Edipo a Colono a Siracusa: l’intervista a Giuseppe Sartori e Fotinì Peluso

“É folle per noi chi vuole una vita più lunga della misura che è giusta”
(Sofocle, Edipo a Colono)

Prologo

Siracusa ormai è tappa fissa dal 2022, anno in cui vidi l’Edipo re di Robert Carsen e capii qual era il modo di fare tragedia greca che preferivo. Siracusa era in calendario da un po’ quest’anno, almeno da quando ho saputo che Carsen tornava, stavolta per il prosieguo della trilogia, con l’Edipo a Colono di Sofocle.

La tragedia ha debuttato lo scorso 10 maggio per il 60° ciclo delle rappresentazioni dell’INDA, che quest’anno mette in scena anche Elettra e LisistrataUna messa in scena fatta di vuoti quella portata a teatro dal regista canadese, che ha lavorato su una fitta concordanza tra il suo scorso Edipo re e questo nuovo spettacolo. E lo si nota non appena arrivati a teatro, prima che tutto inizi: in scena la stessa scala di tre anni fa, stavolta tinta di verde. Ma anche alcuni attori che tornano; tra loro, Giuseppe Sartori, che riprende il lavoro interrotto con il suo Edipo e torna in scena, stavolta cieco. Abbiamo raggiunto lui e Fotinì Peluso (Antigone) dopo la replica del 24 maggio per sapere di più del loro lavoro.

Atto I – Tutto inizia in silenzio: intervista a Giuseppe Sartori

Non è scontato avere la possibilità di tornare a vestire i panni di un personaggio già interpretato, e Giuseppe Sartori lo sa bene. «Per me è una specie di onore poter concludere l’arco della vita di Edipo, soprattutto alla mia età, che è piuttosto giovane rispetto a quella che viene normalmente attribuita al personaggioInizia così la chiacchierata con Giuseppe. 

«Edipo ha incapsulato del dolore, solo che questo dolore continua ad uscire. Ogni volta che il personaggio è costretto a ricordare, a me torna in mente il lavoro fatto tre anni fa. Ed è così anche per gli altri che sono tornati: Paolo Mazzarelli, ad esempio, è di nuovo Creonte. Questo aggiunge forse un piccolo grado di interpretazione che probabilmente non avremmo avuto altrimenti.»

Atto II – Edipo a Colono, storia di una cecità 

Robert Carsen ha lavorato di minimi dettagli senza lasciare nulla al caso: Edipo nell’Edipo a Colono è cieco, e Giuseppe Sartori recita con due protesi sugli occhi, ad esempio. «La cecità – dice Giuseppe – porta a un altro modo di muoversi, a un altro modo di percepire il tempo e l’altro. Inoltre, l’Edipo di Sofocle è vecchio, tuttavia noi abbiamo da subito abbandonato l’idea di un protagonista novantenne. Io, tra l’altro, filologicamente sono nell’età giusta per avere una figlia considerata ventenne, Antigone, interpretata da Fotinì Peluso

E a proposito della cecità di Edipo, Sartori ci racconta che, a causa del make-up, è costretto a stare immobile e costantemente ad occhi chiusi prima di andare in scena. «Uso quello come forzato momento di concentrazione.»

Edipo è di per sé un archetipo, una figura che tutti conoscono, come se fosse un monito su due gambe, un martire che cammina, una figura fuori dal tempo e dallo spazio. E, probabilmente, il senso stesso di continuare a mettere in scena le tragedie greche, ancora nel 2025 è proprio questo: raccontare una storia universale utilizzando lettere di un alfabeto noto. «Edipo – dice Sartori – è qualcosa di antico più che vecchio, qualcosa di già segnato.»

Atto III – Antigone, a quale terra siam giunti?

Edipo a Colono di Carsen si apre con Edipo e Antigone che arrivano dal pubblico, al ritmo del bastone del protagonista, che barcolla incerto per tentare di entrare in scena. Lo spettacolo inizia così, ex abrupto, quando ancora il brusio del pubblico è vivo, e progressivamente si ammutolisce per lasciare spazio all’azione. 

«Quando entriamo – racconta Giuseppe –  spesso passa molto tempo prima che la gente si accorga di noi. Edipo re iniziava con quasi cinque minuti di questi colpi di tamburo a lutto e l’ingresso del coro. Il battito ritmato faceva calare il silenzio e l’attenzione del pubblico, che ancora si stava sistemando, veniva catturata. Tutti avevano modo di prendere un respiro e predisporsi all’ascolto, e io arrivavo a dire la mia prima battuta nel silenzio. In qualche modo in Edipo a Colono succede lo stesso, stavolta con i colpi del mio bastone sulle scale. Il teatro è un rito comunitario, serve qualcosa per dirsi “Ok dai, facciamo un respiro insieme e ora si inizia”

È in quel momento che si sigla il patto tra attore e spettatore, e si compie il senso più profondo del teatro che, come ci suggerisce il verbo greco θεάομαι, theàomai, comprende anche il pubblico. 

Edipo a Colono
Edipo (Giuseppe Sartori) e Antigone (Fotinì Peluso) – Foto di Michele Pantano

Atto IV – L’Edipo a Colono di Fotinì Peluso

Ma Edipo non entra da solo in scena: con lui c’è la figlia Antigone, interpretata da Fotinì Peluso, che si pone a bastone della sua cecità. Abbiamo raggiunto anche Fotinì, che ci ha detto di questa sua prima esperienza a teatro da attrice. 

«Questa non è solo la mia prima esperienza al teatro greco – dice Fotinì – ma è la mia prima esperienza in teatro in generale. È abbastanza formidabile trovarsi davanti a un pubblico di 5000 persone molto reattivo, all’aperto, che interagisce con lo spettacolo. Questo per me, da attrice del cinema, è folle, e l’adrenalina che si genera una volta entrati in scena è completamente diversa dallo stare davanti alla macchina da presa.»

Anche Fotinì Peluso ci racconta dell’impatto dell’ingresso dal pubblico all’inizio dell’Edipo a Colono. «A teatro sei tu che devi creare il tuo fuoco, mentre al cinema è la macchina da presa a farlo. Al cinema sei sempre al centro, a teatro devi dirottare il centro dell’attenzione degli spettatori. L’ingresso da fuori in apertura per me all’inizio è stato un dramma.»

Fotinì è Antigone, una dei quattro figli di Edipo, protagonista della terza parte della trilogia, Antigone, che Robert Carsen metterà in scena per la 61° stagione dell’INDA, nel 2026. Ma qual è l’aspetto più difficile di interpretare Antigone? «Penso il fatto che sia così giovane – racconta Fotinì – e allo stesso tempo con una saggezza viscerale che le è data da tutta l’esperienza che ha coltivato nel suo percorso, in cui però mantiene un’enorme umanità. Lei sa le sue ragioni, ma anche quelle degli altri. È forse uno dei personaggi più complessi di tutta la tragedia greca

Atto V – Il teatro come rito

Ogni volta che parlo del teatro greco di Siracusa, o che ci vado per assistere alle tragedie, mi rendo conto di quanto un luogo del genere si porti dietro una storia umana e universale inestimabile. Del resto è vero, da quelle pietre ci sono passati tragediografi e attori, pubblico illustre e genti da tutto il mondo. Fare l’attore a Siracusa include una componente storica e atmosferica che non può in alcun modo essere trascurata. 

«Credo che in parte ci sia una suggestione storica – racconta Giuseppe Sartori – e i miei  colleghi dicono spesso che quelle pietre abbiano qualcosa. Il teatro impone un rispetto motivato da questa storia. Inoltre, lo spazio è immerso in un contesto naturale in cui c’è sempre qualcosa di nuovo: dividiamo lo spazio con gli uccelli, con il clima, con le nuvole, con gli accadimenti della natura. Questo è un costante monito che l’ingranaggio terrestre va al di là di noi, e che noi siamo una piccola parte momentanea che però si incastra perfettamente con il tutto e che fa vivere quel luogo.»

Epilogo 

LEdipo a Colono di Robert Carsen è l’esempio di come sia ancora possibile fare un teatro senza tempo e senza luogo, in cui a vibrare non sono tanto i personaggi in sè, quanto la storia che si portano dietro. Il teatro è nel coro tinto di verde delle Eumenidi, o nella schiera degli abitanti di Colono, corpo unico e multiforme.

Siracusa resta sempre la tappa di ogni anno, e l’Edipo a Colono sarà in scena ancora fino al 28 giugno.

 

Giulia Cavallaro

 

Alla (ri)scoperta delle scuole superiori di Messina: La Farina e Archimede

In attesa del rientro in classe degli studenti delle scuole superiori siciliane, previsto, salvo rinvii, per l’inizio della prossima settimana, torna il nostro spazio dedicato alle scuole messinesi. Come preannunciato, oggi è il turno degli altri due licei del centro: il Liceo Classico “G. La Farina” e il Liceo Scientifico “Archimede”.

 

Liceo Classico “G. La Farina”

Il Liceo Classico “G. La Farina”, oggi parte dell’I.I.S. “La Farina – Basile” in quanto accorpato al Liceo Artistico “E. Basile” – di cui tratteremo prossimamente -, avviò le attività didattiche nel 1932. L’edificio è situato in via della Munizione, il cui nome ricorda un teatro che, in precedenza, fu magazzino di armi e munizioni. Si dice che in questo teatro anche La Farina – tra i tanti – inscenò una sua opera; probabilmente questo è uno dei motivi per cui fu scelto come nome dell’istituto quello del patriota messinese.

L’edificio del Liceo Classico “Giuseppe La Farina” – Fonte: normanno.com

Giuseppe La Farina (1815 – 1863) nacque a Messina e si laureò in Giurisprudenza presso l’Università di Catania. In giovinezza fu anche redattore di alcuni giornali cittadini. La sua grande passione, però, fu la politica, per la quale, nel 1937, dovette lasciare la città dello Stretto, insieme alla moglie Luisa di Francia – zia di Sant’Annibale-, con l’accusa di aver partecipato a un movimento rivoluzionario.

Soggiornò nella città di Firenze, prima di rientrare nel 1848 in Sicilia in occasione dei moti per l’indipendenza del Regno di Sicilia. La Farina fu uno dei protagonisti del biennio rivoluzionario, ricoprendo la carica di deputato al Parlamento di Palermo e quella di ministro (prima della Pubblica Istruzione, poi dei lavori pubblici, dell’interno e della guerra).

Terminata l’esperienza rivoluzionaria, si trasferì prima in Francia e successivamente a Torino, dove fondò un’associazione patriottica: la Società nazionale italiana. A seguito della spedizione dei Mille (1860), il Presidente del Consiglio del Regno sabaudo Cavour lo inviò a Palermo quale rappresentante in Sicilia del Governo, anche se la sua permanenza sull’Isola durò poco, a causa dei contrasti con Garibaldi.

Monumento a Giuseppe La Farina in Piazza Solferino, Torino – Fonte: vivatorino.it

Nel 1861 fu eletto deputato della città di Messina nel primo Parlamento del Regno d’Italia – con sede a Torino – in cui ricoprì l’incarico di vicepresidente della Camera dei deputati. Due anni più tardi si spense nella città della Mole.

Nel 1872, in occasione dell’inaugurazione del Gran Camposanto, le sue ceneri furono trasportate nella città natale, ove tutt’ora giacciono nel famedio del cimitero.

Liceo Scientifico Statale “Archimede”

Poco distante dal centro storico, in prossimità dello svincolo autostradale Messina-Boccetta, è situato il Liceo Scientifico “Archimede”, fondato nel 1969. L’edificio principale è quello che ospitava il Convitto “Cappellini”, un ospizio di beneficienza istituito nell’Ottocento. L’istituto è intitolato al celebre scienziato Archimede, che, seppur non abbia avuto un legame diretto con la città di Messina, ha apportato un importante contributo all’evoluzione della scienza e della tecnica.

L’edificio del Liceo Scientifico “Archimede” – Fonte: elencoscuole.eu

Archimede (287 a.C. – 212 a.C.) nacque a Siracusa, la città siciliana più potente dell’epoca, alleata di Roma durante la Prima Guerra Punica. Molto probabilmente, durante gli anni della guerra, Archimede non ha vissuto in patria, poiché si stabilì, per motivi di studio, ad Alessandria d’Egitto, la capitale culturale dell’Ellenismo.

Rientrato in Sicilia, fu apprezzato dal re Gerone, soprattutto per due episodi leggendari. Si narra che Archimede riuscì a muovere una nave con il solo aiuto di un congegno meccanico – da qui la celebre frase “datemi un punto d’appoggio e solleverò il mondo!” – e smascherò un orefice che aveva ingannato il Re, realizzando una corona non totalmente d’oro. L’intuizione, secondo la leggenda, gli venne quando si immerse in una vasca e, esclamando “Eureka!”, si accorse che l’acqua fuoriuscita poteva essere uno strumento di misurazione del volume dei solidi.

Busto di Archimede – Fonte: libertasicilia.it

Lo scienziato siracusano, maestro della tecnica, inventò numerose macchine – come il planetario -, persino belliche. Archimede, infatti, dopo la morte di Gerone, diresse le operazioni militari, per difendere la sua città dall’assalto dei Romani. Nonostante le ingegnose invenzioni rallentarono l’avanzata romana, la città di Siracusa capitolò e, durante il saccheggio, Archimede perse la vita – per mano di un soldato che violò l’ordine di catturarlo vivo -, mentre era immerso nello studio di alcune figure geometriche.

I suoi numerosi studi, ripresi da matematici del Cinquecento e del Seicento, tra cui Francesco Maurolico, costituirono le basi per importanti evoluzioni della scienza matematica.

Alla prossima!

Concludiamo dandovi appuntamento al prossimo articolo, in cui conosceremo la storia e i personaggi degli altri celebri istituti del centro: l’Istituto Tecnico Economico “Jaci”, l’I.I.S. “Verona-Trento” e l’I.T.T.L. “Caio Duilio”.

 

Mario Antonio Spiritosanto

 

Fonti:

islafarinabasile.edu.it

liceoarchimedeme.it/

treccani.it/enciclopedia/archimede

tempostretto.it

Immagine in evidenza:

Archimede (fonte: le-citazioni.it) e Giuseppe La Farina (fonte: universome.eu)