Suicide Squad, dai fumetti al film: l’affascinante mondo dei cattivi

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Il 6 dicembre 2016, esce il Dvd del film ‘’Suicide Squad’’, opera cinematografica che ha riempito le sale quest’estate.

Con un cast stellare e diversi record al botteghino, Suicide Squad, è una pellicola basata sui cattivi dei fumetti firmati DC Comics. Per la prima volta nella storia del mondo sono proprio i cattivi quelli che salveranno la terra: dopo la morte di SuperMan e la sparizione di BatMan, non c’è nessun altro a cui il governo americano può rivolgersi.

Ai cattivi, però, non viene dato niente in cambio: nessun premio, nessuna gloria, nemmeno la libertà. Loro sono stati crudeli, quindi o obbediscono o verranno uccisi. A tutti loro, infatti, viene impiantato un cip sotto pelle: se provano a ribellarsi, boom, saltano in aria.

Ci mancava, penserete voi: dopotutto stiamo parlando delle menti più contorte e folli che ci hanno sempre spaventati, fin da bambini. Infatti, la Suicide Squad (Squadra Suicida) è formata da: l’ex-psichiatra Harley Quinn (Margot Robbie), il cecchino mercenario Deadshot (Will Smith), l’ex-gangster pirocinetico El Diablo (Jay Hernandez), il ladro Capitan Boomerang (Jay Courtney), il mostruoso cannibale Killer Croc ( Adewale Akinnuoye-Agbaje) e il mercenario Slipknot (Adam Beach).

A loro si uniscono anche la dottoressa June Moone, un’archeologa posseduta da un’antica entità malvagia nota come Incantatrice (Cara Delevigne) e Katana ( Karen Fukuhara), mercenaria in possesso di una spada mistica.

C’è anche il Joker (Jared Leto) che, da dietro le quinte, segue la squadra: il suo unico obiettivo? Liberare Harley Quinn e riprendersela con sé (figuratevi a lui quanto può fregare di salvare gli esseri umani).

È interessante vedere come, fin dai primi minuti del film, si resta affascinati e si scatena un innamoramento nei confronti di questi pluriomicidi: chi l’ha mai detto, dopotutto, che non provano alcun sentimento? Con il susseguirsi della storia scopriamo proprio questo: tutti loro hanno amato qualcuno più di loro stessi e tutti loro, inevitabilmente, lo hanno perso.

Ma per chi è appassionato di fumetti, cosa è cambiato? Ovviamente questi personaggi, a prescindere dall’aspetto che mai poteva essere assolutamente uguale a quello dei disegni, sono stati umanizzati, sono (forse) meno folli del fumetto.

Obiettivamente alcuni cambiamenti sono obbligati: una pellicola non potrà mai essere fedele ad anni e anni di fumetti. Il fulcro di ogni personaggio rimane indenne, dalle loro perversioni, alle manie, all’istinto quasi suicida e la sintesi delle loro storie individuali è assolutamente fedele.

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Due personaggi in particolare sono stati, da alcuni, criticati: la coppia (che scoppia?) Joker- Quinn. Nei fumetti, infatti, Harley Quinn è una donna completamente sottomessa, che ama le violenze imposte dal Joker, che quasi si diverte a provocarlo pur di farsi fare del male.

Il Joker, d’altro canto, non sembra innamorato, nei fumetti, anzi: la presenza di Harley, il più delle volte, lo infastidisce; mentre, nel film, anche lui ha un’attrazione per lei.

Il confronto, ovviamente, è molto soggettivo: possono sembrare, per alcuni, una coppia di amanti con una grande indipendenza; per altri, invece, l’ossessione del Joker è esattamente quella dei fumetti: lui va a riprendersela perché è l’unico che può comandarla.

Harley Quinn, d’altro canto, è sottomessa in tutte le parti del film a lui: si rincorrono flash back dove si vede come lei, più e più volte, è pronta anche a morire per lui.

A prescindere dalle puntigliose critiche, dalle disquisizioni su dove e come il film poteva essere migliore, se Suicide Squad ha sbancato un motivo c’è, ed è il motivo per cui noi vi consigliamo di vederlo: in sintesi? È una figata.

Elena Anna Andronico

 

 

Intervista con la scrittrice Noemi Villari

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Per chi ama l’avventura e la fantasia, leggere Believeland, è un tuffo in un mondo in cui le parole d’ordine sono proprio queste; ma c’è di più: credere, un’imprescindibile parola che accompagna il lettore per tutto il romanzo.

La giovane scrittrice Noemi Villari, con il suo primo libro, apre una finestra su un nuovo mondo: Believeland; creature e poteri magici si intrecciano alla vita di alcuni adolescenti, protagonisti del romanzo che coinvolgono il lettore con le loro emozioni.

La gentilissima Noemi, subito dopo la presentazione del suo libro, ha risposto ad alcune domande e ha regalato dei preziosi consigli agli appassionati di scrittura.

 

 

 

 

Parliamo degli albori di Believeland: inizi a scriverlo quando eri nella primissima fase dell’adolescenza, avevi dodici anni. L’idea che hai avuto allora è rimasta la stessa?

  • L’idea è stata elaborata diverse volte e aveva tutt’altra impostazione; del modello iniziale è rimasto il concetto del mondo fantastico di Believeland, che prima non si chiamava così: un aneddoto simpatico riguarda, per l’appunto, il nome. All’inizio l’ho chiamato Magics (che in realtà è quello delle Winx), poi Magic Village (che sa molto di villaggio turistico) ed infine quello attuale.

Le protagoniste, in un certo senso, è come se fossero cresciute con me e ho lasciato loro un’età adolescenziale perché mi piace trattare questo periodo della vita, che per me è fondamentale nella nostra esistenza: se si capisce ciò che prova un adolescente, si capisce come diventerà da grande.

A quale personaggio sei più legata?

  • Istintivamente rispondo che sono più legata ad Alessia (la ragazza del mondo reale), perché proviene dal mio stesso contesto scolastico, ovvero da un istituto d’arte, a cui tengo molto, quindi ho voluto che lei, almeno in questo aspetto, fosse identica a me. Poi, come personaggio, è stato elaborato in modo totalmente opposto al mio: lei indossa una maschera di sicurezza che nasconde la sua insicurezza e, invece, per me è al contrario.

 

Un aggettivo con cui descriveresti il tuo libro.

  • Più che un aggettivo, a me viene in mente la parola “credere”, sostanzialmente il motore che fa camminare il romanzo.

 

Hai un luogo in cui preferisci scrivere?

  • Solitamente, preferisco scrivere a letto con il pc sulle gambe e di sera; invece, la mattina preferisco prendere appunti sui quadernoni (perché mi piace scrivere a mano), ma sulla scrivania.

 

Progetti futuri: scriverai ancora?

  • Sicuramente continuerò a scrivere: ho un’idea per continuare Believeland, ma vorrei anche guardare nuovi orizzonti, per affrontare tematiche diverse.

Di certo, non voglio abbandonare questo racconto, a cui sono legata affettivamente.

 

 

Hai dei consigli per i giovani scrittori?

  • Sicuramente direi loro di seguire il primo istinto ed iniziare a scrivere partendo da ciò che sentono, per poi affidarsi alla tecnica.

Consiglierei anche di usare internet, dove ci sono molti siti che guidano alla scrittura e dove, personalmente, ho imparato tanto. Poi, apprendere dai libri che si leggono ma, soprattutto, impegnarsi per realizzare il proprio sogno.

 

 

 

Jessica Cardullo

 

Umberto Spaticchia e il suo ‘’Null01- La storia di Downey’’: quando le menti messinesi si mettono in gioco

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A tutti i lettori chiediamo: cosa è che vi attrae di un libro? La copertina, il titolo, il nome di quell’autore famoso, il posto in classifica.

Tra le caratteristiche, secondo noi, dovrebbe essercene anche un’altra: è stato scritto da un mio concittadino. A maggior ragione se, lui o lei, è uno studente come noi. In questo caso stiamo parlando di un lui: Umberto Spaticchia, giovane di 21 anni, nerd alla mano e spiritoso.

Il suo libro, Null01- La storia di Downey, distribuito dalla Libreria Bonanzinga (anch’essa nostrana), è stato presentato presso i locali dell’istituto tecnico industriale Verona Trento e in alcune province di Messina.

Noi abbiamo avuto il piacere di averlo come ospite di Radio UniversoMe e questa è la sua intervista.

Umberto, tu hai scritto questo libro, ‘’Null01- La storia di Downey’’, che si può trovare sia in forma digitale che cartacea. Di cosa parla?

Sì, è pubblicato anche in cartaceo ed è disponibile presso la Libreria Bonanzinga. Il libro viene esposto come un secondo viaggio dantesco (niente di meno!). È un romanzo a sfondo psicologico- narrativo e parla di come una persona può reagire a seguito di uno shock, sia esso positivo o negativo. Ognuno di noi, infatti, può reagire in maniera diversa: chi inizia a soffrire di depressione, chi sviluppa doppie personalità. In questo caso, attraverso il romanzo, viene raccontata la storia di questo uomo che fa il programmatore informatico e nel tempo libero studia biologia. A un certo punto si trova in uno stadio di fermo appunto perché, essendo un informatico e non un biologo, non riesce ad andare avanti, si trova davanti a un muro: lui, infatti, studia su studi già fatti. E questo lo porta ad uno stato di depressione e stress. La sua mente, quindi, non può far altro che trovare altri piani che prendono vita sotto forma di un’ape azzurra. Questa si riferisce all’ unica guida mentale dello stato in cui si ritrova.

Quindi, sostanzialmente, un viaggio nella sua stessa mente.

In un certo senso. Il punto sta, però, nel fatto che è tutto fine a sé stesso, non coinvolge il mondo, tutto avviene nella sua testa. Intorno a questo sta il secondo viaggio dantesco: è come un Dante dei nostri giorni.

Diciamo però le cose come stanno, Umberto: un romanzo non è un vero romanzo se i personaggi non fanno all’amore almeno una volta.

Eh, diciamo che, nel mio caso, i personaggi lo fanno con il cervello!

Sappiamo che lo hai presentato in alcune province di Messina, a giorni, inoltre, lo presenterai proprio qua a Messina, presso l’istituto Verona Trento.

Sì, lo ho presentato sia a Spadafora, che nel comune di Naso dove ho trovato persone, che mi hanno ospitato, davvero squisite. La presentazione a Messina durerà circa un’ora e spero di vedere il coinvolgimento delle persone de dei ragazzi! Devo dire che, comunque, sono contento, perché ha avuto molti feedback positivi. Oltre i soliti curiosi, anche alcuni professori mi hanno i complimenti, dicendo che ho preso spunto da Kafka (che io, però, non ho mai letto!).

Toglici una curiosità, come è nato il tuo libro? Cosa ti ha ispirato?

Allora, il libro è nato da un disegno che ho fatto io stesso: sarebbe l’ape che c’è sulla copertina del libro. Quindi la storia è stata ispirata da me stesso. Poi ci sono stato un anno a scriverlo, tra alti e bassi, per cui ci sono dei momenti di allegria e dei momenti un po’ più introspettivi, legati al fatto che, ovviamente, durante questo anno, io stesso ho affrontato periodi della mia vita diversi.

Ma quindi è un po’ autobiografico?

No, vi giuro di no!

Da cosa è nata questa idea di scrivere un libro? Ad alcuni rimane per sempre questo ‘’sogno nel cassetto’’, tu, invece, ci sei riuscito!

Io sono dell’idea che tutti possono scrivere un libro e che, allo stesso tempo, non tutti possono. Perché, inutile nasconderlo, ci sono dei momenti in cui vorresti mollare tutto, perché non ci riesci, non sai più cosa devi dire: il classico blocco dello scrittore. Bisogna avere costanza, questo sicuramente, e non mollare nemmeno durante quei momenti. Bisogna essere, in ogni caso, fieri delle proprie opere.

Umberto per noi sei un grande esempio anche perché, se non sbaglio, ancora non sei laureato. Secondo te, cosa serve realmente a un ragazzo, che magari non ha terminato gli studi come te, per mettersi in gioco e realizzare qualcosa di concreto?

No, purtroppo, ancora no!

Secondo me il problema non è tanto dei ragazzi che non fanno qualcosa, il problema sta nel fatto che non c’è partecipazione. Questa è la grande pecca dei nostri cittadini. Ci sono tantissimi eventi di diverso genere in tutta la città, in svariati locali e così via: ma nessuno partecipa. Ci lamentiamo tanto ma poi, a conti fatti, il nuovo non ci interessa.

E allora grazie perché sei un grande esempio per la nostra generazione e, soprattutto, in bocca al lupo!

Grazie a voi ragazzi, siete fortissimi!

Elena Anna Andronico

 

Animali Fantastici e dove trovarli: JK Rowling è ufficialmente tornata!

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Nana nanana nanaaa naaaa na nanana nanaaaa….

Se siete dei potterhead (come me) l’avete canticchiata ad alta voce e con l’intonazione giusta. Sì, amici miei, è la colonna sonora dell’infanzia della maggior parte di noi: Harry Potter.

Al mondo esistono due categorie di persone: chi lo ama fino alla malattia mentale e chi invece non lo sopporta propria. Io, penso si sia capito, faccio parte della prima.

Dopo 5 anni, un libro sceneggiatura di un’opera teatrale (che ha lasciato un po’ d’amaro in bocca), e tante repliche (su Italia 1 il sabato sera) dei film sui nostri maghi preferiti, finalmente, il 17 novembre, è uscito il nuovo film firmato Jk Rowling: Animali Fantastici e dove trovarli.

Come ogni film sul mondo magico di Harry Potter, sono andata a vederlo di domenica pomeriggio insieme a mia mamma e a mia cugina (potterhead come me). Ero un po’ in ansia, avevo paura fosse una grande delusione: dopotutto, spesso, le opere che vengono fatte dopo l’originale lasciano sempre l’amaro e la delusione del ‘’ non è come era una volta’’.

E invece, ragazzi e ragazze, possiamo ufficialmente esclamare ad alta voce: Jk Rowling è tornata!

Animali Fantastici e dove trovarli, è un film basato sulla storia dell’autore di uno dei libri utilizzati dagli studenti di Hogwarts. Insomma, è come se facessero il film sulla vita del mio professore di anatomia (Anastasi, ndr).

Al contrario degli altri film, tutti tratti dai rispettivi romanzi, questo era totalmente inedito: si può trovare, in libreria, il libro vero e proprio sugli animali fantastici, il libro, insomma, che hanno usato i nostri maghetti mentre andavano a scuola.

Come il mio libro di anatomia. È la, ho studiato su quello, l’ho sottolineato e martoriato ma non conosco la vita del suo autore.

Quindi, era assolutamente un salto nel buio. Nessuno sapeva come sarebbe andata. Ed è andata bene.

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Newt Scamander, futuro autore di un inutile libro di scuola, è un mago espulso dalla scuola di magia e stregoneria di Hogwarts (contro il volere di Albus Silente che ha, come sempre, un debole per gli sfigatelli) che va in giro a raccogliere creature magiche.

Le infila tutte nella valigetta, prontamente camuffata con un incantesimo estensore (ma voi che ne dovete sapere, stupidi babbani). Finisce a New York, dove sa di poter trovare un esemplare raro.

Siamo in una New York durante gli anni del proibizionismo, dove c’è ancora la caccia alle streghe. Per questo, tutti i maghi e le streghe viventi, devono nascondersi, vivere nel segreto.

Ovviamente, come è solito nelle trame della Rowling, appena arriva il protagonista, per un errore banale, succede un putiferio. A Newt, infatti, scappa il suo snaso (che assomiglia ad un ornitorinco) e succede un manicomio.

Non voglio svelarvi troppo della trama. Vi dico solo che sentirete, anzi, per il piacere delle vostre orecchie, risentirete tanti termini conosciuti: auror, babbani (che in america chiamano ‘’nomag’’), Silente, Grindelwald, magono, incantesimi e bacchette.

Girato da David Yates, regista di parecchi film su Harry Potter, è un film con effetti speciali e ambientazioni sorprendenti. Tutto è, come sempre, perfetto, fino ai più piccoli particolari.

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E poi, il cast. Un cast stellare. Ci sono nomi come Colin Farrell, Dan Fogler, Allison Sudol, Katherine Waterstone. E, ancora, Johnny Depp che ha una scena lunga, si e no, 45 secondi ma, ehi, è magnifico come sempre. Ed è proprio la sua scena finale, di assoluta sospensione, che conferma quello che già si sapeva: ci saranno altri 4 film. Ed io onestamente non vedo l’ora.

Ma parliamo dell’attore protagonista: Eddie Redmayne. Ok, sarà che io l’ho visto per la prima volta nel 2006 in ‘’Symbiosis’’ e ne sono rimasta folgorata… Ma non si può. Non si può, gente. Questo tizio ha una mimica faciale, un linguaggio del corpo, un modo di porsi che è qualcosa di straordinario.

Ogni pellicola che interpreta sembra scritta su di lui. Che sia alla corte di Elisabetta, o l’agente di Marilyn Monroe, o un membro della CIA durante la seconda guerra mondiale; che sia uno studente rivoluzionario, o un grande scienziato a cui viene la SLA, o un transgender che combatte con sé stesso negli anni ’20… È sempre, sempre, meraviglioso (e poi, che gli volete dire, è un bono da paura).

Potterheads, simpatizzanti e anche chi Harry Potter lo odia (dicasi babbani): io vi dico SI. Andate a vedere questo film e non rimarrete delusi.

Il mondo di Harry è tornato nel modo più furbo: attraverso il primo dei 5 prequel che ci aspettano. Perché il sequel è pericoloso, scontato, può annoiare. Il prequel no.

E Jk lo sa, lo ha sempre saputo. Ci ha mezzi delusi con ‘’Harry Potter e il bambino maledetto’’ (che a me, per onor del vero, è piaciuto), ci ha fatto perdere ogni speranza, per poi ritornare così: attraverso il primo dei 5 film che, finalmente, ci sveleranno tutte quelle storie, tutti quei dettagli, di cui ci è stato dato solo un assaggio nella saga del maghetto.

Anche a chi non è mai piaciuto lo consiglio: perché no, magari con questo film potrebbe venirvi una curiosità tale da cambiare completamente il vostro punto di vista.

Dopotutto, in questo mondo, non si sa mai quello che può succedere.

Nana nanana nanaaa naaaa na nanana nanaaaa….

Elena Anna Andronico

 

The Big Bang Theory: essere Nerd is the new essere popolari

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Le donne, dicono, sono il problema di tutti gli uomini. Arrivano nella loro vita e gliela distruggono, li destabilizzano.

Voi immaginate se questo accade a quattro 30enni nerds, bruttini e sfigatelli. Quello che ne esce è la serie tv che ormai va in onda da 10 stagioni: The Big Bang Theory.

Per chi non l’ha mai vista perché ‘’facendo zapping ci sono capitato più volte ma, a me, non fa ridere’’, posso dire solo questo: ERRORE. Vai, prendi il tuo pc e clicca play sulla prima puntata della prima stagione. Non te ne pentirai.

The Big Bang Theory è costruita sul classico format americano: 20 minuti in cui vediamo i personaggi spostarsi tra poche locations, con tanto di pubblico che applaude e ride quando viene fatta una battuta. Ma tu, caro mio, non te ne accorgerai perché sarai impegnato a sganasciarti (con tanto di lacrime e pipì che corre).

I personaggi principali sono, come detto, questi quattro 30enni nerds: Leonard, il classico ragazzo geniale, bruttino, timido e con gli occhiali; Sheldon, alto e allampanato ma con un QI superiore a qualsiasi media normale e, tra l’altro, affetto dalla sindrome di Asperger. Questo lo porta a non avere senso dell’umorismo, a essere anaffettivo e a dover pianificare tutto: anche gli orari in cui il suo coinquilino può andare di corpo.

Howard, il perverso del gruppo, che ci prova a trovare una donna e alla fine, incredibilmente, ci riesce; Raj, indiano ricco e di colore, accusa problemi nel parlare con le donne a cui sopperisce con l’uso dell’alcool.

Insieme trascorrono la maggior parte della giornata perché, non solo lavorano insieme, ma hanno gli stessi interessi che includono videogames, Star Wars e fumetti.

Un giorno, nell’appartamento di fronte quello di Leonard, arriva Penny: un’oca giuliva bionda di cui, ovviamente, tutti si innamorano (tranne Sheldon, che si limita a dispregiarla e basta come fa con tutto il resto degli esseri umani). Il resto, se volete, lo andrete a vedere.

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La bellezza di The Big Bang Theory è l’evoluzione di tutti i personaggi che, nelle prime stagioni, rimangono e permangono nei loro ‘’status quo’’ ma, piano piano, riescono a sbloccare alcuni lati del loro carattere. Con lo stesso umorismo di sempre, è una serie che, non solo facilmente può fare compagnia con la sua leggerezza, porta ad affezionarsi ai protagonisti mantenendo alta la curiosità.

Rumors dicono, da un paio di mesi, che la 10 stagione, quella attualmente in onda, dovrebbe essere l’ultima. In attesa di scoprire se la notizia è reale (e, quindi, prepararsi a un eventuale lutto) c’è solo una cosa poter fare: metterla in play!

Elena Anna Andronico

“A tutte le unità: triplo nove. Agente a terra” – Recensione Codice 999 (Triple 9) di John Hillcoat

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Poliziotti, criminali, sparatorie e sangue, misti ad un’ atmosfera quasi “noir”, solo le caratteristiche fondamentali per formare un prodotto quale “Triple 9” (“Codice 999” in Italia) rappresenta. Diretto da John Hillcoat, la pellicola – dopo brevi dialoghi – ci immerge subito nell’azione, senza alcuna premessa o un tentativo di conoscenza dei personaggi presenti sullo schermo. Cinque uomini, che attraverso conversazioni fra gli stessi capiremo essere: Russell Welch (Norman Reedus),  Michael Atwood (Chiwetel Ejiofor), Marcus Belmont (Anthony Mackie), Gabe Welch (Aaron Paul) e Franco Rodriguez (Clifton Collins Jr.), rapinano una banca con un unico obiettivo, ovvero ottenere il contenuto di una determinata cassa di sicurezza in meno di tre minuti, così da poter sfuggire senza troppi problemi dalla polizia.

Procedendo secondo un accurato piano, in maniera assolutamente efficiente, riescono a portare a termine il loro compito ma non senza i classici intoppi di norma. Veniamo così a scoprire che i nostri protagonisti sono, per la maggior parte, poliziotti corrotti divisi fra chi è ancora in servizio e chi invece ha abbandonato la propria vocazione già da tempo , incaricati di compiere il lavoro su comando di una rilevante frazione della mafia russa che opera in terra americana. Benché il loro accordo stabilisse questa sola operazione, i russi sembrano non essere ancora contenti, chiedendo alla squadra nuovamente la loro “collaborazione” che trova il dissenso di tutti. Ma la posta in gioco è troppo alta…

Triple 9, uscito nelle sale a febbraio 2016 (aprile in Italia), vanta un cast importante con stelle del calibro di Aaron Paul (Breaking Bad), Chiwetel Ejiofor (12 Anni Schiavo), Norman Reedus (The Walking Dead), Anthony Mackie (Captain America), Woody Harrelson (True Detective), Kate Winslet (Titanic), Gal Gadot (Wonder Woman) e tanti altri. Tuttavia, nonostante la presenza di notevoli attori che sicuramente non mancano al loro talento recitativo , l’opera di Hillcoat convince poco. Con buone premesse, ricade nei classici stereotipi dei poliziotti corrotti e delle società consumate dalla criminalità interna ed esterna, con mancanza di veri e propri colpi di scena.

Interessante, invece, è l’impegno messo nel creare del realismo coinvolgendo reali agenti della SWAT, poliziotti e paramedici americani per alcune scene di azione di rilievo. Nel complesso il film non è definibile come un fallimento nella maniera più assoluta, ma manca quello scatto in più per renderlo migliore.

                                                                                                                                                             Giuseppe Maimone

L’Arte di essere fragili: il libro della settimana!

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Alessandro D’Avenia ci accompagna in un viaggio alla riscoperta di un autore molto spesso etichettato come “sfigato”, non è stato facile per il prof. rinnovare questa etichetta in “tendente all’infinito”.

Ma partiamo dall’inizio: lo scrittore, un semplice professore nonché autore di Bianca come il latte rossa come il sangue, Cose che nessuno sa e Ciò che inferno non è,vuole ridare giustizia all’immagine di Giacomo Leopardi, poeta cercatore della felicità.

In questo libro Alessandro si rivolge direttamente al suo amico Giacomo chiedendogli essenzialmente due cose: cosa vuol dire essere adolescenti e cosa rimane dentro di noi di questa età della vita.

Così viene rielaborato ogni suo scritto, principalmente lo Zimbaldone, per assistere alla creazione di un’immagine di Leopardi completamente diversa da quella che a scuola i nostri vecchi professori ci hanno reso.
“Solo chi vive il suo rapimento genera rapimenti e provoca destini”

Questo rapimento è spiegato proprio come una vocazione, non si tratta semplicemente di qualcosa di mistico o straordinario, ma ciò per cui “vale la pena vivere”, quello che ci tiene in piedi e ci fa andare sempre avanti spingendoci oltre ogni nostra possibilità.

mentre comunichi il dolore, senza saperlo lo ripari. L’universo non è tenuto a essere bello, eppure lo è. E così i tuoi versi, nonostante la tenebra. In un tramonto della luna tu descrivi una delle tue albe più belle, proprio perché desiderio di luce in una notte di tenebra, e quella luce che torna è meta e ragione per il viandante, perché la bellezza non ha ragione, ma dà ragione”

Ormai viviamo in un’epoca in cui non basta avere un sogno, ma avere tutto pronto ancor prima di iniziare, quando invece a Leopardi è bastato vedere una primavera per capire cosa ci sta a fare al mondo!

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Nel 1817 aveva soli 19 anni, quando mandò una lettera a Pietro Giordani, uno degli intellettuali più famosi dell’epoca, il quali gli consigliò di dedicarsi alla prosa per vent’anni prima di passare alla poesia (e menomale che Leopardi, dal canto suo, non gli diede ascolto).

Ma qui non si vuole parlare unicamente di Leopardi ma anche degli adolescenti, i quali non hanno semplicemente domande, essi sono domande, come scrive D’Avenia, eppure non si può consegnare una risposta facile, così come insegna Leopardi è importante abbracciare la terra dei forse, accettare la vita sia con i successi che con i fallimenti, con tutte le vittorie e con tutte le sconfitte.

Non trovavo soluzioni perché non ce n’erano, ma tu, Giacomo, mi hai fatto capire che la soluzione è dentro la vita stessa e non fuori di essa: aprirsi al dolore e abitarlo, come una delle stanze del nostro cuore”.

Consigliato a chi è affamato di vita e di infinito, a chi lotta per le proprie aspirazioni e a chi è alla ricerca di un compagno in questo viaggio esistenziale.

Dalle inquietudini dell’adolescenza, si passa attraverso le prove della maturità, per poi finalmente credere in sé stessi, imparando che essere fragili non è una debolezza ma un punto fermo in un’epoca che ci vuole perfetti .

Serena Votano

Perché Breaking Bad è la serie perfetta

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Il termine “Breaking Bad” è un’espressione colloquiale usata nel Sud degli Stati Uniti, che viene utilizzata quando qualcuno ha preso una direzione sbagliata che lo allontana dalla retta via. Ciò potrebbe durare un giorno o tutta la vita.

Bryan Cranston

Era il lontano (forse mica tanto lontano) 2014. La mia passione per il cinema andava a farsi sempre più importante e la voglia di conoscere prodotti di qualità era sempre crescente. Durante l’estate ero stato travolto dal fenomeno nazionale di “Gomorra – La serie” che ha acceso in me l’interesse per le serie Tv. Infatti, nonostante la mia grande passione per il cinema, non mi ero mai avvicinato al mondo delle serie Tv che ho avevo sempre visto come un prodotto inferiore rispetto alla qualità cinematografica. Adesso divoro serie Tv come fossero patatine fritte. Fu proprio quell’estate del 2014 a farmi cambiare idea. Certo, Gomorra ha avuto in me un forte impatto, ma quello che davvero mi ha fatto cambiare idea è stato un prodotto americano, ideato dalla mente di Vince Gilligan. Avevo scoperto Breaking Bad, avevo scoperto il mondo delle serie Tv.

Ora, con voi devo fare una premessa importante: Breaking Bad è una serie perfetta. Piuttosto forte come affermazione ma non è detta a cuor leggero. Quando dico che questa è una serie perfetta metto da parte il fatto che sia la mia serie preferita, il giudizio è oggettivo. E non voglio neanche lanciarvi la sfida di trovargli dei difetti, sicuramente qualcuno ci sarà, ma nel complesso è un’opera d’arte del piccolo schermo. La serie è formata da 5 stagioni con 62 episodi totali, ma la sua forza sta nel fatto che è come se fosse un film di circa 60 ore. La continuità e l’armonia della sceneggiatura consente una visione fluida e senza sosta dell’intera serie. Non a caso la prima volta che l’ho vista è corrisposta anche alla mia prima esperienza con il Binge-watching, ovvero la visione di seguito di molti episodi. Forse ho esagerato a finire le 5 stagioni in 5 giorni, ma andava fatto così, credo.

Non voglio dirvi troppo della trama, potete cercarla benissimo su Google e farvi un’idea. Una cosa che voglio subito dirvi è che è una serie molto lenta. Non fraintendetemi, le cose succedono, ci sono molti colpi di scena, ma è come se vuole prendersi il suo tempo per farli accadere. È la forza di questa serie ed è quello che ha insegnato a tutte le serie Tv che sono venute dopo: l’importante in una serie Tv non sono i cliffhanger (ovvero l’interruzione brusca della narrazione attraverso un colpo di scena) ma la solidità della sceneggiatura. Quello che rende bella una serie non è il voler sapere cosa succede dopo ma farsi trascinare da quello che sta succedendo adesso. E in Breaking Bad questo è fatto perfettamente. Gli aspetti tecnici della serie sono ad altissimi livelli cinematografici e i vari registi non si sono mai tirati indietro nello sperimentare ed andare oltre le classiche inquadrature da “show per la tv”. D’altronde parliamo di una serie capace di portarsi a casa numerosi premi, tra cui sedici Emmy Award, otto Satellite Award, dodici Saturn Award, sei WGA Award, cinque TCA Award, due Golden Globe, tre Screen Actors Guild Award, un PGA Award, due DGA Award e sei Critics’ Choice Television Award.
Quando la gente vuole un consiglio su un film o su una serie Tv, la prima cosa che mi chiede è: “di cosa parla?”. La risposta che vorrebbero sentirsi dire dovrebbe essere un riassunto generale della trama e dello svolgimento della storia per capire se può essere interessante o meno. Personalmente riesco a sfuggire ad una risposta del genere perché credo che quando qualcuno mi chiede di cosa parla un film o una serie gli rispondo quali sono le tematiche trattate. Quando mi chiedono di cosa parla Breaking Bad (visto che è una serie che amo tanto e che consiglio a tutti), mi tornano in mente le parole di Bryan Cranston, il protagonista della serie, e rispondo che parla di decisioni sbagliate. Questa serie può essere immaginata come un continuo declino, ma non è un declino chiaro. All’inizio, infatti, sembra un’ascesa verso il successo. È come se ci fossero due linee direttamente proporzionali che dall’inizio alla fine della serie condizionano la trama. La prima linea è quella che porta al successo, ai soldi, ad una felicità falsa. La seconda linea è quella che porta all’autodistruzione, alla solitudine, all’insoddisfazione. Per quanto aumenta la prima, aumenta pure la seconda. È di questo che parla Breaking Bad. È solo una storia che è stata scritta, diretta e interpretata alla perfezione.

Nicola Ripepi 

“Scrivo poesie solo per portarmi a letto le ragazze”: con questo libro si fa il pieno di Bukowski

9788807885235_quarta“Dalle Sue dita uscivano carbone e diamanti”: leggete e piangete con questo capolavoro di Bukowski

La maggior parte delle poesie che conosciamo ci ricordano di un tempo ormai passato, di un romanticismo oggi più che mai superato, di amori struggenti narrati dalla nobile penna dei grandi poeti che la storia ricorda, nulla a che vedere con quello che Charles Bukowski ci ha lasciato in questo libro e in tutti gli altri suoi capolavori di una vita vissuta intensamente e, spesso, al di fuori delle righe…

“Scrivo poesie solo per portarmi a letto le ragazze” è un libro di “poesie” anomalo. Non segue la rima, non cura il particolare, non descrive paesaggi maestosi o umidi amori sotto la pioggia d’estate, ma ci fa toccare con mano le viscere della passione di un uomo. Con estrema durezza ci catapulta in una realtà a noi distante fatta di alcol, donne e sesso, contornata da una decadenza asfissiante tipica dei bassifondi dell’America degli anni Settanta.

Il protagonista dei racconti è quasi sempre lo stesso scrittore che narra in prima persona ciò che vede, sente e vive ogni giorno, tra un bicchiere di troppo e l’amore fugace con le donne che incontra durante i suoi continui vagabondaggi. Le storie non seguono un filo logico, ma tutte hanno una volontà comune: la voglia di raccontare il vero senza veli né farse, anche ciò che può far disgustare i più deboli e storcere il naso al lettore medio. Le descrizioni degli intrecci passionali tra il suo corpo e quello delle donne con cui passa le notti sono la perfetta trasposizione su carne di ciò che rappresenta un ossimoro, intensità e dolcezza, rabbia e debolezza, piacere carnale e sentimento astratto, tutto costruito in modo da rendere ogni parola tagliente, senza smussarne gli angoli.

Fiumi di alcol attraversano le pagine di questo libro. È un testo ubriaco di sentimento, di quello grezzo che ci sporca le mani e che difficilmente si lava via. Ci invita a pensare, ci fa imprecare, ci impressiona, ma sempre insegnandoci qualcosa…

“Molta gente scrive poesie che non sente pienamente. Lo faccio anch’io, a volte. Vita dura genera verso duro e con verso duro intendo un verso vero privo di orpelli.” 

È una lettura consigliata per chi ama le storie, quelle concrete, pure e spesso anche dure da comprendere. Per chi vuole superare lo stereotipo dell’amore romantico per poter vedere con i propri occhi il vero, a volte osceno, ma pur sempre reale sentimento umano.

Giorgio Muzzupappa

In Guerra per Amore, un film di PIF

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A tre anni da “La mafia uccide solo d’estate”, di cui riprende protagonisti principali e tema, Pif torna dietro la cinepresa con il suo secondo film che lo vede nuovamente anche protagonista.

Seconda guerra mondiale come sfondo. Arturo Giammarresi (Pif) di origini siciliane ma trapiantato in America, è pronto a tutto pur di ottenere la mano della sua amata Flora (Miriam Leone), già promessa sposa di un altro uomo, anche ad arruolarsi con gli Americani e ad approdare di nuovo nella sua terra d’origine.

L’impresa amorosa è il filo conduttore che lega le due realtà presenti nel film: lo sbarco degli Alleati in Sicilia e la presa del potere mafioso nella medesima.

La pellicola racconta con amara ironia una realtà ancora attuale; Pif si mostra all’altezza di affrontare nuovamente tale realtà e tali tematiche conducendo un film con una buona regia, lineare, senza eccessi particolari e senza errori.

Poco presente la linea comica che contraddistingueva invece l’opera precedente, anche se in alcuni punti fa il suo ritorno, come nell’esilarante lotta tra Duce e Madonnina. Buona la recitazione anche se è il protagonista stesso a presentare alle volte piccole sbavature. Ciò che stupisce è la fotografia e l’ottima ricostruzione delle ambientazioni.

Nel complesso è un film che seppur leggero fa riflettere su temi oltremodo importanti e sempre presenti nel nostro paese. Ne è assolutamente consigliata la visione!

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                                                                                                                              Benedetta Sisinni