Un livello surreale di molestie durante il raduno degli Alpini. Richiesta la sospensione della tradizione

Cinquecento segnalazioni per molestie: questo, ciò che resta del 93esimo raduno degli Alpini svoltosi a Rimini, dal 6 all’8 maggio. Fischi, proposte oscene, inseguimenti per allungare le mani e comportamenti oltre il limite, penalmente perseguibili secondo la Legge italiana, mascherate indebitamente da goliardia, che tale affatto non è. L’orrendo bilancio di quanto accaduto è stato reso pubblico dalla delegazione riminese dell’associazioneNon una di meno”.

Registrati molti casi di molestie durante il raduno degli Alpini a Rimini (fonte: lapresse.it)

Il raduno ha visto la partecipazione di ben 520mila persone, di cui almeno 450mila “penne nere“. Avrebbe dovuto celebrare – considerando le motivazioni per cui la tradizione venne creata – i sani valori degli Alpini, ma si è trasformato, per l’ennesima volta, per colpa di alcuni partecipanti, persino anziani, in uno scempio ai danni delle donne. Non è, infatti, la prima volta che in occasione di tale ricorrenza si verificano riprovevoli episodi di molestie fisiche e verbali.

All’associazione Non una di meno è bastato raccogliere le testimonianze delle donne – tra cui anche delle minorenni – per lanciare l’allarme e portare attenzione sul caso e, sin da subito, iniziare ad agire: “Daremo supporto a chiunque voglia denunciare le molestie subite” aveva assicurato sin da subito sui social il movimento.

«Alcune donne hanno deciso di denunciare e ci hanno contattato per chiedere il nostro supporto che non tarderà ad arrivare».

L’associazione ha raccolto tutto il materiale, tra cui foto e video, che potrebbero essere impiegate per una procedura legale collettiva.

 

Le dichiarazioni degli Alpini arrivano in ritardo e infuria la polemica

Solo alla prima denuncia raccolta dalle forze dell’ordine, martedì 10 maggio, sono giunte le scuse dell’associazione nazionale Alpini. Oltre la gravità di quanto accaduto e nonostante la notizia fosse stata divulgata già anche dalle principali testate giornalistiche e dai telegiornali nazionali, gli Alpini avevano fatto scoppiare una polemica lasciando scorrere giorni di silenzio.

In tutto il Paese non si è parlato che di questo e dell’assurdo negazionismo trapelante dalla linea scelta. Il presidente nazionale, Sebastiano Favero, ha preso le distanze da quanto accaduto solo dopo la prima denuncia, fatta da una ragazza di 26 anni al Comando dei Carabinieri di Rimini. Ha raccontato di essere stata accerchiata e aggredita da tre persone durante l’evento di sabato 8 maggio, per poi essere strattonata e insultata con frasi dall’esplicito riferimento sessuale.

«Adesso ci sono fatti concreti. Mi consenta – ha detto il presidente – innanzitutto di chiedere scusa a chi ha subito le molestie. Faremo di tutto, insieme alle forze dell’ordine, per individuare i responsabili. E se sono appartenenti alla nostra associazione, prenderemo provvedimenti molto forti.»

Queste parole che l’opinione pubblica attendeva, ma che sono arrivate come uno stridio alle orecchie per quel “Adesso ci sono fatti concreti”, che ha completato quei precedenti “senza i fatti e le denunce”, che “al momento non ci risultano”. Si può ben capire perché queste dichiarazioni abbiano infiammato subito la polemica, vivendo in un’epoca in cui ormai Internet è veicolo velocissimo per far girare foto e video, che dalle prime ore avevano iniziato a girare.

Non serviva attendere la conferma delle denunce per anche solo cogliere l’occasione di stigmatizzare certi comportamenti. Questa l’accusa ricevuta dal presidente e gli Alpini.

Favero in sua difesa, per giustificare le sue parole, aveva ricordato che, nel 2018, in occasione dell’adunata degli Alpini a Trento, “simili voci” erano circolate e voci erano rimaste. Ciò, però, non è bastato, proprio in virtù del tanto materiale già in rete e della convinzione ormai diffusa che il beneficio del dubbio, in certi casi, andrebbe concesso senza alcuna esitazione, consapevoli dei retaggi di una cultura patriarcale che ancora generano gravi episodi.

 

Una petizione per sospendere i raduni

Intanto, oltre 13mila firme sono state registrate da una petizione online su Change.org, da Micol Schiavon.

«Non è la prima volta che si verificano molestie nelle città ospitanti, le scuse non sono più sufficienti».

L’attivista, autrice della petizione, ha ribadito che, purtroppo, non è la prima volta che si creano situazioni simili durante le adunate: “Ogni anno emergono episodi di questo genere, eppure continuiamo ad accettare che questo evento abbia luogo, rendendo ancora più insicure le strade delle città italiane per le donne e per le minoranze.”

Dunque, per dare uno scossone forte, la richiesta per cui sono state lasciate migliaia di firme nelle sole prime 12 ore, in seguito al lancio, è quella di sospendere per ben due anni i raduni degli Alpini. Dare un segnale chiaro è necessario perché davvero troppi uomini, centinaia e centinaia, ogni volta si sentono liberi di avere comportamenti molesti, pensando, inoltre, che nel clima di questa ricorrenza sia normale.

Supporto alle vittime di molestie dall’associazione Non una di meno (fonte: fanpage.it)

I commenti dal mondo della politica

Davanti anche all’impressionante livello di molestie, anche dalla politica sono giunti commenti. Innanzitutto, il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, che aveva parlato di “comportamenti gravissimi” sin dalle prime indiscrezioni, da accertare per mezzo degli organi competenti, “ma che non possono e non devono essere sottovalutati”. Il ministro si è dimostrato, dunque, ferreo nelle prime dichiarazioni, ribadendo con forza, che tali comportamenti sono “all’opposto dei valori degli Alpini e di una manifestazione che è celebrazione di solidarietà, principi e bellissime tradizioni”.

Nella polemica c’era finito anche Matteo Salvini, sempre attento a commentare prontamente i maggiori fatti di attualità che si verificano nel nostro Paese: «Scorretto e indegno invece additare il glorioso corpo degli Alpini, da sempre esempio di generosità, sacrificio e rispetto, come simbolo di violenza e volgarità».

Proprio perché i valori degli Alpini sono altri e la loro storia va onorata, era necessario che dai suoi esponenti, arrivassero commenti tempestivi, proprio per ricordare che esistono ancora uomini di sani principi e che si può essere uomini eterosessuali e allo stesso tempo non maschilisti.

 

Rita Bonaccurso

Studente messinese fuori sede nella zona rossa: “Ho deciso di restare”

Qualche ora prima dell’ultimo decreto, che ha istituito come “zona protetta” tutto il territorio italiano, abbiamo potuto parlare, via webcam, con un ex studente messinese che si trovava nella zona rossa, a Rimini. Ci ha raccontato come ha vissuto le ore successive alla diffusione ufficiosa del decreto che istituiva la “zona rossa”, ed il perché ha deciso di restare. Marco Gervasi, laureato presso l’Università di Messina in Management d’Impresa, dopo aver lavorato tra Londra, Italia e Africa, da settembre 2019 ha iniziato il Master of Science presso Alma Mater Studiorum di Bologna in “Resource economics and sustainable development” con sede a Rimini.

La sera stessa, quando è trapelata la bozza del decreto che avrebbe istituito le zone rosse di quarantena, centinaia di ragazzi fuori sede sono tornati nelle proprie città. Tu come hai vissuto quella sera?

Ho saputo del decreto da uno screenshot del decreto su whatsapp. Ero a cena con dei colleghi, ma da quel momento abbiamo solo iniziato a cercare notizie più attendibili. Poco dopo la bozza del nuovo decreto era su tutti i giornali e Rimini rientrava tra le “zone rosse”. Quella sera non siamo più usciti, eravamo tutti preoccupati e siamo rimasti a discutere della situazione. Ho informato immediatamente i miei genitori del fatto che, secondo quel decreto, non sarei potuto tornare a casa per un tempo indeterminato. Erano molto preoccupati, volevano assolutamente che tornassi così come stavano facendo in quel momento centinaia di altri ragazzi. Con i miei colleghi siciliani, nei giorni precedenti, avevamo anche pensato di affittare una macchina e di scendere con quella, per evitare di prendere mezzi pubblici. Dopo un momento difficile di dubbi sul da farsi, abbiamo deciso di rimanere. Ho avvertito i miei della mia decisione. Dopo diverse spiegazioni li ho convinti che quella fosse la scelta giusta per me, per loro e per tutti.

Sapevi che molti ragazzi stavano tornando, potevi farlo anche tu. Cosa ti ha spinto a rimanere?

Ho pensato ai miei spostamenti nelle ultime settimane. Ero stato a Milano tre settimane prima. Ero stato prevalentemente in ufficio per lavoro, ma avevo utilizzato la metro nelle ore di punta. Inoltre ero ripartito per Rimini poco prima Milano fosse dichiarata zona rossa. Tornato a Rimini ho limitato le uscite, le zone molto affollate, abbiamo seguito le lezioni online ma, non essendo ancora una zona a rischio e non essendovi contagiati, ho anche avuto una minima vita sociale. 

Quindi ero stato esposto ad un rischio, e per quanto fossi stato attento rimaneva una minima possibilità che fossi un portatore asintomatico. Ho pensato alla mia famiglia, ed ho capito che non potevo e non volevo metterli a rischio. Poi ho pensato a Messina, lì ci sono ancora pochi casi, perché aumentare il rischio? Chi torna ed osserva la quarantena, in realtà entra inevitabilmente a contatto con i propri genitori, fratelli o sorelle e corre il rischio di vanificare la sua reclusione. Le limitazioni imposte nella zona rossa sono tante, e alle difficoltà con cui ogni fuori sede convive quotidianamente se ne aggiungono altre. E’ molto pesante anche psicologicamente.

Foto di Marco Gervasi – Rimini

E per quanto riguarda i tuoi colleghi? Come vivono la situazione?

Gran parte degli studenti era già rientrata a casa nelle settimane precedenti, quando l’Università ha impedito le lezioni frontali e ha dato accesso a lezioni online. So che molti studenti sono partiti da qui la notte stessa della diffusione del decreto. Molti dei miei colleghi invece hanno deciso, come me, di non farlo. In particolare i colleghi tedeschi hanno deciso di restare perché credono che in Germania la situazione sia stata sottovalutata e che in Italia, nonostante il numero maggiore dei casi, le misure attuate siano molto più adeguate alla situazione. Hanno fiducia nelle nostre istituzioni e nel Sistema Sanitario Nazionale italiano.

Com’è cambiata Rimini da quando è diventata zona rossa?

Come ti dicevo, inizialmente abbiamo cercato di limitare le uscite, in biblioteca rispettavamo la distanza di almeno un posto l’uno dall’altro, non potevamo riunirci in aule studio per fare co-working ed anche le palestre avevano un numero limitato di posti. Da quando invece Rimini è nella zona rossa, la biblioteca è chiusa, così come le altre aule, palestre e piscine. Bar, ristoranti, locali chiudono alle 18. Al supermercato si entra a scaglioni, la fila alla cassa è lunghissima, dura ore e bisogna rispettare un metro di distanza l’uno dall’altro. Sono molto più numerose le pattuglie di Carabinieri e Polizia, soprattutto in prossimità della Stazione e dell’autostrada.

Foto di Marco Gervasi – Rimini

Come vivrai i prossimi giorni?

Sicuramente eviterò di uscire, ho fatto una spesa che spero mi possa garantire diversi giorni di autonomia. Ci pesa soprattutto il non poter studiare in biblioteca, che era un motivo di incontro oltre che di studio. Ovviamente spero che la situazione rientri entro Pasqua, così da poter tornare dalla mia famiglia e dai miei amici, però sappiamo ciò che stiamo facendo. Tutti possiamo rinunciare ad un caffè al bar o ad un aperitivo per un bene superiore, la salute collettiva. Siamo convinti che, nel nostro piccolo, questo sacrificio possa davvero essere utile a far rientrare la situazione in tutta Italia. Tutti possiamo farlo.

Antonio Nuccio