Se una notte d’inverno un viaggiatore – Italo Calvino

Possiamo impedire di leggere: ma nel decreto che proibisce la lettura si leggerà pur qualcosa della verità che non vorremmo venisse mai letta.

La lettura ci permette di vivere storie fantastiche, amori passionali, intrighi, scontri, avventure. La lettura, attraverso gli scrittori che cercano di trasmettere con la propria arte ciò che la loro mente gli detta, da vita a personaggi ideali, eroi di altri tempi, miti e leggende. Ma cosa succede quando un libro si incentra sulla lettura? Quando il personaggio principale è il Lettore e la sua insaziabile voglia di sapere? In “Se una notte d’inverno un viaggiatore” Italo Calvino riesce a spiegarcelo impeccabilmente creando un romanzo con al suo interno l’incipit di dieci ulteriori storie di autori, tutti diversi, ma tutti strettamente correlati.

Il libro inizia, paradossalmente, con le parole dell’autore che invitano a trovare la giusta “posizione” per iniziare la lettura, poiché non ci si può successivamente distrarre perché “non siamo più comodi”. Il momento della lettura è un qualcosa di sacro che non va interrotto per futilità. Allora il Lettore (“nome” del protagonista) si immerge nella lettura del nuovo romanzo di Italo Calvino, “Se una notte d’inverno un viaggiatore” appunto. Il libro parla di un uomo avvolto dalla nebbia e dal grigio di una stazione ferroviaria in cui è appena arrivato, non per scelta, ma per caso. È come se sentisse di aver perso la coincidenza con un altro treno. L’impalpabilità della scena è resa perfettamente non solo con aggettivi o similitudini, ma soprattutto con la cadenza con la quale l’autore inserisce la punteggiatura e le descrizioni di ciò che pian piano affiora dal pallore della lettura. Il tutto è estremamente rallentato e l’unico spiraglio di vitalità è dato dall’incontro del protagonista con una donna misteriosa nel bar della stazione con la quale intraprende una conversazione che lo risveglierà dal torpore delle prime pagine. Il felice colloqui verrà bruscamente interrotto quando un ufficiale di polizia consegnerà all’uomo un messaggio che lo invita a lasciare la città prendendo il primo treno disponibile, l’ultimo treno della giornata. Il libro attrae il Lettore che però si accorge di un errore, ciò che ha letto nelle ultime pagine si ripete anche nelle successive e questo per tutto il libro. Da qui si darà inizio all’avventura del nostro protagonista, fatta di una ricerca incessante della parte mancante del libro che lo porterà a imbattersi nella Lettrice, Ludmilla, e negli altri nove romanzi che inizierà per nove volte, ma non riuscirà a terminare poiché tutti, in un modo o nell’altro, vengono bruscamente interrotti.

Così ogni incipit di un nuovo romanzo viene inserito nella cornice della storia più ampia del Lettore e della Lettrice che ne viene influenzata e a sua volta influenza la lettura successiva. Il tutto è “aggrovigliato” nella fitta rete intessuta dall’autore con dialoghi pungenti, descrizioni dettagliate, momenti di passione, narrazioni che portano a smarrirsi nella storia e momenti di eccitazione per la scoperta di un particolare mancante. È un metaromanzo che ci porta a vivere una storia dentro altre storie alla ricerca di una verità che viene continuamente nascosta dalla falsità, dal processo di mistificazione che vedrà partecipi anche i due Lettori-protagonisti, poiché “Non c’è certezza fuori dalla falsificazione”. È un romanzo che non ha un finale preciso, ma aspira a trovarlo fino all’ultima pagina e in contemporanea contrappone bellissimi inizi.

È un libro che non ci sazia subito della sua lettura, ma ci costringe ad una scalata continua verso una vetta incerta da raggiungere. Ci fa sognare e innamorare, ma poi ci sveglia brutalmente. Molte volte ci porterà quasi a gettarlo via, a interromperne la lettura, ma inevitabilmente ci ritroveremo a raccoglierlo e ricominciarlo per immergerci di nuovo nel turbinio di eventi, storie, lingue, nomi, autori e personaggi che lo scrittore ha sapientemente inserito.

È una lettura consigliata a tutti coloro che amano leggere, indipendentemente dai generi, dagli autori o dalle storie. È un libro che ci rende protagonisti della nostra stessa lettura, quasi per magia, senza accorgercene, ci trasporta all’interno delle pagine e ci fa vivere un’esperienza unica nel suo genere che solo un Maestro come Italo Calvino poteva ideare.

Giorgio Muzzupappa

Scusate il Disordine!

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La musica non la si prendeva. Mai!”

 

 

 

In “Scusate il disordine” Luciano Ligabue lascia di nuovo, dopo “Il rumore dei baci a vuoto”, senza parole. Una raccolta di racconti che lascia sempre incompleti e liberi di interpretare a modo proprio quello che succederà dopo. Una chiave di lettura: la musica. Presente in tutte le sue inclinazioni, con diversi amore verso di essa ma racchiusa tutta in uno spartito che ha proprio il sapore di Ligabue.

Ogni racconto si concentra sulla musica e sul rapporto che il personaggio ha con essa, fama o non fama, portandoci realtà che conosciamo ma spesso ignoriamo. Come Anchise che, nonostante la sua età, pur di continuare a suonare paga i componenti della sua band di tasca propria e si lega le bacchette alla mano a causa dell’artrosi; o un rapper che raggiunto il successo crede di potersi permettere una qualsiasi azione, probabilmente l’aspetto più raccapricciante dell’essere famosi.

Durante il primo pezzo ti hanno mitragliato di foto. Poi hai chiesto se adesso potevano mettere via macchinette e telefonini. Non c’è stato verso, hanno continuato a scattare ininterrottamente. Sei lì. È inevitabile. Per un attimo ti chiedi se non sanno, ma poi ti dici che sanno, sanno

Ligabue usa un linguaggio semplice e diretto, cambiando spesso registro a seconda del messaggio che vuole trasmettere. Consigliato a chi non ha paura di mostrare il disordine dei pensieri dentro di sé, le proprie emozioni e i propri dolori. A chi non nega il disordine della propria vita perché, per quanto si cerchi di regolarla, di dirigerla, non ci riusciamo e dobbiamo ammetterne l’impotenza. Non si può controllare.

Recentemente, il 24 e il 25 settembre, il ritorno live di Ligabue al Parco di Monza.

 

Serena Votano

Cafè Society: leggerezza e ironia amara nel nuovo film di Woody Allen

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Se l’autunno che avanza diffonde sulle nostre vite una ventata malinconica in grado di allontanare i ricordi briosi e dolci dell’estate, l’avvio della nuova annata di cinema offre un efficace antidoto capace di risollevarci, o almeno di incanalare nel giusto cantuccio le emozioni che erano rimaste a lungo assopite sotto l’ombrellone. Il ritorno di Woody Allen, regolare come quello delle stagioni, rischiara i sentimenti con tocco soave, riconducendoli al proprio ordine naturale. Appaiono vivaci i riferimenti consueti del cineasta in un’opera che racconta l’amore non senza sganciarsi dagli aspetti beffardi dell’esistenza. E che ancora attraversa con nostalgia le lancette del tempo.

 

Siamo nei colorati anni ’30 dello star system di Hollywood. Bobby Dorfman (Jesse Eisenberg) è un giovane ebreo di New York figlio di un orefice per nulla attratto dalla prospettiva desolante e noiosa che la permanenza in città e il lavoro del padre paiono offrirgli. Con l’ambizione di inserirsi nell’industria del cinema si rivolge allo zio Phil (Steve Carell) manager di attori famosi, presenza attiva alle feste eleganti a bordo piscina. Il rapporto coi divi e la società frivola di Los Angeles si impadroniscono della sua nuova vita e sarà così, alla fine, l’incontro con la disinvolta e magnetica Vonnie (Kristen Stewart), segretaria di Phil, a stravolgere ogni suo progetto. Il triangolo amoroso che coinvolge i tre protagonisti scaverà con intensità il dubbio della scelta dell’amata. La delusione al ritorno nella città natale farà crescere Bobby senza inibizioni e lo spingerà a fondare un locale notturno frequentato da alcune teste coronate d’Europa, da signori mondani e altolocati della società dell’epoca, nonché da esponenti della malavita italo-americana.

 

In Cafè Society, frutto delle 80 candeline spente dal regista lo scorso dicembre, i temi dei film di Woody Allen ricorrono senza esclusione di colpi: l’umorismo corale dei personaggi brulicanti e caratterizzati di Radio Days, il fascino fiabesco verso altre epoche, i due poli in antitesi di New York e Los Angeles alla maniera di Annie Hall, il sempre eterno ritorno alle proprie origini newyorkesi e quel senso di attesa e di oscuro presagio rappresentato dal futuro che incombe. Non sono nuovi gli argomenti cari al regista, affrontati senza dubbio con ben diverso spessore e profondità che in altre storiche pellicole precedenti. Eppure l’apparente giocosità e mancanza di pesantezza di questa nuova brillante amara commedia romantica lascia posto a espedienti tecnici e a una rinnovata cura del dettaglio, specialmente visivo, realmente sorprendenti.

cafesocietIl peso di Vittorio Storaro alla fotografia (premio oscar per Apocalypse Now) si palesa su una storia semplice, priva di novità clamorose, nel solco di una rappresentazione tipica e prevedibile, ma accompagnata da immagini e sensazioni che lasciano il segno. A catturare lo schermo è l’eccezionale bellezza di Kristen Stewart, vera nuova musa di Woody. Ma è anche l’ironia, cifra del suo cinema, che non subisce increspature, incrinature, segni del tempo. L’esito finale è quello di un regista che dopo ben 47 film mantiene ancora in piedi la sua freschezza. Cafè Society è un film imperfetto, così come lo sono talvolta le opere che arrivano a sedimentarsi nel nostro immaginario per arricchirlo e costruirci intorno altre storie. E questo proprio perché, come uno dei personaggi afferma in una scena, la vita è una commedia scritta da un sadico che fa il commediografo. Il film scorre veloce e a tratti con passaggi frettolosi, ma non perde di vista la sua efficace unità espressiva fortemente inquieta e drammatica dietro la patina di leggerezza.

 

Messo da parte il tono sarcastico delle origini, la verve comica cerebrale e nevrotica dei primi film, Cafè Society è un’opera della piena maturità, formalmente riuscita, in buona misura riassuntiva e emblematica (immancabile la colonna sonora jazz nei titoli di coda e la magia che l’avvolge). Un film che vale la pena andare a vedere nelle sale, e che, alla fine della proiezione, accantonate le incertezze e le riserve sulla sceneggiatura, rimane come puro esempio di cinema.

Eulalia Cambria

Cinefilia per idioti: i film Horror

Credo che questo sia l’anno dell’horror.  Non so se dipenda dal fatto che Facebook abbia deciso di propormi (durante lo scorrimento bacheca serale) solo trailer di film horror che usciranno , o dal fatto che effettivamente questo genere di film stia facendo il boom ultimamente, ma credo di poter ingenuamente affermare che sia l’anno dell’horror.
Non mi ritengo un’appassionata di questo genere di film, né un esperta. Dopo un’attenta osservazione, dovuta ad anni di film horror insieme a mia cugina, ( il suo archivio film, a quanto pare, non contemplava altri generi) sono arrivata a due conclusioni che mi hanno spinta a scrivere quanto segue.
1. Non esistono più i film horror di una volta. Sanno tutti di ” Déjà vu”, trame noiose, banali e ripetitive. Il mio ultimo errore più grande fu quello di andare a vedere “The Green Inferno”: a confronto un film horror degli anni ’80 mette va più paura ed aveva anche più effetti speciali.
2. Come qualsiasi altro genere, l’horror presenta degli elementi frequenti che lo caratterizzano. Vi chiederete quale possa essere la novità nella mia osservazione. Beh, io non mi riferisco agli elementi che categorizzano un genere e lo distinguono da un ‘altro, mi riferisco invece a quei “must” che un film horror ha da sempre, quel tipo di must che permettono a film parodie ( vedi Scary Movie) di esistere. Prima di cominciare è bene individuare due macro categorie dell’horror (ho assolto io questo arduo compito): triller/splatter e paranormale.
Ecco cosa potremo trovare nei Triller/Splatter.
Si parte sempre da un gruppo di amici: in questo genere di film non si è mai soli, a farti compagnia per la tua morte imminente ci sono gli amici di sempre. O anche no. In situazioni drammatiche, chiunque diventa tuo amico, anche il tizio sfigato con gli occhiali, conosciuto il primo giorno di campeggio. Il consiglio che mi sento di dare? Non affezionatevi troppo.
Tra l’altro, il range d’età scelto è sempre lo stesso: ci sono sempre i soliti. Si sa che, le prede preferite dai serial killer incompresi, sono gli adolescenti. In particolare una cheerleader , un giocatore di football, l’amico di colore saggio e simpatico a tutti , il bad boy e il/la nuovo/a arrivato/a con peculiare personalità e con un misterioso passato. Il nostro bel gruppetto di stereotipi, capirai, in sella a veicoli non funzionanti: prima di partire per un lungo viaggio, oltre a portare con te la voglia di non tornare più, bisognerebbe anche controllare la batteria, olio e freni. Cosa che i nostri cari protagonisti, a quanto pare, non fanno mai. Qualunque sia la loro meta ad un certo punto del film, la macchina smetterà di funzionare. Qualunque sia la loro meta , quando cercheranno di scappare in preda all’ansia ( vedremo mazzi di chiavi cadere almeno 5 volte a terra), la macchina, proprio in quel momento, deciderà di non funzionare.
Quando la macchina si fermerà per un guasto ( perché si fermerà) non lo farà mai in una cittadina piena di abitanti gioiosi e puliti ma in posti terribilmente isolati: i veicoli, nei film horror, puntano il posto più brutto e isolato del mondo. Posto in cui gli unici abitanti sono proprio dei serial killer. Killer, con evidenti problemi di sviluppo pisco-socio-emotivo : ovviamente un uomo ( perché è quasi sempre un uomo, il cui accessorio preferito sono una maschera e un arma a scelta tra una motosega e un machete) che decide di torturare a morte un gruppo di adolescenti o chiunque gli capiti sottomano, solo perché non ha avuto un infanzia felice. Madri severe, genitori anaffettivi, compagni di classe della scuola elementare che non ti facevano giocare a nascondino con loro, sembrano d’un tratto buoni motivi per decidere che, da grande, vuoi fare il killer. Così persino io , con un’evidente disturbo psico-emotivo , mi accorgo di aver avuto un infanzia migliore della loro che quasi provo tenerezza.
Ma poi arriva il colpo di scena. Un genio a caso esclama “dividiamoci”: suggerimento tipico che tutti daremmo in situazioni del genere. Perché è lapalissiano; ciò che bisogna fare ,quando un uomo con un grembiule imbrattato di sangue rincorre te e i tuoi amici, è dividersi. Solitamente il primo che consiglia e chiede la votazione per questa idea geniale, è il primo a morire.
Dulcis in fundo non scordiamoci di loro due, essenziali, sono la coppia appartata: definiti anche ” bersaglio facile”. Storie d’amore finite brutalmente per imprudenza e mancanza di autocontrollo, o semplice menefreghismo. Fanno la fine peggiore di tutti.
A chi questa categoria di horror non dovesse piacere, e fosse incuriosito da spiriti, possessioni,  il genere del Paranormale credo sia fatto a posta per voi.
Regola numero 1: durante il giorno mai. Mi sembra abbastanza evidente che le cose più inquietanti non possano succedere la mattina, quando la luce accecante del sole è alta nel cielo. Il buio è il nostro peggior nemico, ma il miglior amico degli spiriti. Spiriti che spesso prendono le sembianze di bambini inquietanti: la loro presenza (quasi sempre accompagnata da risatine e canzoncine di cori inquietanti) turba così tanto da portarti a guardare tuo cugino di quattro anni in modo sospetto e un po’ intimorito. Dagli adulti certe cose te le aspetti, da un bambino no. 
“Hai sentito quel rumore per caso? “
“Stai tranquillo, non lo sai che gli spettri hanno tendenze feng shui?” A quanto pare, se uno spirito vuole infastidirti prima di impossessarsi di te o uccidere tutta la tua famiglia, decide di riarredarti casa spostando mobili durante la notte. Senza contare le luci che si spengono: gli spiriti amano accendere e spegnere le luci a loro piacimento, come se fossero in discoteca, accompagnando tutto a suon di rumori e versi strani in lingue sconosciute.
Si cerca sempre di risolvere la situazione chiamando il prete di turno, assolutamente inutili. Non ci si spiega bene il perché, ma ogni volta che un prete viene chiamato per esorcizzare una persona o una casa, muore. Forse più inutile del prete, esiste solo quell’illuminato dell’esploratore: il tipico personaggio che, sentendo qualche rumore o verso in una stanza buia infondo al corridoio, decide sia il caso di andare a controllare, di dare un’occhiata. Non può esistere nella realtà.
Che li troviamo divertenti o meno, una cosa è certa: finito il film tenderemo sempre a guardare dietro di noi, a cercare di scrutare qualcosa nel buio, cercando di ricordarci di tenere sempre la luce accesa. Perché? Non si sa mai .
Elisia Lo Schiavo

 

Film Cult: la cruda verità delle nostre trame preferite

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La rubrica delle recensioni si occupa di recensire (oh, quale SORPRESA) cose belle e farle conoscere allo studente medio. MA, la rubrica delle recensioni non PUO’, in coscienza, occuparsi solo di questo. Da buoni CRITICI, ma sì diamoci cariche a caso senza motivo alcuno, abbiamo deciso che è nostro compito aprirvi gli occhi su fatti sconvolgenti: ebbene, ci sono certi film, certi CULT, che vogliono prenderci tutti in giro con un mix di banalità e fatti senza senso che essi narrano.

Siamo stanche, stanche di chi non apre gli occhi così, dentro una cabina telefonica, abbiamo indossato la nostra tuta da super eroine per aprirveli noi e mostrarvi, a muso duro, la realtà.

In queste trame si susseguono una serie di fatti volti a dimostrare che l’AMORE VINCE SEMPRE. No, non è così. Che tu abbia 18, 30 o 40 anni, alla fine rimarrai sempre con il tuo ‘’MAI NA GIOIA’’ in tasca.

Si sa che nel dolore ci si sente tutti più vicini, accomunati. Sarà per questo motivo che, almeno ogni anno, un qualche regista a caso (ma anche sempre lo stesso) decida di sfornare un film tratto da un libro su malati terminali. Storie d’amore tra adolescenti con problemi inimmaginabili, con la personalità e la maturità di un quarantenne. A quale film di incassi ci stiamo riferendo? COLPA DELLE STELLE, pubblico di UniVersoMe, che non ha solo vinto svariati premi per il film ma anche, appunto, per il romanzo. E sapete dove sono le stelle? Nello champagne che i due gustano prima di andare a fare all’ammore. Perchè, è ovvio, quale medico non consiglia una bella dose di alcol in questi casi. 97469

Ovviamente sarà la malattia ma anche il loro carattere unico che li farà innamorare con un solo sguardo perché, si sa, gli occhi sono lo specchio dell’anima. Ovviamente questi ragazzi si vedranno quando vorranno, a qualsiasi ora del giorno e in posti improbabili, perchè i loro genitori sono sempre libertini e permissivi, mica come i nostri che ci mandano un messaggio alle 23.00 dicendoci di tornare a casa in quanto si è fatto tardi.

Alla fine? Uno dei due muore e all’altro, fondamentalmente, gliene sbatte poco, mentre guarda le stelle ridendo (strafatto di farmaci).

Uno dei film che tutti adorate, se lo analizzaste bene sapreste davvero di cosa parla. Il protagonista, il solito poveraccio di turno, bello, con un gran cuore (praticamente inesistente nella realtà), in cerca di un sogno, che ci prova in modo molesto con la ricca di turno, che sta con il cattivo di turno, che fa anche nascere spontaneamente una domanda in ognuno di noi: ” ma se è sempre stato così stronzo, ma perchè ci stava insieme?”. Avete capito, no? TITANIC. Titanic-sinking

Ovviamente parliamo sempre di amori al primo sguardo: “sarà sicuramente una donna meravigliosa, anche se si comporta da stronza viziata, perchè guarda l’orizzonte in modo enigmatico“.  Dopo essere inevitabilmente nato, questo piccolo grande amore (cit.), il tempo di bere un bicchiere d’acqua ed aver consumato in posti improbabili il loro amore, il tempo di alzare una serranda, capita una catastrofe che sommata a drammi vari, crea panico e speranza.

Alla fine? Uno dei due muore e all’altro, fondamentalmente, gliene sbatte poco, mentre butta a mare un medaglione da 3944039 $.

E se avessi 40 anni, la mia età fertile stesse volgendo al termine e non fossi Carrie Bradshaw? Potrei conoscere un gran figo in un bar che mi offre un caffè e mi fa innamorare follemente mentre mastica pancake con la bocca aperta. Mi ricordo del mio fidanzato stronzo solo sulla soglia del locale e, mentre le nostre strade si dividono, non mi volto nemmeno indietro. Meglio, perché la Morte quella mattina si è svegliata ed ha deciso di farsi un giro di shopping sulla terra, ha scelto il figaccione come corpo e lo fa finire crudelmente sotto un camion che lo sbatte all’aria più e più volte (spoiler: alla fine del film il tizio resuscita e poi mi dovete spiegare come lo spiega alla sua famiglia, ma va bene). E’ lui, è proprio lui: Vi Presento Joe Black. vi_presento_joe_black

A parte che già è assurdo di per sé che la Morte venga a farci una visita, ma che essa sia anche “vestita” da Brad Pitt, diventi nostra amica e si stabilisca come un barbone abusivo a casa nostra è molto BOH (per usare termini eruditi). Successivamente scopriamo anche che ha dei sentimenti e che le piace il BURRO DI ARACHIDI, particolare che per il regista, non se ne capisce il motivo, sembra di VITALE importanza.

Quindi si innamora della figlia del tizio che dovrà morire ma che sta risparmiando solo perché gli serve una guida turistica sulla terra e, ullallà, ci prova con l’espressione e la personalità di un acciuga in scatola. Ovviamente lei, che è solo bella, ci casca e poi gli insegna anche a fare all’ammmore. La Morte che fa l’amore ma non lo sa fare e viene sverginata. OK.

Alla fine? La Morte muore.

 

E, adesso, buona visione.

Elena Anna Andronico

Elisia Lo Schiavo

Il Movimento E’ Fermo, un romanzo d’Amore e Libertà (ma non troppo)

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Il movimento è fermo, così si intitola il nuovo e primo libro di Lo Stato Sociale. Questo gruppo di cantautori, di poeti moderni, è incisivo fin dall’inizio con un titolo creato su un ossimoro.

Zeno e Genio sono due amici e sono i protagonisti della storia, anzi, delle storie. Tra le pagine di questo romanzo troveremo, infatti, tante storie che, in un modo o nell’altro, si intrecciano tra di loro.

Partono tutte da questi due ragazzi: due 30enni che ancora non hanno ben capito cosa vogliono dalla vita, che sanno cosa vorrebbero fare ma, forse, quello che vorrebbero fare è qualcosa di troppo utopico.

Sono due amici assolutamente diversi, che si divertono ad avere dibattiti filosofici davanti un calice di vino o una birra, che seguono il calcio e cercano (o forse no, non lo sanno nemmeno loro) la ragazza della propria vita.

In una Bologna rossa, quasi anarchica, se ne vanno in giro con un motorino e un furgone un po’ vecchi e, se volete, potete andarvene in giro con loro e vedere se riescono a trovare quello che stanno cercando. Perché tra le strade di Bologna, in effetti, si può incontrare una ragazza bellissima e insicura: Eleonora. Eleonora che, come un fulmine a ciel sereno, cambia tutti i piani di Zeno.

Parallelamente, si svolge un’altra storia: la storia di Michelle, giovane giornalista che vuole cambiare il mondo. Ed il mondo si può cambiare, lei ci riesce… Ma a quale prezzo? E cosa c’entra Michelle con gli altri ragazzi, che si arrangiano come possono ogni giorno della loro vita? Lo scoprirete voi perché, credetemi, non vedrete l’ora di saperlo.

Come tutti i testi e le parole di Lo Stato Sociale, questo romanzo è un continuo di sorprese, un’altalena di parti lente e velocissime. Le pagine si sfogliano da sole, difficile darsi un freno. E, tra una imprecazione e l’altra, si becca la frase della vita: classico del loro stile, troverete dentro questo scritto delle perle che vi si infileranno nel cuore.

Che poi la cosa davvero importante è: il movimento è fermo?

Elena Anna Andronico

La mia Taormina, il mio festival, il mio cinema

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Se nella vita hai una passione allora hai il dovere verso te stesso di coltivarla al meglio. La mia grande passione è il cinema. Quest’anno, grazie ad UniVersoMe, ho avuto l’occasione, insieme ad alcuni colleghi del giornale, di poter vivere una straordinaria esperienza andando al Taormina Film Fest. Si tratta, per chi non lo sapesse, di uno dei più importanti festival cinematografici d’Italia e d’Europa. Vanta ogni anno migliaia di curiosi e tantissime celebrità del mondo del cinema e non che provengono da tutte le parti del mondo. Non poteva non farmi gola un esperienza del genere.

Personalmente ho avuto l’opportunità di andarci per due giorni (il festival dura una settimana) e di poter assistere ad alcune proiezioni interessanti e di incontrare dal vivo alcune delle personalità più influenti del cinema. Ma l’esperienza non finisce qui. L’aria di cinema che si respira non è l’unico aspetto degno di nota. Il contesto è straordinario. Taormina è uno scenario mozzafiato (in tutti i sensi visto che abbiamo fatto la salita che porta dalla stazione al centro di Taormina a piedi). La vista, il borgo, gli odori, tutto ti fa immergere in un contesto fatto di cultura e arte.

Andiamo ora al festival in sé. Come detto prima gli ospiti sono di altissimo livello. Ho avuto l’immenso piacere di incontrare Harvey Keitel dal vivo che ci ha raccontato Hollywood, un posto lontano per noi, con gli occhi di chi Hollywood l’ha fatta e vissuta. Possiamo ricordare la carriera di Harvey Keitel per essere stato l’attore che ha lanciato la carriera di grandissimi registi come Martin Scorsese e Quentin Tarantino. Su questi due signori ha anche raccontato qualche aneddoto piuttosto interessante. Presente anche il regista Oliver Stone che ha parlato del suo ruolo da produttore nel film documentario Ukraine on Fire. Tra gli ospiti anche grandi personaggi italiani come il divertentissimo Enrico Brignano, la simpaticissima Noemi e Claudio Santamaria che ha parlato del suo ultimo grande successo di critica e di pubblico Lo Chiamavano Jeeg Robot.

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Oltre gli ospiti, il festival offre ai suoi visitatori proiezioni eccellenti. Nella serata di apertura è stato proiettato nel teatro antico l’ultimo film della Pixar Alla ricerca di Dory in anteprima nazionale. Ma non solo le grandi produzioni di Hollywood. Ci sono anche tantissime proiezioni di produzioni minori e nostrane che in questo festival trovano modo di farsi conoscere. Oltre il sopracitato Ukraine on Fire ho avuto anche il piacere di vedere il documentario di Fabio Lovino WeWorld presenta: Mothers.

Quello che voglio trasmettere a te che stai leggendo questo pezzo è un invito. Taormina è un gioiello di città che ospita uno dei festival cinematografici più importanti al mondo. Noi studenti messinesi abbiamo la possibilità di vivere questa magnifica esperienza da protagonisti. Che siate appassionati di cinema o semplici curiosi il mio invito è quello di prendere parte attivamente alla prossima edizione. Abbandonate per qualche giorno gli esami della sessione estiva e perdetevi nella bellezza di Taormina e nella bellezza del cinema.

Nicola Ripepi

Earthset: quattro chiacchiere con la Band

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Provenienti da varie parti d’Italia, formatisi nell’ambiente musicale dell’underground bolognese durante gli anni universitari e reduci dal loro primo tour, Ezio Romano (chitarra e voce principale), Luigi Varanese (basso e cori), Costantino Mazzoccoli (chitarra e cori) e Emanuele Orsini (batteria e percussioni), hanno presentato al pubblico italiano il loro LP “In A State Of Altered Uncosciousness”.

Nella musica degli Earthset c’è davvero di tutto. Era vero quello che mi disse Luigi il bassista quando parlammo prima della loro esibizione nell’anfiteatro della cittadella universitaria: “noi abbiamo smesso da tempo di chiederci che genere facciamo” e, d’altra parte, che importa catalogare, dare un’etichetta.

Loro punto di forza è una musica instancabile, innovatrice figlia della tradizione, un’energia che percorre ogni loro pezzo e un senso di panico, come se questo mondo, come se la loro stessa musica stesse stretto agli Earthset. Proprio questo mi porta a profetizzare una rapida ascesa di cui questo punto di partenza, questo loro primo lavoro, ha posto le basi.

Già dall’intro “Ouverture” si intuiscono atmosfere intimiste che faranno eco in tutto l’album; segue una sezione di ballads progressive e fortemente melodiche: “Drop”, “The absence theory” e “rEvolution of the Species”, in cui si incontrano atmosfere Gothic, Post-Punk e Brit Pop.

Le sonorità mutano invece in “Epiphany” che si apre con un lungo arpeggio di Ezio ed un cantato romantico e travolgente, fino alla potente scarica finale. Sentirete un grande riff di basso che aprirà l’unico pezzo cantato quasi interamente da Luigi, “So What”: un punk sbronzo e caotico, che ricorda Dead Kennedys, il movimento anarchico anni ’80, e la New Wave degli Smiths. E’ il pezzo più accattivante e che mi ha fatto pensare di definirli “gli Hendrix del Punk”. Ma il pezzo non finisce in un silenzio imbarazzante, bensì in due note dissonanti di basso che saranno poi l’intro di “Skizofonia”, personalmente il mio pezzo preferito, una prova di maturità incredibile per una band appena al primo album.

Sicuramente è anche il pezzo più sperimentale, un vero “stato di alterata incoscienza”. Sviluppato sopra l’atmosfera oscura di un basso distorto e del delay martellante della chitarra, dall’acustico al noise vibrato e potente, per poi chiudere nel caos puro di uno splendido riff di basso su un tappeto indefinito e ipnotico, splendidamente ritmato da una lenta batteria, e da due voci di chitarra e i “canti dell’anima” che tanto ricordano “the Great Gig in the Sky”.aa

Gone è invece il pezzo più Hard Rock, dalle sonorità dei Guns ‘n Roses al Pop Punk, pur non disdegnando la consueta composizione multiforme, giovanile e rivoluzionaria, che chiude con complesse parti in dispari, per lasciar spazio al lungo arpeggio di apertura di A.S.T.R.A.Y., in cui Ezio può dar prova delle sue eccellenti capacità canore e chitarristiche, in uno splendido assolo finale. Non  a caso è un pezzo di cui è spesso stato richiesto il bis live. Pezzo impreziosito da stacchi “rumorosi” e acustici, prodigiosamente scanditi dalla predominanza del rullante di Emanuele, e di crescendo di batteria sempre al posto giusto.

E chi pensa al rock e alla letteratura horror come può non pensare a “the Call of Chtulu” del secondo album dei Metallica. Ebbene dimenticatelo, perché l’iniziale piano riverberato di chitarra, è ancora più precisamente in linea con le atmosfere orride e bizzarre di Lovecraft. Ed è proprio questo il nome della perla espressionista degli Earthset; una vera chicca di progressione ritmica claustrofobica e ossessionante, con seconde voci disturbanti di Costantino nel sottofondo della voce piangente e disperante di Ezio. Qui Emanuele e Luigi sembrano in trance musicale, grandi interpreti degli arpeggi che risuonano in tutto il pezzo, per poi alla fine lasciare lo spazio a Costantino per uno dei Riff-Solo più azzeccati che mi sia mai capitato di sentire.

Un viaggio nel sentiero della follia che porta all’addio struggente di “In A State Of Altered Uncosciousness”, una ballata dissonante e tormentata di nome “Circle Sea”, dimostrazione di maturità musicale e di scrittura nella perfetta metrica del testo, inscindibile dall’apparato musicale. Sognante e spaziale al contempo. Una poesia in musica, che come suggerisce il nome “mangia se stessa” nel finale, confuso e melodico al contempo. Nel perfetto gioco circolare del serpente che si morde la coda e rimanda all’ Ouverture iniziale.

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Ma adesso è tempo di parlare direttamente con loro.

R: Ciao a tutti ragazzacci!

D: Siete in tour per la promo del vostro primo lavoro in studio. Avete suonato avete già avuto 4 date in Sicilia, tra cui una all’Horcynus Orca ed una a Giardini Naxos. Ezio è messinese, quindi già ha avuto a che fare con la realtà siciliana: che impressione ha lasciato invece su voi tre questa Sicilia e il suo contesto musicale? E quali differenze notate col la vostra Bologna, in genere l’Emilia e il resto d’Italia?

Luigi: Beh dal punto  di vista estetico, sicuramente un’isola splendida, una regione bellissima in cui non ero mai stato. Dal punto di vista musicale invece delle realtà interessanti esistono e si sente buona musica. Bologna ha una scena musicale fin troppo attiva per certi versi, che rischia di divenire dispersiva.

Costantino: Possiamo infatti citare il Music House 17 a Trecastagni, che è una piccola realtà, nata da poco, molto interessante sia come sala Prove, che di registrazione, che di negozio di strumentazione, oltre che come Live House.

Emanuele: invece al nord di posti come questo è più immediato trovarne, non sono così tanti come a Bologna, che è una città dove si fa e si respira molta cultura, ma se si cerca bene si possono trovare ovunque. Qua ho notato tanti ragazzi che hanno voglia di cambiare e conoscere cose nuove rispetto al quotidiano. Molto attivi. È la prima cosa che ho notato.

Ezio: Concordo, la realtà che ho lasciato quando me ne andai da qui si è evoluta. Vi ho ritrovato Giovani propositivi che tentano di portare avanti un discorso musicale non prettamente commerciale.

 

D: “The place where grows this kind of tune

And you can see the Earth-set from the moon…”

“Il luogo dove cresce questo tipo di tonalità e puoi vedere la terra tramontare dalla luna” : recita così uno dei versi più belli della vostra “A.S.T.R.A.Y.” , nona traccia del vostro “In A State Of Altered Uncosciousness”.

Il paragone è d’obbligo con Floyd, che amarono prendere un frammento di Brain Damage per dare un nome ad uno degli album più importanti della storia: Dark side of the moon.

E la prima cosa che si nota ascoltando il vostro album, è che c’è di tutto: dai Tool, ai Floyd, ai Muse, ai Rush, senza però mai ridursi ad un semplice copia incolla di altri artisti. Tutto ha sapore di nuovo e di “antico”. Gli Earthset sono qualcosa di nuovo. Mi chiedo dunque cosa significhi per voi “Earthset”, cosa “In a State of Altered Uncosciousness”?

Ezio:  Earthset è un’immagine che viene da quella lirica citata che è in sé un omaggio ai Pink Floyd ed utilizza la stessa rima di Eclipse, perché è un brano sull’ispirazione artistica, e chi più dei Floyd ha ispirato le generazioni successive. Anche questa rappresentazione di trovarsi sul suolo lunare a vedere la terra che tramonta è tutto una meta-citazione di Dark Side Of The Moon.

Earthset raccoglie in una sola parola quello che per noi è l’esperienza artistica, cioè il porsi in una prospettiva diametralmente opposta rispetto a quella ordinaria. E’ la nostra prospettiva sul mondo, sulla musica, sull’arte.

“In A State Of Altered Uncosciousness” è invece un verso di “rEvolution of the species” , anche per questa nostra voglia di dare una coerenza ai nostri lavori e non essere un’accozzaglia di canzoni, come può essere in certe produzioni più commerciali. E’ il concept dell’album: lo stato di alterata incoscienza che esprime lo stato in cui molti di noi vivono le proprie esistenze sia in positivo che in negativo, una vox media. Ti trovi in questo stato nel momento in cui vivi in modo apparentemente cosciente alla società, ma sei incosciente verso te stesso e viceversa. Un concetto anche un po’ psicoanalitico di contrapposizione tra Sé e Collettività. Bisogna avere il coraggio di mettere in dubbio le proprie certezze, le recite della società, per svelare le sovrastrutture che sembrano il tuo Io, ma che in realtà non ti ritraggono e ti ingabbiano, incosciente a te stesso.

D: oltre al lavoro strettamente musicale, c’è una ricerca anche cinematografica (lo si può vedere dai vostri Videoclip, reperibili su youtube ) e poetica nei vostri testi, misto di esistenzialismo e ermetismo. Come la musica si fonde ai vostri testi per creare un prodotto così composto? E da dove nasce l’ispirazione per scriverli?

Luigi: Un testo sicuramente può nascere da ogni cosa, filtrata però attraverso l’esperienza personale. Così come Ezio racconta in “the Absence Theory” un suo momento privato, la canzone dove canto io, “so What”, è un racconto stilizzato di una mia serata di sbronza un po’ presa a male. Inoltre in quel periodo ero in fissa con un libro russo, un viaggio nell’estasi alcolica, un racconto tragicomico, per cui ci sono sicuramente influenze letterarie e musicali. Prendi “Lovecraft” ad esempio, dedicato all’omonimo scrittore, che è una trasposizione della novella “i Sogni Nella Casa Stregata”, che vi consiglio di leggere.

Emanuele: “rEvolution Of the Species” fa riferimento al periodo politico che stavamo vivendo, il governo Monti. Ci dava fastidio l’idea che se il sistema capitalistico fallisce e dimostra di essere pesantemente in crisi, vi sia la pigrizia mentale di non provare a trovare delle soluzioni,  ma si cerchi in tutti i modi di salvare il sistema coi suoi propri mezzi che già hanno dimostrato di essere fallaci.

Costantino: Dobbiamo metterlo in discussione questo sistema. Ed è proprio durante le nostre discussioni che ci facciamo i viaggioni e scriviamo i testi. Insomma la nostra musica nasce dal dialogo.

D: State già lavorando ad un nuovo Progetto?

Costantino: si,  abbiamo già prodotto del materiale che sarà condensato in un EP sul quale stiamo già lavorando. La produzione artistica sarà sempre di Carlo Marrone, Enrico Capalbo e Claudio Adamo. Per le batterie avremo alla produzione un altro produttore. Dovrebbe essere un EP a 4-5 Tracce, con brani che già suoniamo anche dal vivo.13442489_1195250337160438_1578367912385154853_o

D: cosa vedete nel futuro del panorama musicale italiano? Si va sempre più verso un sterilizzazione musicale, che porta alla celebrità burattini senza idee o sentite vento di cambiamento nell’aria?

Ezio: l’Italia è un mercato estremamente difficile, è un mercato in cui c’è poca attenzione verso le produzioni indipendenti a livello di grande pubblico. Il grande pubblico è quello del mainstream, dei talent, delle Major e purtroppo questo nei prossimi anni non lo vedo come una cosa in mutamento. Certo la scena indipendente sta crescendo anche se rimane in una cerchia ancora ristretta e appannaggio per lo più di certa critica del settore e appassionati del genere.

Luigi: purtroppo sono i sistemi di informazione principali ad avere il controllo, fin da piccoli siamo influenzati da quelli.

Costantino: Si infatti! Quello che interessa alle major è avere un ritorno economico, vendere. Quindi che loro abbiano uno o due artisti, anche se dureranno solo un anno, loro sanno che per quell’album rientreranno nelle spese e ci guadagneranno pesantemente, anche se poi scomparirà nel nulla.

Ezio: non vorrei buttarla sulla critica ai talent, ma si sa che sono il canale principale delle nuove proposte, per cui un ambiente indie, come quello in cui ci muoviamo noi arranca. La rete spezza molto e aiuta le realtà indipendenti, ma ancora non è abbastanza forte per supportare un mercato rivale di quello delle major, come magari avviene all’estero, prendi il caso di Grimes, artista canadese, a livello internazionale conosciutissima.

Luigi: si parla comunque di un tipo di prodotto più facilmente accostabile a quello che viene mandato dalle major, per cui è anche più facile. Comunque l’epoca delle rockstar col jet privato è bello e finito, non tornerà più. Dimenticatela.

Emanuele: un piccolo inciso, Alan Moore diceva che tutto ciò che ha un pubblico è classificabile, ma non fa sempre massa. L’underground non vuole essere troppo ristretto a livello di pubblico, anzi ha un pubblico molto vasto e non parlo solo di musicisti, ma di artisti, writers, DJ, non quelli da discoteca, ma i grandi producer. Certamente il mainstream è più visibile, ma la proporzione rimane su 60 e 40.

Luigi: io ho una teoria su questa cosa e penso che ogni 30 anni ci sia una rivoluzione musicale. La prima l’hanno fatta i Beatles, la seconda i Nirvana, fra un’altra decina di anni ne aspetto un’altra.

Ezio: dobbiamo essere pronti!

Luigi: eh, noi saremo già bell’e vecchi…

Emanuele: …ma soprattutto belli!

Luigi: insomma se uno pensa agli anni 90 per cui una scena indie minuscola diventa commerciale, grazie all’esplosione dei Nirvana a caso, e non si sa come siano arrivati a vendere così tanto. Però sono essenzialmente i nuovi Beatles. Hanno cambiato anche le sonorità pop che venne dopo. Fu una cosa imprevedibile, alla fine erano tre che nemmeno sapevano suonare bene, con dei suoni cacofonici, anche se degli ottimi interpreti.

D: se poteste salvare un pezzo ciascuno (o più di uno) quali salvereste?

Emanuele: lo so! “Maquiladora” dei Radiohead. È un pezzo bellissimo che non conosce nessuno! L’ho conosciuto da un loro live del ’94. Poi per ora lo ascolto ogni giorno, più volte, e siccome scegliere un pezzo in assoluto è impossibile, tanto vale scegliere quello con cui sei in fissa al momento.

Ezio: Non mi uccidete, ma io salverei Bach il corale della cantata 147, “Jesus Bleibet Meine Freude”. Costantino?

Costantino: Se dovessi salvare qualcosa dalla catastrofe universale, io devo andare per forza sui Pink Floyd. Lo prendo come un unico brano, ma per me è come se lo fosse: The Wall, nella sua integrità.

Luigi: io salvo “When the Music is Over” dei The Doors perché è il mio pezzo preferito che conosco da quando ero  bambino perché lo ascoltava mio padre e rimane nel mio cuore.

Ezio: posso aggiungere le “Variazioni Goldberg” sempre di Bach?

Costantino: sottoscrivo!

D: ho voluto fare questa intervista perché credo davvero nelle vostra capacità ed è sempre bello parlare con qualcuno della propria passione, i propri sogni. Earthset è un nome di cui spero sentiremo parlare, e consiglio a tutti gli amanti della musica l’ascolto di “In A State Of Altered Uncosciousness”. Questo spazio finale lo lascio a voi, per dire qualsiasi cosa vi salti in mente, dalla citazione alla confessione, alla lista della spesa.

Luigi: posso dire una cosa seria? Noi ci siamo conosciuti in ambito musicale, un consiglio che mi sento di dare a te e a tutti i musicisti è di sforzarsi di fare pezzi propri, di non aver paura. Anche da soli, a caso, ormai si riesce a registrare anche in camera! Non importa se i suoni fanno cagare, è il processo creativo che è importante. Quello che sta succedendo è che si scinde il processo creativo dal concetto di musica, cosa sbagliata.

Ezio: la musica è creatività! Anche se il mercato vi dice che facendo musica di altri riuscite a fare qualche serata in più, mettete in moto la  vostra creatività anche per una questione di soddisfazione personale.

Luigi: anche io ho iniziato da autodidatta in un gruppo cover e mi divertivo tantissimo, ma la soddisfazione che hai dopo che scrivi un tuo album, anche se poi i pezzi fanno schifo, è qualcosa in più.

Costantino: Perché è tua, semplicemente.

Ezio: Non fermate la musica, grazie di cuore a tutti.

Angelo Scuderi

 

 

Death note: uno sguardo al mondo degli Anime!

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Insoddisfazione, noia, disgusto, verso un mondo distrutto dalla criminalità e dalle ingiustizie: sono questi i sentimenti che dominano l’animo di Light Yagami. Bello, desiderato da tutte le ragazze e il miglior studente della scuola, eppure per nulla contento della sua vita, tanto perfetta quanto vuota. Ben presto, la svolta: un quaderno nero con la scritta “Death Note”. Uno scherzo? Una trovata geniale?  Chissà, nel dubbio Light lo raccoglie ed è così che fa la conoscenza di Ryuk, uno shinigami (dio della morte) che, animato dalla stessa noia del protagonista, ha deciso di far cadere il suo quaderno sulla terra per divertirsi. Un po’ per curiosità, un po’ per mettersi alla prova, Light quindi decide di usare il quaderno della morte per scrivere i nomi dei più grandi criminali del Giappone; di cui deve necessariamente conoscere il nome ed il volto.

Pian piano imparerà a usare sempre meglio questo strumento, sperimenterà nuove regole riguardo le condizioni e le modalità dei suoi omicidi. Quella che inizialmente doveva essere una piccola missione, ovvero ripulire il mondo dai criminali, diventa per Light una vera e propria impresa. Solo lui può eliminare il male dal mondo, solo lui può essere giudice delle ingiustizie, tanto da arrivare a credersi una sorta di divinità.

Tuttavia, il suo lavoro è ostacolato prima dall’intervento della polizia Giapponese, poi dall’istituzione di una squadra speciale incaricata di indicare su Kira (“assassino”, soprannome assunto da Light), di cui fa parte anche il suo stesso padre, Soichiro Yagami, sovrintendente della polizia giapponese ed Elle, giovane detective dalle strabilianti capacità. Proprio Elle si rivela essere l’immagine speculare di Light. Entrambi eccessivamente intelligenti, sicuri di sé, ciascuno con un proprio senso della giustizia ma con un obiettivo comune: battere l’altro per portare avanti il proprio ideale. Light per divenire il giustiziere di questo mondo malato, Elle per combattere proprio ciò che lui giudica il sommo male.

Sarà una lotta assolutamente pari, con colpi bassi, acute rivelazioni e sorprese da parte di entrambi. “Death note” è una serie interessante, complessa oserei dire, perché sdogana il classico concetto di bene e male, di giusto e sbagliato. Riesce a tenere con il fiato sospeso a ogni puntata, nonostante le scene d’azione siano quasi inesistenti, in quanto sono proprio le elucubrazioni, le macchinazioni e l’introspezione psicologica dei protagonisti che tengono le fila della trama e che ci portano a capire ed a immedesimarci nei loro pensieri, fino a giustificare o addirittura a supportare le loro decisioni, non sempre edificabili.

E voi, da che parte state?

Edvige Attivissimo

Misstress America: quando si ha paura di diventare grandi

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Tracy (Lola Kirke) si è appena trasferita a New York per frequentare il college, la vita dello studente nella grande mela non è quello che immaginava, soprattutto nel relazionarsi con i compagni di corso. Sua madre si sta per risposare e le propone di chiamare la figlia del suo futuro marito , la quale abita a New York da tempo. Così ha inizio questa simbiosi fra Tracy e Brooke (Greta Gerwig) , questa donna che incarna l’anima newyorkese : dinamica, entusiasta e fortemente logorroica ai limiti dell’egocentrismo.

Tracy si fa rapire dallo stile di vita di Brooke, che vive la vita “come ogni giovane donna che vuole impiegare bene la propria giovinezza dovrebbe”  ed inoltre la ispira per il racconto che deve scrivere per entrare a far parte di un circolo letterario estremamente esclusivo del college.

Brooke sta per aprire un ristorante, ma il sogno si spezza quando il fidanzato greco la lascia e deve trovare nuovi investitori. Dietro suggerimento di Tracy parte verso Greenwich, Connetticut “dove vivono i ricchi” accompagnata dal compagno di classe di Tracy Tony (Matthew Shear) e dalla sua fidanzata possessiva e paranoica, per andare a chiedere un prestito all’ex migliore amica e al marito.

 

Mistress America potrebbe venire definita una screwball comedy  ma in realtà non evoca il piacere leggero di quel genere, ricorda più il Woody Allen di “Harry a pezzi” ma le cui battute taglienti non sostengono tutto il film.

Brooke è ben incarnata da Greta Gerwig, il personaggio è fuori dai modelli odierni e ricorda alcune delle donne alleniane , il fascino e la bravura della Gerwig è tale che rende Brooke amabile anche quando si comporta volontariamente da naif.

 

La sceneggiatura è scritta a quattro mani da Noah Baumbach e la sua compagna Greta Gerwig, ci sono reminiscenze dei loro precedenti lavori “Frances Ha”  e “Giovani si diventa”, è una commedia piacevole sulle differenze di età e le conseguenti dissonanze ed assonanze, sul desiderio di seguire i propri desideri, quasi a pretenderli, ferendo chi ci sta vicino.

La difficoltà di accettare di essere adulti, le proprie responsabilità e la necessità di avere un posto nel mondo confluiscono nella frase detta da Brooke ,riferendosi a Tracy, al chiaroveggente “Non è così più giovane di me, 10-12 anni, siamo praticamente coetanee!”.

Se la sceneggiatura non è delle più intriganti , vale la pena vederlo per l’interpretazione di Greta Gerwig la quale si pone fra le migliori attrici della sua generazione soprattutto per la naturale indole comica.

Arianna De Arcangelis