Torre Faro: da traliccio della luce a simbolo di una città

Che cos’è il Pilone di Torre Faro?

Il Pilone di Torre Faro, nato come semplice traliccio della luce con lo scopo di trasferire l’energia elettrica dalla Sicilia alla Calabria (nella quale si trova un secondo Pilone, leggermente più piccolo ma posizionato ad un’altezza maggiore dal livello del mare), oggi è un importante simbolo per la città di Messina che, soprattutto durante la stagione estiva, si popola di giovani e di turisti. Da qui nasce la necessità di rendere questa struttura una vera e propria destinazione.

Nonostante ciò esso, insieme a tutta la frazione che lo ospita, si presenta in uno stato di abbandono in quanto poco attenzionato dall’amministrazione locale a causa della sua lontananza dal centro della città.

Pilone di Torre Faro. Vista dai Laghi di Ganzirri
Pilone di Torre Faro. Vista dai Laghi di Ganzirri. Fonte: riservacapopeloro.com

Storia e turismo

Progettato nel 1948 e costruito tra il 1951 e il 1955, venne ufficialmente inaugurato il 15 maggio 1956, in occasione dell’anniversario dell’autonomia della Regione Sicilia.

Alto ben 232 metri (in confronto a quello calabrese di 224 metri) e con una piattaforma in calcestruzzo armato formata da quattro cassoni che arrivano fino a 20 metri sotto il livello del mare, esso vinse il premio Aniai 1957 per la miglior realizzazione di ingegneria elettronica italiana.

Nel 1985 la sua funzione venne sostituita da un collegamento sottomarino, per cui nell’estate del 1999 venne dismesso. Nonostante esso non abbia più nessun utilizzo, fu deciso di non demolirlo, anzi, nel dicembre dello stesso anno iniziarono i progetti volti a valorizzarlo come elemento simbolo della città messinese ed entrò a far parte del patrimonio comunale. Tra le principali attività fin ora proposte, anche se attuate per un breve periodo e successivamente bloccate a causa di processi burocratici, ci sono un impianto di illuminazione lungo tutta la struttura e la possibilità per i visitatori di salire fino in cima per godere del suggestivo paesaggio dello Stretto.

Progetti di valorizzazione futuri

L’associazione Proloco Capo Peloro, che da anni opera sul territorio in cui è ubicato il Pilone, si è dimostrata aperta ad una collaborazione con l’ Università degli Studi di Messina, chiedendo direttamente agli studenti di proporre un insieme di attività realizzabili per dare una nuova vita alla struttura e alla zona circostante ad essa. A seguito di ciò, gli studenti hanno accolto con entusiasmo il progetto e si sono suddivisi in team.

Il Team SBC (di cui faccio parte) ha mostrato particolare interesse al contesto in cui si trova Torre Faro e tutta la città messinese, comprendendo che probabilmente la sua più grande difficoltà è la lontananza dal quadro tipico siciliano composto da arte e cultura millenaria di cui a Messina non c’è quasi più traccia. Conseguentemente, credo che la scelta ottimale sia operare attraverso la congiunzione tra tradizione e modernità, di cui si contraddistingue questa città emblematica.

Pilone di Torre Faro. Vista dall'alto
Pilone di Torre Faro. Vista dall’alto. Fonte: messinaoggi.it

Testimonianze degli abitanti

Dopo aver condotto delle analisi sul posto ed essermi interessata alla popolazione locale, riporto alcuni frammenti di interviste che mi hanno particolarmente colpita:

“All’inizio è stato un disastro per il Paese, poi ha avuto un impatto positivo soprattutto per l’economia e per i pescatori. i pescatori quando andavano a mare prendevano il Pilone come punto di riferimento.” 

“Per come è composto questo Paese potrebbe essere il più bello del mondo, ma è abbandonato. Se facessero dei lavori non ci sarebbe posto più bello di questo. Qui può nascere un cosa immensa.”

“Se facessero qualcosa per valorizzarlo sarebbe un impatto positivo per il lavoro giovanile e per il turismo. Le opere pubbliche che portano lavoro e turismo devono essere sempre ben accolte.”

“Ormai siamo abituati, questo è il nostro simbolo, senza Torre Faro non sarebbe la stessa.”

Conclusioni

Oggi il Pilone di Torre Faro si presta ad essere meta di piccoli flussi turistici grazie alla crescente realizzazione di eventi come festival musicali. Aiutata dal meraviglioso panorama dello Stretto, questa piccola frazione messinese può puntare ad essere un’importante destinazione destagionalizzata e internazionale.

Antonella Sauta

Fonti:

https://www.ganzirri.it/

https://www.letteraemme.it/maipiuscempi-il-pilone-di-torre-faro-e-le-sue-immense-potenzialita-non-sfruttate/

Il mito di Risa

Una delle più affascinanti leggente legate al territorio peloritano è quella della città perduta, dal nome Risa, situata proprio verso l’estremità del Peloro, a ridosso del Lago di Faro. Ora la raccontiamo, dopo la interpretiamo.

Risa, Morgana e il Peloro

Risa si trovava a ridosso delle acque del Pantano Piccolo – o meglio, il Lago Santo di soliniana memoria –; era una città opulenta e ricca, per quanto comunque di ridotte dimensioni, la cui economia certamente si basava sul commercio; Risa si chiamava, pare, dal nome della sua Principessa, che la governava sapientemente. Un giorno, a causa dell’ira divina o di un sisma, essa fu completamente distrutta e fu sommersa dalle acque del lago, rimanendo da quel momento nascosta alla vista.

Oggi ancora i pescatori giurano d’avere sentito il rintocco d’una campana, appartenente a una torre di Risa, ritenuto un chiaro presagio di tempesta; si dice che sia il fantasma della principessa Risa a suonare, per avvertire i vivi del pericolo incombente. Un’altra versione vuole le rovine sommerse abitate da Morgana la Fata, la potentissima strega sorella di Artù e nemica dell’altrettanto potente Merlino, che si sarebbe trasferita dalla Britannia in Sicilia insieme ad ancelle e apprendiste e abbia il controllo dell’area (da cui il nome fatamorgana dato al particolare fenomeno di rifrazione), tutt’ora vivente e di tanto in tanto si fa vedere.

C’è una certa confusione nelle contrade del Peloro su quale dei due pantani celi Risa, giacché anche alcuni Ganzirroti se l’arrogano, ma vedremo che non c’è dubbio sulla sua locazione fra Margi, Torre Faro e Capo Peloro.

La Fata Morgana – Fonte: sferapanoramica.blogspot.com

Il Tempio nelle acque del Lago

Già quindici secoli fa, l’importantissimo passo della Raccolta di cose memorabili di Giulio Solino ci racconta del santuario lacustre – un’ara invero – situato al centro del Pantano Piccolo (la descrizione che ne fa è precisa): già di suo questa informazione basterebbe a chiarire che la base storica della leggenda di Risa esiste eccome. I santuarî di particolare importanza di solito non erano vuoti e soli, ma spesso avevano nelle vicinanze gli alloggiamenti degli ordini sacerdotali officianti o monastici, nonché l’eventuale mercato che vendeva animali sacrificali per le offerte e le abitazioni di tali commercianti: ecco come sorge un piccolo abitato, che se unito alla zona frequentata di Capo Peloro dà come risultato una probabile città di Risa.

C’è molta confusione fra le persone che conoscono la leggenda, poiché ripetono insistentemente che la campana i cui colpi si sentono appartenga alla “chiesa di Risa”, il che collocherebbe questa città a un periodo almeno post-romano, ma questo non è possibile poiché non abbiamo nessuna testimonianza d’un vero e proprio abitato; si tratta di una fantasia popolare, prodotto dell’abitudine a sentire le campane delle chiese, poiché a Risa ovviamente il Cristianesimo non c’era e non appartenevano campane agli edifici di culto. Invece, viene da pensare che il ricordo d’un luogo di culto rimandi al santuario testimoniato da Giulio Solino.

L’idea di scavare canali di collegamento con il mare sicuramente non è nuova, giacché si è ritrovata un’imbarcazione risalente al periodo bizantino. Bisogna rammentare che tutta quell’area era adoperata come stazione navale e militare, come testimonia la presenza del faro e di un attracco almeno in epoca romana, pertanto è assai probabile che vi fosse un approdo di cui si servivano anche i marinai fenici quando dominavano i mari; persino a loro potrebbe essere legata l’ara che continuava a esistere nel Tardo Impero.

Il “Pantano Piccolo”, Lago di Torre Faro – Fonte: sferapanoramica.blogspot.it

Ma Risa è Reggio…

A complicare la situazione c’è il fatto che il vecchio nome di Reggio – la dirimpettaia – fosse proprio Risa, nel dialetto dei Normanni, e ch’essa sia un luogo centrale nel corpus dei Paladini di Francia caro all’Opera dei pupi, ma non è un argomento che qui verrà discusso.

Si cade troppo spesso nell’errore di pensare che le leggende siano romanzetti privi di fondamento, quando non è affatto così: se qualcosa viene raccontato, è perché qualcosa si ricorda, che ci piaccia o no. Per essere sempre tutto falso dovrebbe esserci dietro ogni leggenda qualcuno che se l’è inventata di sana pianta per puro piacere, il che è statisticamente improbabile.

Stupisce, in ogni caso, come in così tanti anni da quando se ne parla non si sia voluto procedere con un’approfondita ricerca archeologica quello che potrebbe essere un elemento fondamentale per ricostruire la nostra storia più remota. Se non per Risa, per l’Ara delle Acque.

 

Daniele Ferrara