Mandato esplorativo, termina oggi l’incarico di Fico. Il punto sulla situazione

(fonte: tg24.sky.it)

Oggi terminerà il mandato esplorativo del Presidente della Camera Roberto Fico che in giornata dovrà necessariamente riferire al Presidente della Repubblica i risultati ottenuti. Tuttavia, i tavoli di maggioranza non prospettano ancora un’intesa. Partito democratico, Movimento 5 Stelle e Liberi e Uguali sembrano compatti per un Conte-ter, mentre Italia Viva continua a tenersi distante. Ed afferma: “Le idee vengono prima dei nomi“.

Il punto della situazione sul mandato

Il29 gennaio, al termine delle consultazioni, il Presidente Mattarella ha deciso di assegnare l’incarico di un mandato esplorativo al Presidente della Camera Fico, col compito di trovare gli esponenti per un nuovo governo. Le nuove consultazioni si sono concentrate sulla maggioranza preesistente, ossia quella che sosteneva il governo Conte-bis.

Le nuove consultazioni hanno avuto inizio il 30 gennaio e sono terminate il 31, non senza proteste: già da settimane l’opposizione – primi tra tutti Lega e Fratelli d’Italia – invoca le elezioni. Durante un’intervista a La Repubblica, Giorgia Meloni (FdI) ha affermato:

Questo Parlamento non ha i numeri per una soluzione efficace. Se si farà un governo, sarà perfino più debole di quelli passati. La scelta più responsabile è sciogliere le Camere e in tempi rapidi portare la Nazione al voto.

La democrazia non può essere sospesa da una pandemia“, ha inoltre sostenuto oggi il senatore Matteo Salvini (Lega) a Skytg24.

Ma oltre l’ostruzionismo dell’opposizione, anche Italia Viva sin dal primo giorno di consultazioni ha posto dei paletti: “Approfondimento sui contenuti e documento scritto sul programma“. Poi preme sul Mes e sul governo politico: “Meglio di quello istituzionale“.

Quale governo?

L’Italia ha già fatto esperienza di vari governi tecnici (basti pensare al governo Gentiloni), ma cosa sono i governi politici ed istituzionali?

  • Un governo politico rappresenta una maggioranza parlamentare, che è solitamente frutto di aggregazioni tra partiti più forti e forze politiche minori.
  • Un governo istituzionale è, invece, di durata limitata e si forma su decisione del Presidente della Repubblica, con a capo figure che rappresentano le istituzioni – come il Presidente della Camera o del Senato.

Il calendario delle consultazioni

Nonostante le difficoltà, le nuove consultazioni sono riuscite a svolgersi all’interno della Sala della Lupa di Montecitorio. Secondo il calendario divulgato anche dalla Camera dei Deputati, nei due giorni sono state consultate le forze politiche di maggioranza tra cui Pd, M5S, LeU, Italia Viva ed i gruppi parlamentari quali quello degli Europeisti (i cosiddetti “responsabili” a sostegno di Conte), le Autonomie ed il Gruppo Misto.

Al termine delle consultazioni, l’ 1 febbraio è stato istituito un tavolo per la stesura del contratto di governo.

I punti salienti delle contrattazioni

I temi cardine dell’accordo sono sicuramente economia e giustizia. Per quest’ultimo punto, si tratta soprattutto della riforma della prescrizione, ma ci sono tantissime riforme lasciate in sospeso a causa della crisi di governo.

Punti focali sono il Recovery Plan ed il Mes. Al tavolo tecnico si discute soprattutto dei 200 miliardi a fondo perduto del Recovery (in contemporanea con le Commissioni parlamentari), mentre Renzi ed Italia Viva insistono sull’utilizzo del Mes per la sanità.

Si tratta di un punto di particolare delicatezza, che potrebbe costare l’equilibrio della maggioranza e la formazione del governo Conte-ter.

In materia di lavoro, M5S spinge sul reddito di cittadinanza con salario minimo ed equo compenso (un contributo imposto per avere il diritto di effettuare la copia privata delle opere protette dal diritto d’autore). Su una diversa linea si trova invece l’opposizione di Fratelli d’Italia, che ribadisce la necessità di un’indennità parametrata sul modello della cassa integrazione e rivolta a chi avesse avuto un calo di fatturato del 50% rispetto allo stesso mese del 2019.

Altro tema importante è quello della legge elettorale ed il taglio dei parlamentari, voluto dal referendum di settembre 2020. Rimane poi la questione degli scambi d’incarichi e della divisione del potere, con una Maria Elena Boschi che twitta:

Anche oggi polemiche su di me. Italia Viva ha chiesto al Governo di prendere il Mes, non di prendere Meb. Come al solito i 5stelle non leggono fino in fondo. O non capiscono. Servono soldi per la sanità, non poltrone per noi.

Intanto per le forze di LeU  il voto si fa sempre più vicino:

Se nella giornata di oggi non si mette in condizione il Presidente Fico di andare al Quirinale a riferire che ci sono le condizioni per andare avanti a costituire un Governo fondato sulla maggioranza che sosteneva Conte, le elezioni anticipate si avvicinerebbero a grande velocità.

Il segretario della Lega Matteo Salvini, invece, sostiene che si raggiungerà un accordo, “Ma migliaia d’italiani avranno perso posti di lavoro e tempo“.

(fonte: tg24.sky.it)

I possibili scenari dopo la fine del mandato

Col termine del mandato esplorativo di Fico, si aprono possibili scenari per il futuro. Se si raggiungesse un accordo, sarebbe possibile un nuovo governo di Conte con la medesima maggioranza – ma probabilmente cambierebbero i ministri. In assenza di un accordo:

  • Potrebbe formarsi un governo politico con la medesima maggioranza ma con diverso premier;
  • Si potrebbe passare ad un governo istituzionale;
  • Governo tecnico capitanato da economisti e professori;
  • Infine, la possibilità di un governo di scopo di breve durata che svolga le funzioni dell’esecutivo fino a nuove elezioni.

Sebbene sia stata vagheggiata da molti la possibilità di un governo Draghi, ex presidente della BCE, la Presidenza della Repubblica ha smentito i contatti con quest’ultimo. A questo punto, non resta che aspettare gli esiti comunicati da Fico.

 

Valeria Bonaccorso

 

48 ore per decidere sul destino del Governo: maggioranza o elezioni?

Dimissioni Conte: prima o dopo della relazione al Senato?

Quarant’otto ore è il tempo a disposizione per la scelta del Governo: rischiare la sconfitta in Senato o presentare le dimissioni prima e puntare a nuova maggioranza per la formazione di Conte-ter.

La prova decisiva è prevista mercoledì, quando il Guardasigilli Alfonso Bonafede (M5S) procederà in Senato con la relazione sullo stato della giustizia, assicurando su tempi certi del processo, possibile decreto sulla giustizia civile e cancellazione della prescrizione (su cui il 70% dei parlamentari esprime contrarietà).

La “prova” Bonafede

Centrodestra e Italia Viva compatti sulla bocciatura. “Leggi indigeribili su prescrizione e intercettazioni, proposte inadeguate sui processi civile e penale, una cultura giustizialista tollerata dagli alleati del momento. Per liberali e garantisti, dire no all’azione del ministro Bonafede non è tattica politica, ma un dovere morale” afferma Mara Carfagna (FI).

Alfonso Bonafede, Ministro della Giustizia, presenterà mercoledì la relazione in Senato decisiva per la stabilità del governo Conte. Fonte: The Italian Times.

Già martedì alle 16 il Ministro della Giustizia dovrà render conto alla Camera, dove tuttavia il rischio non sembra essere dietro l’angolo. 156 sono infatti i numeri (se pur risicati) sulla fiducia, contro la rischiosa minoranza di 148 previsti al Senato. Una mancata risoluzione sulla maggioranza, in seguito allo strappo di Italia Viva, porterebbe infatti a una sconfitta preannunciata per il Governo Conte.

Disperata la ricerca di otto o dieci senatori “responsabili” in grado di confermare una maggioranza su Conte che, altrimenti, è costretto a lasciare l’incarico. Il premier nei giorni scorsi ha aperto alla possibilità di un Conte-ter, non prima però di aver trovato un nuovo gruppo.

Renzi o non Renzi?

Matteo Renzi, leader di Italia Viva, ha aperto la crisi di Governo nei giorni scorsi ritirando le ministre Bonetti e Bellanova. Fonte: L’Espresso.

O c’è una maggioranza o si va al voto” tuona Di Maio, che mette il veto su Renzi. Ferma anche la posizione del capogruppo reggente del Movimento, Vito Crimi, che ribadisce l’inesistenza di margini che possano ricucire lo strappo operato dal leader di Italia Viva, che definisce “inaffidabile”.

Ipotesi che tuttavia ha evidentemente fatto breccia nel cuore di “dissidenti” grillini. Infatti, in una intervista al Corriere Emilio Carelli parla della necessità di “parlare con Renzi per un rimpasto e un accordo di fine legislatura.” Aggiungendo: “So di essere in contrasto con le posizioni ufficiali, ma molti parlamentari M5S la pensano come me”.

Si leva a gran voce la richiesta da parte del Pd di un dialogo “con tutti”. Detto altrimenti, con Renzi. Primo fra tutti, il capogruppo al Senato Andrea Marcucci che invita a fermare la guerra per sedersi insieme intorno a un tavolo. Il dem Goffredo Bettini ribadisce a Omnibus su La7 “Serve una fase nuova, ma Conte rimane imprescindibile. Ora Matteo Renzi dimostri effettivamente di avere il senso non dell’errore ma un po’ del salto nel buio che lui ha procurato e incominci in Parlamento a dare qualche segnale, se ci sono delle aperture”.

Il Ministro degli Affari Regionali Boccia, ospite ad Agenda, dichiara di non vedere passi indietro sul fronte renziano. Rassicura però la risoluzione di questa crisi solo in Parlamento, evitando l’ipotesi di un governo con la destra.

Forza Italia torna al centro del dibattito con Berlusconi, il quale scommette sulla volontà di tutte le forze in campo di scongiurare le elezioni per puntare su un esecutivo costituito dai partiti che al Parlamento Europeo hanno votato a favore di Ursula Von der Leyen, di cui fa parte Pd, M5S e Ppe, e che conterebbe al senato circa 220 voti in grado di garantire stabilità. Ma come potrebbe il M5S spiegare ai suoi elettori l’ennesima alleanza controversa, stavolta con Berlusconi?

Un invito che si leva da più parti contro la pistola del voto che Renzi ha puntato alle tempie del governo. “Noi abbiamo la pistola? Ma il premier ha in mano un idrante. E tocca a lui usarlo” è la risposta dal quartier generale renziano, che non arretra di fronte a una decisione che deve passare da Conte. Intanto, il premier sembra cercare altre soluzioni ed emerge sempre più incerta l’ombra di un ritorno alle urne che avrebbe dovuto essere lontana dalla preoccupazione pubblica, ancora in piena pandemia.

Alessia Vaccarella

Il discorso di Conte al Senato: le sorti di un Paese

Dopo aver ottenuto la maggioranza alla Camera con ben 321 sì, il Presidente del Consiglio Conte sta affrontando oggi la fase maggiormente decisiva a Palazzo Madama, dove gli equilibri sono diversi.

(fonte: open)

È durato circa un’ora l’atteso discorso del premier, tenuto stamattina in Senato e scandito da 31 applausi, più numerosi dei 14 ricevuti ieri a Montecitorio. Un intervento che ricalca in gran parte quello fatto ieri: “Con la pandemia, con la sua sofferenza, il Paese si è unito. Si è elevato il senso di unità del governo, si sono elevate le ragioni dello stare insieme”.

Al Senato, il presidente del Consiglio conta sul voto di Liliana Segre, tornata a Roma appositamente per confermare la fiducia, e del gruppo Maie-Italia23, formatosi per sostenerlo.

Dure ancora le opposizioni. Ieri Giorgia Meloni ha attaccato tutto il Governo alla Camera, accusando Conte di “poltronismo” e chiedendo il voto.

Attesissimi gli interventi di Matteo Renzi che, dopo la vicenda che lo ha avuto come antagonista, promette “la verità”. Si aspetta anche quello di Matteo Salvini.

Il discorso di Conte in Senato

Conte ha iniziato, alle 9:30 circa, dai banchi del Senato. Siedeva insieme ai ministri Franceschini, Speranza, Gierini, Bonafede, Di Maio, Lamorgese, D’Incà e Amendola; ad ascoltarlo un’aula quasi al completo, sotto gli occhi anche di Salvini e Renzi.

Prima osservato un minuto di silenzio in memoria di Emanuele Macaluso, lo storico dirigente Pci morto a 96 definito – a prescindere dai propri ideali – un grande protagonista della vita politica e culturale italiana”.

Subito dopo, ha ricordato le difficoltà derivate dalla alla pandemia, dove il governo ha dovuto “operare delicatissimi, faticosissimi, bilanciamenti dei princìpi e dei diritti costituzionali.”.

In questi mesi così drammatici, pur a fronte di una complessità senza precedenti, questa maggioranza ha dimostrato grande responsabilità, raggiungendo – certamente anche con fatica, convergenza di vedute e risolutezza di azione, anche nei passaggi più critici.” – ha detto per poi attaccare l’opposizione – “In questi giorni ci sono state continue pretese, continui rilanci concentrati peraltro non casualmente sui temi palesemente divisivi rispetto alle varie sensibilità delle forze di maggioranza. Di qui le accuse a un tempo di immobilismo e di correre troppo, di accentrare i poteri e di non aver la capacità di decidere. Vi assicuro che è complicato governare con chi mina continuamente un equilibrio politico pazientemente raggiunto dalle forze di maggioranza”

(fonte: ilMattino)

Nel suo discorso – accompagnato da brusii ed applausi ironici, cori “Bravo, bravo!” – il premier ha toccato anche altri punti fondamentali del progetto di governo: rilancio del Sud, digital divide, riforma meditata del titolo V della Costituzione, piano vaccinazioni, ma anche la necessità di un governo e di forze parlamentari che riconoscano l’importanza della politica indirizzata al benessere dei cittadini.

La richiesta di “un appoggio limpido, che si fondi sulla convinta adesione a un progetto politico” perché “questo è un passaggio fondamentale nella vita istituzionale del nostro Paese ed è ancora più importante la qualità del progetto politico”

Ha poi concluso usando le stesse parole dell’intervento alla Camera:

“Costruiamo questo nuovo vincolo politico, rivolto alle forze parlamentari che hanno sostenuto con lealtà il Governo e aperto a tutti coloro che hanno a cuore il destino dell’Italia. Io sono disposto a fare la mia parte. Viva l’Italia”

A seguire un lungo e caloroso applauso finale, durante il quale, addirittura i parlamentari del Pd e del M5s si sono alzati in piedi.

Subito dopo, non è mancato un acceso mormorio in Aula. La presidente del Senato Elisabetta Casellati ha dovuto chiedere silenzio per poter dare avvio al dibattito.

Il dibattito

Concluso l’intervento del premier, è iniziata la discussione generale. Risultano essere 45, almeno per ora, i senatori iscritti a parlare, tra cui il senatore a vita Mario Monti, Emma Bonino, Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega, e Matteo Renzi, leader di Italia viva. Otto gli interventi previsti per le dichiarazioni di voto. Per Italia viva interverrà Teresa Bellanova, ex ministro dell’Agricoltura, Andrea Marcucci, presidente dei senatori del Pd, e Matteo Salvini, segretario della Lega.

Un lungo applauso ha accompagnato la senatrice a vita Liliana Segre, accolta dal saluto di Pier Ferdinando Casini.

“Conte – ha detto – ha dimostrato in queste vicende una sua solidità e una capacità”, annunciando il suo voto a favore.

Tendente a essere positivo si è detto anche Mario Monti del Gruppo Misto:

 “Annuncio il mio voto di fiducia nel modo che mi è proprio. Non le porto voti, se non il mio. Il mio un voto di fiducia è libero e condizionato ai provvedimenti, se corrisponderanno alle mie convinzioni.”.

(fonte: flipboard)

Tra i senatori già in maggioranza, si segnala oggi l’assenza per Covid di Francesco Castiello del M5s.

Sono 153 ritenuti certi – finora – a favore della maggioranza, ma il pallottoliere viene continuamente aggiornato. C’è chi confida che l’asticella a sostegno di Conte salga fino ad almeno 158.

L’obiettivo, secondo alcune fonti, sarebbe quello di lasciare più di 18 senatori di margine tra i Sì e i No, per dimostrare che Italia Viva non è essenziale alla maggioranza.

Dopo l’abbandono del governo, la suddetta aveva annunciato che si asterrà nel voto finale, come confermato dal senatore umbro Leonardo Grimani. Questo consentirà all’esecutivo di ottenere la fiducia con una maggioranza relativa, per la quale non è richiesto un quorum minimo ed è sufficiente superare l’opposizione anche di un solo voto.

Considerata, Iv, responsabile della “crisi assurda e incomprensibile” da parte di Franco Mirabelli, vicepresidente del gruppo dem a Palazzo Madama, questo ha aggiunto ai microfoni:

“E’ necessario sostenere l’azione del governo per aiutare il Paese, con le risorse del Recovery, a superare la pandemia, a fare ripartire l’economia e fare le riforme. Per questo il Partito democratico appoggia l’impegno del presidente Conte a un nuovo patto di legislatura”.

Netta l’opposizione del centro-destra, che chiede le dimissioni del presidente del Consiglio anche al Senato. Il testo, uguale a quello presentato ieri alla Camera, è firmato dai capigruppo di Lega, Massimiliano Romeo, di Forza Italia, Annamaria Bernini, di Fratelli d’Italia, Luca Ciriani e da Paolo Romani di ‘Cambiamo’.

Alle 16:30 la seduta sarà sospesa per un’ora per consentire la sanificazione dell’Aula. Per le 17:30 si attende, invece, la replica del premier che precederà le dichiarazioni di voto sulla fiducia e la chiama, prevista per le 18.

L’esito dello scrutinio resta ancora totalmente incerto ma dovrebbe essere annunciato circa alle 20:30.

Manuel De Vita

Il discorso del premier Conte per la fiducia: “Qui senza arroganza, ma a testa alta.”

Il discorso del premier Conte (fonte: corriere.it)

Dopo la rottura causata da Italia Viva e il suo leader Matteo Renzi, il presidente del Consiglio Conte ha scelto la strada più rischiosa, ma che potrebbe anche portarlo alla riconferma del suo incarico. Oggi, lunedì 18, ha tenuto il suo discorso in Parlamento, proprio per la verifica della maggioranza. Domani, invece, cercherà di conquistare, al Senato, una fiducia che si avvicini il più possibile ai 161 voti necessari.

Sono stati diversi i punti dibattuti dal premier, iniziando dai presupposti su cui è stato formato il governo basato sull’alleanza M5S-Pd, “un governo nato per un disegno riformatore ampio e coraggioso”. Nel marzo 2020, con lo scoppio della pandemia, questo stesso governo sarà messo davanti ad una sfida senza precedenti negli ultimi anni.

 

Il presidente ha sottolineato tutto il suo impegno “fisico e psichico” nel riuscire ad operare un piano che potesse salvaguardare il bene della comunità nazionale.

Riconosce l’importanza della maggioranza in questi mesi di sgomento anche nei passaggi più critici, rivendicando di aver impostato l’azione del governo col solo fine di far fronte alla sfida a cui tutti noi siamo stati sottoposti, stanziando oltre 100 miliardi di euro per dare assistenza ai cittadini e alle categorie professionali.

(fonte: repubblica.it)

Ha parlato dell’importanza dell’Italia per il Recovery Fund, che, citando le parole di Conte stesso, potremmo definirlo: “un fondo per la ripresa con titoli comuni europei per finanziare la ripresa di tutti i Paesi più colpiti, tra cui l’Italia”.

“Abbiamo posto le basi per un deciso rilancio della crescita” ha detto, con per poi fare un elenco di tutti gli interventi realizzati dall’insediamento ad oggi, anche a prescindere da quelli emergenziali. Ha proceduto fino ad esprimere il forte imbarazzo e dissenso per una crisi definita senza fondamento:

“Confesso di avvertire un certo disagio per questa crisi che si consuma mentre molti cittadini ancora soffrono per la perdita di qualcuno e per la quale non ravviso alcun plausibile fondamento”.

(fonte: fanpage.it)

Una crisi che ha giudicato ormai comunque incancellabile, dalla quale non si può più tornare indietro, citando anche la storica frase di Giulio Cesare “il dado è tratto”. Non nasconde tutta la sua perplessità e il giudizio negativo, verso questa situazione che ritiene dannosa per il Paese, gettandolo nello scompiglio.

«Ora si volta pagina, il Paese si merita un governo coeso che lavori a un’incisiva ripresa della nostra economia»

Ha, poi, spiegato come il suo sia stato uno dei governi che hanno cercato di coinvolgere sempre tutto il Parlamento, nonostante non siano mancati disappunti dall’opposizione.

Non rinuncia a definire gli attacchi mediatici a lui rivolti, come aspri e inadeguati.

Nonostante la pacatezza dei suoi toni e la decisione di non scagliarsi apertamente contro Renzi, di cui il nome non pronuncerà per tutto il discorso, evitando un atto d’accusa diretto, rimane chiara la chiusura rivolta a quest’ultimo:

“Non si può pensare di recuperare quella fiducia che serve per lavorare nell’interesse del paese”.

In ultimo, ha parlato apertamente della necessità di dar vita a una nuova maggioranza europeista e contro i sovranisti. Ha espresso il bisogno di “persone in grado, ma soprattutto con la voglia, di mantenere alta la dignità della politica.”

“Aiutateci”, questa la richiesta del premier, rivolgendosi alle forze parlamentari, volenterose di salvare il Paese e la politica italiana. Ha chiesto il contributo politico di “formazioni che si collegano alle migliori tradizioni democratiche, liberali, popolari, socialisti“.

Si è rivolto alle Istituzioni, affinché sappiano ripagare la fiducia dei cittadini italiani, che hanno sopportato e continuano a sopportare i sacrifici richiesti.

Eleonora Genovese

 

 

 

 

Renzi ha detto no: è crisi. Attesa la mossa di Conte

Renzi, annuncia le dimissioni delle due ministre e il sottosegretario Scalfarotto, durante la conferenza stampa (fonte: ansa.it)

Conte aveva promesso la massima apertura possibile, ma Renzi alla fine l’ha fatto: è crisi – ma per ora “solo” – politica. Sarebbe la 66esima di governo, su 66 esecutivi nella storia della repubblica. Si attendono le prossime ore per capire se a questa possa seguirne o meno una di governo e gli scenari possibili sono diversi.

Nelle ore precedenti

(fonte: fanpage.it)

Ieri, all’ora di pranzo, il presidente Mattarella ha ricevuto il premier, chiedendogli di far in modo di uscire al più presto dall’incertezza politica, di cui quest’ultimo lo ha informato dopo infruttuosi contatti telefonici. Ogni trattativa con il leader di Italia Viva, con i renziani, rinominati ora “Responsabili”, non riesce. Neanche l’offerta di un “patto di legislatura” da scrivere in breve tempo viene accettata. Il premier, all’uscita del Quirinale, dichiara di poter andare avanti solo con il sostegno di tutta la maggioranza, una maggioranza soprattutto solida, che non può “prendere un voto qua e là”, alla quale dice di voler, in ogni caso, lavorare fino all’ultimo.

Il primo strappo sembra quello avvenuto nel Consiglio dei ministri, sul Recovery Fund, a causa delle ministre renziane, ma già da mesi il governo traballava.

In serata, Renzi esordisce, in conferenza stampa iniziata alle ore 18, con le dimissioni delle ministre Teresa Bellanova e Elena Bonetti e il sottosegretario Ivan Scalfarotto. Pd e M5s si dicono contrari.

Renzi e le ministre Bellanova e Bonetti (fonte: corriere.it)

“Lasciare un incarico di governo richiede lunghissime, dolorose e assai profonde considerazioni. Abbiamo deciso di rimettere il nostro mandato in nome della dignità e della nobiltà della politica e della nostra libertà e responsabilità individuale.” avevano scritto in una lettera al presidente del Consiglio, motivo del ritardo di un’ora per l’inizio della diretta.

Renzi dichiara di non aver aperto lui la crisi, ma che ve ne era una già in atto da mesi: il punto su cui non ci sta è la convinzione che la democrazia è stata messa da parte con la scusa della pandemia.

Sottolineando di nutrire ancora piena fiducia nei confronti di Mattarella, poi dichiara:

“La democrazia ha delle forme e se le forme non vengono rispettate, allora qualcuno deve avere il coraggio anche per gli altri per dire che il Re è nudo.” per poi continuare con l’accusa di populismo, per un utilizzo ridondante delle dirette tv e sui social e su quello della delega ai servizi. “Non consentiremo a nessuno di avere pieni poteri. Questo significa che l’abitudine di governare con i decreti legge che si trasformano in altri decreti legge, l’utilizzo dei messaggi a reti unificate, la spettacolarizzazione della liberazione dei nostri connazionali, rappresentano per noi un vulnus alle regole del gioco. Chiediamo di rispettare le regole democratiche”.

Tre le questioni poste, tra cui appunto quella sul metodo.

Il destino dell’esecutivo nelle mani di Conte

Si attende la risposta di Conte (fonte: ilpost.it)

Renzi passa la palla a Conte e dice di non avere alcuna pregiudiziale né su formule né su nomi, un Conte-ter è possibile. Contesta il mancato uso del Mes, rivendica i cambiamenti sul Recovery fund e dichiara di esser pronto a discutere su tutto, ma, precisa, nelle forme della politica previste dalla Costituzione perché sottolinea che con Conte “si è creato un vulnus alle regole del gioco”.

Il premier, ora, può assumere l’interim o andare al Quirinale e aprire la crisi. Quattro possibili scenari. Poco prima dell’intervento di Renzi, Conte sulla possibile mancanza di appoggio di Iv, aveva dichiarato di volersi dimostrare aperto a discutere solo in caso di critiche costruttive.

Gli scenari che si aprono

In ogni caso, Il ritiro di due ministri non comporterebbe tecnicamente la fine dell’esecutivo. Conte potrebbe chiedere la verifica della fiducia nei suoi riguardi, dopo aver congelato le sue dimissioni. Un rischio, poiché in caso della mancanza di questa, non avrebbe la possibilità di tornare a Palazzo Chigi. Solo in caso di verifica andata a buon fine, quindi, se Iv trovasse un compromesso con la maggioranza e il premier, l’esecutivo Conte II continuerebbe.

Altrimenti un governo istituzionale, con una maggioranza allargata, per cui è stato ventilato il nome di Romano Prodi – tessitore delle relazioni con l’Europa – sarebbe una dei quattro possibili scenari.

Un Conte-ter dopo le dimissioni formali del premier, con una riconferma da parte da parte delle forze politiche consenzienti a formare la nuova maggioranza e un nuovo patto programmatico.

Oppure, un nuovo governo con la stessa maggioranza, ma nuovo premier – espresso da Pd, M5s, Leu e Iv – che sia del Pd o anche Di Maio un premier appoggiato dal centrodestra e Iv all’opposizione.

Se le consultazioni si trascinassero senza riuscire a individuare un nuovo governo, allora si andrebbe – nonostante Renzi l’abbia giudicato impossibile – a elezioni anticipate.

Rita Bonaccurso

Oggi Conte al Consiglio europeo: il via alla riforma sul Mes. Ancora contrasti sul Recovery Plan

Una settimana impegnativa per il premier Conte, che tenta di tenere il timone dell’Italia destreggiandosi tra il controllo della pandemia, i conflitti per la gestione del recovery fund e lo scompiglio causato dalla riforma sul Mes approvata ieri in Parlamento. Quest’ultima sarà al centro del Consiglio Europeo che si terrà oggi e domani a Bruxelles, durante il quale Conte darà il via libera alla trasformazione apportata proprio da tale riforma all’economia europea.

Che cos’è il Mes? Che cosa prevede la riforma?

Il Mes, ovvero il meccanismo europeo di stabilità, è uno strumento nato nel 2012 per contrastare una possibile crisi del debito dei paesi dell’Unione Europea che hanno adottato l’euro come moneta. Il Mes ha una dotazione complessiva di 700 miliardi di euro, è finanziato direttamente dai singoli Stati membri in base al loro specifico peso economico ed è gestito da un’apposita struttura che ha sede a Lussemburgo. Il Paese in crisi, per ottenere un aiuto, deve accettare un piano di riforme la cui applicazione è sorvegliata da Troika, un organismo costituito dalla Commissione europea, dalla Banca centrale europea e dal Fondo monetario internazionale. Il piano prevede pesanti tagli alla spesa pubblica.

La riforma del Mes, approvata ieri dal Parlamento italiano, prevede tre cambiamenti importanti. Per ottenere un prestito non sarà più necessario sottoscrivere un accordo di riforme impopolari, ma sarà sufficiente una lettera di intenti. Il fattore limitante è che tale regola vale solo per quegli stati che rispettano i parametri di Maastricht.

Inoltre, la riforma tenta di rendere più facile la ristrutturazione del debito pubblico di un paese che chiede aiuto al Mes. Ristrutturare il debito pubblico significa concordare una riduzione del valore del prestito fatto allo stato, il che, per i creditori, vuol dire perdere parte del loro investimento nel momento in cui scatta il pacchetto di aiuti. La riforma introdurrebbe le single limb Cacs, cioè un particolare tipo di titoli di stato che permettono una ristrutturazione tramite un solo voto dei creditori, rendendo le procedure meno complesse. Il timore è che i creditori, consapevoli della possibilità per i debitori di restituire meno di quanto dato in prestito, chiedano interessi più alti, soprattutto agli stati più a rischio, come l’Italia.

La riforma sostiene anche l’anticipazione al 2022 del «backstop» al Fondo unico di risoluzione per le banche. Con backstop si intende la protezione delle banche in dissesto grazie alle risorse provenienti dal Mes.

I contrasti sul Mes hanno avuto come sfondo lo scontro tra europeisti e antieuropeisti. Gli oppositori intravedono nella riforma il pericolo di una forte ingerenza dell’Europa nella politica italiana. Emerge questo dalle parole di Giorgia Meloni:

Il Mes non è uno strumento utile per l’Italia ma un atto di sottomissione al controllo della burocrazia europea”.

Nonostante le avversioni, la riforma ha ottenuto il via libera, ieri in Parlamento, con 156 favorevoli. Entusiasta il ministro dell’economia e delle finanze Roberto Gualtieri:

Grande soddisfazione per il voto di oggi di Camera e Senato. È un’importante conferma della coesione della maggioranza su un chiaro indirizzo europeista e del lavoro positivo svolto dal governo in Europa”.

Il ministro Roberto Gualtieri – Fonte: www.policymakermag.it

 

Il Recovery Plan

Disinnescata la mina del Mes, la maggioranza è invece in fibrillazione sul Recovery plan, il progetto nazionale di gestione del fondo per la ripresa dei paesi europei maggiormente colpiti dal Covid.

Per quanto riguarda i settori di impiego del finanziamento, la domanda guida del progetto proposto da Conte, così come affermato da lui stesso, è stata: “Che paese vorremmo tra dieci anni?”. Il premier guarda al futuro fiducioso di recuperare il ritardo dell’Italia, soprattutto in alcuni settori, rispetto agli altri paesi europei. Le valutazioni dei tecnici del Tesoro lasciano sperare: secondo le previsioni, se il Recovery Plan funzionerà, tra sei anni il Pil italiano sarà più alto di oltre 40 miliardi. Stando al progetto,74,3 miliardi saranno assegnati al green, 48,7 miliardi alla digitalizzazione, 27,7 miliardi alle infrastrutture, 19,2 miliardi ad istruzione e ricerca, 17 miliardi a parità di genere, coesione sociale e territoriale, 9 miliardi alla salute.

Come verrà gestito il Recovery Fund – Fonte: www.genteditalia.org

 

Il Recovery Fund in Sicilia

“Un’occasione unica per riequilibrare il divario tra nord e sud”,

vengono visti in tal modo, dall’assessore all’economia Gaetano Armao, i 20 miliardi che toccano alla Sicilia. Secondo le previsioni della bozza di Conte, il prodotto interno lordo della nostra isola aggiungerà un 4,67% alle stime per il 2021.

Gaetano Armao – Fonte: www.siciliaunonews.com

La bozza del premier delude, tuttavia, la giunta regionale siciliana: non è menzionato né il Ponte sullo Stretto richiesto dal centrodestra, né l’aeroporto intercontinentale che il governo Musumeci vorrebbe realizzare a Milazzo.

Si punta invece alla tutela del patrimonio culturale, alla riduzione del divario sociale, al potenziamento delle due zone economiche speciali, quella occidentale che include parte di Palermo e Trapani, quella orientale che ingloba Enna, Messina e Siracusa. Importante l’intervento sulle ferrovie: l’investimento di 6,8 miliardi permetterà ai treni del triangolo Palermo, Messina, Catania di raggiungere una velocità di 160 chilometri orari.

La frattura della compagine governativa

La questione che ha lacerato il governo è quella della cabina di regia, cioè degli organi a cui è affidata la gestione dei 209 miliardi che spettano all’Italia. La proposta del premier prevede la presenza di un comitato esecutivo composto, accanto a Conte, da Gualtieri e da Patuanelli e una task force di sei manager nominati da lui stesso. Il piano punta anche sulla collaborazione di un “comitato di responsabilità sociale, composto da rappresentanti delle categorie produttive, del sistema dell’università e della ricerca” che possa dare pareri e suggerimenti.

Il no alla bozza del progetto del premier è arrivato soprattutto da Italia viva, il cui leader, Matteo Renzi minaccia: “Io mi sgancio” evocando la crisi del governo. Agli occhi di Renzi, la proposta di Conte priverebbe ministri e regioni di potere decisionale in un progetto che influenzerà il futuro dell’Italia.

Questa struttura esautora non solo i ministeri, ma anche le Regioni e in sostanza l’intera Pa, mentre il Recovery deve rappresentare una straordinaria occasione di rinnovamento e innovazione della pubblica amministrazione”.

Decisa la renziana Teresa Bellanova che, tra l’altro, Italia Viva avrebbe voluto includere nel triumvirato incaricato di gestire il Recovery incontrando, tuttavia, l’opposizione del partito democratico che non intende cedere alle pretese di Renzi. Dure le parole del ministro Peppe Provenzano:

Già abbiamo Orban che frena. Dividerci anche tra noi per ragioni di visibilità sarebbe molto grave”.

Conte risponde agli attacchi assicurando che la struttura del Recovery plan non priverà i ministri del potere:

la responsabilità rimane sempre nel governo perché servirà l’autorizzazione del Consiglio dei Ministri”.

Oggi Conte al Consiglio europeo

La questione del Recovery Fund è ancora tutta da risolvere. Gli scontri in Italia preoccupano l’Unione Europea: il nostro paese è quello a cui spettano più fondi e, di conseguenza, è necessario un progetto forte ed efficace. Il tempo a Bruxelles stringe: la commissione europea spinge affinché il piano venga approvato e mandato all’Ue, così da metterlo in atto nel minor tempo possibile.

Conte a Bruxelles – Fonte: it.notizie.yahoo.com

Oggi, dunque, si prospetta per Conte un’aria tesa a Bruxelles. Accanto al Mes e al Recovery Fund, sul quale, così come affermato ieri in Parlamento dal premier, si intravede uno spiraglio nel negoziato con Polonia e Ungheria, terranno impegnato il vertice dei leader del Consiglio europeo anche altre importanti questioni: la Brexit, il green deal e i rapporti con la Turchia.

Chiara Vita

Forse ci siamo: L’OK di Cottarelli alla formazione di un esecutivo

Dopo il nulla di fatto dell’incontro tenuto ieri verso le 19, tra il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ed il premier incaricato Giuseppe Conte (con le sue relative dimissioni), stamane c’è stata la convocazione al Quirinale di Carlo Cottarelli, il quale ha dato la sua adesione (con riserva) per la formazione  di un nuovo governo che ci porterà alle prossime elezioni, presumibilmente dopo il mese di agosto. L’uomo soprannominato “Mister Spending review” ha dichiarato:

“Sono molto onorato come italiano di quest’incarico e ce la metterò tutta. Mi presenterò con un programma che in caso di fiducia includa l’approvazione della legge di bilancio e poi preveda lo scioglimento del Parlamento e elezioni nel 2019. Senza la fiduciasi andrà invece alle elezioni dopo agosto.”

L’intervento di Cottarelli si può riassumere brevemente in questi punti :

  • Tempi stretti per la squadra di governo.
  • Poi alle Camere per chiedere la fiducia.
  • Il programma, in caso di fiducia, include l’approvazione della legge di bilancio per il 2019, dopodiché il Parlamento verrebbe sciolto con elezioni a inizio 2019.
  • In assenza di fiducia il governo si dimetterebbe immediatamente e il suo principale compito sarebbe la gestione dell’ordinaria amministrazione e accompagnare il Paese a elezioni dopo il mese di agosto”.
  • Essenziale il dialogo con la Ue: assicuro gestione prudente conti pubblici.

Dopo le rassicurazioni di Cottarelli su conti pubblici e ruolo dell’Italia nella Ue, lo spead tra Btp e Bund rallenta ancora e torna sotto i 220 punti base (217).Risultati immagini per di maio e salvini

Siamo di fronte ad una crisi istituzionale mai verificatasi prima nella storia della Repubblica; e nel frattempo arriva il duro attacco di Salvini e Di Maio al Colle. Il leader di M5S parla di “scelta incomprensibile” del capo dello Stato e sottolinea il concetto di “inutilità al voto” se poi quest’ultimo viene sovvertito dalle preoccupazioni delle varie agenzie di rating e dalle lobby finanziarie. Mentre il segretario della Lega rivendica il lavoro svolto durante queste settimane per la preparazione del governo, e che con l’esclusione di Savona dalla carica di ministro dell’economia si chiama fuori, rievocando il ritorno alle urne. Di tutt’altro avviso è Matteo Renzi, il quale attacca Salvini con un tweet, spiegando che la sua decisione è solo un alibi per non governare. Il leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, arriva addirittura a parlare di “impeachment” nei confronti del presidente della Repubblica rifacendosi all’articolo 90 della Costituzione. Arrivano però le repliche confortanti del segretario del Pd Maurizio Martina e dell’ex primo ministro Paolo Gentiloni, i quali si sono mostrati solidali nei confronti delle scelte di Mattarella.

Dopo 85 giorni senza esecutivo viene rimesso tutto nelle mani dell’economista Cottarelli, sulle cui spalle gravano il compito di dare un governo al nostro Paese.

Santoro Mangeruca

Referendum: perchè detesto parlare di politica

Dicono che il primo editoriale, un po’ come il primo amore, non si scordi mai. E devo ammettere che a me è andata davvero di lusso, come si suol dire, dato che i turni concordati col resto della redazione hanno fatto si che mi toccasse come primo editoriale questo di oggi, 6 dicembre 2016, un periodo denso di avvenimenti importanti, dopo che l’esito di un importante referendum costituzionale e le successive dimissioni del premier Renzi hanno aperto le porte a una quanto mai caotica crisi di governo.

E quindi l’angioletto sulla mia spalla, con tanto di aureola e cetra dorata (chi di voi ha visto Le Follie dell’Imperatore capirà e si commuoverà con me ricordando quei tempi spensierati) proprio adesso che scrivo mi dice “Gianpaolo, ora prendi, ti informi, ti spulci le opinioni di cui i giornali sono pieni, ti improvvisi analista politico e ti spari un bel pezzo in cui fai il punto della situazione; ci piazzi un bel po’ di frasi fatte, del tipo ‘una vittoria per la democraziaoppure ‘il Paese è nel caos!’, così ti senti in pace con te stesso e col mondo e aggiungi un altro inutile mattone alla interminabile catasta di stupidaggini che sono state dette e verranno dette, in questi giorni e in quelli a venire“. E controvoglia potrei anche dargli ragione, solo che la cosa mi scoccia da morire e preferisco, per oggi, stare a sentire il mio diavoletto custode (ovviamente con tutina rossa, corna e forcone) che mi intima di farmi i fatti miei, promettendo in cambio la prospettiva di una vita ultracentenaria, come garantisce il ben noto proverbio. Ma qualcosa dovrò pur scriverla in questo editoriale: pertanto decido, per una volta, di fare la voce fuori dal coro e di incentrare il mio editoriale sul perché non voglio parlare di politica.

Prima che una delle tante voci del coro se la prenda con me e inizi a tormentarmi con i classici e triti slogan della cittadinanza impegnata (“ah, ma così passi un messaggio sbagliato! Ah, ma il voto è un diritto e dovere del cittadino e va esercitato sempre e comunque! Ah, ma allora sei anche tu un qualunquista!“) premetto doverosamente che a votare ci sono andato. Il punto è che l’ho fatto, come ormai spesso mi succede quando leggo notizie di attualità, con una sensazione come di dolore gravante in zona epigastrica (insomma, un peso sullo stomaco, anche se forse è colpa del reflusso). Che poi, guarda caso, alla gente interessi che tu vada a votare solo perché potenzialmente potresti votare quello che votano loro, è forse uno dei tanti motivi di questa sensazione di peso, ma non l’unico. Aggiungerei anche che ho votato non tanto per questioni di appartenenza politica o pregiudizi ma perché criticamente convinto della validità della mia scelta avendo esaminato attentamente le possibili alternative. Mi guardo bene dal farlo, però, perché so fin troppo bene che 1) a nessuno interessa delle mie capacità di analisi critica e 2) se andassi a chiedere a chiunque in base a cosa ha votato, chiunque mi risponderebbe così, e non c’è bisogno di essere esperti in psicologia cognitiva per sapere che, per uno dei tanti tiri mancini che il nostro cervello bastardo ci gioca, la nostra scelta ci appare, tendenzialmente, sempre come la più giusta e la più logica, solo per il fatto precipuo che essa è la nostra.

Arriviamo (finalmente) al dunque, alle ragioni del mio peso sullo stomaco. Tutte queste interminabili filippiche sono dovute al fatto che il recente referendum si è dimostrato, nei toni e nelle posizioni delle varie parti politiche tanto del fronte del Si quanto di quello del No, l’ennesimo trionfo del paradosso, della contraddizione e della fallacia logica. A cominciare dal PD di Renzi, che fino a qualche anno fa si atteggiava a difensore supremo dell’integrità della Costituzione tanto da porre la questione persino nel proprio statuto (quando la Costituzione voleva cambiarla il nemico Berlusconi…!) e che adesso ne ha proposto quella che sarebbe stata una delle modifiche più estensive della storia della Repubblica. Per poi arrivare al fronte del No e ai suoi controversi supporti da parte delle estreme destre, che fino a ieri inneggiavano al Duce e oggi si fanno vanto di aver difeso la Costituzione (si, proprio la Costituzione, avete presente quella cosa brutta voluta dai socialisti dopo la Liberazione?) dalla “svolta autoritaria” voluta dal premier Renzi: segno che le dittature e i regimi autoritari piacciono, purché a comandare ci sia chi piace a noi. Una battaglia politica condita di retorica populista da entrambe le parti, col fronte del Si a tappezzarci le città di specchietti per allodole facendo leva sul di desiderio di cambiamento (“Vuoi fare qualcosa per cambiare le cose? Vota SI”: avrete ragione voi, ma cambiare in meglio o in peggio?) e quello del No a fomentare i più bassi sentimenti di risentimento e insoddisfazione verso la classe dirigente, ovviamente con una inevitabile spolverata di complottismi d’annata (“Vota NO contro il sistema, contro i politici corrotti, contro le banche internazionali, la massoneria, i rettiliani che ci vogliono pecorelle inermi ai loro oscuri disegni di dominio”), passando ovviamente per promesse inattuabili (alcune francamente ai limiti del ridicolo) e prospettive apocalittiche nel caso di vittoria dell’avversario. Una campagna referendaria condotta insomma puramente sull’onda del sentimento, “di pancia”, senza che i media dedicassero spazio (salvo rare lodevoli eccezioni) alla sola cosa che potesse orientare un voto corretto e consapevole: il dibattito critico, razionale, sui pro e i contro del voto, in una parola l’informazione.

Unica nota di speranza, l’affluenza ai seggi: altissima, quasi del 70%. Evidentemente un briciolo di passione politica, nel popolo italiano, è rimasto. Ma la domanda inquietante a questo punto è: dopo un simile sovracitato sfoggio di slogan insignificanti, demagogia sfacciata e fallacie logiche assortite abbondantemente profuse da ambo i lati, durante questa campagna referendaria, di quale politica possiamo fidarci, di quale politica possiamo tornare ad appassionarci?

 

Gianpaolo Basile 

immagine in evidenza: Giuseppe Lami/ANSA

Renzi all’Università di Messina: “Un onore essere dove hanno insegnato anche i premi Nobel”

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Firmato il patto per lo Sviluppo per Messina: il luogo, emblematico, è quello che affolliamo ogni giorno, l’Università degli Studi di Messina.
Presenti in Aula Magna, oltre ai sindaci della città metropolitana di Messina, il Magnifico Rettore Prof. Pietro Navarra, il Sindaco Renato Accorinti ed il protagonista di giornata, il Presidente del Consiglio Matteo Renzi.

Fuori dal Rettorato, dove erano state prese grandi misure di sicurezza, si sono svolte contenute manifestazioni di dissenso nei confronti dell’ex sindaco di Firenze: diversi, sebbene in numero esiguo, i gruppi cittadini che si sono ritrovati a contestare l’arrivo del Premier.
Il tema del dissenso verteva intorno al “No” al referendum costituzionale che si voterà il 4 dicembre, ma non solo.
Matteo Renzi, tuttavia, ha fatto il suo ingresso nei locali dell’Università da una entrata secondaria, episodio che ha scatenato il malcontento della folla.

Il discorso del Presidente del Consiglio, che ha preceduto la firma al patto per lo Sviluppo di Messina è venuto dopo gli interventi del Rettore e del Sindaco Accorinti.

Proprio il Magnifico Rettore ha fatto gli onori di casa: “Sono molto grato al Presidente del Consiglio Renzi per avere scelto l’Università di Messina come tappa fondamentale per il concreto avvio, con risorse e progetti, di una nuova fase di crescita per il nostro territorio che, inevitabilmente, ne determinerà il suo futuro. D’altronde, l’Università è per sua natura il luogo dove viene progettato il domani, dove si formano le nuove generazioni, quelle nuove generazioni che avranno il compito di governare le trasformazioni del nostro territorio e, più in generale, del nostro Paese. Consentitemi – ha proseguito il Rettore – un’ultima breve riflessione a cui non voglio e non posso sottrarmi, dato il luogo in cui mi trovo e la veste che ricopro. Ho sempre creduto, ma oggi ne sono ancora più convinto, che qualunque intervento, sia esso per il potenziamento delle infrastrutture o per il sostegno all’innovazione tecnologica, non possa prescindere dall’investimento nelle persone, vero motore di ogni sviluppo economico e sociale di una comunità. Investire nelle persone significa formarle assecondando la loro voglia di fare, il loro talento e la loro capacità di mettersi in gioco, la loro onestà e il loro senso delle istituzioni. Ecco perché, Signor Presidente, la sua presenza qui in Aula Magna è oggi ancora più gradita perché, mi piace pensare, che essa sia testimonianza del ruolo centrale che l’esecutivo da Lei guidato vuole riconoscere alle università nella crescita del Paese. Spero, dunque, che le iniziative intraprese dal Suo Governo per il rilancio del Mezzogiorno si possano tradurre presto in occasioni per i nostri giovani ai quali abbiamo il dovere di offrire una ragionevole chance per il futuro”.

Le parole del Sindaco Accorinti, invece, sono state molto meno pacate. Il primo cittadino infatti ha esordito lodando la collaborazione delle quattro macro aree di Messina che sono riuscite ad accordarsi, per poi soffermarsi sulle condizioni di degrado e di abbandono in cui versa la Sicilia da 150 anni, rimproverando non solo questo Governo, ma tutti quelli che si sono susseguiti negli anni.
Un altro rimprovero verte intorno alla mancanza di infrastrutture per fare economia, ai ben noti problemi di ferrovie e di sottosviluppo che attraversano la Sicilia, al bisogno di risanare i debiti precedenti per garantire a tutti i diritti fondamentali.
Emblematico, quando tuona: “Il Sud può salvare l’Italia”.

Arriva nel finale il momento del Premier, che ringrazia il Magnifico Rettore per l’accoglienza in quello che definisce: “un magnifico posto, dove hanno insegnato anche i premi Nobel”.
Sul patto, commenta: “Sono qui oggi per la firma di un importante accordo che porta ingenti risorse, ma in questo caso si tratta di un patto attraverso il quale le due parti si controllano a vicenda e non ci sono rischi, come in passato, di spendere male i finanziamenti. E’ finita la stagione nella quale non si conoscevano le procedure, siamo davanti ad un accordo che ci rende tutti responsabili”.
Sul finale, annuncia l’imminente pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dei maggiori finanziamenti ai Sindaci dei Comuni che hanno favorito l’integrazione e l’accoglienza dei migranti, e il rinnovo dell’annuncio del G7 a Taormina.

Nota negativa di giornata: il Premier ha preferito non rilasciare interviste e non incontrare i giornalisti, che hanno soltanto potuto seguire l’evento in streaming.

Alessio Micalizzi