Messina attraverso gli occhi dello straniero

Siamo tutti a conoscenza delle personalità più importanti nate o vissute a Messina, da Antonello a Filippo Juvara e Tommaso Cannizzaro. Molto sappiamo anche degli scrittori e poeti contemporanei che nelle loro opere mostrano l’anima della città e dei cittadini.

Ma quanto rimane ancora conosciuto da pochi è il fatto che molte personalità del passato trascorsero del tempo nella nostra città, rimanendo incantati dall’accoglienza dei cittadini, dal cibo, dai paesaggi, tanto da parlarne nelle loro opere; o ancora che figure di rilievo vissero a Messina e qui portarono avanti i loro progetti. Scopriamone insieme alcuni!

Goethe e Nietzsche

Nei suoi Ricordi di viaggio in Italia nel 1786-1787 lo scrittore, poeta e drammaturgo tedesco racconta di essere giunto in Sicilia, trascorrendo proprio i primi giorni a Messina. La Messina che vive Goethe in quei giorni è una città “malinconica oltremodo”, che tenta di risollevarsi dopo il terremoto del 1783. Proprio il suo viaggio in Sicilia, si pensa che abbia ispirato l’autore per la creazione della sua Nausicaa. Parlando della Sicilia dice inoltre: “L’Italia senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna. È in Sicilia che si trova la chiave di tutto […] La purezza dei contorni, la morbidezza di ogni cosa, la cedevole scambievolezza delle tinte, l’unità armonica del cielo col mare e del mare con la terra… chi li ha visti una sola volta, li possederà per tutta la vita”.

 

Il terremoto del 1783 che colpì la Calabria meridionale e Messina. Fonte: MediterraneiNews.it

 

Seguendo le sue orme e incuriosito dai suoi racconti, il filosofo tedesco Nietzsche giunge a Messina nel 1882. Si racconta che il suo viaggio in mare non fu dei migliori, che sconfitto dallo scirocco fu costretto a raggiungere la terraferma su una barella. Rimase in quei giorni inosservato, prima della sua partenza, quindi poco si sa effettivamente sul suo soggiorno a Messina. Ma della città e dei suoi cittadini il filosofo scrive: “I miei nuovi concittadini mi viziano e mi corrompono nel più amabile dei modi”. Rimane colpito dalla gente e dal paesaggio tanto da scrivere “Gli idilli di Messina”, nonostante sia stato poi costretto a lasciare la città nuovamente per via dello scirocco.

 

Jeanette Villepreux

Arrivata da Parigi nel 1818, Jeanette vive a Messina per 25 anni, durante i quali approfondisce la sua passione per gli organismi marini. In particolar modo si dedica ad un quesito già studiato da Aristotele, ovvero se l’argonauta argo (un mollusco) costruisse da sé la sua conchiglia o se la occupasse successivamente.

Jeanette crea delle attrezzature, simili a delle gabbie, dapprima posizionate all’interno delle acque del mare, per poter così studiare il mollusco (successivamente le gabbie vengono disposte negli appartamenti per poter studiare più facilmente e più da vicino i suoi comportamenti).

Primi “acquari” realizzati da Jeanette Villepreux

Scopre così che la femmina dell’argonauta argo costruisce da sé la propria conchiglia. Nel 1858 l’Enciclopedia Britannica riconosce a Jeannette l’invenzione dell’acquario e la definisce “madre dell’acquariofilia”. La donna non si dedica però solo ai suoi studi e scrive una “Guida per la Sicilia” in cui mostra tutto l’affetto provato per la città: “quivi si succedono ridenti scene di apriche colline e di piagge dolcemente digradanti, e coverte di biade, di vigneti, di giardini, di ulivi, finché alla fine entro il suo seno l’accoglie il magnifico porto di Messina”.

Guida per la Sicilia di Jeanette Villepreux                                                               

Georges Simenon

Lo scrittore belga giunge a Messina nel 1934 durante i suoi sei mesi di navigazione nel Mediterraneo che lo portano a scrivere “Il Mediterraneo in barca”. Spinto dalla voglia di scoprire e analizzare “l’uomo nudo“, ovvero l’uomo com’è davvero, come vive la sua città e le sue abitudini, giunge a Messina dichiarando: “Ah, Messina! Come sarebbe bello mangiare una cassata! A quanto pare sono i gelati più buoni del mondo. E allora ci precipitiamo. Ne mangiamo una, ne mangiamo due, tre, e la notte abbiamo tutti mal di pancia.” Simenon descrive poi i vortici di Torre Faro, le correnti, unendo la mitologia alla cucina e alla tradizione. In uno scenario che è quello della vigilia della Seconda Guerra Mondiale, Simenon riesce a far risplendere quelli che sono gli animi dei cittadini, la bellezza dei paesaggi, i miti e le leggende che tanto hanno incantato l’autore.

Fonte: La Gilda dei narratori Messina (Facebook)

Messina vista dunque dagli occhi degli “stranieri”: una Messina malinconica, stanca, ma che sa sorprendere e dare speranza, che non perde mai l’occasione di mostrarsi aperta all’altro, di accoglierlo e di permettergli di essere parte integrante dell’anima del luogo anche se per pochi giorni o settimane.

Cristina Lucà

Fonti:

gazzettadelsud.it

Ricordi di viaggio in Italia di Johann Wolfgang von Goethe

Il Mediterraneo in barca di Georges Simenon

letteraemme.it

“E tu splendi”. L’ultimo romanzo di Giuseppe Catozzella

Dopo due anni fa il suo ritorno con un romanzo, “E tu splendi”, ambientato ad Arigliana, un paesino sulle montagne della Lucania dove Pietro e Nina trascorrono le vacanze con i nonni, un paese dove la vita di ogni giorno si svolge in maniera del tutto immutabile tra la piazza, la casa e la bottega dei nonni; intorno, una piccola comunità il cui destino è stato spezzato da zi’ Rocco, proprietario terriero senza scrupoli che ha condannato il paese alla povertà e all’arretratezza.

La madre di Pietro e Nina è morta qualche anno prima, lasciandoli orfani, eppure il ragazzo non si considera tale. «Io non lo avevo capito che eravamo orfani, un giorno la maestra lo ha detto davanti a tutta la classe, e ci sono rimasto malissimo. Non per la cosa in sé, ma per la parola, che non me l’aspettavo proprio che era per me.» Pietro sente che sua madre non è meno presente di prima, ha solo “traslocato” e gli parla ancora con la sua voce dentro la testa o attraverso bigliettini nascosti qua e là come «Lo sai che tu sei nel cassetto e i sogni sono fuori?»

Un giorno, giocando a calcio con gli altri ragazzini del paese, Pietro perde il pallone dentro la torre che si affaccia sulla piazza, la torre normanna. Andando a recuperarlo, scopre all’interno sette stranieri nascosti, sei adulti e il bambino Josh. La rivelazione scuote l’equilibrio del paese: Chi sono? Cosa vogliono?

Un romanzo che prende in prestito il titolo dalla citazione “T’insegneranno a non splendere. E tu splendi, invece” del grande artista italiano Pier Paolo Pasolini, che spiega nella Nota dell’autore alla fine del libro, dove, inoltre, scrive che il romanzo è nato da alcune chiacchierate avute con il suo caro amico scrittore Alessandro Leogrande, che vuole ricordare e ringraziare. Un romanzo che si racconta attraverso la voce di un bambino, a tratti infantile e a tratti saggia, un romanzo di ombre e di luce, una luce che rende molto più coraggiosi. Non si fa mai caso al coraggio che il sole ti dà

E quando le cose ti chiamano, ti chiamano. Quando sono lì, sono lì per noi. Non importa se ci sono state per un secondo o da sempre.

 

Serena Votano

L‘illustratore di Pinocchio: disegni, poesie e scritti di Ugo Fleres

Ho tante smanie / sotto il cappello / leggo – e dimentico / scrivo – e cancello

Messina da Leggere si arricchisce di un nuovo tassello. Tracceremo in questa puntata un profilo biografico dedicato a Ugo Fleres: critico d’arte, ma anche romanziere, disegnatore e autore di versi.

L’ingegno multiforme di Ugo Fleres non ha conosciuto freni. La sua versatilità irriducibile gli ha permesso di muoversi come una scheggia impazzita percorrendo i più disparati territori dell’arte. Eppure non sono molti, nella sua terra natale, ad averne conservato il ricordo. Gli anni centrali della sua vita sono spesi tra gli incarichi affidati dal ministero dell’Istruzione e le frequentazioni, sfociate nell’incontro e amicizia con altri esuli siciliani, dei circoli letterari e giornalistici nella capitale.  E avendo bene in mente quell’ambiente Luigi Pirandello lo ricorda in una lettera, pervasa di un sentimento di malinconia, dell’ottobre del 1924: “Vivo a Roma quanto più posso ritirato; non esco che per poche ore soltanto sul far della sera, per fare un po’ di moto, e m’accompagno se mi capita, con qualche amico: Giustino Ferri o Ugo Fleres”. A Pirandello, Fleres, fece anche un ritratto, e svolse il ruolo di intermediario per introdurlo a Luigi Capuana. Lo stesso Capuana parlò di “abbandono alla fantasticheria riflessiva” nei riguardi dello scrittore messinese ed ebbe delle parole di elogio per le poesie contenute nella raccolta Sacellum (1889).

era un bel fanciullone nonostante la bionda lanugine di barba e il cappellone di castoro e il passo grave con cui girellava per l’Urbe (Luigi Pirandello, 1937)

Lasciata in gioventù Messina, dove nacque l’11 dicembre 1857, figlio di un procuratore legale originario di Savoca, dopo avere frequentato l’Istituto Tecnico, si stabilì, obbedendo al suo talento artistico, a Napoli, dove divenne allievo del pittore Domenico Morelli. Nella città partenopea si trattenne solo un paio di anni per trasferirsi presto a Roma. Qui riuscì a farsi strada, studiando i classici latini e greci, imparando lo spagnolo e il francese, iniziando a stringere contatti che lo porteranno a militare come illustratore nelle file di alcuni giornali. Negli stessi anni scrisse dei poemetti e una novella, Il cieco (1879), appuntandola in una sorta di diario personale. Nonostante la frequenza di lezioni all’università rimase fondamentalmente un’autodidatta. E fu grazie anche all’amico poeta G.A Costanzo che venne preso nel 1880 nella redazione del periodico letterario Capitan Francassa, dove pubblicò prose d’arte a cui associava spesso, celandosi dietro a una sequenza di pseudonimi bizzarri (Ariel, Fortunio, Fantasio o Leo Fergus, ad esempio) illustrazioni e disegni realizzati a penna e a matita. Contemporaneamente Fleres si dedicò anche all’attività di scrittore, lavorando allo stralunato scritto La musica dell’occhio.


Gli incontri con Luigi Pirandello si fecero nel tempo più frequenti. Pirandello lesse in vari momenti a Fleres Il Fu Mattia Pascal e i due, insieme, esplorano gallerie d’arte, musei, pinacoteche, per trarne spunti da utilizzare nella produzione letteraria. Contro le mode letterarie, in primo luogo il dannunzianesimo, ma anche il filone della Scapigliatura e in nome di una “sincerità” del fare letterario, fondarono anche una rivista, Ariel (1897-1898), periodico a cadenza settimanale. A presentare al pubblico il romanzo L’Anello è sempre l’amico agrigentino, nascosto dietro il nome d’arte di Giulian Dorpelli. In questo scritto Fleres racconta l’ambiente del teatro operistico alle soglie del ‘900 con tutti i suoi retroscena e i personaggi che vi gravitano; un parallelo, potremmo dire, del pirandelliano Quaderni di Serafino Gubbio operatore, dedicato alla nascente industria cinematografica. Ma il poliedrico messinese è passato alle memorie, soprattutto, per essere stato il primo ad avere dato fisicità e forma concreta al burattino di legno di Carlo Collodi nelle  Avventure di Pinocchio (1882) apparso sul Giornale per bambini. In origine, quello che poi sarà stampato come romanzo nel 1883, era uscito per metà a puntate con un altro nome, ed era stato sospeso quando l’autore, stanco del personaggio, aveva deciso di farlo morire. La prima vignetta si apre proprio sulla scena in cui Pinocchio, impiccato a una quercia, riprende a camminare e porta così avanti la storia. Oltre alle novelle, contenute in Profane Istorie, i romanzi (Vortice esce nel 1887), Fata Morgana (in cui scrisse anche in dialetto messinese) la passione predominante di Fleres resta l’arte, a cui si dedica con fervore, ottenendo, dopo la cattedra di storia dell’arte al Magistero, la nomina a direttore, agli inizi del ‘900, della Galleria nazionale di arte moderna di Roma, carica che mantenne, con qualche interruzione nel periodo della prima guerra mondiale, fino al 1933. Al Fleres si deve anche una interessante produzione nel campo del melodramma, con libretti per il teatro: da Uranio, La tazza per the, a Il trillo del diavolo, messo in musica dal Maestro Falchi.

                                                                                                                Eulalia Cambria

Passeggiando con Edmondo De Amicis a Messina

Ritratto fotografico di Edmondo de Amicis

Oggi, Messina da Leggere parlerà di Edmondo De Amicis, professore e autore, tra le tante opere, del celebre libro “Cuore”, romanzo che ha caratterizzato il sentimento patriottico della prima Italia Unita.

Per omaggiare il ricordo del grande scrittore di Oneglia, paesino vicino Imperia e centro della bella Liguria, UniVersoMe ripercorrà i luoghi delle memorie di Edmondo De Amicis lasciate a Messina nel suo viaggio in Sicilia compiuto nel 1905.

Il terremoto che rase al suolo la città nel 1908 ha lasciato poco o nulla di ciò che gli occhi dell’autore videro durante quel particolare soggiorno, ma le sue annotazioni accuratamente scritte sono per tutti i messinesi un dettagliato resoconto della Messina che fu e che più non sarà.

Per poter risentire l’eco distante dei sentimenti che De Amicis provò nella nostra città bisognerà sfogliare le prime pagine del bel volumetto “Ricordi d’un viaggio in Sicilia”, edito da “Il Palindromo”. Il primo luogo letterario legato alla memoria dell’autore ligure è senz’altro lo Stretto di Messina, ritrovato dopo 40 anni trascorsi dall’ultimo soggiorno in terra peloritana, permanenza che vide un giovane De Amicis assegnato “di guarnigione” proprio a Messina negli anni ’60 del 1800, per partecipare alla guerra d’Italia contro l’Austria. Nelle prime annotazioni l’autore volge lo sguardo sullo Stretto e nota sulla sponda calabrese lo sviluppo urbano che fa delle costruzioni edilizie: “Una macchia biancastra da Villa a Reggio” – molto simile alla veduta odierna. All’epoca non c’erano i traghetti che collegavano le due sponde d’Italia, ma i piroscafi che, già allora, imbarcavano i primi vagoni  che viaggiavano sulle prime ferrovie.

La Palazzata del Minutoli in una foto antecedente al terremoto del 1908

Un altro ricordo dell’autore è quel “tramway” che collegava il centro cittadino alla punta del Faro, ferrovia che resistette quasi sino al 1940, quando il tragitto tramviario fu ridotto al contesto urbano.

Ben diversa era anche la cortina della Marina di Messina, la quale agli occhi di De Amicis era caratterizzata da: “Una schiera di edifici uniformi” – tra cui vi era anche la bella “Palazzata” rasa al suolo dal sisma e tipica del nostro porto, mai più ricostruita dopo il terremoto e sostituita da costruzioni razionaliste, tra cui il Palazzo Littorio di fronte Piazza Municipio.

Per ricordare il soggiorno Deamicissiano bisognerà, poi, volgere gli occhi al “Verde lussureggiante della vegetazione che copre l’anfiteatro dei suoi colli e dei suoi monti” – mentre, per rivivere il bellissimo ritratto antropologico delineato da De Amicis sull’indole dei messinesi di allora, sarà utile recarsi al Cimitero Monumentale di Messina, laddove riposano i tanti nomi seppelliti dalle macerie, identità di cui l’autore di Oneglia ricorda – “I caratteri interessanti delle popolazioni di confine” – le quali – “modificano i costumi propri sotto influenze di elementi forestieri”. Rispetto agli altri siciliani, i messinesi conosciuti da De Amicis in quella Messina perduta si distinguevano per un accento meno marcato rispetto ai conterranei delle altre località della Sicilia, con i quali condividevano i – “modi cerimoniosamente cortesi”. Virtù esclusive del messinese dell’epoca erano, però, la – “apertura con gli stranieri”, il lessico dialettale – “ricco di vocaboli importati” – e la presenza di “tanti biondi”, caratteristica che subito risaltò agli occhi dell’autore.

La chiesa dell’Annunziata dei Catalani

Una passeggiata letteraria per i pochi luoghi superstiti e legati alla memoria deamicissiana a Messina sarà utile per ogni messinese che vuole riscoprire la propria identità perduta, l’indole cosciente cancellata dalla successiva ripopolazione urbana, spirito molto affine a quello degli abitanti delle grandi città, depositari di una storia di mercanti, di pirati, di marinai e di porti autonomi: Messina come Genova e Barcelona, godeva e gode di un grande retaggio, la cui prova risiede proprio nelle nostre strade e nella memoria della propria tradizione. Per i meno convinti di questa affinità, sarà utile una passeggiata per la Chiesa della SS. Annunziata dei Catalani, la cui origine e i suoi simboli della facciata testimoniano con migliore eloquenza di qualunque storico la verità del grande ieri che rese Messina protagonista nel Mediterraneo e porta autentica della Sicilia.

Francesco Tamburello

Image credits:

  1. Di Schemboche – The Critic: https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=hvd.hnxxb5;view=1up;seq=116;size=200, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=53267636
  2. Di sconosciuto, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1493576
  3. Ph: Giulia Greco