Qui rido io: l’esistenza come teatro


Martone dipinge magistralmente “miserie e nobiltà” di uno dei più grandi autori teatrali di sempre. Voto UVM: 4/5

 

Che la vita è un teatro è  massima proclamata dalle penne di poeti come William Shakespeare, dalle bocche di saggi di ogni tempo e luogo, ma anche verità sottintesa nei detti dei comuni mortali, incisa nel DNA di ciascuno di noi perché – come diceva Marlon Brando– ogni uomo in fondo è attore. Poi a seconda di gusti e inclinazioni personali, c’è chi intende l’esistenza come un’immane tragedia, chi come un dramma dell’assurdo senza capo né coda e altri ancora come una commedia o ancor meglio un’esilarante farsa in cui gli sforzi dell’attore sono ripagati dalla ricompensa più preziosa del suo pubblico: la risata.

Affamato dell’amore del pubblico e incapace di dividere farsa e vita vera era Eduardo Scarpetta, nome non nuovo per tanti cresciuti a pane, Miseria e nobiltà, nel mito di quel Felice Sciosciammocca con la pasta int’a sacca immortalato dal genio di Totò nella trasposizione cinematografica del ’54.  Affamato di vita e di teatro – come lo era la sua macchietta Sciosciammocca di pane – è soprattutto lo Scarpetta dipinto da Mario Martone in Qui rido io, film presentato alla 78esima Mostra di Venezia, con un magistrale Toni Servillo.

 Show must og on

Siamo agli inizi del Novecento, Eduardo Scarpetta (Toni Servillo) è l’attore e commediografo più famoso di Napoli, una personalità imponente e arrogante, un vero e proprio divo ante litteram acclamato dal pubblico e chiacchierato da tutti, prima ancora dell’avvento di Hollywood e Cinecittà.   Ma Scarpetta è prima di tutto padre, un padre sui generis: padre affezionato di Sciosciammocca, macchietta comica che soppianta a fine Ottocento la maschera di Pulcinella, padre prolifico di celebri commedie (Miseria e nobiltà, O miedeco d’e pazze, Nu turco napulitano, Na Santarella) così come di una famiglia difficile e ingarbugliata stile tribù da patriarca biblico, un’intera dinastia di talenti che incarneranno la teatralità napoletana.

Eduardo Scarpetta, discendente reale del noto Scarpetta, impersona Vincenzo, figlio legittimo del commediografo. Accanto Alessandro Manna nei panni di un piccolo Eduardo De Filippo. Fonte. amica.it

Tra tutti i De Filippo (Titina, Eduardo, Peppino), concepiti con Luisa, nipote della moglie, che non ereditano il cognome, ma sicuramente l’amore per il teatro, trasmesso quasi come un mestiere artigianale di padre in figlio, come quel Peppiniello che tutti i piccoli della famiglia – figli illegittimi compresi – a turno impersoneranno in una sorta di rito di iniziazione sancito da quel «Vincenzo m’è patre a me!». Proprio in quella battuta è condensato l’intreccio tra vita e teatro che è il focus dell’opera di Martone; nelle luci calde della fotografia di Renato Berta i due palchi – quello dell’esistenza e della commedia- si confondono : quello del povero scrivano Sciosciammocca che si finge Principe di Casador e quello del padre padrone Scarpetta che si fa chiamare zio dai piccoli De Filippo; le quinte dietro cui si nasconde all’incipit lo sguardo attento del piccolo Edoardo e la sua condizione di figlio nascosto del genio.

Toni Servillo e il bravissimo Alessandro Manna in una delle scene più toccanti del film. Fonte: madmass.it

Inizia nel teatro, nel mezzo di quella Miseria e nobiltà che è l’apoteosi di Scarpetta- e finisce sempre nel teatro inconsueto del tribunale, Qui rido io: il perno è quel palco da cui Eduardo Scarpetta non vuole proprio saperne di scendere, di rinunciare a ridere e a far ridere.

Martone scosta il sipario e inquadra solo un piccolo scorcio della vita del commediografo: il periodo difficile del contenzioso con D’Annunzio per aver parodiato il dramma La figlia di Iorio, l’avvento dei cabaret e del cinematografo che sembrano soppiantare la commedia napoletana. Certo si poteva raccontare molto di più per arricchire la trama: nella biografia di Scarpetta e della sua tribù si poteva persino pescare a piene mani per un’avvincente saga familiare (e magari qualcuno lo farà in futuro). Non era questo tuttavia l’intento di regista e sceneggiatori che hanno preferito puntare i riflettori sul teatro che è vita e sulla vita che è teatro, sul rapporto più palpabile e difficile attore teatrale/pubblico, così come padre/figlio, sullo spettacolo che continua mai uguale a sé stesso e va avanti nonostante tutto, nonostante “u scuornu” che una famiglia di teatranti come quella di Scarpetta non sa cos’è.

Felice Sciosciammocca diletta il suo pubblico. Fonte: labiennale.org

Giullare nato

«Volevo essere il re delle feste» afferma un Servillo da dolce vita ne La grande bellezza. Edonista nato, ma decisamente meno malinconico è anche l’Eduardo Scarpetta di Qui rido io, incapace di prendere sul serio persino un processo, farsesco e arrogante, prepotente persino coi suoi figli , non meno diverso per certi aspetti dal Berlusconi mondano di Loro. Insomma Servillo si rivela ancora una volta adatto a vestire i panni di personalità eccentriche e discutibili, ma c’è qualcosa in questo Scarpetta che ce lo fa amare – nonostante tutto- più degli altri personaggi ed è quella napoletanità che ha nel sangue e in questo film può far sprizzare da tutti i pori. Mentre parla con una cadenza partenopea pronunciata, mentre gesticola anche fuori dal palco, Servillo si sente a casa e si vede!

Scarpetta e Servillo a confronto. Fonte: notizie.it

Un film per tutti?

Bisogna essere amanti di Napoli, del suo teatro, dei suoi colori e della sua storia, della sua musica che suona anche nel dialetto, per apprezzare davvero il film di Martone. Bisogna conoscere una grande commedia come Miseria e nobiltà, i De Filippo e la loro storia paradossale: loro non riconoscuti dal padre – a differenza di quanto avviene nella finzione per il piccolo Peppiniello – diverranno per assurdo i figli più famosi del grande Scarpetta, segnando profondamente teatro e cinema del XX secolo.

Bisogna collegare tutti questi fili della matassa per sentire i brividi sulla pelle quando il piccolo Eduardo indicando il palco a un indisciplinato Peppino dice: «a libertà nostra sta là!». E forse tanti giovani purtroppo non conoscono questi personaggi, la loro storia, sono digiuni di teatro. O forse non serve: magari guardando il film, possono avvicinarsi a questo mondo perchè – ad ogni modo – anche i giovani sanno cos’è la vita e il teatro, in fondo, è la stessa cosa.

Angelica Rocca

 

 

Venezia 2021: il festival delle novità

1 settembre 2021: si apre uno dei festival del cinema più attesi: stiamo parlando della Mostra del cinema di Venezia! Ciò che rende questa premiazione così affascinante è prima di tutto la location: ogni anno possiamo ammirare le star che arrivano in barca al lido di Venezia- con scintillanti abiti firmati dai più grandi stilisti – portando con sé le grandi novità del cinema italiano ed internazionale. Anche questo festival, come altri, ha simboleggiato la rinascita del cinema e dello spettacolo, così fortemente danneggiato dalla pandemia.

Ma ora non dilunghiamoci oltre: andiamo a scoprire quali sono le grandi pellicole presentate e premiate alla mostra del cinema di Venezia 2021.

Film e attori premiati

Questo festival ha visto splendere prima di tutto nuovi talenti emergenti, in diversi settori. Grande rivelazione è stata senza dubbio il francese L’evenement di Audrey Diwan, Leone d’oro al miglior film, che tratta il tema dell’aborto, il cui diritto, anche se fondamentale , non è ancora tutelato al 100% in molti Stati, anche quelli più industrializzati e tecnologicamente avanzati come gli USA. La pellicola è tratta dal romanzo omonimo di Annie Ernaux.

Audrey Diwan con il suo Leone d’oro; fonte: globalist.it

Per un festival tutto in rosa, vediamo altre due donne premiate con il Leone d’argento per la miglior regia e il Premio Osella per la miglior sceneggiatura: si tratta di Jane Champion per Il potere del cane (premio inaspettato in quanto il film non era stato molto apprezzato) e Maggie Gyllenhaal,  sorella del noto attore americano Jake Gyllenhaal, per The lost daughter, il suo primo lavoro da regista e sceneggiatrice.

Maggie Gyllenhaal con il suo premio Osella; fonte: sugarpulp.it

Infine immancabile è naturalmente la coppia Sorrentino – Servillo, presente quest’anno con E’ stata la mano di Dio.  Il film, premiato con il Leone d’argento gran premio dalla giuria, ha tra l’altro fatto emergere un nuovo talento: il giovane attore Filippo Scotti, insignito del  premio Marcello Mastroianni.

Leone d’oro alla carriera

Durante quest’edizione del festival, hanno poi ricevuto il Leone d’oro alla carriera due importanti figure del cinema internazionale: Roberto Benigni e  Jamie Lee Curtis.

 Il premio non posso dedicarlo alla persona che imparadisce la mia mente – come dice Dante-  alla mia attrice prediletta Nicoletta Braschi: questo premio è suo, per cui sarai tu a dedicarlo. Abbiamo fatto tutto insieme per 40 anni, io conosco solo un modo per misurare il tempo, con o senza di te. Ce lo dividiamo questo Leone, io mi prendo la coda e a te lascio le ali. Se qualcosa di buono ho fatto è grazie alla tua luce.

Con queste poche parole, il noto attore Roberto Benigni è riuscito a far emozionare non solo tutti i presenti ma l’Italia intera, mostrando un amore sincero e profondo nei confronti di Nicoletta Braschi, moglie e compagna nella vita e nel lavoro.

Roberto Benigni con il leone d’oro alla carriera; fonte: Veneziatoday.it

Altrettanto commovente il discorso pronunciato dall’attrice Jamie Lee Curtis, nota per la sua performance nella saga di Halloween e in famosissime commedie quali Una poltrona per due e Un pesce di nome Wanda. La Curtis è da sempre stata molto impegnata socialmente per la difesa dei diritti della comunità LGBTQIA+ e delle vittime di violenza; infatti, è proprio a loro che dedica questo suo prestigioso premio. Un ringraziamento speciale è andato anche ai genitori, gli attori Tony Curtis (interprete indimenticabile di tante commedie hollywoodiane anni ’50) e Janet Leigh (nota per il suo ruolo nel film Psyco), che le hanno permesso di essere a sua volta una brava madre sempre vicina ai propri figli.

Jamie Lee Curtis con il suo leone d’oro; fonte: Luxgallery.it

La nuova coppia del momento

Tante sono state le coppie di attori, attrici e registi che hanno sfilato sul red carpet di questo festival, ma una in particolar modo ha attirato l’attenzione di tutti: stiamo parlando di Ben Affleck e Jennifer Lopez. I due erano già stati insieme in passato: dopo una relazione terminata bruscamente nel 2004, si erano allontanati per poi riavvicinarsi quest’estate. Il bacio sul red carpet di Venezia ha reso ufficialmente nota la “reunion”.

Ben Affleck e Jennifer Lopez sul red carpet; fonte: corriere.it

Un festival diverso e speciale

La mostra del cinema di Venezia di quest’anno è stata senza dubbio una premiazione un po’ diversa: anche se, da un lato, sono state mantenute delle specifiche linee anti- Covid19 , dall’altro è emersa un’ energica ripartenza del cinema accompagnata da una ventata di novità. Protagonisti della premiazione sono stati registi, attori e attrici emergenti che preannunciano una grande rinascita del settore cinematografico nell’era post- pandemica.

Ilaria Denaro

Se cadono le montagne: un reportage a fumetti di Zerocalcare

 

Zerocalcare torna con il suo stile unico a raccontarci del suo viaggio nel nord dell’Iraq con incredibile sensibilità – Voto UVM:  5/5

 

Sulla copertina della recentissima uscita del settimanale Internazionale troviamo un disegno di Michele Rech in arte Zerocalcare, un assaggio del reportage a fumetti di 34 pagine, Etichette, che la rivista custodisce al suo interno. Ad accompagnare l’illustrazione in copertina c’è una frase: «Se cadono le montagne» e il sottotitolo Un reportage dal nord dell’Iraq, tra i curdi che vivono nel campo di Makhmour.

Il reportage è facilmente reperibile in edicola o con qualche click online sul sito del settimanale Internazionale; sempre online, sui social, si trova il racconto di  Zero circa la scelta di Alberto Madrigal per occuparsi della colorazione dell’illustrazione  in copertina e delle mezzetinte acquerellate all’interno del fumetto .

Zerocalcare, Con il cuore a Kobane; Internazionale. Fonte: ilbibliomane.wordpress.com

Se cadono le montagne?

Zerocalcare non è nuovo alla vicenda curda. Ci racconta infatti del suo viaggio tra il deserto e le montagne del Kurdistan qualche anno dopo l’uscita di Kobane Calling, un reportage a fumetti del viaggio di Michele in Turchia, Iraq e Siria in supporto ai combattenti curdi, un itinerario per comprendere le storie di un popolo in guerra per il proprio diritto ad esistere.

Ed è nell’introduzione del 2020 a Kobane Calling che ci scrive di un detto curdo che recita:

I curdi hanno un solo amico, le montagne.

In effetti nell’immaginario comune le montagne veicolano un significato di protezione e sicurezza. Il freddo e distaccato fascino del monte Fuji ne La grande onda di Kanagawa, qualcosa che è impossibile cada. E allora sembra che in gioco ci sia qualcosa di vitale, così la frase che leggiamo sulla copertina di Internazionale risuona in modo più decisivo e solenne, questa volta come una domanda: e se cadono le montagne?

La grande onda di Kanagawa, famosissima xilografia di Hokusai. Fonte: dueminutidiarte.com

Risposte                                    

La risposta la troviamo all’interno del fumetto: Se cadono le montagne cade tutto. Lapidaria, inscritta su uno sfondo malinconico, si vede una ragazza che siede su una roccia e regge un’arma mentre osserva i compagni che armi in spalla marciano tra le montagne.

Seguendo i dialoghi e le persone che Zerocalcare incontra nel viaggio verso il campo profughi di Makhmour, ci accorgiamo infatti che le montagne dei curdi non sono le montagne delle mappe o del nostro immaginario. Le montagne appiattite delle cartine. Sono le montagne del Pkk, dove si trovano i guerrieri curdi, considerati terroristi dai Turchi, le montagne del confederalismo democratico, le montagne da cui può arrivare l’aiuto.

Ci accorgiamo sfogliando che qualcosa non va nel nostro immaginario, che forse ci sono in gioco dinamiche più complesse a cui forse non abbiamo prestato ascolto. Dinamiche che è difficile districare e comprendere senza affidarsi ad etichette che altri hanno scelto per noi. E leggiamo ancora tra i disegni: “Le storie di guerra sono anche questo, portano con sé cose che non ci piace sentire, che ci fanno fare i conti con la realtà e la coscienza e con quello che siamo disposti ad accettare. Sono più complesse delle favole.”

 

“Se cadono le montagne”, Zerocalcare. Fonte: dalla rivista Internazionale.

Conclusioni

La complessità caratterizza le storie che Zero ci racconta con qualche battuta per alleggerire il carico emotivo.

Se cadono le montagne è una riflessione sulla complessità delle storie, 34 pagine ben riuscite che ci invitano all’ascolto e a superare i confini del – per dirla come farebbe Zero –  “così ho sentito di’ “, contro ogni riduzionismo o semplificazione. Un invito a disegni ad immaginare più da vicino i volti e i contesti, come quello dei campi profughi. Un aiuto a toccare con mano la realtà di chi abita quei luoghi e un modo per provare a prestare ascolto a voci che narrano storie diverse da quelle che siamo abituati a sentire, fuor da “etichette”.

Martina Violante

4 serie tv che raccontano il sapore dell’amicizia vera

Oggi si celebra la giornata mondiale dell’amicizia, istituita dall’Onu nel 2011 per promuovere la fratellanza e il dialogo tra i popoli e per riconoscere l’uguaglianza nella diversità.

Tralasciando le ragioni e le finalità che hanno fatto nascere questa ricorrenza, vogliamo invece accompagnarvi in un viaggio originale tra le grandi amicizie di 4 famose serie tv degli ultimi 20-30 anni e, dato che amicizia è sinonimo di grandi bevute in un pub, su una spiaggia o spaparanzati sul divano, assoceremo ognuna di esse ad un drink.

Dolce amaro come l’adolescenza: The O.C.

Teen drama cult anni 2000, ideato da Josh Schwartz che intreccia le vicende del giovane diciassettenne Ryan Atwood (Benjamin Mckenzie) con quelle della ricca famiglia Cohen che lo adotta e di tutto il “jet set” di Orange County (da qui il nome della serie “The O.C.”), tra magnati paperoni e speculatori di borsa.

Quello su cui ci soffermeremo è il rapporto tra Ryan e Seth Cohen (Adam Brody), suo coetaneo e fratello adottivo. I due provengono da mondi totalmente diversi.

Ryan è il tipico bello e maledetto cresciuto in una famiglia di avanzi di galera ed alcolizzati, pronto ad alzare il pugno non appena qualcuno si trovi emarginato o bullizzato.  Da ragazzo proveniente da un contesto marginale,  non rimane indifferente davanti a chi viene messo con le spalle al muro dai prepotenti e si troverà a proteggere un Seth troppo rachitico e logorroico che non si è mai amalgamato al background di una Newport piena di adolescenti solo muscoli, festini e pallanuoto.

Non solo il giovane tutto fumetti ed ironia, ma anche il ragazzo proveniente dalla periferia di Chino avrà bisogno di una spalla per farsi accettare in un ambiente di figli di papà e di party nelle ville con piscine; questa spalla sarà proprio il giovane Cohen, che con il suo sarcasmo cercherà di smorzare la tensione delle situazioni più imbarazzanti o pericolose in cui viene coinvolto il giovane Atwood.

I protagonisti di The O.C. e il drink 4 Bianchi alla fragola

Fa da cornice al legame tra Seth e Ryan quello tra Marissa Cooper (Mischa Barton) e Summer Roberts (Rachel Bilson): fragile, altruista e a tratti ingenua la prima, intraprendente, perspicace e a volte superba la seconda. Amiche dall’infanzia in quel di Orange County, insieme ai due boys formeranno  “i fantastici 4” , sempre pronti ad affiancarsi l’uno all’altro.

Dolce amaro come la vita di Ryan e degli altri, può essere un 4 Bianchi alla fragola, un mix di 4 liquori secchi base vodka, rum, gin, tequila, addolcito con sciroppo alla fragola.

Deciso e aromatico: The Big Bang Theory

Se volete godervi un’amicizia in grado di andare oltre le apparenze e i luoghi comuni, The Big Bang Theory è la sitcom che fa per voi!

Ideata da Chuck Lorre e Bill Prady, segue le vicende di quattro amici nerd e geek: il fastidioso quanto intelligente Sheldon Cooper (Jim Parsons), l’insicuro Leonard (Johnny Galecki), il sottovalutato Howard (Simon Helberg) e il timido Raji (Kunal Nayyar).

I quattro scienziati, con l’arrivo della vivace Penny (Kaley Cuoco), dall’essere dei socialmente inetti, impareranno a vivere nel “mondo reale”, che è ben diverso da quello che immaginavano. La nuova vicina, invece, imparerà prima a rispettare e poi ad apprezzare le piacevoli serate trascorse sul divano di Sheldon e Leonard tra videogames, fumetti, serie tv e l’immancabile cibo take away.

Il loro indissolubile legame di amicizia, infatti, nasce e cresce mentre si discutono teorie fisiche e si condividono involtini primavera, noodles e bocconcini di pollo fritto anche con tutti gli altri personaggi che, nel corso delle puntate, diverranno nuovi amici. Tra questi la pacata – attenzione a farla arrabbiare però – Bernadette (Melissa Rauch) e Amy (Mayim Bialik), versione al femminile – almeno inizialmente – di Sheldon.

I personaggi di The Big Bang Theory sul divano e il cocktail Mai Tai

E noi, se fossimo invitate alla loro cena di lunedì prossimo che, come prevede la “regola del lunedì” di Sheldon, sarà a base di cibo thai con pollo o di cibo cinese , prepareremmo un saporito Mai Tai: un cocktail dal sapore deciso, asciutto e aromatico, ideale per accompagnare una piacevole serata estiva in compagnia di coloro che, sebbene non c’entrino nulla con noi, colorano la nostra vita. Un po’ come fa il rum scuro shakerato con quello chiaro.

Sicuro e spumeggiante: How I Met Your Mother

Se si parla di amici non possono sfuggire a chi è nato negli anni ’90/ 2000 le vicende dei 5 stravaccati al solito sedile del Mac Laren’s Pub in quel di New York.

Al racconto di Ted Mosby (Josh Radnor) ai suoi figli su come ha conosciuto la loro madre, fanno da sfondo le vite di Marshall (Jason Segel), Robin (Cobie Smulders), Lily (Alyson Hannigan) e Barney (Neil Patrick Harris).  

Un’amicizia sancita dal “The Bro Code”, manuale venuto fuori dalla fantasia di quel “genio e sregolatezza” di Barney Stinson, su cui i suoi amici prestano giuramento in un famoso episodio.

I Protagonisti di How I Met Your Mother e la classica birra da Pub

Non sempre la vita dei nostri 5 protagonisti procede a gonfie vele – come del resto è quello che accade a tutti noi nella realtà. Spesso sono costretti a cedere agli eventi abbassando il target delle loro ambizioni, oppure sono imbrigliati in relazioni sentimentali che possono essere tossiche o fugaci, ma il legame che si crea tra di loro rimane una costante.

Ognuno diviene il porto sicuro dell’altro tanto che non riusciamo ad immaginarci uno solo di questi staccato dalla sua gang o che passi per loro un venerdì senza bere birra o mangiando patatine, noccioline e jalapenos al MacLaren’s Pub.

L’equilibrio dei diversi: Friends

E per finire Friends: la serie tv sull’amicizia per eccellenza e d’eccellenza, perché in Friends l’amicizia raccontata è quella autentica, anche se imperfetta, cui tutti dovremmo aspirare.

La serie, creata da David Crane e Marta Kauffman, narra le vicissitudini di un gruppo di sei amici trentenni newyorchesi: l’indipendente Rachel (Jennifer Aniston), la competitiva e ossessiva Monica (Courteney Cox), l’imbranato Ross (David Schwimmer), il donnaiolo e spesso ottuso Joey (Matt LeBlanc), il sarcastico ma composto Chandler (Matthew Perry) e l’eccentrica Phoebe (Lisa Kudrow).

I sei amici affronteranno insieme la vita quotidiana (a volte paradossale), s’innamoreranno e si lasceranno, creeranno disastri (con esiti spesso tragicomici) ma li risolveranno tra una battuta, uno scherzo e un caffè al Central Park. Come dice l’indimenticabile sigla iniziale: I’ll be there for you, sanno di non poter fare a meno l’uno dell’altro e di poter sempre contare sul loro rapporto.

Il segreto della loro amicizia incondizionata è quello di aver imparato a equilibrare le diversità, perché sono un po’ come un buon Coffee spritz: un perfetto equilibrio tra sapori inaspettati che lasciano un piacevole retrogusto al caffè.

E il caffè è il settimo protagonista della sitcom, il cui titolo originale era Insomnia Cafe, in omaggio a un bar realmente esistente a West Hollywood nel cui menù, secondo noi, starebbe benissimo questo drink.

Se Friends avesse mantenuto il nome originario “Insomnia Cafe”, avrebbe avuto lo stesso successo? Due amanti del caffè come noi hanno una loro opinione…

I 6 di Friends e il coffee spritz

Benché l’amicizia non si possa imparare e insegnare attraverso la tv, queste sitcom ci hanno mostrato gli innumerevoli volti che l’amicizia può assumere e ci hanno lasciato degli insegnamenti che non dimenticheremo neanche dopo un buon aperitivo – o anche due-  in compagnia di un amico fidato.

E se per noi l’amicizia è anche dire: «Ti proteggerò sempre, come proteggo i cocktail in discoteca», per voi cos’è?

                                            Angelica Terranova e Ilenia Rocca

Marvel: Croce e Delizia

Il mese di luglio è stato il punto di svolta di questa nuova fase del MCU (Marvel Cinematic Universe) grazie alla conclusione della serie su Loki e del tanto atteso film sulla Vedova Nera.

Loki

La terza serie su Disney+ risulta essere inaspettatamente la più impattante sul nuovo corso narrativo della Fase 4, ma anche quella che vanta una qualità di scrittura maggiore.

Locandina della serie. Fonte: LaPresse

Gli eventi della serie partono dalla fuga di Loki durante Avengers Endgame (2019) avvenuta grazie ad una Gemma dell’Infinito – che portano il protagonista (interpretato da un Tom Hiddleston in grande spolvero) ad arrivare in un pianeta sperduto nel quale verrà arrestato dalla TVA (Time Variance Authority) e condotto nel loro quartier generale.

Qui arrivato, Loki scopre di essere una “variante”, ossia una versione di sé stesso che non è andata incontro alla sorte che il destino gli aveva serbato.

La serie si rivela dunque il fulcro dal quale si dirameranno i futuri di tutti i personaggi dell’universo cinematografico della Casa delle Idee, che delinea e prospetta un imminente multiverso.

Le parti migliori risultano essere i dialoghi, scritti in maniera impeccabile e mai stucchevole o noiosa e che fanno capire in maniera chiara allo spettatore i background di ogni singolo personaggio.

Brillano anche i costumi e tutte le citazioni ai lettori delle varie controparti cartacee.

In conclusione, Loki è una serie fresca e scorrevole, ma di impatto, quella che più di tutte le altre dà l’impressione allo spettatore di leggere un fumetto: sembra proprio che la Disney non abbia intenzione di sbagliarne una!

Black Widow

Totalmente all’opposto qualitativamente parlando è il film incentrato su Natasha Romanoff.

Locandina del film. Fonte: Comics Universe

La pellicola narra gli eventi vissuti dalla Vedova Nera (Scarlett Johansson) nel periodo che intercorre tra Civil War e Avengers Infinity War.

Una Natasha in fuga (in quanto ha violato i trattati di Sokovia essendosi schierata dalla parte di Capitan America) riceve una lettera dalla propria sorella adottiva (anch’essa vedova nera), la quale, una volta incontrata, le chiede aiuto per liberare tutte le altre vedove nere ancora prigioniere della Stanza Rossa.

Il film vuole essere uno spy-movie dai toni un pò più canzonatori e leggeri rispetto ad un Capitan America: The Winter Soldier (2014), riuscendo ad esserne solo una brutta copia in tutti gli aspetti. Cerca di spremere tutto ciò che è rimasto da spremere, da un personaggio che non aveva più niente da dire già in Avengers Endgame.

Dialoghi vuoti e privi di mordente, coreografie dei combattimenti deboli e non spettacolarizzate quanto dovrebbero – tranne in rarissimi casi – e una trama scialba che non aggiunge letteralmente nulla alla visione di insieme del MCU se non per la scena post credit.

Tirando le somme, Balck Widow non è un film pretenzioso ma riesce a far male anche quelle cose in cui dovrebbe brillare un po’ di più, un tributo finale assai amaro ad un personaggio che ha accompagnato i fan dell’universo cinematografico Marvel sin dagli inizi.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                               Giuseppe Catanzaro

Il genio della comicità

La comicità nel corso dei secoli ha assunto molteplici forme, ma da quella più spicciola a quella magari più ricercata, è sempre comunque capace di risollevare gli animi di ciascun individuo.

Uno dei suoi maestri e massimi esponenti, che ha creato uno stile che lo contraddistingue, è sicuramente Mel Brooks. In suo onore, noi di UniVersoMe andremo ad analizzare tre dei suoi film più divertenti.

Mel Brooks. Fonte: ilquotidiano.net

Frankenstein Junior (1974)

La parodia dei film horror per eccellenza. Con questa pellicola il regista ha voluto creare una sorta di “sequel parodistico” dell’originale Frankenstein di Mary Shelley.

Mel Brooks ha scelto di utilizzare le stesse locations ed i medesimi arnesi presenti negli storici film Frankenstein (1931) di James Whale ed Il figlio di Frankenstein (1939) di Rowland V. Lee, decidendo inoltre di girare il film interamente in bianco e nero così da ricrearne un’atmosfera dettagliatamente identica, in cui però raccontare la storia in chiave comica.

Le ambientazioni cupe, infatti, ci calano all’interno di quello che sembrerebbe essere un horror vecchio stile in piena regola, ma i dialoghi e le performances degli attori trasformano la pellicola in un gotico spettacolo che trasuda ironia da ogni poro.

Igor (Marty Feldman) ed il dottor Frederick von Frankenstein (Gene Wilder) – Fonte: medicinaonline.co

Gene Wilder nei panni del dottor Frederick von Frankenstein e Marty Feldman in quelli dell’aiutante Igor risultano fondamentali per la riuscita del progetto.

Wilder probabilmente è riuscito a mettere a segno la miglior interpretazione della sua carriera. Calatosi profondamente nella parte, dà vita ad un giovane dottore che inizialmente rinnega le sue radici, per poi seguire meticolosamente le orme del suo antenato e riuscire nell’impossibile; il tutto è condito da sguardi fulminanti e battute pronunciate seguendo una perfetta armonia nata grazie alla chimica instauratasi con un monumentale Marty Feldman.

Igor è ciò che resta indelebilmente impresso nella mente di chi guarda Frankenstein Junior. L’attore ha sfruttato a pieno ed in maniera estremamente intelligente alcune sue caratteristiche fisiche capaci di arricchire straordinariamente il personaggio. Le enormi palle degli occhi da un punto di vista macroscopico catturano l’attenzione dello spettatore; muovendole sapientemente e accompagnandole con delle microespressioni facciali, l’attore riesce ad interloquire con il proprio partner, creando costantemente un clima di assurdità anche nelle piccole cose e facendoci ridere a crepapelle. Per non parlare poi della gobba, che in alcune scene tende verso destra mentre in altre dalla parte opposta (ciò venne improvvisato dallo stesso Feldman ed approvato immediatamente dal regista).

La pazza storia del mondo (1981)

Il film descrive alcune tra le più significative epoche della storia dell’uomo in chiave profondamente parodistica.

La pellicola, a differenza di Frankenstein Junior ,venne disprezzata dalla critica, la quale rimproverò a Brooks di aver creato storie superficiali segnate da una scarsa comicità, basata esclusivamente sulla volgarità.

Tuttavia le ambientazioni vengono riprodotte fedelmente ed i dialoghi, seppur non allo stesso livello dei precedenti lavori del regista, presentano comunque una struttura ben solida anche se non risultano essere esilaranti.

Lo sketch dell’Inquisizione spagnola, dove Torquemada (interpretato da Mel Brooks stesso) si esibisce in un piccolo musical, è degno di essere considerato agli stessi livelli di uno spettacolo di Broadway.

Dracula morto e contento (1995)

Dopo Frankenstein, Mel Brooks decide di revisionare anche la storia del conte Dracula, in quello che è l’ultimo film della sua carriera cinematografica. Il risultato non è lontanamente paragonabile a quello del film del 1974, ma l’impronta del regista è tangibile per tutta la durata della pellicola.

Leslie Nielsen in una scena del film – Fonte: cultfollowingmedia.wordpress.com

Dialoghi ben scritti capaci di coinvolgere lo spettatore e di suscitare ilarità, gag esilaranti poste in essere soprattutto da un impacciato Dracula (interpretato egregiamente da Leslie Nielsen) ed ancora una volta l’impeccabile scenografia fanno da cornice ad un film tutto sommato divertente.

Da segnalare anche la presenza di Ezio Greggio all’interno del cast (in pochi sanno che ha avuto dei trascorsi ad Hollywood ed era un grande amico di Mel Brooks)

Non solo Frankenstein …

Film di Mel Brooks precedenti a Frankenstein Junior come: Per favore non toccate le vecchiette (pellicola del 1968 con la quale vinse anche un Oscar per la miglior sceneggiatura originale), Il mistero delle dodici sedie (1970) e Mezzogiorno e mezzo di fuoco (1974) furono un successo sia a livello di pubblico che di critica.

Con Frankenstein il regista ha raggiunto il suo apice, per poi percorrere una parabola discendente con i film successivi. In realtà il pubblico è sempre rimasto legatissimo al regista, considerato un vero e proprio pioniere della comicità e, nonostante i pareri estremamente negativi – forse anche eccessividella critica nella seconda parte della sua carriera, ha continuato ad amarlo e a ridere con lui.

Qualche tempo fa venne organizzata una serata in onore di Mel Brooks, con l’esibizione di diversi attori che misero in scena alcuni dei suoi sketch più famosi. Al termine dell’esibizione, avvenne una lunghissima standing ovation per il regista e si alzò in piedi persino l’allora presidente degli Stati Uniti Barack Obama.

Vincenzo Barbera

Chi siamo “Mentre nessuno guarda”?

È ad occhi chiusi che spesso succedono le cose migliori. La costruzione di un mondo interiore segue come unica regola quella secondo cui sei tu il conducente. Non esiste alcun mezzo o pensiero sbagliato per poter raggiungere la tua meta: l’unico vero errore è quello per cui ci priviamo di provare emozioni.

Esisti tu, il tuo mondo e ciò che desideri. Ed è così che un attimo dopo ti ci ritrovi proprio lì e pensi sia tutto così reale. Questo somiglia molto a quello che succede quando ascolti musica e ti immedesimi in un testo. Non importa quanto tu sia stanco o triste, energico o felice: ti lasci accompagnare da un flusso di emozioni che ti trascinano nell’esatto punto in cui vorresti essere.

Per oggi proviamo a chiudere gli occhi e , “mentre nessuno guarda”,  indossiamo le cuffiette per farci trasportare dal nostro nuovo compagno di viaggio: Mecna, classe 1987, rapper e cantautore italiano.

Mecna. Fonte: webl0g.net

Tra Demoni e Punti Deboli, sai già dove colpire

Mentre Nessuno Guarda è il suo quinto album, pubblicato il 16 ottobre 2020 per Virgin Records/Universal Music Italia. Uscito a meno di un anno di distanza da Neverland. All’interno troviamo 14 brani con diverse collaborazioni musicali.

La prima traccia che segna l’apertura dell’album è Demoni. Una penna leggera, intima, per alcuni versi anche provocatoria. Ma spesso chi provoca non vuole infastidire, ma solo riuscire nel suo intento di spronare l’altro.

Prenditi il tempo che serve, io starò qui
A bruciare con i miei demoni
Non c’è bisogno che torni da me
Sai che è facile a dirsi
Ma qui niente è come lo voglio io

Con le palpebre serrate, sembra che il mondo interiore si sgretoli ogni volta che i demoni entrano a far parte del tuo gioco.
E se il demone fosse proprio una persona? E se il suo veleno provenisse proprio da un sentimento marcito?
Tutto assume un altro sapore e l’atmosfera non è più piacevole perché dietro uno sguardo sembra celarsi qualche fiamma che sai non si spegnerà facilmente.

È semplice intuire che il brano successivo sia proprio Punto debole. Un feat con Guè Pequeno che sembra richiamare la trama del precedente. Il rapper in questione non ha mai negato la sua vita fatta di eccessi, tra droghe, donne e notti fino all’alba. Nel bene e nel male si mostra però sempre autentico, soprattutto quando scrive.

Ma quando l’amore colpisce, lo fa senza guardare in faccia nessuno e anche il più duro si scioglie dentro l’abbraccio della persona che sente di amare.

Ma per te resto astratto, Kandinskij
E vuoi addomesticarmi perché t’impaurisci

Kandinskij è stato il maggiore esponente della pittura astratta. Guè afferma di essere sfuggente, astratto e controverso, mentre dall’altra parte qualcuno minaccia di volerlo cambiare. Ma il cambiamento spesso è frutto di eperienze diverse e decisioni intime, lontane da qualsiasi forma di manipolazione che, al contrario, allontana e rende deleterio qualsiasi rapporto.

Opera di Kandinskij. Fonte: wassily-kandinsky.org

Ombre nello specchio

Capita di sentirsi Così Forte a tal punto da pensare di riuscire a stare

 … in equilibro sopra un filo che si spezza prima o poi
Ma se hai paura nel vuoto non ti ci metti proprio

E nonostante la consapevolezza di crolli emotivi, sai che spesso non c’è nessuno a reggerti, ma succede anche il contrario: che mentre cadi ti godi il panorama e conosci esattamente il giusto modo per atterrare. La scena in questione è la sintesi di quei momenti in cui capisci che hai imparato a cavartela puntando solo sulle tue forze e di riuscire, in qualche modo, ad amare l’asfalto prima ancora di planare in alto.

In Paura di Me, Mecna si domanda se sia davvero possibile far accadere qualcosa di importante in un secondo. Seppur la risposta non sia molto chiara, noi sappiamo come, al di là delle tempistiche, l’istinto giochi un ruolo fondamentale: basta un secondo per mischiare le carte e vincere una partita che non avresti mai pensato fosse tua.

Prendo una strada che non so dove mi porta
Mille domande senza neanche una risposta
Sembra strano, ma è come un viaggio e sono solo
Non so dove sei e dove sono

 

Mecna. Fonte: Rolling Stone

Ma in questo viaggio – per ora- mentale, pare ci sia l’eco di voci ormai lontane che vanno a comporre il testo di una canzone maledetta. Tra le righe la speranza di farcela e la dannazione.

Esistono davvero stati d’animo universali da indossare per ogni situazione?La risposta la ritroviamo in Non mi Va/Con Te

Ogni cosa ha il suo tempo
Ogni scelta ha il suo costo finché siamo convinti di quello che siamo
Può darsi che possiamo cambiare idea

È chiaro, condividere qualcosa richiede prima di tutto desiderio e cura da parte di entrambi, Mecna lo sa bene.

Se tu non fossi venuta a salvarmi non avrei capito niente di me

È qui che vediamo emergere il lato dolce che scaccia via le diverse dosi d’ansia e paure ossessive. Sembra che proprio alla fine della canzone, quei demoni di cui parlava nei testi precedenti siano diventati suoi amici: disturbano, dissanguano, ma permettono qualsiasi tipo di difesa nonostante sappiamo bene in quale posto abitino.

Non è la fine

Sei ancora a bordo? Quello che abbiamo intrapreso è stato un brevissimo viaggio nell’album Mentre Nessuno Guarda di Mecna. Forse ascoltandolo ti renderai conto di non essere poi così diverso da lui e inizierai a sentirti vicino al suo mondo: fragile ma schietto, pieno ma mai completo perché ogni volta aggiunge qualcosa in più senza togliere nulla di ciò che è già dentro.

Spesso, quando si parla di un cantante, si pensa sia necessario sviluppare una lunga lista di aneddoti biografici o varie curiosità. Ma anime come noi hanno bisogno di assaporare alcuni silenzi e sentire, invece, nello stomaco, alcune parole, al di là della storia di chi scrive.

Mecna  fuori dai suoi testi è un uomo, come tutti gli altri: attualmente vive a Milano, si è laureato con lode allo IED (Istituto Europeo di Design) di Roma e realizza diverse collaborazioni musicali, sempre raccontandosi nell’intimo.

Annina Monteleone

 

 

 

 

 

 

Atlas: la vita come un’arrampicata

Il tocco mai banale del regista e l’interpretazione magistrale della De Angelis in uno dei drammi più interessanti di quest’anno – Voto UVM: 5/5

Atlas, del regista Niccolò Castelli, racconta la storia della protagonista Allegra, interpretata magistralmente da una Matilda De Angelis  in una delle sue migliori prove drammatiche, giustamente premiata come Miglior Attrice al Taormima Film Festival.

Niccolò Castelli e Matilda De Angelis al Taormina Film Fest

La montagna di Allegra

Le vicende prendono luogo sulle Alpi e seguono, ispirandosi liberamente, una storia realmente accaduta. Un gruppo di giovani ragazzi appassionati d’arrampicata decide di cimentarsi in una sfida: scalare le montagne della catena dell’Atlante in Marocco, volendo ambire a qualcosa di più rispetto alle montagne che sono abituati a scalare tra Svizzera ed Italia. Arrivati in cima i ragazzi si fanno promessa di provare nuove esperienze, cercando nuove vette da scalare, dando prova così di grande forza d’animo e vitalità.

A questo punto però, il film non segue più le loro vicende e veniamo spostati su un piano diametralmente opposto: ritroviamo la protagonista completamente sconvolta da quello che capiamo essere stato un evento tragico avvenuto in Marocco, comprendiamo quindi che il suo viaggio non è andato a finire nel migliore dei modi e che soprattutto i suoi compagni non sono tornati a casa assieme a lei.

Matilda De Angelis nei panni di Allegra. Fonte: iodonna.it

E’ qui che la pellicola comincia a mostrarci il suo vero volto, mettendo in mostra gli stati d’animo di Allegra, facendoci entrare davvero in sintonia con la protagonista e ritraendo quella che può essere una psiche spezzata: Allegra non parla più con i genitori, non cerca nuovi contatti e quelli vecchi non riescono più a darle nessuno stimolo che la porti con la mente lontano dalla sua continua sofferenza.

L’occhio del regista sulle emozioni

Tutto il lavoro sulla pellicola serve di fatto a farci avvicinare a lei: il lavoro metodico del regista, che riesce benissimo a puntare l’obiettivo mettendo in risalto sia la protagonista che ciò che le sta attorno. La maniera confusa in cui vive ciò che ha intorno a sé, così come il suo dramma interiore, che vediamo messo in risalto da frequenti primi piani sull’attrice (autrice anch’essa di una grande prova), sono la dimostrazione di un lavoro consapevole da parte di Castelli, che non ha creato qualcosa di banale – come invece poteva accadere dato il soggetto – ma anzi è riuscito a costruire una storia con delle inquadrature che non sbagliano quasi mai e lavorano in simbiosi con De Angelis mentre percorre la strada di Allegra.

I vari passi che la portano ad affrontare i suoi traumi vengono sanciti da un’alternarsi di ricordi con la vita odierna: vediamo quindi il passato per come viene affrontato da Allegra, andando a scavare sempre più a fondo mano a mano che si va avanti nella pellicola e le emozioni vengono sempre di più a galla.

L’obbiettivo del film è qui chiaro: raccontare di una risalita umana, in una maniera che, con tatto, renda anche giustizia a quella che è stata una tragedia vera, vissuta da persone vere.

Allegra e Arad. Fonte: cinemany.ch

C’è infine il lavoro dell’intero cast che va a interpretare i personaggi secondari, anch’essi colpiti a fondo dallo stesso dramma. Uno dei personaggi che hanno maggior risalto è quello di Arad, interpretato da Helmi Dridi,  che si rivelerà un incontro centrale per Allegra: il loro rapporto, complicato all’inizio, diverrà il punto di svolta nella storia della protagonista e il momento in cui anche noi spettatori scopriamo tutti i suoi traumi mentre Allegra li affronta, dopo aver tenuto dentro di sé il dolore e la rabbia della perdita.

Verdetto

Il film, per concludere, riesce quasi perfettamente nel suo intento, con l’unica pecca di non aver forse dato abbastanza risalto ai personaggi secondari. Sbaglio comunque perdonabile in quello che risulta essere uno dei drammi più interessanti di quest’anno, nonché una delle migliori prove attoriali che ci auguriamo possa essere un’ulteriore vetrina per il talento di Matilda De Angelis

Matteo Mangano

Taormina Film Fest: La Signora delle rose

Alla quinta serata del Taormina Film Fest , viene presentato La signora delle rose ( La fine fleur), diretto da Pierre Pinaud e con Catherine Frot nei panni della protagonista; i due sono, oltretutto, anche intervenuti sul palco prima della proiezione. Questa pellicola francese, ad ogni modo, non era in concorso.

Le redattrici di UniVersoMe con l’attrice protagonista Catherine Frot al Taormina Film Fest

Trama

La Signora delle rose narra le vicende di Eve Vernet (Caterine Frot), proprietaria di una piccola azienda che produce rose, lasciatagli dal padre; questa però si trova in grave difficoltà economica per via dell’accanita concorrenza della imponente impresa avversaria di Lamarzelle (Vincent Dedienne). Quest’ultimo, infatti, ha una visione anche molto diversa rispetto a Eve: vede la coltivazione delle rose solo come un’industria. Vera (Olivia Cote), unica fedele dipendente e aiutante di Eve, assume tre lavoratori in reinserimento sociale, Fred (Melan Omerta), Samir(Fatsah Bouyahmed)e Nadège (Marie Petiot), senza nessuna conoscenza agricola.  Sarà Eve, all’inizio molto contraria e titubante, ad istruirli sul processo di coltivazione delle rose.  Speciale sarà anche il legame che si creerà tra la protagonista ed uno di questi, Fred, giovane problematico che cerca di riallacciare i rapporti con i genitori che lo respingono. Grazie ad Eve, non solo troverà una nuova famiglia da cui sarà amato e apprezzato, ma scoprirà un suo nuovo e speciale talento.

Personaggi

Eve con i suoi tre apprendisti – Fonte: ciakmagazine.it

Eve, la “Signora delle rose”, è una donna molto forte e determinata; a tratti potrebbe apparire anche troppo testarda e ferma nella sua idea di mantenere l’azienda indipendente a tutti i costi. Commovente è – come abbiamo già detto –  il rapporto che si instaura con Fred: entrambi sono solitari, senza una famiglia e così Eve diverrà come una madre per lui, lo accoglierà in casa sua e lo porterà a credere in sé stesso e nel suo talento innato. L’attrice, già molto apprezzata in Italia ne La cuoca del presidente, porta sul grande schermo un’interpretazione autentica.

Non meno rilevante è il personaggio di Fred: ragazzo con un passato costellato di rapine e altri crimini vari, è molto chiuso ed ha difficoltà a legare con gli altri all’inizio. L’attore, come anche l’attrice che interpreta Nadège, è un esordiente, scelto appositamente dal regista per una performance la più realistica possibile: dopo tutto anche Fred nel film si trova a dover imparare qualcosa di nuovo!

Curiosità sul film

La proiezione del film al teatro antico di Taormina è stata senza alcun dubbio suggestiva ed interessante, sia naturalmente per la particolare location, sia – a mio parere – per la scelta di mantenere la lingua originale: questo ha contribuito a proteggere l’individualità culturale e artistica del film. Ovviamente, per agevolare la visione al pubblico che non comprende il francese, sono stati aggiunti i sottotitoli.

Un’altra caratteristica che ha reso questa pellicola così piacevole da vedere è la cura data alle inquadrature in molte scene. In particolare, quando Eve si trova nei suoi campi di rose, si assiste a delle riprese simili a dipinti.

Come in un dipinto impressionista. © Ilaria Denaro

Un film che ti lascia un sorriso

La signora delle rose racchiude in sé molti elementi tipici della commedia francese: una certa leggerezza e un umorismo sottile. L’intreccio è molto lineare e semplice, il che rende la pellicola piacevole da seguire; si possono intravedere anche tematiche sociali racchiuse nella storia di personaggi come Fred, ma senza andare a disturbare la leggerezza del film.

La signora delle rose è il genere di film che alla fine potrà non lasciare un messaggio o una morale, ma donerà allo spettatore un senso di tranquillità e – perché no – anche un sorriso.

Ilaria Denaro

 

Ma vissero davvero felici e contenti? Ecco Honeymood, candidato al 67esimo Festival del Cinema di Taormina

Il film non è ambizioso e non mira a raggiungere vette, ma rimane piuttosto godibile pur nella sua semplicità – Voto UVM: 3/5

Le fiabe ci hanno insegnato sin da bambini a credere nel lieto fine, quel momento in cui i problemi dei protagonisti innamorati si risolvono quasi per magia e possono finalmente convolare a nozze lasciandosi dietro il tormentato passato. Ma è proprio così? E se dopo il lieto fine ci fossero altri problemi?

Honeymood (2020), commedia romantica targata Spiro Films e diretta dall’israeliana Talya Lavie, si chiede proprio questo. La pellicola – che, tra l’altro, è in concorso al 67esimo Taormina Film Festival – racconta l’odissea vissuta da due neosposi: Eleanor (Avigail Harari) e Noam (Ran Danker). Ma nel loro piccolo universo, che si apre in una stanza d’albergo, si staglieranno molto presto numerose altre figure pronte a metterli alla prova. Ed allora la prima notte di nozze si trasformerà in una missione: riconsegnare un anello alla misteriosa ex dello sposo. Lo sfondo è quello della città di Gerusalemme, di notte, e delle strade in penombra che contribuiscono a realizzare l’intento della regista di presentare una Gerusalemme romantica, prima ancora che città sacra.

L’occhio fedele della telecamera ci renderà partecipi delle loro peripezie senza lasciarli nemmeno per un secondo, anzi, per giunta seguendoli stando loro alcuni passi dietro. Effettivamente, la sensazione che lascia questo film è proprio quello di non riuscire a stare dietro all’imponente climax di eventi presentati dalla trama: non appena si pensa di aver sfiorato il ridicolo, ecco che si sprofonda ancor di più.

Ciò si deve all’impronta umoristica che la Lavie ha voluto dare, assieme ad un tocco di nonsense che in una commedia non fa mai troppo male. Un’opera che se la gioca ben bene dal punto di vista della regia (la regista ha studiato cinematografia a Gerusalemme negli anni della giovinezza), ma che lascia un po’ a desiderare circa la scrittura – specialmente quella dei personaggi. La stessa ha ammesso, durante una conferenza stampa tenuta a Taormina, che il film non intende essere prettamente realistico.

I protagonisti Eleanor (Havigail Harari) e Noam (Ran Danker) – Fonte: asianmoviepulse.com

I personaggi

Il vero cuore della pellicola non è caratterizzato né dalla trama né dalla regia: sono i personaggi. È proprio per questo che una maggiore cura dei loro profili psicologici avrebbe, magari, reso il film ancor più godibile. Ma andiamo per ordine.

Eleanor (Avigail Harari) è la protagonista in assoluto. Frenetica, eccessivamente attiva, un’anima drammatica con molti difetti (non pecca di capacità manipolative) ma che, per qualche motivo, piace a tutti quelli che incontra. Soprattutto alle guardie di Netanyahu. La prima impressione che se ne potrebbe avere è quella di una Jess di New Girl. Il suo tratto distintivo è l’essere tremendamente capricciosa, cosa che fa infuriare il marito ma che, allo stesso tempo, la rende adorabile agli occhi di lui. Oltre ad essere infantile, Eleanor si dimostra anche molto ingenua nei confronti degli altri, tendendo a non distinguere le buone intenzioni da quelle cattive.

Noam (Ran Danker) è il classico tipo privo di energia la cui anima gemella è – quasi per caso – una persona con fin troppa energia. Anche lui è un personaggio che presenta moltissimi difetti: dall’essere irascibile al dipendere ancora dai genitori pur essendo in età adulta; dall’incapacità di opporsi alle prevaricazioni della gente all’inettitudine nei confronti della moglie. Anche quando sembra che il personaggio ottenga finalmente un’evoluzione, si finisce per tornare nei medesimi schemi: ne viene fuori che la sua era solo una ribellione verso i genitori.

Vi sono poi un ex ragazzo, un’ex ragazza, varie guardie dell’esercito, un gruppetto di ragazzetti ingrati, un’infermiera, i genitori dello sposo e tutta una galassia costruita attorno alle due stelle polari. La regista ha rivelato di essersi immedesimata in entrambi al momento della costruzione della storia: prima nella sposa, poi una nuova riscrittura dal punto di vista dello sposo. Un tratto che accomuna i due – si può dire – è quello di essere l’una l’opposto dell’altro e ciò ne scatena un’incredibile chimica, resa anche grazie al talento degli interpreti.

Eleanor e Noam in una scena del film – Fonte: flipscreened.com

Il cinema israeliano al TAO Film Fest

Il cinema israeliano è ancora un astro in ascesa che inizia a dare i suoi frutti, ma che si prospetta senza dubbio promettente. L’opera in questione è un prodotto italo-israeliano, difatti l’italiana Marika Stocchi è stata scelta come coproduttrice ed il contributo italiano si è avuto anche in postproduzione, colore e mixing (realizzati nei laboratori di Roma prima della pandemia).

Al festival di Taormina la regista ed Elisha Banai (Michael, ex ragazzo di Eleanor) si sono presentati con profilo basso e grande ottimismo, ritenendosi onorati di aver avuto l’occasione di proiettare la propria pellicola. All’attore è stata poi posta una domanda riguardante il tema del matrimonio a cui ha risposto – in pieno stile Honeymood – con un secco: «Non saprei, al momento sto divorziando».

Valeria Bonaccorso