Chi siamo “Mentre nessuno guarda”?

È ad occhi chiusi che spesso succedono le cose migliori. La costruzione di un mondo interiore segue come unica regola quella secondo cui sei tu il conducente. Non esiste alcun mezzo o pensiero sbagliato per poter raggiungere la tua meta: l’unico vero errore è quello per cui ci priviamo di provare emozioni.

Esisti tu, il tuo mondo e ciò che desideri. Ed è così che un attimo dopo ti ci ritrovi proprio lì e pensi sia tutto così reale. Questo somiglia molto a quello che succede quando ascolti musica e ti immedesimi in un testo. Non importa quanto tu sia stanco o triste, energico o felice: ti lasci accompagnare da un flusso di emozioni che ti trascinano nell’esatto punto in cui vorresti essere.

Per oggi proviamo a chiudere gli occhi e , “mentre nessuno guarda”,  indossiamo le cuffiette per farci trasportare dal nostro nuovo compagno di viaggio: Mecna, classe 1987, rapper e cantautore italiano.

Mecna. Fonte: webl0g.net

Tra Demoni e Punti Deboli, sai già dove colpire

Mentre Nessuno Guarda è il suo quinto album, pubblicato il 16 ottobre 2020 per Virgin Records/Universal Music Italia. Uscito a meno di un anno di distanza da Neverland. All’interno troviamo 14 brani con diverse collaborazioni musicali.

La prima traccia che segna l’apertura dell’album è Demoni. Una penna leggera, intima, per alcuni versi anche provocatoria. Ma spesso chi provoca non vuole infastidire, ma solo riuscire nel suo intento di spronare l’altro.

Prenditi il tempo che serve, io starò qui
A bruciare con i miei demoni
Non c’è bisogno che torni da me
Sai che è facile a dirsi
Ma qui niente è come lo voglio io

Con le palpebre serrate, sembra che il mondo interiore si sgretoli ogni volta che i demoni entrano a far parte del tuo gioco.
E se il demone fosse proprio una persona? E se il suo veleno provenisse proprio da un sentimento marcito?
Tutto assume un altro sapore e l’atmosfera non è più piacevole perché dietro uno sguardo sembra celarsi qualche fiamma che sai non si spegnerà facilmente.

È semplice intuire che il brano successivo sia proprio Punto debole. Un feat con Guè Pequeno che sembra richiamare la trama del precedente. Il rapper in questione non ha mai negato la sua vita fatta di eccessi, tra droghe, donne e notti fino all’alba. Nel bene e nel male si mostra però sempre autentico, soprattutto quando scrive.

Ma quando l’amore colpisce, lo fa senza guardare in faccia nessuno e anche il più duro si scioglie dentro l’abbraccio della persona che sente di amare.

Ma per te resto astratto, Kandinskij
E vuoi addomesticarmi perché t’impaurisci

Kandinskij è stato il maggiore esponente della pittura astratta. Guè afferma di essere sfuggente, astratto e controverso, mentre dall’altra parte qualcuno minaccia di volerlo cambiare. Ma il cambiamento spesso è frutto di eperienze diverse e decisioni intime, lontane da qualsiasi forma di manipolazione che, al contrario, allontana e rende deleterio qualsiasi rapporto.

Opera di Kandinskij. Fonte: wassily-kandinsky.org

Ombre nello specchio

Capita di sentirsi Così Forte a tal punto da pensare di riuscire a stare

 … in equilibro sopra un filo che si spezza prima o poi
Ma se hai paura nel vuoto non ti ci metti proprio

E nonostante la consapevolezza di crolli emotivi, sai che spesso non c’è nessuno a reggerti, ma succede anche il contrario: che mentre cadi ti godi il panorama e conosci esattamente il giusto modo per atterrare. La scena in questione è la sintesi di quei momenti in cui capisci che hai imparato a cavartela puntando solo sulle tue forze e di riuscire, in qualche modo, ad amare l’asfalto prima ancora di planare in alto.

In Paura di Me, Mecna si domanda se sia davvero possibile far accadere qualcosa di importante in un secondo. Seppur la risposta non sia molto chiara, noi sappiamo come, al di là delle tempistiche, l’istinto giochi un ruolo fondamentale: basta un secondo per mischiare le carte e vincere una partita che non avresti mai pensato fosse tua.

Prendo una strada che non so dove mi porta
Mille domande senza neanche una risposta
Sembra strano, ma è come un viaggio e sono solo
Non so dove sei e dove sono

 

Mecna. Fonte: Rolling Stone

Ma in questo viaggio – per ora- mentale, pare ci sia l’eco di voci ormai lontane che vanno a comporre il testo di una canzone maledetta. Tra le righe la speranza di farcela e la dannazione.

Esistono davvero stati d’animo universali da indossare per ogni situazione?La risposta la ritroviamo in Non mi Va/Con Te

Ogni cosa ha il suo tempo
Ogni scelta ha il suo costo finché siamo convinti di quello che siamo
Può darsi che possiamo cambiare idea

È chiaro, condividere qualcosa richiede prima di tutto desiderio e cura da parte di entrambi, Mecna lo sa bene.

Se tu non fossi venuta a salvarmi non avrei capito niente di me

È qui che vediamo emergere il lato dolce che scaccia via le diverse dosi d’ansia e paure ossessive. Sembra che proprio alla fine della canzone, quei demoni di cui parlava nei testi precedenti siano diventati suoi amici: disturbano, dissanguano, ma permettono qualsiasi tipo di difesa nonostante sappiamo bene in quale posto abitino.

Non è la fine

Sei ancora a bordo? Quello che abbiamo intrapreso è stato un brevissimo viaggio nell’album Mentre Nessuno Guarda di Mecna. Forse ascoltandolo ti renderai conto di non essere poi così diverso da lui e inizierai a sentirti vicino al suo mondo: fragile ma schietto, pieno ma mai completo perché ogni volta aggiunge qualcosa in più senza togliere nulla di ciò che è già dentro.

Spesso, quando si parla di un cantante, si pensa sia necessario sviluppare una lunga lista di aneddoti biografici o varie curiosità. Ma anime come noi hanno bisogno di assaporare alcuni silenzi e sentire, invece, nello stomaco, alcune parole, al di là della storia di chi scrive.

Mecna  fuori dai suoi testi è un uomo, come tutti gli altri: attualmente vive a Milano, si è laureato con lode allo IED (Istituto Europeo di Design) di Roma e realizza diverse collaborazioni musicali, sempre raccontandosi nell’intimo.

Annina Monteleone

 

 

 

 

 

 

Atlas: la vita come un’arrampicata

Il tocco mai banale del regista e l’interpretazione magistrale della De Angelis in uno dei drammi più interessanti di quest’anno – Voto UVM: 5/5

Atlas, del regista Niccolò Castelli, racconta la storia della protagonista Allegra, interpretata magistralmente da una Matilda De Angelis  in una delle sue migliori prove drammatiche, giustamente premiata come Miglior Attrice al Taormima Film Festival.

Niccolò Castelli e Matilda De Angelis al Taormina Film Fest

La montagna di Allegra

Le vicende prendono luogo sulle Alpi e seguono, ispirandosi liberamente, una storia realmente accaduta. Un gruppo di giovani ragazzi appassionati d’arrampicata decide di cimentarsi in una sfida: scalare le montagne della catena dell’Atlante in Marocco, volendo ambire a qualcosa di più rispetto alle montagne che sono abituati a scalare tra Svizzera ed Italia. Arrivati in cima i ragazzi si fanno promessa di provare nuove esperienze, cercando nuove vette da scalare, dando prova così di grande forza d’animo e vitalità.

A questo punto però, il film non segue più le loro vicende e veniamo spostati su un piano diametralmente opposto: ritroviamo la protagonista completamente sconvolta da quello che capiamo essere stato un evento tragico avvenuto in Marocco, comprendiamo quindi che il suo viaggio non è andato a finire nel migliore dei modi e che soprattutto i suoi compagni non sono tornati a casa assieme a lei.

Matilda De Angelis nei panni di Allegra. Fonte: iodonna.it

E’ qui che la pellicola comincia a mostrarci il suo vero volto, mettendo in mostra gli stati d’animo di Allegra, facendoci entrare davvero in sintonia con la protagonista e ritraendo quella che può essere una psiche spezzata: Allegra non parla più con i genitori, non cerca nuovi contatti e quelli vecchi non riescono più a darle nessuno stimolo che la porti con la mente lontano dalla sua continua sofferenza.

L’occhio del regista sulle emozioni

Tutto il lavoro sulla pellicola serve di fatto a farci avvicinare a lei: il lavoro metodico del regista, che riesce benissimo a puntare l’obiettivo mettendo in risalto sia la protagonista che ciò che le sta attorno. La maniera confusa in cui vive ciò che ha intorno a sé, così come il suo dramma interiore, che vediamo messo in risalto da frequenti primi piani sull’attrice (autrice anch’essa di una grande prova), sono la dimostrazione di un lavoro consapevole da parte di Castelli, che non ha creato qualcosa di banale – come invece poteva accadere dato il soggetto – ma anzi è riuscito a costruire una storia con delle inquadrature che non sbagliano quasi mai e lavorano in simbiosi con De Angelis mentre percorre la strada di Allegra.

I vari passi che la portano ad affrontare i suoi traumi vengono sanciti da un’alternarsi di ricordi con la vita odierna: vediamo quindi il passato per come viene affrontato da Allegra, andando a scavare sempre più a fondo mano a mano che si va avanti nella pellicola e le emozioni vengono sempre di più a galla.

L’obbiettivo del film è qui chiaro: raccontare di una risalita umana, in una maniera che, con tatto, renda anche giustizia a quella che è stata una tragedia vera, vissuta da persone vere.

Allegra e Arad. Fonte: cinemany.ch

C’è infine il lavoro dell’intero cast che va a interpretare i personaggi secondari, anch’essi colpiti a fondo dallo stesso dramma. Uno dei personaggi che hanno maggior risalto è quello di Arad, interpretato da Helmi Dridi,  che si rivelerà un incontro centrale per Allegra: il loro rapporto, complicato all’inizio, diverrà il punto di svolta nella storia della protagonista e il momento in cui anche noi spettatori scopriamo tutti i suoi traumi mentre Allegra li affronta, dopo aver tenuto dentro di sé il dolore e la rabbia della perdita.

Verdetto

Il film, per concludere, riesce quasi perfettamente nel suo intento, con l’unica pecca di non aver forse dato abbastanza risalto ai personaggi secondari. Sbaglio comunque perdonabile in quello che risulta essere uno dei drammi più interessanti di quest’anno, nonché una delle migliori prove attoriali che ci auguriamo possa essere un’ulteriore vetrina per il talento di Matilda De Angelis

Matteo Mangano

Taormina Film Fest: La Signora delle rose

Alla quinta serata del Taormina Film Fest , viene presentato La signora delle rose ( La fine fleur), diretto da Pierre Pinaud e con Catherine Frot nei panni della protagonista; i due sono, oltretutto, anche intervenuti sul palco prima della proiezione. Questa pellicola francese, ad ogni modo, non era in concorso.

Le redattrici di UniVersoMe con l’attrice protagonista Catherine Frot al Taormina Film Fest

Trama

La Signora delle rose narra le vicende di Eve Vernet (Caterine Frot), proprietaria di una piccola azienda che produce rose, lasciatagli dal padre; questa però si trova in grave difficoltà economica per via dell’accanita concorrenza della imponente impresa avversaria di Lamarzelle (Vincent Dedienne). Quest’ultimo, infatti, ha una visione anche molto diversa rispetto a Eve: vede la coltivazione delle rose solo come un’industria. Vera (Olivia Cote), unica fedele dipendente e aiutante di Eve, assume tre lavoratori in reinserimento sociale, Fred (Melan Omerta), Samir(Fatsah Bouyahmed)e Nadège (Marie Petiot), senza nessuna conoscenza agricola.  Sarà Eve, all’inizio molto contraria e titubante, ad istruirli sul processo di coltivazione delle rose.  Speciale sarà anche il legame che si creerà tra la protagonista ed uno di questi, Fred, giovane problematico che cerca di riallacciare i rapporti con i genitori che lo respingono. Grazie ad Eve, non solo troverà una nuova famiglia da cui sarà amato e apprezzato, ma scoprirà un suo nuovo e speciale talento.

Personaggi

Eve con i suoi tre apprendisti – Fonte: ciakmagazine.it

Eve, la “Signora delle rose”, è una donna molto forte e determinata; a tratti potrebbe apparire anche troppo testarda e ferma nella sua idea di mantenere l’azienda indipendente a tutti i costi. Commovente è – come abbiamo già detto –  il rapporto che si instaura con Fred: entrambi sono solitari, senza una famiglia e così Eve diverrà come una madre per lui, lo accoglierà in casa sua e lo porterà a credere in sé stesso e nel suo talento innato. L’attrice, già molto apprezzata in Italia ne La cuoca del presidente, porta sul grande schermo un’interpretazione autentica.

Non meno rilevante è il personaggio di Fred: ragazzo con un passato costellato di rapine e altri crimini vari, è molto chiuso ed ha difficoltà a legare con gli altri all’inizio. L’attore, come anche l’attrice che interpreta Nadège, è un esordiente, scelto appositamente dal regista per una performance la più realistica possibile: dopo tutto anche Fred nel film si trova a dover imparare qualcosa di nuovo!

Curiosità sul film

La proiezione del film al teatro antico di Taormina è stata senza alcun dubbio suggestiva ed interessante, sia naturalmente per la particolare location, sia – a mio parere – per la scelta di mantenere la lingua originale: questo ha contribuito a proteggere l’individualità culturale e artistica del film. Ovviamente, per agevolare la visione al pubblico che non comprende il francese, sono stati aggiunti i sottotitoli.

Un’altra caratteristica che ha reso questa pellicola così piacevole da vedere è la cura data alle inquadrature in molte scene. In particolare, quando Eve si trova nei suoi campi di rose, si assiste a delle riprese simili a dipinti.

Come in un dipinto impressionista. © Ilaria Denaro

Un film che ti lascia un sorriso

La signora delle rose racchiude in sé molti elementi tipici della commedia francese: una certa leggerezza e un umorismo sottile. L’intreccio è molto lineare e semplice, il che rende la pellicola piacevole da seguire; si possono intravedere anche tematiche sociali racchiuse nella storia di personaggi come Fred, ma senza andare a disturbare la leggerezza del film.

La signora delle rose è il genere di film che alla fine potrà non lasciare un messaggio o una morale, ma donerà allo spettatore un senso di tranquillità e – perché no – anche un sorriso.

Ilaria Denaro

 

Ma vissero davvero felici e contenti? Ecco Honeymood, candidato al 67esimo Festival del Cinema di Taormina

Il film non è ambizioso e non mira a raggiungere vette, ma rimane piuttosto godibile pur nella sua semplicità – Voto UVM: 3/5

Le fiabe ci hanno insegnato sin da bambini a credere nel lieto fine, quel momento in cui i problemi dei protagonisti innamorati si risolvono quasi per magia e possono finalmente convolare a nozze lasciandosi dietro il tormentato passato. Ma è proprio così? E se dopo il lieto fine ci fossero altri problemi?

Honeymood (2020), commedia romantica targata Spiro Films e diretta dall’israeliana Talya Lavie, si chiede proprio questo. La pellicola – che, tra l’altro, è in concorso al 67esimo Taormina Film Festival – racconta l’odissea vissuta da due neosposi: Eleanor (Avigail Harari) e Noam (Ran Danker). Ma nel loro piccolo universo, che si apre in una stanza d’albergo, si staglieranno molto presto numerose altre figure pronte a metterli alla prova. Ed allora la prima notte di nozze si trasformerà in una missione: riconsegnare un anello alla misteriosa ex dello sposo. Lo sfondo è quello della città di Gerusalemme, di notte, e delle strade in penombra che contribuiscono a realizzare l’intento della regista di presentare una Gerusalemme romantica, prima ancora che città sacra.

L’occhio fedele della telecamera ci renderà partecipi delle loro peripezie senza lasciarli nemmeno per un secondo, anzi, per giunta seguendoli stando loro alcuni passi dietro. Effettivamente, la sensazione che lascia questo film è proprio quello di non riuscire a stare dietro all’imponente climax di eventi presentati dalla trama: non appena si pensa di aver sfiorato il ridicolo, ecco che si sprofonda ancor di più.

Ciò si deve all’impronta umoristica che la Lavie ha voluto dare, assieme ad un tocco di nonsense che in una commedia non fa mai troppo male. Un’opera che se la gioca ben bene dal punto di vista della regia (la regista ha studiato cinematografia a Gerusalemme negli anni della giovinezza), ma che lascia un po’ a desiderare circa la scrittura – specialmente quella dei personaggi. La stessa ha ammesso, durante una conferenza stampa tenuta a Taormina, che il film non intende essere prettamente realistico.

I protagonisti Eleanor (Havigail Harari) e Noam (Ran Danker) – Fonte: asianmoviepulse.com

I personaggi

Il vero cuore della pellicola non è caratterizzato né dalla trama né dalla regia: sono i personaggi. È proprio per questo che una maggiore cura dei loro profili psicologici avrebbe, magari, reso il film ancor più godibile. Ma andiamo per ordine.

Eleanor (Avigail Harari) è la protagonista in assoluto. Frenetica, eccessivamente attiva, un’anima drammatica con molti difetti (non pecca di capacità manipolative) ma che, per qualche motivo, piace a tutti quelli che incontra. Soprattutto alle guardie di Netanyahu. La prima impressione che se ne potrebbe avere è quella di una Jess di New Girl. Il suo tratto distintivo è l’essere tremendamente capricciosa, cosa che fa infuriare il marito ma che, allo stesso tempo, la rende adorabile agli occhi di lui. Oltre ad essere infantile, Eleanor si dimostra anche molto ingenua nei confronti degli altri, tendendo a non distinguere le buone intenzioni da quelle cattive.

Noam (Ran Danker) è il classico tipo privo di energia la cui anima gemella è – quasi per caso – una persona con fin troppa energia. Anche lui è un personaggio che presenta moltissimi difetti: dall’essere irascibile al dipendere ancora dai genitori pur essendo in età adulta; dall’incapacità di opporsi alle prevaricazioni della gente all’inettitudine nei confronti della moglie. Anche quando sembra che il personaggio ottenga finalmente un’evoluzione, si finisce per tornare nei medesimi schemi: ne viene fuori che la sua era solo una ribellione verso i genitori.

Vi sono poi un ex ragazzo, un’ex ragazza, varie guardie dell’esercito, un gruppetto di ragazzetti ingrati, un’infermiera, i genitori dello sposo e tutta una galassia costruita attorno alle due stelle polari. La regista ha rivelato di essersi immedesimata in entrambi al momento della costruzione della storia: prima nella sposa, poi una nuova riscrittura dal punto di vista dello sposo. Un tratto che accomuna i due – si può dire – è quello di essere l’una l’opposto dell’altro e ciò ne scatena un’incredibile chimica, resa anche grazie al talento degli interpreti.

Eleanor e Noam in una scena del film – Fonte: flipscreened.com

Il cinema israeliano al TAO Film Fest

Il cinema israeliano è ancora un astro in ascesa che inizia a dare i suoi frutti, ma che si prospetta senza dubbio promettente. L’opera in questione è un prodotto italo-israeliano, difatti l’italiana Marika Stocchi è stata scelta come coproduttrice ed il contributo italiano si è avuto anche in postproduzione, colore e mixing (realizzati nei laboratori di Roma prima della pandemia).

Al festival di Taormina la regista ed Elisha Banai (Michael, ex ragazzo di Eleanor) si sono presentati con profilo basso e grande ottimismo, ritenendosi onorati di aver avuto l’occasione di proiettare la propria pellicola. All’attore è stata poi posta una domanda riguardante il tema del matrimonio a cui ha risposto – in pieno stile Honeymood – con un secco: «Non saprei, al momento sto divorziando».

Valeria Bonaccorso

Rino Gaetano: piccole istantanee di un cantautore anarchico

A 40 anni dalla sua morte, il cantautore calabrese Rino Gaetano viene celebrato con Istantanee e tabù: una prestigiosa collezione realizzata in collaborazione con la figlia Anna e il nipote Alessandro Gaetano.

La tracklist ricostruisce un percorso musicale ponderato delle canzoni più rappresentative estratte dai sei album in studio (Ingresso libero; Mio fratello è figlio unico; Aida; Nuntereggae più; Resta vile maschio, dove vai?; E io ci sto) pubblicati da Rino Gaetano nella sua breve ma intensa carriera.

La collezione è inoltre impreziosita da materiale tratto da nastri emersi nel tempo: troviamo l’inedito Io con lei, oltre a demo mai pubblicate prima e versioni originali di sue canzoni (che qui differiscono per testo o arrangiamento). Sono piccole istantanee immortalate nel tempo, a testimoniare il talento ingiustamente poco considerato in vita del nostro cantastorie metropolitano per eccellenza.

Le intime istantanee di Rino

Dopo tutto questo tempo i suoi testi riecheggiano fra le urla della gente, le sue parole vengono cantate a squarciagola dai giovani ai falò.

Rino, l’esule del Sud che col suo stile graffiante, ironico e tagliente affrontava la società, la politica, puntava il dito senza paura, senza nascondersi dietro alcuna maschera. Un artista che non ha mai avuto maestri e che non ha mai fatto parte di correnti già precostituite. Era lui stesso l’onda di una nuova corrente della musica italiana. Negli anni ’70 la canzone d’autore era politicamente impegnata, e Rino, col suo sguardo sensibile e a tratti disincantato, ha affrontato gran parte delle problematiche sociali.

Ne è un esempio la canzone Agapito Malteni il ferroviere, in cui l’autore racconta la storia di un ferroviere che ha negli occhi il dramma dell’emigrazione: intere famiglie che lasciano le proprie case per trovare fortuna in altri Paesi.

La gente che abbandona
spesso il suo paesello
lasciando la sua falce
in cambio di un martello
È gente che ricorda
nel suo cuore errante
il misero guadagno di un bracciante

La canzone fa parte del suo primo album, praticamente ignorato: Ingresso libero (1974). Un album sospeso fra un folk solare di acustiche e testi malinconici.

A questo seguirà Mio fratello è figlio unico (1976), un LP che si basa proprio sul concetto dell’emarginato e dell’escluso:

Penso al cane, chi meglio del cane può incarnare la solitudine per eccellenza? Noi siamo come il cane, e cioè abbastanza avulsi dall’incontro umano, abbastanza soli, messi da parte. (Rino Gaetano ad “Adesso Musica” nel ‘76)

Da Aida a Gianna: Donne simbolo di libertà

Sono gli anni di Fantozzi, degli impiegati poveri e arrivisti quelli che ritroviamo nella titletrack dell’album: una ballata idealistica di emarginazione e denuncia sociale.

Nella tracklist c’è anche la famosa Berta filava, che nel suo testo ha un significato radicato nella politica degli anni ’70. C’è chi ha visto in Berta Bert il soprannome di Robert E. Gross, il fondatore della Lockheed, al centro di un grosso giro di tangenti internazionali. E c’è chi invece ha puntato il dito su Aldo Moro che tramava alleanze con i partiti d’opposizione.

Nel 1977 esce Aida, album contenente l’omonima canzone con cui Rino si proponeva di raccontare la storia dell’Italia del ‘900 associandola alla vita di una donna meravigliosa, la sua Aida (riferimento all’opera del compositore italiano Giuseppe Verdi). L’Italia, ovvero la donna che sfogliava i suoi ricordi”; ritrova “il gran conflitto”, “marce e svastiche”, “la povertà, i salari bassi”. Ma è proprio per questa sua storia che nel ritornello, l’autore si fa portavoce del popolo nel dire “Aida, come sei bella”!

Ma Aida non è la sola Donna presente nella discografia di Rino. A distanza di un anno infatti cede il testimone ad una lei altrettanto importante: Gianna. A differenza dalla precedente si presenta come una filastrocca pop, colorata da una satira sociale e da un’ironia esibizionistica (come quella che porterà al Festival di Sanremo) che segneranno il percorso artistico dell’autore: da outsider per pochi a cantautore più “pop”. La sua Gianna gli farà ottenere il terzo posto alla kermesse musicale con un grande successo di vendite. Successo che purtroppo Gaetano vivrà tutt’altro che bene.

L’inizio della crisi

A 28 anni e in piena crisi, pubblica Resta vile maschio, dove vai? (1979) considerato il semi-flop della sua carriera per la presenza di tematiche trite e ritrite, cantate da un Rino Gaetano ormai “stanco” e “distante”.

Nel 1980 esce il suo ultimo disco E io ci sto. L’artista aveva ritrovato la giusta rotta, e con occhi diversi era tornato a raccontare le sue storie, come solo lui sapeva fare.

Mi alzo al mattino con una nuova illusione
Prendo il 109 per la rivoluzione
E sono soddisfatto un poco saggio un poco matto
Penso che fra vent’anni finiranno i miei affanni

ilsussidiario.net

Istantanee e tabù è proprio un viaggio attraverso tutta la discografia dell’autore. Da Ingresso libero ad E io ci sto, fra successi e insuccessi; per provare a ricordare “l’irriverente menestrello” della musica italiana come forse anche lui avrebbe voluto: cantando le sue canzoni!

Sento che, in futuro, le mie canzoni saranno cantate dalle prossime generazioni! Che, grazie alla comunicazione di massa, capiranno cosa voglio dire questa sera! Capiranno e apriranno gli occhi, anziché averli pieni di sale!

Domenico Leonello

Sfacciato e ribelle: BLANCO

Blanco, giovane artista della Universal Music, classe 2003, definito da Billboard Italia “sfacciato, ruvido, irriverente” sta conquistando le classifiche delle principali piattaforme musicali. In meno di un mese è riuscito a superare le 130 mila visualizzazioni su Youtube, diventando virale anche su Spotify, con Notti in Bianco.

Da SoundCloud al suo primo singolo ufficiale Belladonna (Adieu), sperimenta nuovi sound che lo porteranno successivamente al pieno avvio della sua carriera musicale con La Canzone Nostra di Mace.

A metà tra raccontare il suo modo di vedere ciò che lo circonda e creare il proprio equilibrio interiore, in un’intervista rilasciata non molto tempo fa, Blanco ci dice

Ci sono casi in cui scrivere mi fa stare bene perché mi aiuta a tirare fuori quello che a voce non riuscivo a dire.

Blanco, Classe 2003. Fonte: Genius

Notti in bianco

A poco più di un mese dall’esordio di Belladonna (Adieu) in cui Blanco riflette sui rapporti malati e ossessivi in amore, tradotti in una scrittura d’impulso e un sound deciso, è ora la volta di Notti in bianco in cui racconta una storia durata 92 notti trascorsi a scrivere testi dedicati ad una ragazza.

Ancora qua, in camera, a scrivere fino all’alba

Ed è proprio così che Blanco si affaccia al mondo della scrittura: per caso – racconta su bellacanzone.it – scrivendo un brano da dedicare ad una ragazza.
In Notti in bianco, la sua musica sembra andare oltre il rap avvicinarsi molto di più al punk in un contrasto ribelle, esagerato e irrazionale. Quella raccontata nel suo testo è una storia d’amore che sembra quasi indelebile, da raccontare, urlare, esorcizzare in pochi minuti.

Sopra quel balcone ci ho passato l’estate, eh
E ho strappato mille pagine

La stessa storia che lo fa sentire spaesato, senza riferimenti ma con un bagaglio di sensazioni da cantare senza mezzi termini e senza seguire una logica ben precisa.

Capita a tutti di voler dire qualcosa, non trovare le parole giuste ma comunque provarci senza far testo. Se il messaggio arriva, diretto o meno, non è importante. L’importante è inviarlo.

Notti in Bianco. Fonte: eclecticmusic.it

LA CANZONE NOSTRA – Mace, Blanco, Salmo

Chi ha amato e perso una persona, sa esattamente cosa significhi vivere l’assenza di qualcuno. Tra frustrazione, bottiglie di whisky e mille tentativi per correre via lontano da quella situazione, il tempo sembra essere l’unico a decidere. Se è vero che il destino ha la chiave, allora è anche vero che bisogna tentare tutte le chiavi del mazzo prima di capire che la serratura non si aprirà subito.

“E sono in bilico fra impazzire e morire”

Stati d’animo di questo genere non sono mai semplici da gestire. È normale desiderare l’equilibrio quando stai per cadere.

Quando senti che è la fine
ciò che unisce è più sottile

Capita spesso di aver bisogno di una mappa per affrontare il simbolico viaggio dentro e fuori di noi. Qualcosa, un dispositivo, un foglio, che ci indichi con precisione l’esatto punto in cui ci troviamo, gli spostamenti e la via d’uscita. Tra un’immaginaria segnaletica e un passante troppo distratto, scatta qualcosa e il mondo comune si sbriciola lasciando spazio ad una specie di terremoto emotivo.

“Diventa una gara ma in stato di ebrezza”

Alcune cose accadono semplicemente perché devono accadere, volute o no, scelte o no.

La Canzone Nostra/ Blanco,Salmo,Mace. Fonte: instrumentalst.com

MI FAI IMPAZZIRE – Blanco, Sfera

“Anche se mi fai male, senza non ci so stare”

«La prossima è tosta», tempo fa esordirono così su Instagram Blanco e Sfera, lasciando intuire ai propri fan un nuovo progetto. Poco dopo la conferma: ufficializzata la collaborazione, Mi fai impazzire è fuori un’ora dopo, dalla mezzanotte del 18 Giugno. Prodotta da Michelangelo e Greg Willen, dal sound caldo e pronta a sfondare le classifiche estive, è ora disponibile su Spotify e Youtube.

Ho i tuoi baci sul collo, sono come ferite
tu mi sai fare male, sì, tu mi fai impazzire
Ma se non ci sei attorno, qua mi va tutto storto

Quello a cui assistiamo è uno scontro tra due mondi opposti: la fama ormai constatata di Sfera e il modo di fare ancora grezzo ma spontaneo di Blanco.
Il testo sembra raccontare una relazione fatta di scontri, porte in faccia e mille litigi che si celano dietro un ennesimo ritorno. Racconta la tenacia di chi sa che nonostante i mille conflitti continuerà a sbattere la testa contro lo stesso muro ancora una volta.

Quante volte hai detto: “Stase’ è meglio se te ne vai”
perché sapevi che non me ne sarei andato mai

Perché in fondo, lo sappiamo tutti, ci sono storie che ci hanno fatto impazzire, fatto stare male, ma nonostante tutto sono state belle da morire.  

Annina Monteleone

Pride month con UVM: Chiamami col tuo nome

Storia commovente e interpretazione notevole da parte degli attori, ma il film non raggiunge i livelli del libro – Voto UVM: 4/5

Come ormai quasi tutti sappiamo, giugno è il Pride Month. Noi di Universome vogliamo celebrarlo attraverso una delle storie d’amore moderne più note: stiamo parlando di Chiamami col tuo nome! Uscito nelle sale nel 2017, il film diretto da Luca Guadagnino è un adattamento cinematografico dell’omonimo libro pubblicato da André Aciman nel 2007.

Il film

Chiamami col tuo nome e io ti chiamerò col mio (Oliver)

Chiamami col tuo nome è stato acclamato dalla critica cinematografica: ha vinto diversi premi tra cui anche l’Oscar per la miglior sceneggiatura non originale a James Ivory.

Ma ciò che rende la pellicola così unica e coinvolgente è la perfetta interpretazione dei due protagonisti Elio e Oliver da parte degli attori Timothée Chalamet (anche candidato per l’Oscar come miglior attore protagonista) ed Armie Hammer. I due riescono a identificarsi a pieno con i personaggi descritti nel libro, che in questo modo viene riadattato nella maniera più fedele possibile.

Elio ed Oliver in una scena del film –  Fonte: cinematographe.it

In ogni caso non è neanche da sottovalutare la cura di tutti i particolari, specialmente i luoghi e gli ambienti in cui il film è stato girato: questi, infatti, creano un’atmosfera quasi surreale.

Il film (come anche l’omonimo libro) racconta il legame speciale che si viene a creare tra Elio, ragazzo molto introverso di diciassette anni, figlio di un importane professore di archeologia, e Oliver, studente bello e affascinante di ventiquattro anni, durante l’estate nelle campagne del nord Italia. Inizialmente il rapporto tra i due è molto freddo e distaccato, ma passando molto tempo insieme i due si avvicinano sempre di più, fino a creare una relazione passionale inscindibile.

I personaggi

Il protagonista Elio (Timothée Chalamet)- Fonte: mymovies.it

Elio è diverso dai ragazzi della sua età: trascorre i mesi estivi a suonare il piano, leggere e nuotare. E’ molto solitario, l’unica persona a cui appare molto legato è Marzia, ragazza segretamente innamorata di lui.

Oliver, invece, è diverso da Elio tanto fisicamente quanto caratterialmente: attraente e sicuro di sé, inizialmente appare agli occhi di Elio arrogante e menefreghista con i suoi “dopo”. Solo in un secondo momento questa si mostrerà essere solo una corazza che nasconde una persona totalmente differente.

 Strappiamo via così tanto di noi per guarire in fretta dalle ferite, che finiamo in bancarotta già a trent’anni e abbiamo meno da offrire ogni volta che troviamo una persona nuova. Ma forzarsi a non provare niente per non provare qualcosa, che spreco! (Samuel Perlman)

Un altro personaggio che a mio parere spicca soprattutto alla fine del film (non vi preoccupate, nessuno spoiler!) è Samuel Perlman, padre di Elio, interpretato dall’attore Michael Stuhlbarg.

Il libro

Il film di Guadagnino – come abbiamo già detto – è tratto dal romanzo di Aciman; per quanto il regista sia rimasto il più fedele possibile alla storia originale, a mio parere il libro è migliore del film (come spesso accade per molti adattamenti cinematografici).

La vera differenza sta nel fatto che nell’opera di Aciman la storia viene raccontata tutta in prima persona da Elio, in questo modo si riesce a conoscere meglio il personaggio e il suo punto di vista; invece nel film si ha una narrazione pressoché impersonale e questo, a mio avviso, rende la narrazione più lenta e meno avvincente del libro. Inoltre il linguaggio molto descrittivo del romanzo rende possibile al lettore immergersi al meglio nella storia.

Cercami

Lo scrittore André Aciman e la copertina di “Cercami”- Fonte: ilLibraio.it

Nel 2019 esce il sequel del libro Chiamami col tuo nome, Cercami: questo si concentra molto anche sul personaggio del padre di Elio, che (come abbiamo già detto sopra) inizia ad emergere nel finale del primo romanzo, continuando comunque anche a narrare le vicende di Elio e di Oliver.

Ad ogni modo non si avrà un secondo film: per via delle varie accuse mosse all’attore Armie Hammer per stupro e cannibalismo e poiché impegnato in altri progetti, il regista Luca Guadagnino ha affermato in un’intervista che almeno per il momento non si impegnerà in un adattamento cinematografico.

La storia di Chiamami col tuo nome, a differenza di molte altre, non tratta direttamente la lotta per i diritti della comunità LGBT+. Qui si racconta solamente dell’amore che lega per sempre due ragazzi apparentemente molto diversi, perché, in fin dei conti è questo ciò che conta veramente: love is love.

Ilaria Denaro

Zelda ed Elden Ring: i due protagonisti dell’E3 2021

Quest’anno l’appuntamento estivo dell’E3 non ci ha portato, per ovvie ragioni,  ad osservare le conferenze delle aziende dai palchi di Los Angeles. Abbiamo invece avuto tutta una serie di dirette che hanno mostrato i nuovi titoli attesi. E per alcuni di essi le aspettative sono state rispettate: Zelda ed Elden Ring tornano quindi dopo un’attesa e un rimando di due anni. Sono stati loro, di fatto, le due grandi rivelazioni dell’evento e su di loro si sono concentrate la maggior parte delle analisi degli appassionati in questi giorni, così come la nostra.

Elden Ring: Game of thrones + Dark souls?

Il trailer presentato alla fine del Summer Game Fest ci ha mostrato un gioco con molti legami al passato del suo creatore. Dark Souls e Sekiro si fanno notare molto sia nell’estetica che nell’azione: le immagini danno una forte impressione di dark fantasy (tema ricorrente per i lavori dell’autore Idetaka Miyazaki)  e l’intera ambientazione appare ampia.

Il titolo promette infatti un vasto mondo da esplorare. Questo è di fatto un nuovo approccio per gli sviluppatori che fino ad ora avevano lavorato su ambientazioni spesso claustrofobiche e più guidate. Ciò che invece sembra rimanere dei vecchi lavori è il carattere (qui oppressivo) dei nemici: ci ritroveremo di nuovo contro avversari pronti a farci pagare ogni tasto premuto al momento sbagliato e ogni scelta non ponderata.

Esploreremo nuovi orizzonti Fonte: Tom’s Hardware

Martin coinvolto nel progetto

Se quanto detto finora riguarda il lato “giocoso”, per quanto riguarda la storia e i personaggi entra in gioco un volto inedito: infatti George R. R. Martin ha deciso di collaborare per la prima volta ad un progetto legato ai videogiochi. L’autore di Game of Thrones ha lavorato all’antefatto narrativo, costruendo le fondamenta del mondo di gioco. Come scaturisce da un’intervista del direttore del progetto alla rivista IGN, questo lavoro “a quattro mani” è ciò che ha reso il lavoro interessante: Martin ha infatti portato un grande arricchimento alla caratterizzazione del mondo e dei suoi personaggi, dando all’intera esperienza un valore aggiunto.

 Un gioco aperto?

L’intervista ha poi approfondito la libertà di gioco: avrà una piega inedita e aperta ricompensando il giocatore con l’esplorazione su larga scala del mondo. La mappa di Elden Ring promette di essere un grande parco giochi per il giocatore a cui sarà permesso di vagare e perdersi. Il viaggio qui sarà quindi un’esperienza importante, ma non l’unica che dia modo al giocatore di esprimersi liberamente: il combattimento e i suoi approcci permetteranno infatti molta personalizzazione.

Avvicinarsi al nemico di soppiatto o usare il grande arsenale di tecniche del personaggio per un testa a testa diretto? Parliamo di un centinaio di abilità legate liberamente al proprio equipaggiamento che permetteranno un uguale – si spera – numero di possibilità nella costruzione del proprio alter-ego.

La data di rilascio del titolo sarà il 21 Gennaio 2022. Si prospetta già da adesso un’uscita imperdibile per tutti i videogamer appassionati al genere. Le aspettative per questo lavoro sono sicuramente alte.

The Legend of Zelda: un altro criptico messaggio

Ma questa volta, rispetto a due anni fa, abbiamo molto di più di cui parlare. Nintendo ha mostrato un nuovo breve trailer in cui ci ha permesso di dare un’occhiata più approfondita seppur breve. Il gioco prenderà la sua base dal precedente capitolo, di fatto espandendosi da quella base. Ma quali sono le nuove strade che percorreremo?

I cieli si aprono in questo sequel. Fonte: Tom’s Hardware

Prendere il cielo

La prima grande differenza di  questo capitolo rispetto al precedente è l’aggiunta di una nuova dimensione: il cielo! La mappa del precedente Breath of the wild subirà uno stravolgimento che ci permetterà di esplorare isole fluttuanti sulla terra, un elemento sicuramente nuovo e che preannuncia altre novità.

Ciò che qui salta all’occhio di un appassionato è l’evidente legame con Skyward Sword ,titolo della stessa serie uscito per Wii una decina di anni fa e che permetteva, come questo, la discesa dalle nuvole. Rimane quindi da chiedersi come sia possibile che il mondo che abbiamo già esplorato possa permetterci questa nuova esperienza.

C’entra forse qualcosa il misterioso potere che abbiamo visto risvegliarsi all’inizio del trailer?

Premere indietro sul registatore

Il protagonista del gioco ha mostrato un nuovo potere di cui non è però ancora chiara la natura o la provenienza. Un braccio modificato portatore di una misteriosa abilità che potrebbe essere legato al controllo del tempo: un chiaro indizio ce lo dà la goccia d’acqua che vediamo risalire verso l’alto, come anche il cambiamento estetico del protagonista e la contemporanea presenza del vecchio. La musica, inoltre, è chiaramente montata al contrario e, se riascoltata invertita, mostra brani già conosciuti dai fan della serie.

Che sia tutto legato ad una meccanica simile a quella del vecchio Ocarina of Time in cui si viveva contemporaneamente in due dimensioni narrative diverse?

Chi è poi l’inquietante figura che si mostra all’inizio? Potrebbe essere davvero il già conosciuto Ganondorf come speculano in molti? In ogni caso per una risposta a queste domande bisognerà ancora aspettare molto. La data di rilascio è fissata infatti per un generico 2022 che fa pensare ad un’uscita tardiva di fine anno, data anche le difficoltà che molti sviluppatori hanno affrontato nel corso della pandemia.

Sebbene Zelda ed Elden Ring abbiano solo adesso, dopo due anni, mostrato per la prima volta i loro volti in maniera più concreta e il loro arrivo sia lontano, possiamo comunque essere contenti del contenuto mostrato. Con questi due titoli il 2022 si preannuncia un’anno importante per il mondo dei videogiochi.

Matteo Mangano, Giuseppe Catanzaro

The Handmaid’s Tale: l’essere donna contro ogni oppressione


Show prodotto con abilità, capace di mantenere l’attenzione dello spettatore e ricco di colpi di scena imprevedibili – Voto UVM: 4/5

 

Nel 1987, Belinda Carlisle cantava che «il Paradiso è un luogo in terra». Se non ce l’avessero detto, non saremmo mai arrivati a credere che la canzone sarebbe diventata la colonna portante di una serie tv degli anni 2010.

The Handmaid’s Tale, conosciuta anche col nome Il racconto dell’ancella, è uno show televisivo ideato da Bruce Miller nel 2017 ed adattato dal romanzo omonimo di Margaret Atwood del 1984.

In una realtà distopica, il mondo si ritrova ad affrontare una gravissima crisi ambientale che ha ripercussioni anche sul tasso di natalità della popolazione, riducendolo quasi pari a zero. Gli Stati Uniti vengono allo stesso tempo soggiogati da un movimento teocratico che, ben presto, occuperà la maggior parte del territorio, instaurando così un totalitarismo di natura religiosa ispirata all’Antico Testamento, ossia Gilead.

Classi sociali

La Repubblica di Gilead è divisa, a livello sociale, in classi nettamente distinte l’una dall’altra ed all’interno di una scala gerarchica: i Comandanti,i vertici della Repubblica; le Mogli, appunto, le mogli dei comandanti (il loro colore distintivo che usano nel modo di vestire è il blu-verdastro); le Marte, ovvero le domestiche.

Infine vi sono le Ancelle, adibite esclusivamente alla procreazione. Vengono schiavizzate per dare ai Comandanti di famiglie sterili dei figli. Il loro colore è il rosso e, dal momento che non hanno diritto a mostrare i capelli, indossano una cuffia bianca che è diventata un segno distintivo della serie. Una volta divenute ancelle perdono diritto al loro nome, assumendo il patronimico del Comandante cui vengono assegnate (es. Diglen, appartenente al Comandante Glen). A vigilare e punire le ancelle “disobbedienti” sono poste le Zie, donne dal comportamento austero e di grande crudeltà, dotate di… Un taser!

Abbigliamento tipico delle ancelle – Fonte: indiewire.com

I personaggi nell’universo di Gilead

La storia gravita attorno al personaggio di June Osborne (Difred) – interpretata da Elizabeth Moss -, ancella del Comandante Fred Waterford (Joseph Fiennes) e della moglie Serena Joy (Yvonne Strahovski, che forse conoscerete già per il suo ruolo nella serie televisiva Chuck).

Prima di giungere a casa Waterford, June era intenta a scappare verso il Canada assieme alla figlia Hannah ed al marito Luke, che però era già stato sposato. In una società a struttura patriarcale e fortemente teocratica come quella di Gilead, ciò che costituisce “peccato” comporta anche gli estremi del reato, ragion per cui June viene catturata e ridotta alla condizione di ancella per via del crimine di adulterio da lei commesso.

Ogni mese, nel periodo di ovulazione dell’ancella, quest’ultima viene sottoposta ad un rito – non solo legalizzato, ma obbligatorio – durante il quale viene costretta a copulare (dunque, viene stuprata) col Comandante al fine di dargli un figlio mentre viene tenuta ferma dalla moglie. Nella società di Gilead, inoltre, non è contemplata la possibilità che l’uomo sia sterile; l’infertilità viene dunque sempre imputata alle donne.

Come si può ben vedere, le donne di Gilead si trovano in uno stato di sottomissione aggravato dal divieto di leggere e scrivere.

Difred, la protagonista, si ritrova catapultata in una realtà che mette a rischio la sua vita. Col passare degli episodi notiamo un cambiamento travolgente nella sua personalità: da un atteggiamento inizialmente ubbidiente June riuscirà a divincolarsi dalle grinfie del regime, soprattutto dopo aver saputo dell’esistenza di un’organizzazione segreta chiamata “Mayday” che pianifica di distruggere Gilead dall’interno.

Ma non lasciatevi ingannare: il percorso, anzi, la corsa verso la libertà sarà dura e piena di ostacoli, oltre che eventi spiacevoli, che influenzeranno notevolmente sulla condizione psicologica di June.

June, Serena e Fred Waterford in una scena della serie. Si noti il contrasto di colori tra il verdastro, simbolo di purezza, ed il rosso, simbolo d’impurità dell’ancella. – Fonte: purewow.com

«Nolite te bastardes carborundorum», recita una frase incisa sul legno di uno stanzino da parte della “precedente Difred”, l’ancella che era stata lì prima di June. Sarà proprio da questa frase in latino maccheronico (letteralmente: “non farti abbattere dai bastardi”) che la protagonista troverà la forza di ribellarsi agli abusi fisici e psicologici di Gilead.

La particolarità della serie sta in buona parte nella perfetta interpretazione di Elizabeth Moss che, con le sue espressioni colme di tensione e rabbia, ci permette di addentrarci nel mondo interiore di June, facendoci percepire pienamente il lento degrado a cui il suo spirito andrà incontro. Ciò che conta, però, è che non sarà sola. Moltissime ancelle ed altrettante Marte si uniranno alla sua corsa verso la libertà col medesimo principio ispiratore: non lasciarsi abbattere dai bastardi.

Uno dei rinomati “sguardi alla June Osborne”, dritto nella telecamera e nell’animo degli spettatori. – Fonte: indiewire.com

In generale, lo show è curato nei minimi dettagli e sostenuto da un cast di notevole bravura. I costumi risaltano all’occhio del pubblico per via delle forti tonalità in contrasto all’ambiente asettico dello sfondo. Si pensi ad un dipinto pieno di grigi ma da cui risaltano piccole macchie colorate in movimento.

La serie, composta al momento da quattro stagioni (di cui l’ultima è in onda proprio adesso), è disponibile sulle piattaforme di streaming Hulu e TimVision. Nel corso degli anni si è accreditata una sfilza di Emmy Awards e ben due Golden Globes, nel 2018, per Miglior serie drammatica e Miglior attrice in una serie drammatica (Elizabeth Moss).

Valeria Bonaccorso

Paolo Sorrentino: la grande bellezza del cinema italiano

Buon compleanno, Paolo Sorrentino!  Regista, sceneggiatore, scrittore o semplicemente grande artista del cinema contemporaneo italiano, il cineasta compie oggi 51 anni. Per festeggiarlo ripercorriamo un po’ la sua brillante carriera cinematografica e soprattutto presentiamo la sua pellicola più nota e vincitrice di molti premi, tra cui un Oscar: La Grande Bellezza.

Paolo Sorrentino: grande artista orgoglio italiano

fonte: cinema.fanpage.it, il regista con il suo premio Oscar

Il regista nasce a Napoli il 31 maggio del 1970; a soli 17 anni perde entrambi i genitori in un incidente stradale. Inizia a coltivare la sua passione per il cinema solo dopo aver lasciato l’Università.

Nell’Agosto 2001, esce nelle sale il suo primo lungometraggio, L’uomo in più, con il quale il regista inizia una lunga collaborazione artistica con l’attore Toni Servillo, autentico interprete di molti dei personaggi scritti e ideati da Sorrentino. Il film ottiene diverse nomination al Festival del cinema di Venezia e per i Nastro d’Argento a Taormina.

La coppia Sorrentino-Servillo trionfa nuovamente nel 2004 con la pellicola Le conseguenze dell’amore, la quale vince ben 5 David di Donatello e 4 nastri D’argento.

Nel 2011 il regista si dedica al suo primo film in lingua inglese: stiamo parlando di This must be the place, con protagonista Sean Penn e la ormai nota Frances McDrmand.

Il 2014 è l’anno in cui il regista tocca l’apice della sua carriera artistica con il suo capolavoro: La Grande Bellezza. La pellicola vince anche il premio Oscar per il miglior film straniero (è stato l’ultimo film italiano ad essere candidato ed a vincere in questa categoria dal 2014 ad oggi).

La Grande Bellezza

Fonte: infooggi.it- Locandina del film

Finisce tutto così, con la morte. Prima però c’era la vita, nascosta dal bla bla bla..

Il vuoto e la vanità di una vita mondana, fatta di soli vizi e sfrenatezza: questo il punto focale, il vero messaggio di questo capolavoro cinematografico. La trama è effettivamente molto semplice e priva di importanti azioni o colpi di scena. Il film narra le vicende della classe ricca e mondana  di Roma, in particolare del giornalista e mancato scrittore Jep Gambardella, interpretato da Toni Servillo. Racconta sogni infranti, come quelli di Romano, amico di Jep , venuto a Roma in gioventù per diventare uno scrittore teatrale; vite devastate, come quella di Stefania (Galatea Ranzi), che cerca di distaccarsi dagli altri credendosi migliore, ma alla fine deve confrontarsi con i suoi fallimenti, come scrittrice, come madre e come donna.

 

Il cast comprende, oltre all’attore protagonista per eccellenza dei film di Sorrentino, molti interpreti italiani, tra cui Carlo Verdone, Sabrina Ferilli e Carlo Buccirosso, per una produzione pienamente made in Italy.

La Grande Bellezza, oltre all’Oscar come miglior film straniero, viene premiato in molti tra i più importanti Festival del cinema, quali i Golden Globe, gli European Film Awards e i David di Donatello.

Jep Gambardella: il re dei mondani

fonte: ciakclub.it, il protagonista Jep Gambardella

A questa domanda, da ragazzi, i miei amici davano sempre la stessa risposta: “La fessa”. Io, invece, rispondevo: “L’odore delle case dei vecchi”. La domanda era: “Che cosa ti piace di più veramente nella vita?” Ero destinato alla sensibilità. Ero destinato a diventare uno scrittore. Ero destinato a diventare Jep Gambardella.

Jep Gambardella è l’emblema della mondanità: con il suo garbo e il suo fascino, vive di feste e pura superficialità per evitare di confrontarsi con la realtà della sua vita vuota. Egli però, a differenza di tutti gli altri, è un osservatore, vede le verità di chi lo circonda e, con un umorismo che lascia una certa amarezza, riesce a portarle alla luce.

In gioventù ha pubblicato un solo libro, per poi abbadnonare la scrittura: per scrivere e ritrovare “la grande bellezza” dve prima trovare il senso della sua esistenza.

Diversa si rivelerà la sua relazione con Ramona, spogliarellista figlia di un suo vecchio amico; grazie a lei, Jep inizierà a riflettere e a voler cambiare la sua realtà.

Un film che lascia un messaggio

La grande bellezza, oltre ad essere una grande pellicola riconosciuta anche a livello internazionale, lascia al pubblico una speciale consapevolezza sulla propria esistenza. In fin dei conti, non sono i soldi e gli eventi chic a fare la felicità, ma le esperienze che facciamo e le relazioni autentiche che abbiamo con i nostri cari a rendere la vita veramente degna di essere vissuta.

                                                                                                                                                                  Ilaria Denaro