Virus zombie: scongelato un virus vecchio 48500 anni

Un gruppo di scienziati francesi dell’Università Aix-Marseille, coordinato da Jean-Marie Alempic, ha di recente scongelato da uno strato di permafrost, a 16 metri sotto il fondale di un lago della Yakutia, parte della Siberia orientale, il virus più antico mai “resuscitato”, insieme ad altri 12 virus prelevati da 7 campioni di permafrost siberiano. Si tratta di un virus della famiglia dei Pandoravirus, con precisione è denominato Pandoravirus yedoma.

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Pandoravirus: particolarità

Pandoravirus è un genere di virus giganti scoperti da Jean-Michel Claverie e Chantal Abergelnel 2013. Si tratta di virus che possono raggiungere dimensioni di 1 micron (equivale a un millesimo di millimetro, solitamente i batteri hanno dimensioni tra 1 e 10 micron) e con un genoma che conta tra 1,9 e 2,5 megabasi di DNA, il doppio di quelle rilevate in virus giganti già analizzati e conosciuti come i Megavirus.
Si stima che i Pandoravirus siano circa mille volte più grandi del comune virus dell’influenza appartenente ala famiglia Orthomyxoviridae. Esattamente come i Megavirus e i Mimivirus, anche i Pandoravirus infettano solo le amebe (protozoi che vivono nel terreno o nell’acqua), dato rassicurante per noi in quanto non rappresenterà un rischio per animali e/o piante.
Il nome “Pandoravirus” fa riferimento al vaso di Pandora e deriva dalla loro caratteristica forma a vaso. A causa delle enormi dimensioni, furono inizialmente scambiati per batteri. Solo successivamente ad attente analisi si e capito che si trattava di virus.

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Risveglio del virus

Dopo aver scongelato in laboratorio il virus antico di 48500 anni dal permafrost, un terreno perennemente ghiacciato in profondità, gli scienziati hanno dimostrato che, una volta riportato “in vita”, ha nuovamente la possibilità di fare quello che ai virus riesce meglio: infettare.
Secondo lo studio pubblicato su bioRxive, sarebbe ancora in grado di infettare le amebe. Non ci sono, tuttavia, ancora risposte sulla durata della sua azione infettiva una volta esposto ad agenti esterni (raggi UV, temperature alte, ossigeno). In questo specifico studio, gli scienziati hanno deliberatamente scelto di scongelare virus che infettano solo le amebe e non altre specie, per evitare ogni tipo di rischio. Il gruppo di scienziati è riuscito a caratterizzare un totale di 13 nuovi virus, finora rimasti congelati, appartenenti a vari generi (tra cui Cedratvirus e Pithovirus). Questo sarebbe indice del fatto che esistono sicuramente molti altri virus di cui non siamo ancora a conoscenza.

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Il ruolo del riscaldamento globale

Lo scioglimento dei ghiacciai è solo una delle tante preoccupanti conseguenze della crisi climatica. A sua volta, essa  ha indubbiamente conseguenze microbiologiche sul nostro pianeta, verificandosi rilascio di: batteri, virus, protozoi, funghi, materiali contaminanti e potenzialmente causa di ulteriore rilascio di CO2. Come dimostrato da questo studio, il rilascio di una grande varietà di virus vecchi di migliaia di anni è tutt’altro che un’utopia.
Fortunatamente ad oggi possiamo contare su moderni antibiotici, vaccini e avanzate strategie terapeutiche per fronteggiare eventuali epidemie se causate da virus già di nostra conoscenza o “parenti” di comuni patogeni contemporanei.
Per quanto riguarda il risveglio di eventuali virus sconosciuti o nuovi virus appartenenti a famiglie già note, come sappiamo dopo l’emergenza Covid-19, spesso si richiede lo sviluppo di nuovi farmaci e vaccini mirati.

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Conclusioni

Alla luce di quanto detto è lecito interrogarsi sul rischio dell‘eventuale risveglio di virus antichi di migliaia di anni e a noi sconosciuti.  Nonostante ciò, ad oggi, gli studiosi non lanciano preventivamente allarmi su ipotetiche pandemie scatenate da virus ancora dormienti.
Rimane comunque d’obbligo ribadire quanto il riscaldamento globale sia un grande rischio e come le sue conseguenze siano tra le più varie e degne di nota, come l’aumento delle temperature, della siccità, l’ innalzamento degli oceani e l’estinzione di varie specie animali e non solo.

Francesca Aramnejad

 

Bibliografia

Il viaggio continua: alla ricerca dei luoghi più pericolosi del mondo

Il viaggio alla ricerca dei luoghi più pericolosi al mondo non è affatto breve. Tra il terrore e la meraviglia, il nostro pianeta non smette di offrirci scenari sublimi, che non possono non suscitare curiosità e voglia di scoperta.

Sublime è il senso di sgomento che l’uomo prova di fronte alla grandezza della natura sia nell’aspetto pacifico, sia ancor più, nel momento della sua terribile rappresentazione, quando ognuno di noi sente la sua piccolezza, la sua estrema fragilità, la sua finitezza ma, al tempo stesso, proprio perché cosciente di questo, intuisce l’infinito e si rende conto che l’anima possiede una facoltà superiore alla misura dei sensi”
-Immanuel Kant

Il Guatemala Sinkhole

Il 30 maggio 2010, nella città di Guatemala, un’area profonda circa 90 metri è collassata. Si è pensato che il motivo della formazione della dolina fosse stata la combinazione tra la tempesta tropicale Agatha, l’eruzione del vulcano Pacaya (l’ultima è recente e risale al 2021) e il malfunzionamento delle tubature fognarie. Al di sotto della città del Guatemala vennero trovati depositi di pomice vulcanica, quindi il luogo è esposto a facile erosione del terreno.

C’è chi però ha sostenuto maggiormente la tesi dell’errore umano. Il geologo del Dartmouth College Sam Bonis, ha ritenuto che la causa della catastrofe fosse da ricondurre esclusivamente all’erronea fissazione dei tubi fognari. Aggiunse inoltre, che proprio per tale motivo il termine “dolina” sarebbe improprio, indicando un fenomeno solo naturale. Secondo lo studioso invece, la causa dell’evento fu artificiale.

Ad ogni modo, è certo che nella città del Guatemala la formazione di doline fosse molto probabile: anche nel 2007 si era assistiti a un simile accaduto. Oggi la voragine è considerata uno dei luoghi più pericolosi al mondo. A incutere timore è la contezza di quanto fragile sia il terreno sotto cui potremmo trovarci.

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Fonte: www.themarysue.com

L’isola dei coccodrilli

L’isola di Ramree, detta anche Yangbye Island, si trova in Birmania ed è considerata uno dei luoghi meno adatti alla sopravvivenza. Durante la Seconda Guerra Mondiale fu terreno di vari scontri militari tra forze inglesi e forze giapponesi. L’Inghilterra aveva cercato di stabilirvi una base aerea ma i giapponesi rivendicarono subito l’occupazione dell’isola. Gli inglesi sovrastarono i giapponesi, i quali si misero in fuga cercando rifugio nella giungla di mangrovie. Ma la giungla sembra essere stata un nemico peggiore delle truppe inglesi. Tra le mangrovie giunsero circa 500 soldati giapponesi ma si racconta che solo 20 di loro sopravvissero all’attacco dei coccodrilli che abitano la giungla.

Questo avvenimento non sembra essere attestato da molte fonti, dunque non si sa se ritenerlo solo una leggenda. L’isola resta comunque un luogo molto pericoloso, dato che è realmente occupata da un gran numero di coccodrilli. Rientra infatti nel Guinness dei Primati per i pericoli riservati a uomini e animali.

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Fonte: www.pinterest.it

La Death Valley

La Death Valley (Valle della Morte) è una depressione che fa parte del Grande Bacino e si estende fra Sierra Nevada a ovest e Stato del Nevada a est. È attualmente considerata uno dei luoghi più pericolosi al mondo per le stringenti condizioni di sopravvivenza per animali e vegetali a causa delle condizioni climatiche-ambientali. Quest’area fa parte della zona climatica del deserto del Mojave, quindi vi è molto caldo. Da maggio a settembre la temperatura può raggiungere picchi di 54°, il che significa che in estate non vi è la possibilità di muoversi durante il giorno. In generale, è comune tra i turisti visitare la Valle in primavera, quando il deserto fiorisce a seguito delle brevi ma intense piogge.

Vi sono numerosi punti panoramici da cui poter ammirare la Valle, tra cui il  Zabriskie Point e il Dante’s View (così chiamato proprio perché da qui si osserva l’ “inferno”, ovvero la Death Valley). Ai punti panoramici si aggiungono aree in cui osservare fenomeni particolari. Un esempio è la Racetrack Valley Road in cui per via dei venti invernali le pietre si muovono lungo un lago asciutto, lasciando delle scie.

Sebbene le temperature pericolose in alcuni periodi dell’anno, la Death Valley è un luogo che stupisce, in cui è necessario addentrarsi con i giusti accorgimenti.

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Fonte: wall.alphacoders.com

Il villaggio di Ojmjakon

Per parlare ancora di pericoli e di temperature particolari il luogo perfetto è Ojmjakon, un villaggio di 800 abitanti situato nella Siberia orientale. Il nome è molto eloquente: esso deriverebbe da “ejumu”  che nella lingua sacha significa “lago ghiacciato”.

In questa località, così come in altre zone della Siberia, vi sono temperature bassissime: il 6 febbraio 1913 si registrarono -67,7 gradi. Per questo motivo Ojmjakon è stato candidato per l’appellativo di “polo Nord del freddo”, ossia il posto in cui è stata registrata la temperatura più bassa. Ad oggi si contende il titolo con altre due località siberiane: Verchojansk e Tomtor.

Dunque, in questo caso le temperature troppo basse sembrano rendere Ojmjokon non molto ospitale e ai turisti viene sconsigliato di visitarla. Sembra che le uniche persone ad essersi abituate alle sue temperature siano i pochi abitanti del posto.

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Fonte: trebinjelive.info

Gli otto inferni giapponesi

Quando si arriva a Beppu, in Giappone, si osservano subito fumi e vapori sulfurei. La città poggia su sorgenti termali dalle quali fuoriescono 70.000 metri cubi di acqua caldissima ogni giorno (tra i 37 e quasi i cento gradi). La città giapponese è pertanto considerata la seconda fonte più grande di acque termali dopo lo Yellowstone National Park. Tra le circa 2800 sorgenti termali vi sono otto laghetti che si distinguono, concentrati nelle zone di Kannawa e Shibaseki. Vengono chiamati jigoku”, cioè “inferni” di Beppu, per la tradizione giapponese che vuole che l’Inferno si suddivida in otto strati. Tra questi quello più famoso è il Chinoike Jigoku, o Blood Pond Hell. Le sue acque raggiungono temperature elevatissime e inoltre la grande quantità di ossido di ferro conferisce al lago un colore rosso, tanto da sembrare sangue. Alla pericolosità delle temperatura, si aggiunge un aspetto macabro che fa del luogo, per quanto spaventoso, un posto unico.

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Fonte: siviaggia.it

Conclusioni

Ancora una volta si è potuto osservare come la Terra sia sempre pronta a sorprenderci, suscitando timore ma anche moltissimo stupore. Capire anche i pericoli che vi si celano è necessario per comprendere l’estremo rispetto che merita il pianeta e ciò non può mai smettere di essere ribadito. L’amore per la Terra deve nascere dalla consapevolezza del male e del bene che contiene, imparando ad accettare entrambi e cercando la via più giusta per convivere con essi.

 

Giada Gangemi

Per approfondire:

I 15 posti più pericolosi del mondo (nextme.it)

Gli inferni di Beppu – Orizzonti blog 

Il giro del mondo: alla ricerca dei luoghi più pericolosi