Il ritorno di Gossip Girl: le sei stagioni in streaming

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Con l’arrivo del nuovo anno Netflix, la celebre piattaforma di streaming, offre la possibilità ai propri utenti di assaporare, dopo sei anni dalla puntata finale, le sei frizzanti stagioni riguardanti le vite scandalose delle élite di Manhattan.

La serie che ha fatto impazzire le teen-ager di mezzo mondo fa di nuovo parlare di sè: da quando Netflix ha annunciato il ritorno, sul web non si discute d’altro!

Si tratta di una serie televisiva statunitense, trasmessa dal 2007 al 2012. In Italia, è andata in onda sul canale Mya di Mediaset Premium e successivamente, dal gennaio 2009, è stata trasmessa su Italia 1.

La prima stagione si apre con il ritorno nell’Upper East Side di Serena Van Der Woodsen (Blake Lively), scomparsa per alcuni mesi senza dare spiegazioni a nessuno. Da qui si susseguiranno una serie di vicende, intrighi e complotti che vedranno coinvolta lei ed il suo gruppo di amici.

Gossip Girl, la voce narrante, si occupa di raccontare ciò che accade nelle vite dei ragazzi, senza perderli mai di vista, ma la sua identità rimane segreta fino all’ultima puntata della serie. “Ricchi ed eccessivamente attraenti studenti di una prestigiosa scuola si fanno cose orribili e scandalose a vicenda. Ripetutamente”: è questa la descrizione della serie sulla famosa piattaforma.

Ciò che sconvolge è che nonostante siano passati degli anni, la serie sembra essere ancora attuale. Ma la vera domanda è, riuscirà Gossip Girl ad accaparrarsi i consensi di queste ultime generazioni, o verrà seguita soltanto dai vecchi fan?

Elena Emanuele

Van Gogh – Sulla Soglia dell’Eternità

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Sono stati tanti i registi che ispirati dal folle genio di Vincent Van Gogh ne hanno proiettato la vita e le opere sul grande schermo.

Questa volta a farsi carico della responsabilità di rappresentare al meglio l’arte del visionario pittore è stato Julian Schnabel; lo statunitense regista, trascorsi vent’anni dal suo esordio (un biopic sull’artista Basquiat), torna nuovamente a parlar d’arte.

Van Gogh – Sulla Soglia dell’Eternità verte sugli ultimi anni della vita del pittore, concentrandosi sulla sua figura di uomo, sul rapporto viscerale che lo lega al fratello Theo, su quello con l’amico e collega Paul Gauguin (Oscar Isaac), concludendosi con la tragica morte.

Il film si apre con Vincent, interpretato da un eccellente Willem Dafoe, che ormai stanco ed esasperato dalla vita nella capitale francese, proprio su consiglio del suddetto amico, decide di trasferirsi a sud della Francia, nella città di Arles.  Ed è qui che, lontano dal grigiore di Parigi, Vincent si darà alla libera ricerca di quella luce e di quel calore che ispireranno sempre i suoi dipinti.

Il film è pervaso interamente da un malinconico sentimento di bonaria rassegnazione. L’artista sa che la sua arte è destinata al successo, ma è inconsciamente consapevole che, finché sarà in vita, mai questo successo gli verrà riconosciuto. Tutto ciò che nella sua vita è stato è un cammino che porterà i posteri a poter godere della sua immensa arte. Grazie ad un saggio uso dei filtri che se nei momenti di crisi e sconforto, sono freddi, cupi, nei momenti di gioia sono colorati e luminosi, è facile per lo spettatore immedesimarsi in quelle atmosfere e nei sentimenti dello stesso Vincent.

Funzionali a questo proposito anche l’ottima sceneggiatura e l’ottima regia che, senza sbavatura alcuna, riescono pienamente a trasportarci in un visionario mondo pittorico. Doveroso citare quindi le speciali musiche per violino e pianoforte composte da Tatiana Lisovkaia che seguono i variabili stati d’animo del tormentato pittore, e sono ora concitate, movimentate, ora pacate e mistiche. Willem Dafoe con la sua bravura, la sua straordinaria mimica, riesce a interpretare perfettamente il dolore e il dramma del pittore, emozionando e commuovendo. Quest’opera non ha nulla da invidiare ai suoi predecessori; raggiunge pienamente il suo intento di raccontare in maniera innovativa e quasi sperimentale la travagliata vita di Van Gogh, pittore e uomo complesso, nonché l’immensa grandezza della sua arte.

Benedetta Sisinni

Resta con me: un viaggio che si è tramutato in naufragio

Resta con me. Un titolo, uno scenario che ha fatto sognare un milione di persone, con mille emozioni che richieggiavano nelle sale cinematografiche. Un film che ci fa sembrare il Titanic solo un ricordo lontano. Lo scontro con un violento uragano per raggiungere Thaiti.

Due giovani sfidano il mare ma non sanno cosa troveranno o se si ritroveranno loro stessi, in un’avventura che si è trasformata in un drammatico naufragio. Una storia vera accaduta a una giovane coppia che, durante un viaggio verso Tahiti, a bordo di una barca a vela, dovette affrontare un uragano. In Italia al Box Office Resta con Me ha incassato 3,2 milioni di euro.

“Non aver paura di spiegare le tue vele”

Dalila De Benedetto

Film, serieTV, dischi, libri: le migliori uscite del 2018. La nostra selezione

La casa di carta, la ragazza con la leica, Freddie Mercury sul palco del live AID, Lady Gaga in veste di attrice e l’ex Beatle Paul McCartney.

12 redattori di UniVersoMe scelgono un disco, un film o un libro uscito nel 2018. La nostra selezione tra perle e grandi successi di pubblico.

 

 

BRANDI CARLILE – BY THE WAY I FORGIVE YOU

“By the way I forgive you” non è solo il titolo è il messaggio di fondo di questo album, per spiegarlo con le parole di Brandi “We chose to talk about finding a way to fundamentally forgive and accept life for being fucking hard.” . L’empatia ci rende umani ed è ciò che più serve oggi. I testi scritti dalla stessa Carlile e i gemelli Hanseroth sono caratterizzati da grazia, sensibilità e schiettezza e affrontano la dipendenza, le dinamiche familiari, la politica, l’identità ed il bullismo. La musica eleva la delicatezza dei testi, le chitarre vengono suonate con forza nei momenti necessari, accentuate dalla presenza dell’orchestra. Le canzoni si estendono fra una vasta gamma di stili e suoni, dalla grandiosità orchestrale di “The Joke” che ricorda la sua canzone più famosa “The Story”, al pop-folk di “Hold Out Your Hand” misto fra canzone popolare ed inno e la straziante ballata di piano “Party of One ” (di cui suggerisco la visione del bellissimo video). La voce della Carlile, con i suoi acuti ed imperfezioni, ti entra nel cuore ancora prima che tu possa capire cosa sta cantando. Questo disco è un trionfo. Le sei nomination ai Grammy 2019, incluso uno per l’album dell’anno, rendono Brandi Carlile la più nominata dell’anno e conferiscono (finalmente) il dovuto riconoscimento mondiale che si merita. • Arianna De Arcangelis

 

BRYAN SINGER – BOHEMIAN RHAPSODY

Sicuramente il film più atteso e apprezzato di questo 2018. Il documentario su Freddie Mercury e sui Queen. Dagli esordi al successo planetario. Rami Malek, nei panni del re del rock, fa sognare, totalmente coinvolto nel suo personaggio. Un film autobiografico sincero e potente come pochi, epico, assolutamente da non perdere! • Benedetta Sisinni

 

GREG BERLANTI – TUO, SIMON

Vincitore di numerosi premi tra i quali MTV Movie & TV Awards, Teen Choice Awards e People’s Choice Awards, “Love, Simon” (in Italiano “Tuo, Simon”) è un film di genere drammatico, commedia e sentimentale uscito nelle sale cinematografiche nel 2018 e diretto da Greg Berlanti. Il film è un adattamento cinematografico del libro ”Non so chi sei, ma sono qui” di Becky Albertalli e ha come protagonista Simon, un ragazzo omosessuale che, costretto a nascondere la sua omosessualità, inizia uno scambio di email con un altro ragazzo di nome Bram. Il film tratta argomenti molto attuali come il bullismo e la paura di non venir accettati dai familiari o dagli amici perché si è ”diversi”. Nonostante la leggerezza con cui vengono trattati questi temi faccia sembrare il film adatto più ad un pubblico di adolescenti, non ne è sicuramente sconsigliata la visione anche ad una platea più adulta. Dal film: “Non l’ho detto a nessuno. Dire al mondo chi sei è abbastanza spaventoso” • Beatrice Galati

 

 PAUL MCCARTNEY – EGYPT STATION

Le note partono nel bel mezzo di un stazione affollata e arrivano dirette a un presente che appare già quasi nostalgico. Dalla ballata che apre il disco ai ritornelli trascinanti e orecchiabili la voce increspata dagli anni non allontana dal traguardo di commuovere e divertire. Paul McCartney raccoglie 16 tappe di un viaggio immaginario: il passato e il presente, l’adesione ai tempi e la straordinaria, inalterata, abilità di songwriting. Egypt Station trova la sua dimensione nell’equilibro tra forza e fragilità. • Eulalia Cambria 

 

 HELENA JANECZEK – LA RAGAZZA CON LA LEICA

La ragazza con la Leica, libro di Helena Janeczek, scrittrice tedesca naturalizzata italiana che vive proprio in Italia dal 1983, le ha garantito la vittoria del Premio Strega e del Premio Bagutta. La protagonista, Gerda Taro, è la prima fotoreporter a morire in un teatro di guerra (con precisione, durante la seconda guerra mondiale). La sua storia, narrata in questa biografia, si intreccia con quella di due uomini e una donna. Nel corso del romanzo, i loro ricordi delineano la figura di Gerda ma sono anche lo strumento grazie al quale Helena Janeczek descrive la rovina di una generazione che si è vista troncare la giovinezza a causa della Seconda Guerra Mondiale, delle persecuzioni razziali, dei genocidi su base etnica. Nell’ultimo capitolo scrive: “per ritrovare qualsiasi cosa è necessario affidarsi alla memoria, che non è altro che una forma di immaginazione”, parole che spiegano perfettamente ciò che l’autrice ha voluto trasmettere. • Susanna Galati

 

MOTTA – VIVERE O MORIRE 

Vincitore come miglior disco dell’anno dell’ambita Targa Tenco, Francesco Motta riesce a conquistare critica e pubblico tra cantautorato italiano e indie rock. Nonostante l’indie sia un genere molto apprezzato in questi anni, Motta se ne discosta dimostrando originalità e competenza tecnica. Il suono si presenta minimale, con ritmi semplici a tratti tribali, la musica avvolgente con una voce che ci fa vivere e rivivere emozioni facendo emergere immagini e sensazioni rinchiuse in ognuno di noi. • Marina Fulco

 

LA CASA DI CARTA

Una delle serie più viste quest’ anno, tutti ne hanno parlato (o ne hanno sentito parlare). Avvincente, chiacchierata, interessante, su alcuni punti criticabile, ma indubbiamente affascinante. Soprattutto per la trama intrigante e l’idea di fondo: rapinare la zecca di Stato Spagnola. Si, ma con stile! Inevitabile appassionarsi alle vicende di questa banda dove il carisma non manca, partendo dal Professore, e chiedersi chi sono davvero i buoni e chi i cattivi. Voi da che parte state? • Serena Saveria Foti 

 

ANIMALI FANTASTICI – I CRIMINI DI GRINDELWALD

L’attesissimo sequel di Animali fantastici e dove trovarli è arrivato al cinema permettendo agli appassionati di Harry Potter, e non solo, di tornare a sognare tra magia e sorprendenti colpi di scena. Tra personaggi che piacevolmente riappaiono sullo schermo e nuove comparse, la storia diventa più complessa e il finale lascia gli spettatori a bocca aperta. Non rimane che aspettare il prossimo capolavoro firmato J.K. Rowling • Federica Cannavò

 

PAOLO GIORDANO – DIVORARE IL CIELO

Dover scegliere un libro, tra i tanti che leggo, è sempre doloroso. Eppure stavolta un po’ meno. Il fulcro di questa storia sono Teresa e Bern, la loro storia e i mille modi che trova l’amore di riconoscere e lasciarsi attrarre dal proprio magnete. Allo stesso modo il lettore dovrà lasciarsi trascinare dalle parole e parole, pagine su pagine, che solo Paolo Giordano riesce a riempire, ammaliandoti. “Il corpo è il veicolo fragile e forte della loro violenta aspirazione al cielo.” • Serena Votano

 

RUPERT EVERETT- THE HAPPY PRINCE

Il soggiorno di Wilde con il compagno Douglas nel 1807, il viaggio che fece scandalo nella società del tempo. Film che prende il nome da una raccolta di racconti dello scrittore irlandese e che propone la storia vera del protagonista-autore, il giovane scrittore Oscar Wilde appunto, che oltre ad essere conosciuto per i suoi romanzi fu anche oggetto di uno scandalo a causa del suo orientamento sessuale. Egli si nascose dietro un matrimonio con una giovane donna del suo tempo ma questa grande “recita” non ottenne grandi risultati. Fu perseguitato tanto da allontanarsi dalla famiglia e finire là dove tutto per lui era buio, nelle carceri tanto odiate. Il film ha incassato in Italia al Box Office 425 mila euro e ha ottenuto una candidatura agli European Film Awards. • Dalila De Benedetto

 

 BRADLEY COOPER – A STAR IS BORN

A distanza di quarantatre anni torna nelle sale il remake di ‘A Star is Born’ con protagonisti Bradley Cooper (Jackson Maine) e Lady Gaga (Ally). Il musicista di successo Jackson Maine scopre e si innamora di Ally, una ragazza acqua e sapone con un enorme talento. Il film ha ottenuto 4 candidature ai Golden Globes e tantissime altre nomination, mentre in Italia al Box Office ha incassato nelle prime nove settimane di programmazione 6,8 milioni di euro e 228 mila euro nel primo weekend • Andrea Sangrigoli

 

NICOLÒ GOVONI – BIANCO COME DIO

Bianco come Dio è un viaggio inaspettato, non soltanto attraverso i luoghi e i tempi della narrazione, ma rappresenta la possibilità inaspettata di un viaggio fuori e dentro noi stessi. Fuori e dentro il torpore delle convenzioni sociali alle quali sono rilegate le nostre anime. Nicolò racconta, in prima persona, del viaggio che ha rivoluzionato la sua vita e quella di decine di bambini in un orfanotrofio dell’India più rurale, dove inizialmente era giunto da volonturista, ma ben presto capisce che quel viaggio che sarebbe dovuto durare pochi mesi, in realtà era la sua meta, e il sorriso di quei bambini la sua missione. Bianco come Dio non è una comune storia di volontariato, ma ti spoglia di tutte le sovrastrutture mentali, disarma dagli alibi di impotenza e ti colpisce con la più oscura e disarmante verità. Quella che non passa attraverso i media, quella che non viene rappresentata, ma quella che Nicolò, poco più che ventenne, ha deciso di vivere e raccontare. Il romanzo, partito con autopubblicazione verso il viaggio della speranza, approda in Rizzoli e diventa un caso editoriale, riuscendo così a fare da fondo per la costruzione di una biblioteca per i bambini dell’orfanotrofio. • Giusi Villa

GRAFICA DI Giulia Greco

WALL•E: dieci anni di modernità

Ci sono momenti nella vita in cui si ha voglia di tornare bambini e non solo nel periodo natalizio. Questa mia “voglia di ringiovanire” è stata agevolata dal servizio di streaming più famoso in Italia (quello che inizia per N, per intenderci), che ha inserito nel suo vasto catalogo una piccola perla della Pixar e della Disney: WALL•E.

Ammetto che non lo avevo ancora visto, ma volevo assolutamente farlo, ed ho colto l’occasione. La mia recensione, quindi, non sarà un’analisi tecnica su un film che ha ormai 10 anni, del quale hanno parlato tantissime testate e critici ai tempi; ma l’opinione di una ragazza di 30 anni (mi piace definirmi ragazza ancora, perché no) che lo ha visto per la prima volta, con un bagaglio di esperienze sicuramente diverso rispetto a una “me” più giovincella.

La regia e la fotografia, oltre che l’animazione, sono veramente ben studiate e costruite; le ho apprezzate davvero tanto, ma il mio commento sarà “più di pancia”.

Il futuro distopico che il film ci sbatte letteralmente in faccia è qualcosa di devastante, catastrofico. Cumuli di spazzatura e città fantasma. Eppure i primi 10 minuti di film sono un concentrato di tenerezza e simpatia. Ci viene presentato questo robottino-compattatore, unico superstite del pianeta Terra, insieme a un piccolo insetto. Un robot particolare WALL•E, curioso, indagatore, che prova anche paura, sensibile, che discerne tra le cose che possono essere ancora utili o gli piacciono. Come una videocassetta con il musical Hello Dolly, che lui ama molto ed allo stesso tempo lo mette di fronte la realtà della sua solitudine concreta.

Questa condizione, però, cambia quando sbarca sul pianeta EVE.

Lei è molto più “moderna” di lui, ma il nostro simpatico e dolce robot cercherà in tutti i modi comunicare con lei e farà di tutto per aiutarla. E’ molto carina questa contrapposizione tra ipertecnologia e oggetti in disuso. Lo stesso WALL•E, per quanto automa, è un “oggetto” vecchio, ma è unico e ricco di personalità.

Questo amore tra “macchine” che, diversamente dal solito, non sono affatto antropomorfe, è di una delicatezza disarmante. Tutto quello che succede nel film dimostra quanto le macchine siano più umane degli uomini stessi. Gli umani, quelli che il pianeta lo hanno distrutto e abbandonato e, peggio ancora, rintronati dalla tecnologia, hanno rovinato loro stessi.

Dieci anni e i temi sono sempre attuali: la natura e il pianeta annientato dalla scelleratezza dell’essere umano, una compagnia multimilionaria che decide sulle sorti dell’intera popolazione, i soldi e il potere. Forse questa cosa dovrebbe farci un po’ riflettere.

Quello che deve farci ancora di più riflettere sono i sentimenti e le azioni positive nel lungometraggio: il coraggio, non solo dei robot, l’amicizia, l’altruismo, insomma tutte quelle cose di cui i film Disney sono colmi solitamente.

Non mi sento, però, di classificare WALL•E come un classico d’animazione qualunque, sarebbe un peccato. Mi ha colpito, mi ha toccato il cuore sin dai primi minuti, anche se per i primi 30 minuti non c’è nemmeno una parola; ma i gesti valgono più di mille parole, si dice. E sono contentissima di averlo visto da “adulta”, perché si colgono molte cose. Consiglio, quindi, a chi non lo ha visto di farlo e a chi lo ha visto, dieci anni fa, di rifarlo, perché lo scoprirete più moderno e attuale di quanto potreste immaginare.

 

https://www.youtube.com/watch?v=Z0D5UQr08Co

Saveria Serena Foti

Meet me alla boa, ogni volta che ne avrai bisogno

La storia della metà della mela mi è sempre stata sulle palle: ‘sta cosa che da quando siamo nati dobbiamo essere spaccati e incompleti alla ricerca del pezzo mancante. No, io sono una mela intera. Però con te diventiamo due belle mele, che nel portafrutta della vita una da sola fa tristezza.

30 capitoli per 30 passi che percorriamo a fianco del nostro protagonista Franci nel momento peggiore della sua vita.  Quella di Paolo Stella è una storia scritta col cuore in mano, una di quelle letture che riescono a entrarti dentro e a farti sentire meno solo, mettendo nero su bianco le sue emozioni, i suoi pensieri.

Franci conosce Marti a Parigi, rimane subito affascinato dalla sua bellezza e da quel modo di tenergli testa, che alla fine la testa gliela fa perdere. La loro storia decolla inevitabilmente, d’altronde quando due capiscono di combaciare non possono fare altro che unirsi e lasciare fare al tempo.

Purtroppo il destino entrerà in gioco portando via Marti dalla vita di Franci.

C’è un biglietto, strappato da un lato, scritto a penna blu. Riconosco la calligrafia perché è un casino.

Meet me alla boa.

Ogni volta che ne avrai bisogno.

“Meet me alla boa” è un continuo flashback di ricordi e emozioni: rabbia, dolore, felicità, amore … il tutto tinto da quelle due paroline che ancora non sono riusciti a dirsi ma che in cuor loro sanno.
Leggendo questo romanzo capiamo quanto la vita sia veramente imprevedibile e che in molti casi siamo solo degli spettatori.

Paolo Stella, attore, regista e modello (allego foto, che ogni tanto la foto degli scrittori serve assolutamente), scrive in un modo molto semplice e quotidiano la storia di un Amore con la A maiuscola, di due persone che si sono vissute nonostante tutto, e menomale. Quel genere di amore speciale che ognuno di noi dovrebbe vivere.

Una storia che smuoverà il cuore, riuscirà a farvi ridere e a farvi riflettere su quanto sia importante godere di ogni singolo momento della vita.

Serena Votano

Life Is Strange: pronto a scegliere il destino dell’umanità?

Life Is Strange è un’avventura grafica a episodi sviluppata da Dontnod Entertainment e pubblicata da Square Enix, per Microsoft Windows, PlayStation 3, PlayStation 4, Xbox 360, e Xbox One. Il gioco è stato pubblicato nell’arco del 2015 ed è composto da cinque episodi. Essendo un’avventura grafica, Life Is Strange si discosta da quelli che pensiamo siano di solito ‘’i videogiochi’’: il gioco è infatti incentrato molto sui dialoghi tra i personaggi e sull’importanza delle scelte che il giocatore farà. Precedentemente, sono stati pubblicati altri giochi simili, come Heavy Rain e Beyond: Two Souls ma, avendoli giocati tutti e tre, posso dire che Life Is Strange è sicuramente quello che fa riflettere e commuovere di più.

La protagonista della storia è Maxine Caulfield, una ragazza che, ritornata ad Arcadia Bay all’età di diciotto anni, scoprirà di avere un’abilità che le consente di riavvolgere il tempo ogni volta che vuole, portando ogni sua scelta a causare un diverso svolgimento degli eventi. Max (come viene chiamata da tutti i suoi amici e compagni di classe) scopre di avere questa abilità quando, assistendo ad un litigio tra un ragazzo e una ragazza (Chloe Price, la sua migliore amica), riesce a tornare indietro nel tempo prima che questa venga uccisa. Max continuerà ad usare i suoi poteri nel corso del gioco, e proprio questi poteri la porteranno a decidere il futuro dell’intera Arcadia Bay

Life Is Strange ruota intorno all’Effetto farfalla: secondo questo, ogni qual volta si torni indietro nel tempo per modificare il corso della storia, si avranno delle conseguenze nel presente. Queste conseguenze possono essere sia positive, che negative. In Life Is Strange un oggetto fondamentale per la protagonista sarà la sua macchina fotografica: Max infatti, in parti cruciali del gioco, dovrà usare le fotografie da lei scattate per poter tornare indietro nel tempo.

Life Is Strange è un gioco che riuscirà a tenere col fiato sospeso il giocatore, suscitando in lui tante domande che lo porteranno a stare incollato ore e ore alla console per avere risposte: risposte che molte volte faranno arrabbiare, commuovere o sorridere. Il gioco è vivamente consigliato non solo agli amanti delle avventure grafiche, ma a tutti i videogiocatori che vogliano godersi un capolavoro come questo.

                                                                                                                                                                                    Beatrice Galati

“Sono tornato”: quando l’incubo del passato ci insegna qualcosa

“Sono tornato” è un film del 2018 prodotto dalla regia di Luca Miniero. La pellicola è una trasposizione all’italiana del film tedesco “Er ist wieder da” (che avevamo recensito qui: Lui è tornato). Entrambe raccontano di un ipotetico ritorno ai giorni nostri, rispettivamente, di Mussolini ed Hitler.

Nei panni del Duce troviamo Massimo Popolizio, il quale ha ricevuto, per la magistrale interpretazione del personaggio, il premio Flaiano per le sceneggiatura. Ad aver a che fare con il dittatore vi è invece Frank Matano, nei panni del giovane regista di nome Canaletti da poco licenziato per l’emittente per cui lavorava. Il giovane, scambiandolo per un originalissimo attore, non si lascia sfuggire l’occasione: i due iniziano un viaggio lungo il bel paese per girare un docufilm sulla figura del dittatore e, a detta di quest’ultimo, per “ricostruire l’impero”.

Mussolini ha così modo di confrontarsi con l’Italia di oggi, i suoi problemi e le lamentele del suo popolo e da abile comunicatore qual era riuscirà a godere della simpatia di molti. Tra gag esilaranti e critiche provocatorie lo spettatore potrà divertirsi e riflettere allo stesso tempo, guardando quella che potrebbe definirsi una commedia pedagogica. Si tratta di una vera opera cinematografica e soprattutto documentaristica, infatti la pellicola non ha il solo fine di seguire una trama ma svolge anche un’attenta analisi della realtà. Emblematica, a tal proposito, è una frase dello stesso Mussolini:

Eravate un popolo di analfabeti, ritorno dopo ottant’anni e vi ritrovo ancora un popolo di analfabeti

Il film, come invece si potrebbe pensare, non vuole essere solo una mera ammonizione a ciò che non funziona nel nostro paese ma anche e maggiormente al popolo italiano. Quest’ultimo infatti si rivela, agli occhi del dittatore, ancora incapace e/o negligente riguardo la gestione della cosa pubblica. Inoltre, come si può notare da scene girate in “incognito”, molti connazionali, alla vista del capo fascista, reagiscono scherzosamente con il tipico saluto senza rendersi conto del peso storico di determinati fatti. Ecco allora che l’incubo del nostro passato può insegnarci qualcosa: dobbiamo sempre autovalutarci, come singoli e come popolo, con spirito critico. Tutto questo al fine di riconoscere le nostre lacune come cittadini e colmarle per il nostro bene sociale e per quello democratico del nostro paese.

Angela Cucinotta

Sulla nostra pelle: a Messina il film-evento su Stefano Cucchi

È agghiacciante pensare a quanto male immotivato venga giornalmente perpetuato dagli esseri umani a danno di altri esseri umani, ma è ancor più tremendo riflettere sulle modalità con cui questa inflizione di dolore venga concepita dalla collettività circostante. In un’atmosfera di apatia generale, il danneggiamento fisico e morale viene spesso meccanicamente inglobato in quella spirale di noncuranza e indifferenza a cui ormai l’intera società sembra essersi assuefatta. E proprio per combattere questo mostro crudele che è l’indifferenza, l’Università di Messina ha deciso di prendere parte all’iniziativa che ormai da qualche mese anima le città italiane: la proiezione del film Netflix di Alessio Cremonini “Sulla mia pelle, gli ultimi sette giorni di Stefano Cucchi”. L’evento, a cura delle docenti Paola di Mauro e Domenica Bruni, presentato dal Cospecs e dall’Associazione Stefano Cucchi Onlus, si è svolto martedì 20 novembre 2018 presso l’Aula Magna del Dipartimento di Scienze Cognitive Psicologiche Pedagogiche e degli Studi culturali dell’Università di Messina. Moltissimi sono stati gli studenti universitari coinvolti, tra i circa 200 spettatori presenti. L’iniziativa infatti, come precisa il Direttore del Cospecs Pietro Perconti, si pone innanzitutto come occasione educativa per discutere non esclusivamente di un fatto di attualità, ma di un intero sistema evidentemente imperfetto. Si sono confrontati con il pubblico i relatori Stefania Mazzone, insegnante di Storia delle Dottrine politiche presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali di Catania, Pierpaolo Montalto, avvocato penalista e Pietro Saitta, docente di Sociologia del Cospecs.

La proiezione del film è stata preceduta dalla visione di un breve video, inviato dall’attore Alessandro Borghi, che nel film interpreta Stefano in una maniera giudicata impeccabile dagli stessi famigliari. Borghi non nasconde la grande soddisfazione provata nel lavorare per questo film, afferma emozionato: “Dico grazie alla famiglia Cucchi per essersi fidata di me, per avermi permesso di interpretare Stefano.” Famiglia che ha tratto dal film, uscito lo scorso 12 settembre 2018 e presentato alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, la forza di continuare strenuamente quella lotta iniziata ben nove anni fa e volta a restituire  verità e dignità all’uomo Stefano Cucchi, vittima di quella che la prof.ssa Mazzone ha definito “società carcerata”, dominata dal proibizionismo e dall’assoluto monopolio della violenza da parte dei più forti a danno dei più deboli. Da un tale contesto, che si riflette in misura ristretta nel meccanismo carcerario, nessuno di noi può dirsi escluso, né come vittima, né come carnefice. In questa dimensione di sopraffazione emerge chiaramente la volontà, insita in ogni uomo, di abusare ingiustamente del proprio potere, simboleggiato da una divisa che perde inevitabilmente di valore se di essa si abusa. È quanto testimonia il caso Cucchi che purtroppo, come ricorda l’avvocato Montalto, non rappresenta un’eccezione nell’odierno panorama giudiziario, ma una “drammatica regola”.

da sin. Di Mauro, Mazzone, Montalto, Saitta

Tutto ha inizio il 15 ottobre 2009, quando il ragioniere romano Stefano Cucchi, dopo essere stato fermato dai carabinieri, viene perquisito e trovato in possesso di 12 confezioni di hashish, 3 confezioni di cocaina e una pasticca di un medicinale per l’epilessia di cui soffriva. Dopo sette giorni di custodia cautelare, trascorsi tra il carcere Regina Coeli di Roma e il reparto di Medicina protetta dell’Ospedale Sandro Pertini, il 22 ottobre 2009 Stefano Cucchi muore. Già dalla mattina dell’udienza immediatamente successiva all’arresto Stefano presenta evidenti segni di percosse sul viso, mostra di avere difficoltà a camminare, ha un respiro affannato, presenta malessere e dolori evidenti dovuti alla rottura in due punti della colonna vertebrale. Nei successivi sei giorni di agonia Stefano entra in contatto con 150 pubblici ufficiali, ma tutti sembrano preoccuparsi più di se stessi che delle condizioni del ragazzo. Come sottolinea il prof. Saitta, la storia di Cucchi diviene in tal senso “storia di consegna”, in cui ognuno sembra curarsi esclusivamente dell’atto immediatamente precedente a quello in cui Stefano viene posto sotto nuova custodia. Tuttavia, nessuno sembra andare oltre quel gretto sostrato di pregiudizi che impedisce di vedere l’uomo Stefano, debole, spaventato e bisognoso di aiuto che urla silenziosamente nel tentativo, purtroppo fallimentare, di sovrastare il Cucchi carcerato. Tutto questo è il risultato di un “processo di disumanizzazione della relazione”, dettato dal dominio incontrastato della “violenza strutturale” operata da parte dell’intera società a danno della vittima Stefano. Essa, come spiega il prof. Saitta, è quel tipo di violenza che viene esercitata in modo indiretto, che non ha bisogno di un attore per essere eseguita perché prodotta dall’organizzazione sociale stessa. Tale definizione non giustifica tuttavia l’assenza di carnefici, quasi come se si volesse attribuire ogni responsabilità all’astratto paradigma sociale vigente. Al contrario, come chiarisce l’avvocato Montalto, “il responsabile della morte di Stefano è lo Stato”, rivelatosi incapace di custodire un cittadino nel momento in cui questo viene posto sotto la sua tutela. Ma la verità, così evidente agli occhi di tutti e contestualmente tanto celata, è stata confessata solo lo scorso 11 ottobre, dopo nove anni  di estenuante lotta condotta dalla famiglia Cucchi, a cui non sono state risparmiate pesanti critiche, insulti, diffamazioni. È stato il carabiniere Francesco Tedesco a confessare quanto accaduto la notte del 15 ottobre nella caserma di Roma Casilina, dove Stefano era stato condotto immediatamente dopo l’arresto. Il pestaggio è avvenuto ad opera dei carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, imputati insieme a Tedesco per omicidio preterintenzionale. Il contenuto della deposizione, spaventosamente agghiacciante nella sua veridicità, è stato letto dalla docente Paola Di Mauro:

«Allora D’Alessandro diede un forte calcio a Cucchi con la punta del piede all’altezza dell’ano. Cucchi prima iniziò a perdere l’equilibrio per il calcio di D’Alessandro, poi ci fu una spinta di Di Bernardo in senso contrario, che lo fece cadere violentemente sul bacino. […] Io spinsi via Di Bernardo, ma prima che potessi intervenire D’Alessandro colpì Cucchi con un calcio in faccia (o in testa) mentre era sdraiato in terra».

La sorella di Stefano, Ilaria Cucchi, che non sarebbe eccessivo definire l’Antigone dei tempi moderni, ha definito questa testimonianza il tassello mancante in grado di sgretolare quel muro di indifferenza costruito fino a quel momento dagli assassini di Stefano. Il film di Alessio Cremonini sembra conferire ancor più vigore a quel vento distruttivo che sta irruentemente intaccando questa fortificazione di omertà. Tale possibilità è offerta dalla spiazzante ma veritiera brutalità che caratterizza la pellicola definita da un esponente dell’Associazione Stefano Cucchi Onlus “vera, basata interamente sugli atti processuali”, ma soprattutto in grado di far emergere “la solitudine e la paura provate da Stefano e, dall’altro lato, l’indifferenza altrui”.

Questo film turba lo spettatore, lo destabilizza totalmente, lo colpisce con la stessa violenza usata contro Stefano. Durante la visione è impossibile non avvertire su di sé la crudeltà delle botte, l’impassibilità degli sguardi, la pressoché costante assenza di cura nei confronti di un essere umano privato della propria dignità. È impossibile, cioè, non avvertire sulla propria pelle ciò che Stefano ha provato e subito in ben sei giorni di agonia, condensati negli intensissimi 200 minuti che Alessio Cremonini e Alessandro Borghi ci regalano. Ma la sensazione di ossa rotte, la rabbia mista ad impotenza e il senso di colpa non devono sparire immediatamente dopo la visione del film, come si disperdessero nuovamente in quell’usuale noncuranza quotidiana. È necessario ricordare che, purtroppo, questo film è la trasposizione cinematografica di una triste realtà. È necessario assumere su di sé la consapevolezza che la pelle di Stefano è anche la nostra pelle, che la sua morte è la morte di ognuno di noi, che il lutto della famiglia Cucchi è un nostro lutto. Ogni singolo spettatore non può fare altro che provare la dovuta indignazione nel constatare che Stefano, ancor prima che dalle botte, è stato ucciso dall’omertà, da quel devastante silenzio avente in sé la carica distruttiva di un esplosione. È evidente allora che questo tragico epilogo non è stato conseguenza di eventi casuali o di giustificabile superficialità, bensì della volontà di rimanere sordi e mostrarsi cechi dinnanzi all’animalesco esercizio della violenza. Perché anche di essere indifferenti si è sempre pienamente responsabili.

©GIULIAGRECO per UniVersoMe – 2018

Giusy Mantarro

Il rumore dei tuoi passi: un libro che rapisce

Dicono che ogni libro contribuisce a renderci persone migliori, a cambiare una parte di noi, a cambiare il modo di intendere e vivere la vita. Dicono che ci sono libri che rimangono per sempre dentro di te. Questo è quello che mi è successo leggendo Il rumore dei tuoi passi di Valentina D’Urbano uscito nel 2012.

Casualmente un giorno ho letto questo libro, non mio tra l’altro, solo perché mi stavo annoiando a dir la verità. Ma è bastata la prima pagina per catapultarmi nel mondo di Beatrice e Alfredo, o come tutti li chiamavano, i “gemelli”. I due però non hanno il sangue in comune, ma bensì qualcosa di più importante: l’amicizia, l’amore, l’odio e la morte.

La storia viene raccontata dal punto di vista di Beatrice, ma per non farci mancare niente Valentina D’Urbano ha scritto anche un secondo libro intitolato “Alfredo” che racconta la stessa storia ma dal punto di vista di Alfredo.

Il luogo in cui si svolge questa storia, che non si può assolutamente solo definire d’amore, non è ben specificato. Da chi ci vive viene chiamato “fortezza”, ma non è altro che un quartiere pieno di case fatiscenti occupate abusivamente da nullatenenti che si sono ritrovati senza lavoro e speranze per il futuro. Beatrice è una di questi, che, nella povertà, è comunque fortunata ad avere dei genitori che la amano e cercano di occuparsi al meglio di lei. Alfredo invece non ha la stessa fortuna. Orfano di madre, si ritrova a vivere con un padre che non fa altro che maltrattare moralmente e fisicamente lui e i suoi fratelli. Ma è proprio in questa triste situazione che i due si incontrano sin da piccoli legando il loro destino in modo indissolubile.

La particolarità di questo racconto è il passaggio continuo tra passato e presente. La storia non è scontata, non mancano i colpi di scena e, le emozioni che provano i protagonisti, vengono trasmesse attraverso le parole forti e dettagliate della scrittrice che riesce ad arrivare fino alla parte più profonda dei nostri sentimenti e della nostra sensibilità. Ammetto infatti di aver pianto leggendo questo libro.

Quindi se volete fuggire per un attimo dalla realtà, se volete provare emozioni forti e se volete conoscere una storia diversa da ciò che siamo abituati, leggete questo libro e perdetevi nella sua bellezza. Vi sorprenderà.

 

Sara Cavallaro