli e maschere di tutti i tipi, cadendo sempre nell’originalità della festa.

Così come le maschera non mancano le iniziative Messinesi.

Piazza Cairoli accoglierà il 2 marzo i cittadini in grandi sfilate di fantasia, ricordando per antonomasia le sfumature Disney, senza tralasciare il divertimento del pubblico, tra spettacoli musicali e Danze popolari tipiche della cultura Siciliana.

Ma le sorprese non finiscono… “A Carnevale ogni scherzo vale“ dice il proverbio e noi di scherzi in questi giorni ne vedremo ancora per un po’; a continuare il 3 Marzo con la sfilata delle mascherine , dei bambini della scuola Elio Vittorini, con il fantastico concorso “La mascherina D’oro” e a seguire l’esibizione della scuola di ballo “Sueno de Ball”.

 

Ma il divertimento prosegue anche per le strade di Torre faro, deliziando ancora una volta i cittadini e i passanti delle sue vie, con il tipico dolce della festa che racchiude le risate, e noi Messinesi così come nelle feste, ci teniamo alle nostre tradizioni, senza lasciarci scappare la pignolata, una tradizionale leccornia dei nostri tempi.

Quest’anno il Faro ne ha fatto un guinness dei primati: la pignolata Messinese, la quale sarà una delle protagoniste del 3 Marzo per il “Faro in festa 2019”, farà un record di 100 kg è sarà alta 1,30 mt, ma soprattutto larga 90 cm.

Una giornata da non perdere tra maschere fantasiose e delizie della nostra città, che ancora una volta riescono a farci ricordare non solo il significato festivo ma anche i buoni sapori che porta assieme ad un vestito ricco di colori.

Dalila De Benedetto

Messina e le sue dolci tradizioni

Siamo a Messina, terra di antiche dominazioni e influenze straniere. Terra di passaggio, grazie alla sua posizione di favore sul Mediterraneo che ne ha fatto punto di approdo per numerosi popoli, alcuni dei quali si soffermarono più a lungo di altri lasciando un po’ delle loro tradizioni anche sulle nostre tavole che ritroviamo ancora oggi, soprattutto in alcuni dolci della tradizione messinese.

A differenza del resto della Sicilia presenta influenze arabe molto minori, il che rende i suoi dolci molto meno zuccherati e melensi. Si sa, la città dello Stretto è famosa in fatto di dolci, con i quali contribuisce notevolmente al buon nome di tutta la Sicilia con cui condivide molte delle sue specialità, forte della sua antichissima storia, interessata soprattutto dall’influenza greca e spagnola.

La tradizione vuole che, a seguito della dominazione spagnola del 1600, allorquando la città stava passando un periodo di grande depressione, le monache di un convento di clausura – esistente ancora oggi – in occasione di feste popolari cominciarono a fare dolci da offrire alla popolazione, spesso da loro inventati come: Nzuddi, un biscotto mandorlato all’uovo, immancabile nella pasticceria panaria messinese. I Sospiri di Monaca, anch’essi immancabili nella piccola pasticceria delle domeniche messinesi. Si tratta di soffici savoiardi ripieni di ricotta dolce, il quale nome sembra proprio provenire dalle loro creatrici che si dice sospirassero di gioia ogni volta ne mangiassero uno.  Si racconta, inoltre, che in occasione del Carnevale offrissero quelli che risultano essere i diretti antenati della famosissima Pignolata. Si trattava, inizialmente, di mucchietti di pinoli fritti e amalgamati col miele che avevano la forma di una pigna, da cui il nome di pinolo del biscotto e pignolata dell’intero dolce. Successivamente si cominciò a mischiare insieme al frutto della pasta all’uovo; l’esperimento ebbe degli ottimi risultati e col passare del tempo la pasta all’uovo sostituì in toto i pinoli, fino a renderlo il dolce gustoso e ricoperto di glassa –  nella versione cioccolato e limone –  che ben conosciamo oggi.

Nel periodo pasquale l’aria dello stretto si profuma di cannella e semi di sesamo, e dai forni di tutto il messinese l’aroma dolce e pungente attira i cittadini in cerca dei morbidissimi Panini di cena, le cui origini si perdono nella tradizione della città. Questi dolci rappresentano il pane che Gesù condivise con gli Apostoli durante l’ultima cena e per questo tradizione vuole che si facciano il Giovedì Santo, anche se spesso ormai si trovano anche fuori periodo. Curiosa è la tradizione messinese circa la produzione di particolari dolcetti correlati alla festa dei defunti: le ossa di morto ( c.d morticini), proprio a ricordare, sia nel nome che nella forma, l’oggetto della celebrazione. Si tratta, infatti, di dolcetti composti dalla bicroma pasta garofalo bianca e nocciola. E i più allegri e colorati dolci in pasta reale che per via della loro forma, che riproduce fedelmente svariati frutti, sono comunemente conosciuti come frutta martorana.

Proseguendo nel calendario delle feste, Immacolata fa rima con Niputiddata, dolcetti dalla pronuncia tutta messinese e dalla classica forma a stella. Fatti di pasta frolla molto sottile, profumano l’aria in città nel periodo natalizio con il loro ripieno di frutta secca, fichi secchi, mandorle, canditi e cacao. Ma al di là dei periodi festivi, ci sono dei veri e propri must, che non possono mai mancare sulle tavole dei messinesi, che oltre ad essere delle delizie per il palato sono dei veri e propri momenti di sacra convivialità. E’ il caso del dolce messinese per eccellenza, quello che dopo una lunga e stressante settimana ti dice che finalmente è arrivata la domenica, quello per cui “uno spazietto libero lo trovo!” sempre, quello che non si conta in fette, pezzi o porzioni, ma “palle” è la sua unità di misura. Stiamo parlando del – rigorosamente chiamato – Bianco e Nero, il piramidale mucchietto di profitteroles ripieni di panna montata (il bianco), e ricoperti accuratamente da una crema al cioccolato (il nero), e con le immancabili scaglie di cioccolato, sottili da sciogliersi in bocca. Insomma, un vero e proprio classico immancabile. E’ la volta delle dolci salate sfinci messinesi, dolci fritti, ricoperti di zucchero semolato e tipicamente ripieni di uva passa. Il nome deriva dal latino spongia, spugna, a sua volta mutuato dal greco a indicare la loro consistenza morbida e irregolare come una spugna. Gli arabi le soprannominavano sfang.

Forse meno conosciuto a chi non è del posto, il Lulù alla messinese, un sorprendente dolce fatto di pasta choux (o pasta bignè) di solito abbastanza grande e dalla forma bizzarra e irregolare – quasi a ricordare un cavolo – ripieno di panna e talvolta anche di crema al cioccolato. A Messina, durante tutto l’anno, è possibile mangiare delle dolcissime pesche. Parliamo di un dolce dalla tipica forma ispirata fedelmente all’omonimo frutto. Si tratta di due mezze sfere di pasta brioches, tenute insieme al centro da uno spesso strato di crema chantilly e guarnite con ciliegie candite. Non sono tipiche di un momento o periodo precisi, ma vanno mangiate a sentimento, il momento giusto è esattamente quello in cui se ne ha voglia, che sia la colazione, la merenda o un qualsiasi momento della giornata.

Stilare una lista completa di tutti i dolci della tradizione messinese risulta impresa davvero ardua, ma un focus sulle specialità dedicate alla colazione è d’obbligo.
Decretata patrimonio dell’umanità direttamente dai messinesi, la Granita. Lei, l’unica e inimitabile, invidiata in tutto il mondo e oggetto di continue imitazioni che per i messinesi fa rima con profanazioni. Quella che per il resto del mondo non è altro che ghiaccio tritato guarnito con sciroppo, nella sua versione originale si tratta di una semplice miscela di acqua e purea o succo di frutta fresca di stagione o con caffè e cacao, addolcita a piacere e lasciata gelare in freezer per poi essere servita appena frullata e con aggiunta di panna appena montata nella sua versione “mezza con panna“, accompagnata dall’insostituibile brioche col tuppo, da intingere accuratamente. Anche la granita risale al periodo arabo della Sicilia e deriverebbe dal loro sherbet. In origine si usava la neve raccolta sui monti Nebrodi e la granita era chiamata rattata (grattata). Poi la neve passò da ingrediente a refrigerante. Insomma, una terra di tradizioni e storia non solo da raccontare ma anche da mangiare fatta di riti gelosamente custoditi, ma anche generosamente condivisi col resto del mondo, che hanno fatto della pasticceria siciliana una delle più famose al mondo.

 

Giusi Villa

Tra storia, fede e tradizione: il Vascelluzzo

http://www.messinaweb.eu/features-2/k2/categories/item/693-il-vascelluzzo.html

Ѐ una delle tradizioni più antiche di Messina e si rinnova ogni anno la domenica in cui la Chiesa celebra la solennità del Corpus Domini. Ѐ la processione del “Vascelluzzo”. Si tratta della riproduzione in scala ridotta di un galeone cinquecentesco, in tutti i suoi dettagli: tre alberi, i pennoni che reggono le vele, otto cannoni per fiancata. In legno grezzo ricoperto da lamine di argento lavorate a cesello, il manufatto è lungo un metro e alto due e mezzo e poggia su una base argentea incisa col motivo ad onde marine ornata con foglie e fiori. Fu realizzato da abili mani tuttora ignote, molto probabilmente nella seconda metà del XVI secolo in contemporanea con l’istituzione della Confraternita peloritana di Santa Maria di Portosalvo dei Marinai cui appartiene. Successivamente, a partire dal 1644, subì dei rimaneggiamenti, come testimoniano le date incise sulla struttura.

Portare in processione il Vascelluzzo ha un significato preciso per i messinesi: ricordare e ringraziare la Madonna, protettrice di Messina, per tutte le volte in cui la città venne salvata dalla fame e dalle carestie grazie all’arrivo nel porto di galeoni carichi di grano.

Il Vascelluzzo, adorno appunto di spighe di grano, viene portato a spalla dalla Chiesa di Santa Maria dei Marinai al Duomo; qui, su due dei suoi alberi viene fissato sotto una corona regale sorretta da due puttini alati, un reliquario contenente i “Sacri Capelli” con cui Maria, secondo la tradizione, legò la lettera che inviò ai messinesi. Dal Duomo, in serata, parte la processione: a sfilare per le vie principali del centro, insieme all’ostensorio con il SS. Sacramento, anche il Vascelluzzo. Una volta conclusa, e riconsegnata la preziosa reliquia, il Vascelluzzo è riportato alla chiesa dei Marinai e le spighe di grano vengono distribuite ai fedeli, che le custodiscono in casa in segno di augurale abbondanza.

http://www.granmirci.it/vascelluzzo.htm

Ma quali sono gli avvenimenti storici alla base di questa tradizione? I fatti maggiormente collegati al Vascelluzzo risalgono al 1302 e al 1603.

Nel 1302, Messina era cinta d’assedio per mare e per terra dal duca di Calabria Roberto d’Angiò. Ciò impediva che i rifornimenti di viveri giungessero nella città, che ormai era in preda a una grave carestia. I messinesi dunque si rivolsero ad Alberto, un monaco in odor di santità, e per intercessione delle preghiere di questi alla vergine Maria, vennero soccorsi da navi cariche di grano comandate dal leggendario cavaliere templare Ruggero de Flor.

Nel 1603, una terribile carestia attanagliava la città peloritana. Le navi straniere, sapendolo, evitavano di passare dallo stretto per non essere prese d’assalto dai messinesi affamati. Si narra che un’imbarcazione greca diretta a Napoli osò transitarvi e proprio in quel momento, per intercessione della Madonna, si alzò un forte vento che costrinse la nave a riparare nel porto messinese. In quell’occasione, le 5000 salme di frumento che essa trasportava furono la salvezza dei messinesi.

Altre carestie flagellarono Messina nel corso del XVII secolo: in particolare nel 1636 e nel 1653; tutte risolte grazie all’intervento mariano.

Nel perpetuo ricordo dell’aiuto di Maria concesso alla città, fu fatto costruire il Vascelluzzo come un vero e proprio ex voto. E ancora oggi, dopo secoli, ogni anno Messina rinnova la sua devozione mariana portandolo in processione e tenendo viva la memoria e la tradizione ad esso legate.

Francesca Giofrè