Occhio, malocchio… Le superstizioni messinesi

Su Tik Tok, è ora un trend imperdibile, da dover fare necessariamente se si vuole ottenere il massimo dei voti e, soprattutto, se si desidera superare un esame.

C’è chi, invece, si affida ai tradizionali santini per proteggersi e chi preferisce ripiegare su portafortuna fai da te: da calze stravaganti a slip particolari, da vestiari completamente nivei a pupazzetti d’infanzia nascosti dentro borse e tasche. La scelta di armamentario è ampia.

Oggi ha tanti nomi: macumba, seccia, gufata, ma qui, a Messina, ciò che più temiamo, soprattutto noi studenti, è noto come il malocchio.

Che cos’è il malocchio?

Quella del malocchio è una delle superstizioni popolari più radicate.

È inutile negarlo: noi siciliani siamo scaramantici e i messinesi non fanno eccezione.

Secondo la tradizione, il malocchio è la conseguenza di un’occhiata carica di intenzioni tutt’altro che benevole e positive, dal potere di scatenare nella persona interessata gli effetti più disparati.

Tra i sintomi più comuni troviamo: stanchezza, insonnia, agitazione, difficoltà a concentrarsi e malessere fisico non localizzato… I classici di una carenza di Sali minerali.

Non mancano, però, testimonianze di cecità improvvisa, impotenza e morte.

Il malocchio è figlio dell’invidia e dell’odio e per combatterlo, fin dall’antichità, si è ricorso a vari rituali di liberazione e di scongiura.

“[…] ma questi, appena egli faceva il nome del Chiàrchiaro, cioè di colui che aveva intentato il processo, si alteravano in viso e si ficcavano subito una mano in tasca a stringervi una chiave, o sotto sotto allungavano l’indice e il mignolo a far le corna, o s’afferravano sul panciotto i gobbetti d’argento, i chiodi, i corni di corallo pendenti dalla catena dell’orologio.”

Luigi Pirandello, La patente

 

Totò in "Questa è la vita", episodio "La patente"

Totò in “Questa è la vita“, episodio “La patente“. Fonte: storienapoli.it

Gesti, talismani, sali… L’uomo ha sempre trovato degli espedienti per ogni cosa.

A Messina, quello più diffuso contro il malocchio è la preghiera.

 

Nella notte di Natale

Manifestati i sintomi, è bene, da usanza, rivolgersi immediatamente a degli esperti e richiedere un’opportuna e attenta diagnosi.

Gli esperti in questione sono, solitamente, donne anziane e di fiducia, ereditarie di un potere mistico e posseditrici di formule segretissime. Queste preghiere, di derivazione cristiana e pagana, sono infatti trasmesse oralmente di generazione in generazione e, tradizionalmente, vengono insegnate nella notte di Natale.

In caso di esito positivo, la mavara si accinge nella sua liturgia, con un piatto d’acqua e dell’olio alla mano.

Le fasi del processo sono sconosciute a noi babbani e tali devono rimanere. Non possiamo toglierci il malocchio da soli, né tantomeno improvvisarci maghi e streghe!

Osservando il miscuglio di acqua ed olio, possiamo, però, ottenere alcune informazioni: ad esempio, la data approssimativa del malocchio, il sesso dell’autore e la relazione fra l’artefice e la vittima.

Alla fine, l’acqua deve essere gettata, preferibilmente lontano da casa, e il rituale dovrà essere ripetuto fino a quando le gocce d’olio che cadono nel piatto rimangano integre.

Rituale della segnatura, contro il malocchio
Rituale della segnatura, contro il malocchio. Fonte: www.quilianonline.it

Il malocchio nei casi di cronaca

Che esista il “male” o meno, riguardatevi dalle persone: sono loro i veri diavoli.

E Maria lo sa bene, signora messinese di sessantacinque anni che prometteva di togliere il malocchio e finiva per rubare nelle case.

O, ancora, un gruppo di criminali di Patti che, spacciandosi per veri e propri maghi e cartomanti, agganciavano le ignare vittime, inducendole a versare forti somme di denaro in cambio delle loro presunte prestazioni professionali. 

Oltre il danno, anche la beffa!

Valeria Vella

Fonti:

https://messina.gazzettadelsud.it/articoli/cronaca/2019/05/10/messina-promette-di-toglierle-il-malocchio-e-deruba-unanziana-fermata-ai-traghetti-86ef1d72-3772-499f-8d7c-3b16fdb84588/

http://www.strettoweb.com/foto/2020/05/arresti-messina-operazione-maghi/1015665/?fbclid=IwAR09uVHblk22UTQpXXqjhtyLnZ-5WrskWXHJwpYmXivZzbEwAMPnQsKX2Bg

https://www.siciliafan.it/superstizioni-siciliane/

San Sebastiano: il coraggioso Patrono di Barcellona P.G.

Il 20 gennaio di ogni anno, le strade aride e spoglie di Barcellona Pozzo di Gotto si riempiono di bancarelle offrenti giocattoli e dolciumi. È il giorno della festa del patrono della città, San Sebastiano Martire protettore da tutte le malattie contagiose. L’origine della festa si fa risalire al’500, quando nella contrada di Bassalona, venne eretta una Chiesa in suo onore per invocare la protezione dalla peste.

Tradizioni centenarie

Continuando la traversata di bancarelle si percepisce un odore di miele e zucchero proveniente da un dolce tipico barcellonese: la giaurrina o ciaurrina.

La giaurrina o ciaurrina. © Martina Buccheri.

Si tratta di una miscela di miele, olio d’oliva e zucchero che  viene fatta addensare sul fuoco e successivamente viene stesa su una lastra di marmo a riposare. Una volta ottenuto un composto morbido ed elastico, esso viene stirato, attorcigliato e abbattuto su un asse di ferro che rappresenta il chiodo di San Sebastiano.

Una vera goduria per il gusto e per l’olfatto.

La lavorazione della giaurrina o ciaurrina. © Martina Buccheri.

 

San Sebastiano: martire per amore di Cristo

I volti sorridenti dei bambini e di tutti colore che partecipano alla manifestazione non hanno nulla a che vedere con la triste storia del martire. Militare sotto il dominio di Diocleziano, San Sebastiano nascondeva la sua fede all’imperatore che perseguitava ogni credente. Accolse sotto la sua protezione innumerevoli fedeli continuando a diffondere la parola cristiana fino a quando Diocleziano non scoprì la verità condannandolo ad una morte atroce. Il Santo martire venne denudato e trafitto da frecce con l’unica colpa di credere in Dio.

Da allora divenne protettore dei martiri, dei militari e dei sofferenti.

Bancarelle di dolciumi. © Martina Buccheri.

La Passio racconta dei figli di un certo Tranquillino, Marco e Marcellino che furono arrestati e convinti da Sebastiano a perseverare nella fede e a non temere la morte. Mentre conversava con loro il viso del tribuno fu irradiato da una luce miracolosa che sconvolse i presenti tra cui Zoe, moglie del Capo della Cancelleria imperiale ormai muta da sei anni. La donna si prostrò a terra invocando la grazia divina per il ritorno della sua voce.

Inoltre il nome Sebastiano deriva dal greco e significa “colui degno d’onore, venerabile, imperiale”; per queste sue doti di fedeltà, lealtà e intelligenza era molto stimato dagli imperatori e grazie ai suoi incarichi assicurava una degna sepoltura ai cristiani.

La processione di San Sebastiano, come da tradizione, viene effettuata per la via Roma e nei dintorni della Basilica a lui dedicata. Durante l’omelia della messa vengono citate le sue gesta in nome della fede e viene messo in evidenza il suo coraggio.

San Sebastiano è un esempio di forza e perseveranza che va oltre i confini delle città che protegge.

Alessandra Cutrupia

 

In ricordo di Franz Riccobono

La città di Messina e l’intero mondo della cultura sono in lutto per la prematura scomparsa di Franz Riccobono, storico e cultore delle tradizioni popolari messinesi.

Colpito dal Virus SARS-CoV-2, da giorni ricoverato in terapia intensiva presso A.O.U. “Gaetano Martino” (Policlinico) – nosocomio messinese-, lo storico si è spento all’età di settantanove anni lo scorso 16 marzo.

Nella Basilica Cattedrale Protometropolitana di Santa Maria Assunta si è svolta la cerimonia funebre per dare un ultimo saluto a Franz.

Biografia

Classe ’43, Franz nacque a Patti in provincia di Messina.

Intraprese gli studi universitari, iscrivendosi alla facoltà di Economia e commercio presso l’Università degli Studi di Messina, dove si laureò nel 1970.

Appena laureato convolò a nozze con l’amata Messina, uno sposalizio appassionato tra  storie di reperti storici e tradizioni, che ha sin da subito condiviso con gli stessi concittadini.

Franz
Franz Riccobono- Fonte: Messinaweb.Eu

Attività

Dal 1971 al 1997 svolse l’incarico di funzionario presso l’Università degli Studi di Messina; da lì in poi la vita di Franz si arricchì tra impegni sociali e attività culturali.

Consulente della Fondazione Famiglia Piccolo di Calanovella, consulente dell’Istituto Italiano dei Castelli Sicilia, Vicepresidente della Fondazione Patrimonio UNESCO Sicilia, componente del Consiglio Regionale dei Beni Culturali, socio fondatore dell’associazione “Amici del museo di Messina”, e protagonista delle scoperte archeologiche, ha aperto una bottega divenuta sin da subito punto di riferimento non solo per gli storici messinesi ed italiani, ma anche per tutti coloro che almeno una volta nella loro vita rimasero affascinati dal suo ammaliante modo di raccontare Messina.

La bottega
La bottega – Fonte: Profilo Facebook di Franz Riccobono

Opere

Ebbe per maestri, il professore e socio dell’Istituto di Preistoria e Protostoria, Aldo Segre – scomparso all’età di cento anni – e il naturalista Adolfo Berdar, che formarono un Franz intrepido, sostenitore della sua terra, tanto da fare di quella Messina non solo la terra natia ma anche la protagonista di tutte le sue storie intrise di novità e tradizioni.

Una Messina viscerata, raccontata, decantata in oltre cinquanta opere interdisciplinari.

Per oltre cinquant’anni si dedicò ad attività di volontariato e realizzò ben quindici eventi tra musei e mostre permanenti.

Da ultimo, nel maggio 2021, Messina lo vide protagonista come relatore per un incontro organizzato a Palazzo della Cultura “Antonello da Messina”– il maggio dei libri- per la presentazione del suo libro “Il mare sui muri”.

Insomma, la sua morte lascia l’amaro in bocca, allo stesso modo, sia agli amici più stretti, sia ai meri conoscenti.

Locandina evento
Locandina evento presentazione libro “Il mare sui muri” – Fonte: Comune di Messina

In ricordo di Franz…

Leggiamo insieme qualche commento per ricordare Franz.

Il fumettista messinese Lelio Bonaccorso

“Ci ha lasciati un uomo eccezionale, un amico la cui scomparsa mi sconvolge e mi addolora non poco. Aspettavo solo il momento in cui Franz Riccobono riaprisse il suo negozio, uno spazio culturale meraviglioso, una dimensione parallela in cui potevi ascoltare racconti incredibili e vedere e toccare scorci di storia antica e recente. Messina perde un pezzo importantissimo, una persona che davvero amava questa città e che metteva la divulgazione culturale al centro della sua vita. Tante volte le sue consulenze sono state importanti ed essenziali, anche per i miei libri. Oggi vorrei solo che gli si intitolasse uno spazio, un museo, affinché tutto il materiale e la memoria storica che Franz custodiva possa essere fruibile a tutti. Lui ne sarebbe stato felice, perché quel patrimonio è davvero parte della nostra storia e non deve andare perduto. Faccio le condoglianze alla famiglia e auguro al mio caro amico Franz un buon viaggio. Spero davvero tu possa starci vicino perché abbiamo ancora bisogno del tuo supporto”.

La Cisl Messina

“Con la morte di Franz Riccobono, Messina perde un pezzo importantissimo della sua memoria storica, il custode della magia di questa città. Lo ricordiamo sempre con una passione immensa per la storia della nostra città, per il suo patrimonio artistico e soprattutto culturale. L’appello è quello a non dispendere quanto ha fatto Franz Riccobono per Messina”.

Il Presidente della Regione Nello Musumeci

«La prematura scomparsa di Franz Riccobono mi addolora profondamente e costituisce una grave perdita anche per la città di Messina e per la cultura siciliana, con Riccobono se ne va uno studioso, un ricercatore e un collezionista tenace, instancabile, appassionato e geloso custode delle proprie idee. Profondo conoscitore della propria città, della quale era inguaribilmente innamorato, ha dedicato a Messina diverse pubblicazioni e centinaia di iniziative. Franz mi aveva contagiato l’amore per la Zona Falcata e la necessità del suo recupero. Era entusiasta del lavoro che in tal senso avevo avviato in questi anni col governo regionale. Ed ora che non è più tra di noi, riconsacriamo l’impegno a completare il lavoro iniziato, in omaggio alla sua memoria. Alla moglie va il cordoglio mio e del governo siciliano».

 

Ci accodiamo al desiderio di molti, chiedendo la cura e la salvaguardia dell’intero suo patrimonio, affinché Franz  possa continuare a vivere e, insieme a lui, anche quella porzione di Messina che solo lui riusciva a rendere speciale.

 

Elena Zappia

Fonti:

https://www.edas.it/autore/franz-riccobono/#:~:text=Si%20%C3%A8%20laureato%20nel%201970,popolari%20e%20storia%20del%20territorio.

http://unescosicilia.it/wp/wp-content/uploads/2014/09/Franz-Riccobono.pdf

https://www.unime.it/sites/default/files/locandina_61.pdf

https://messina.gazzettadelsud.it/foto/cronaca/2022/03/16/messina-il-covid-stronca-il-prof-franz-riccobono-67c20c5e-277f-4dbe-9d3c-af7b3e96ea6e/

https://www.messinatoday.it/cronaca/covid-morto-franz-riccobono.html

L’Opera dei Pupi: tradizione e fantasy siciliano

Sull’attenti e mano sul petto: stiamo per parlare dell’Opera dei Pupi! Molto più che marionette, sono una di quelle cose (forse la primaria!) che più condensano e rappresentano la nostra identità.

Marionette e burattini li hanno quasi tutti i popoli del mondo, ma i nostri pupi sono speciali: oltre all’essere caratterizzati dalla ricerca particolarmente raffinata dei costumi (armature comprese), sono le figure veramente “vocate” al rappresentare scene di combattimento anche in maniera estremamente realistica. I nostri pupi si distinguono anche per avere abbandonato l’uso dei fili sottili per il controllo, in favore di ben robuste aste di ferro che sono in grado d’impartire movimenti più realistici e precisi ai personaggi.

Pupi catanesei, della famiglia Napoli – Fonte: nautilaus.com

Due tradizioni (o poco più)

Due sono le principali tradizioni dell’Opera dei pupi, che per comodità vengono appellate la Catanese e la Palermitana; queste poi si diramano in più piccole categorie.

La tradizione catanese è quella della Sicilia Orientale, includente anche Messina. I suoi pupi sono grandi e pesanti, rigidi, adatti a rappresentare la solidità di questi titanici eroi, e sempre abbigliati in maniera variopinta ed estrosa ed equipaggianti con armature del tutto personali non soltanto nei simboli ma nella stessa forma. I pupi vengono manovrati dall’alto, dai manianti appostati sopra un piano rialzato immediatamente dietro lo sfondo, e le voci dei personaggi sono donate dal parlatore e dalla parlatrice. Molto questa tradizione ha saputo sfruttare le nuove tecnologie, con l’introduzione della riproduzione di grandi brani orchestrali che rendono più coinvolgente la scena, in luogo delle vecchie orchestrine, e talvolta l’uso di realistici effetti sonori.

La tradizione palermitana è quella di tutta la Sicilia Occidentale. I suoi pupi sono agili, leggeri, possono piegare le ginocchia ed estrarre le spade, si muovono sulla scena con grande realismo apparendo a tratti persone vere, scattanti e leggiadri nelle loro armature dal rigido stile ma oltremodo luccicanti. Gli opranti si muovono di fianco al palco quando manovrano i pupi, potendoli muovere addirittura su più scene una dietro l’altra, molto utili nelle battaglie, e sono essi stessi a fare le voci dei personaggi mentre li muovono. Al momento presente, questa tradizione può definirsi conservatrice, e utilizza ancòra rigorosamente i brani del pianoforte a cilindro e gli effetti sonori prodotti dagli stessi pupari.

In seno alla tradizione orientale vale la pena di ricordare alcune specificità: l’antico sistema acese, nel quale i manianti operano da un ponticello direttamente sopra la scena, la recente innovazione siracusana che prevede la realizzazione dei volti in duttile cartapesta anziché in legno, e l’ormai secolare tecnica messinese della cromatura delle armature.

Le tradizioni differiscono anche nella concezione delle rappresentazioni e nella scelta del repertorio. Risulta persino difficile, alla luce di tutte queste differenze, parlare di un’unica Opera siciliana, giacché forse bisognerebbe contare almeno due Opere diverse.

Pupi palermitani, della famiglia Cuticchio – Fonte: wikipedia.org

Il repertorio dell’Opera

Veramente vasto e variegato è il repertorio dell’Opera dei pupi.

Assolutamente centrale, raccolta e cucita dall’ottimo Giusto Lodico, è la Storia dei Paladini di Francia (il Ciclo Carolingio), ovverosia la leggendaria cerchia dei Conti Palatini di Carlo Magno che dalla realtà storica traghettano qui in una dimensione fantastica. Nomi e sembianze di personaggi storici s’involano, per divenire prestavolti di figure immaginarie che si accompagnano ad altre della stessa specie in un mondo che, seppur assomigli al nostro, in verità è un’altra dimensione con un corso storico separato. Protagonista maggioritario è il purissimo conte Orlando, nipote dell’Imperatore e suo Primo Paladino, insieme al vivace e libertino principe Rinaldo suo cugino, figura antitetica, mentre l’antagonista principale è il conte Gano di Magonza che, tentando di riportare sul trono la sua antichissima casata d’ascendenza troiana, ordisce la loro rovina; ma i personaggi sono centinaia. Il corso degli eventi, tuttavia, comincia dal tempo mitico greco e dalla storia romana (la “Materia di Roma”), denominate “Storia Greca” e “Reali di Francia” e rielaborate dalla sensibilità dei pupari, e si conclude dopo la Disfatta di Roncisvalle, con la Storia di Guido Santo et alia.

Se l’Opera palermitana si limita a rappresentare devotamente il Ciclo Carolingio, molto più variegata ed estrosa è l’Opera catanese, che nel corso del tempo ha incluso numerosi romanzi e poemi cavallereschi già esistenti (Trabazio imperatore di Costantinopoli, Calloandro e Leonilda, Gerusalemme liberata), tutti riscritti da varî autori e poi pubblicati da un editore e autore di grande pregio artistico: Giuseppe Leggio. Ma soprattutto, alla tradizione catanese e orientale sono state donate, dall’inventiva brillante e appassionata di pupari e scrittori e dai tipi di Leggio, nuovissimi romanzi ispirati dai precedenti ma di concezione integralmente siciliana, ambientati in Sicilia e nel mondo. È doveroso mentovare Uzeta il Catanese, Erminio della Stella d’Oro e Gemma della Fiamma, Guido di Santa Croce, Tramoro di Medina, Guelfo di Negroponte, Farismane e Siface, tutte queste opere di concezione catanese, e una speciale menzione va fatta del Belisario da Messana, scritto da Rosario Gargano e incentrato proprio su Messina, del quale la Compagnia rappresenta tuttora una porzione. Quasi tutte queste opere, purtroppo, attualmente non vengono rappresentate nei teatri (divise in puntate, raggiungevano il centinaio!), e sfortunatamente le loro trame sono di difficilissima (ma non impossibile) reperibilità, non essendo mai stati ristampati in cent’anni.

Storie d’intrighi, e intricate, di guerra, persino violente e crude, in un mondo in cui la realtà e la dimensione fantastica si mescolano espatriando infine in quest’ultima, e d’amore, e ricche di virtù, ove il Bene pur con tutte le atroci difficoltà trionfa sempre sul Male, anche a costo del sacrificio estremo dei suoi protagonisti.

Un bellissimo Uzeta della famiglia Napoli – Fonte: lapisnet.it

Le compagnie ancòra attive

Qui di sèguito trovate le compagnie ancòra in attività nell’anno corrente.

Prima tra tutte occorre nominare l’Opera dei pupi messinesi Gargano, che, nella nostra Messina, tiene alto l’onore della tradizione da ben cinque generazioni, essendo una delle famiglie più antiche e rinomate di pupari (circa duecento anni). A Catania la Compagnia Marionettistica Fratelli Napoli, centenaria da quest’anno, è spesso portabandiera di quest’arte a livello internazionale. Importante esponente della tradizione acese è l’Opera dei Pupi Turi Grasso, dal nome del suo fondatore e maestro che tuttora la dirige. Più anziana in Acireale è la Società Cooperativa Teatro Emanuele Macrì. A Palermo, tra le maggiori in tutta la Sicilia anche per il riscontro estero è la Compagnia Figli d’Arte Cuticchio, anche contastorie. Palermitana e di grande maestria e sensibilità è pure la Compagnia Famiglia Argento. Altra bella compagnia palermitana è la Compagnia Famiglia Mancuso. Più recente, ma degna erede della tradizione palermitana, è la Compagnia Brigliadoro. L’Antica Compagnia Opera dei Pupi Famiglia Puglisi di Sortino pare sia proprio la più antica esistente, vantando quasi trecento anni. Altra compagnia d’antichissima tradizione è la Compagnia Opera dei pupi Siciliani “G. Canino” di Alcamo, il cui capostipite inventò i pupi “palermitani” duecento anni fa. A Siracusa, capitale spirituale della Sicilia, in Ortigia, ha sede l’energica Compagnia dei Pupari Vaccaro-Mauceri. Particolare, la Compagnia Marionettistica Popolare Siciliana è caratterizzata dall’introduzione nel repertorio di “storie antimafia”. Messina può vantare un’altra compagnia, più recente, la Compagnia Marionettistica dell’Ippogrifo, che riprende anche l’antico genere delle satire.

Quasi tutte queste compagnie sono partecipi della lodevole iniziativa Sicilian Puppets Series indetta dal Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino per la quale sono e saranno visionabili in diretta streaming un totale di 80 spettacoli.

Un bellissimo Orlando della famiglia Gargano – Fonte: famidisicilia.it

Pupi che furono, che sono, che saranno

Il fantasy siciliano del teatro dei pupi precedette d’un trentennio l’opera di grandi autori come John Ronald Reuel Tolkien e Robert Erwin Howard, e senza diretto collegamento ne contiene molti archetipi comuni, come l’eroe errante nelle storie di Conan il Barbaro.

Ma il nostro è meno un “fantasy mitologico-escatologico” come quello del Silmarillion e quindi de Il Signore degli Anelli (quasi coevi), invece è molto vicino a un sottogenere apprezzatissimo nel nostro tempo – in anticipo di cento anni! – cioè il “fantasy politico-verista”: i protagonisti sono sempre membri di famiglie nobili e potenti, in lotta per il potere o per una realtà più giusta. In un’epoca in cui sempre più ci si appassiona a opere come le brillanti Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di George Raymond Richard Martin, trasposte con grand’effetto ne Il Trono di Spade, ove congiure e battaglie sono preponderanti, penso che i Paladini di Francia e tutti gli altri eroi dei nostri pupari possano trovarsi pienamente a loro agio! In fondo, sono state “serie ‘televisive’” ante litteram.

Purtroppo, i romanzi utilizzati nell’Opera non sono mai stati presi seriamente sul serio dagli studiosi di letteratura; ma del resto, l’Italia, pur avendo avuto Ariosto, Pulci e Boiardo, padri del fantasy, ha una critica letteraria notoriamente ostile a questo genere. Non faccia lo stesso errore la Sicilia, ch’è stata capace di portare avanti così brillantemente la sua forma di fantasy!

Ho la certezza che ancòra tanto successo sia capace di riscuotere oggi l’Opera dei Pupi, sia grazie alla nuova ondata di fantasy affine, sia per le nuove tecnologie che possono agevolare le rappresentazioni e innovarle; e questo è il grande augurio che voglio porgere!

Di primaria importanza è – e rimarrà sempre –, soprattutto a Messina, che le istituzioni si mobilitino per la difesa di questa tradizione unica al mondo, che ha unito il genere fantastico al teatro di figura.

E adesso, dame e cavalieri… addentratevi in questo mondo!

Pupi della famiglia Argento, Orlando e Rinaldo in battaglia

 

Daniele Ferrara

Bibliografia:

Mimmo Cuticchio, Alle armi, cavalieri! , Donzelli editore 2017
Alfredo Mauceri, Pupi Siciliani – Sicilian Marionettes, Sime Books 2017
Alessandro Napoli, Il racconto e i colori. “Storie” e “cartelli” dell’Opera dei Pupi catanese, Sellerio editore Palermo 2002

Immagine in evidenza:

Orlando e Rinaldo in una scena de L’incanto di Creonta della compagnia Gargano, ispirata dal Morgante di Pulci – Fonte: normanno.com

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Panini di cena: Messina tra dolce e salato

Ammettiamolo: in questo periodo di forzata permanenza a casa, una delle arti che stiamo più affinando è certamente quella culinaria.

Se, con un po’ di esercizio, siamo diventati abili pizzaioli e potremmo aprire tranquillamente un panificio (o pasticceria per i più portati) quando tutto sarà finito, la nostra redazione di cultura locale si è chiesta: come ce la caviamo con i piatti tipici?

Tra le tantissime pietanze della tradizione, visto il periodo pasquale che da poco ci siamo lasciati alle spalle, vi proponiamo la ricetta dei cosiddetti panini di cena. Come suggerisce il nome, questo tipo di pane richiama pienamente il tempo della Quaresima ed in particolare il giovedì santo: la loro origine risale al gesto di spezzare il pane durante l’Ultima cena.

Claudia Di Mento©

Per celebrare la Pasqua con un pane più “ricco”, la tradizione vuole che il pane normale sia stato arricchito con uova, strutto, burro, zucchero e soprattutto spezie, quali cannella e chiodi di garofano. Ma non dimentichiamo i tipici semi di sesamo (ciciulena in dialetto) che si ritrovano all’esterno, identificando chiaramente questo tipo di pane.

Così nasce uno dei simboli culinari più significativi della tradizione messinese, che si è imposto anche come pane di tutti i giorni, come accade spesso ad alcune pietanze che nascono per una specifica ricorrenza.

Ma come preparare in casa degli ottimi panini di cena?

Ingredienti

500 g farina 00
50 g burro
50 g strutto
70 g zucchero
350ml latte
mezzo panetto o mezza bustina di lievito
10 chiodi di garofano
noce moscata q.b.
cannella q.b.
1 uovo per spennellare
sesamo q.b.
sale q.b.

Procedimento

Scaldare il latte con una decina di chiodi di garofano e lasciare insaporire. Quando è tiepido, in una ciotola capiente immettere il latte filtrato con un colino e aggiungere la farina, il lievito sciolto in un po’ di latte, lo zucchero, la noce moscata, la cannella, 4-5 chiodi di garofano sbriciolati. Quindi incorporare burro e strutto (attenzione a prenderli dal dal frigo solo qualche minuto prima). Impastare il tutto ed alla fine aggiungere un pizzico di sale.

Claudia Di Mento ©

Coprire con pellicola e lascia lievitare per almeno 3 ore.
Dopo le 3 ore, fare circa 12 palline sulla carta forno e lasciare lievitare ancora un’ora in teglia.

Claudia Di Mento ©

Prima d’infornare spennellare i panini con una miscela di uovo sbattuto e qualche goccia di latte. Mettere il sesamo ed infornare.
Cottura: circa 10 minuti a 200 gradi a mezza altezza.

Claudia Di Mento ©

Il risultato, per chi non conoscesse il sapore, sarà un un panino dal gusto aromatico. Alcune modifiche che si potrebbero apportare alla ricetta sono: sostituzione di strutto con miele (se non avete strutto in casa utilizzare la stessa quantità di miele) e diminuire il numero di chiodi di garofano, se non volete un gusto molto speziato. Ad ogni modo, il panino risulterà morbido all’interno ma con un tocco di croccantezza data dal sesamo esterno.

Potere scegliere infine di riempirlo sia con dolce (cioccolata ad esempio) che con salato (un classico salume). Ma vi assicuriamo che sono buonissimi anche così come sono. Buon appetito!

Claudia Di Mento ©

Emanuele Chiara

Ringrazio Francesco Chiara, messinese al nord, per la ricetta e Melina Gugliandolo per i suggerimenti sulle possibili modifiche.

Una storia siciliana: tra speranza e miracolo

Come spesso ci capita durante questo periodo di riflessione, anche oggi la nostra rubrica decide di mettere in moto la macchina del tempo, con un occhio al presente.

Vi abbiamo già raccontato di come l’Università di Messina fosse stata chiusa in circostanze straordinarie.

In questo articolo vi racconteremo un’altra grande epidemia del passato: ma, soprattutto, vi narreremo cosa rimane ancora oggi come segno tangibile, radicato nella nostra cultura, della ferita che l’epidemia lasciò sul nostro territorio.

Religioni e fatti della storia, seppur dal punto di vista laico come è giusto che sia: questa storia racconta ed enfatizza il suo aspetto più naturale, ovvero la speranza. Ad ogni modo resta nella nostra memoria culturale la straordinarietà di ciò che fu il Miracolo di liberazione del Colera dalla provincia Messinese e di tanti figli messinesi sparsi per ogni dove durante l’epidemia di quel tempo, che colpì la Sicilia e la nostra provincia nel XVII secolo.

Correva l’anno 1854, Messina e il suo territorio ebbero un miracolo accertato che portò alla guarigione della signora Vadalà: signora che, rifugiandosi in provincia a Castroreale dove il marito risiedeva per ragioni di pubblico impiego (Castroreale fu seconda solo alla fraterna Messina per importanza amministrativa, religiosa e culturale), fu miracolata dal Cristo Lungo.

Il nome è dovuto al palo sul quale venne eretto, affinché fosse visibile anche dai piani delle case posti più in alto: fu portato in processione proprio per scacciare il colera dalla cittadina e passando accanto al balcone della signora ormai moribonda, all’inginocchiarsi del marito in richiesta di grazia, questo la guarì dal male che la opprimeva.

Oltre al carattere religioso della vicenda e alle considerazioni mediche sull’andamento della malattia nella singola persona, ciò che ci colpisce è la resistenza: ancora oggi, infatti, quel Cristo passa per le strade, in barba al tempo e alle generazioni.

La festa del Cristo Lungo (in dialetto locale “U Signuri Longu” o nella variante di alcuni villaggi limitrofi – oggi comuni autonomi – “U Cristu Longu”) è una festa che ricorre il 23, 24 e 25 agosto di ogni anno.

È un evento religioso a carattere fortemente folkloristico, oltre che di fede sentita per i credenti: un momento da vedere almeno una volta nella vita, del tutto particolare e carico di significato, come abbiamo visto. Il Cristo viene posto in processione ed inalberato su un lungo palo in legno per rievocare e commemorare in forma di gratitudine, l’estinzione dei focolai dell’epidemia di Colera del 1854.

Ancora oggi il significato è lo stesso: il Cristo venne inalberato per far sì che la sua benedizione potesse arrivare dall’alto su tutti i tetti delle case a tutti gli abitanti della città, finanche a tutta la popolazione delle campagne e dei villagi vicini: da Capo Calavà, Capo Tindari, Capo Milazzo e sua piana inclusa, a guardar verso Messina e le Isole Eolie. 

Comune di Castroreale

Da nord a sud e da est ad ovest, proprio dall’alto del colle torace (altura 394 metri sul livello del mare, così denominata per la forma caratteristica) ubicazione della cittadina madre del Santissmo Crocifisso.

Ma c’è di più: questa storia si riallaccia a un’altra sentitissima tradizione messinese. Infatti, l’ideatore della vara del Cristo e del palo per l’inalberazione fu lo stesso ideatore della famosa Vara di Messina celebrata il 15 di agosto ogni anno, tanto cara a noi tutti Messinesi.

La speranza, la fede, la scienza: qualsiasi sia il nostro appiglio, rimane la resilienza di ognuno di noi, con la quale dobbiamo necessariamente andare avanti.

E chissà se, quando tutto sarà finito, avremo anche storie come queste da raccontare e tramandare, da rivivere tutti insieme di anno in anno.

Filippo Celi 

L’Immacolata di marmo e la antica festa della Vara: storie da una Messina scomparsa

Per chi conosce e vive la città di Messina, la zona del Duomo e dei suoi dintorni ha qualcosa di magico; è lì che si concentrano molte delle bellezze artistiche della città intera. Proprio alle spalle del grande Campanile, chiusa a nord dalla facciata del novecentesco Palazzo dello Zodiaco, capolavoro liberty del grande architetto Gino Coppedè, e a sud dalla facciata laterale della Cattedrale, si apre una piccola piazza alberata; al centro di essa si innalza, elegante e solenne, il monumento settecentesco della guglia dell’Immacolata, noto ai più come “Immacolata di Marmo”.

 

Opera del 1758 di Giuseppe Buceti, (membro di una famiglia di artisti messinesi di cui si ricorda anche il padre Ignazio, anch’egli scultore), la guglia dell’Immacolata rappresenta un esempio tanto pregevole quanto raro del barocco settecentesco messinese. Dalla cima di una ampia stele prismatica che si slancia verso l’alto, la bella statua della Madonna riprende la classica iconografia della “mulier amicta sole” secondo i canoni tipici dell’arte settecentesca: i panneggi dei vestiti, vezzosamente gonfiati e scompigliati dal vento, insieme alla posa delle mani, ricordano moltissimo una scultura coeva in legno e argento, custodita nella chiesa di San Francesco all’Immacolata, sul torrente Boccetta, poco lontano. Sotto la statua, che si appoggia su un globo terracqueo, quattro putti forse un po’ troppo paffuti, in pose differenti, decorano i quattro angoli del basamento.

Per comprendere la storia di questo importante monumento bisogna fare un salto indietro nel tempo alla scoperta di una delle più antiche ed importanti tradizioni religiose della città di Messina: la festa della Vara. Secondo una tradizione antichissima, che affonda le sue radici alla seconda metà del ‘500 (quando per la prima volta ne accennò, nel suo Sicanicarum Rerum Compendium, Francesco Maurolico) e che ogni anno continua a rinnovarsi, una enorme macchina votiva alta oltre 14 metri, detto appunto “la Vara”, viene trainata tramite un complesso sistema di corde che anticamente era gestito da marinai, in giro per la città, il 15 d’Agosto, giorno della festa dell’Assunta.

 La spettacolare struttura, organizzata su più piani, mette in scena una sorta di sacra rappresentazione mobile dell’assunzione di Maria: in basso, alla base del cippo, è posizionata una teca rappresentante la

 

dormitio Virginis (cioè la morte di Maria), mentre via via salendo, in un trionfo di nuvole e angioletti, si arriva al culmine, ove è rappresentata l’assunzione in cielo di Maria, con due figure che rappresentano la Madonna e Gesù Cristo. Oggi la Vara che si usa nella processione del 15 agosto è notevolmente ridotta rispetto ai secoli passati, ma anticamente le sue dimensioni erano parecchio maggiori, e, soprattutto, al posto delle statue in cartapesta, sopra la Vara si trovavano dei figuranti umani, in genere bambini figli di carcerati o orfani, e il ruolo della Madonna era interpretato da una fanciulla vergine.

Si può dunque facilmente immaginare quanto fossero esposti a incidenti i bambini che prendevano parte a questo spettacolo: e difatti le cronache passate ne riportano diversi. Fu proprio uno di questi a fornire il pretesto per la costruzione della Guglia dell’Immacolata: nel 1738, infatti, alcuni bambini caddero dalla Vara, restando fortunatamente illesi. La città gridò subito al miracolo, e proprio per rendere grazie alla Madonna fu fatta erigere dal Senato questa scultura, che fu inaugurata diversi anni dopo, nel 1757. Originariamente si trovava in piazza Pentidattilo, poi rinominata in Piazza Concezione, dinanzi alla chiesa gesuita di San Nicolò dei Gentiluomini, opera di Andrea Calamech, oggi interamente perduta; a seguito del terremoto del 1908 fu spostata nella piazza davanti allentrata nord del Duomo, che oggi prende appunto il nome di “Piazza Immacolata di Marmo”.

Gianpaolo Basile

Ph: Federica Cristiano