Mese della consapevolezza dell’endometriosi: le nuove speranze dal mondo della ricerca

Solo in Italia, secondo il Ministero della Salute, le donne affette da endometriosi sono almeno tre milioni, ovvero tra il 10 e il 15% tra quelle in età fertile, e nel 30-40% dei casi la patologia è causa di sub-fertilità o infertilità. Eppure, la maggioranza della popolazione è all’oscuro della sua esistenza. Una limitata consapevolezza della patologia è infatti causa del grave ritardo diagnostico. La diagnosi arriva spesso dopo un percorso lungo e dispendioso, il più delle volte vissuto con gravi ripercussioni psicologiche. Al contrario, una pronta diagnosi e un trattamento tempestivo possono migliorare sensibilmente la condizione e prevenire l’infertilità.

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Prevenzione dei tumori: l’aspirina come “nuova” arma

Chi non ha mai usato o sentito parlare di aspirina? Parliamo di uno dei farmaci più utilizzati su scala mondiale, usato per le sue capacità analgesiche, antinfiammatorie ed antipiretiche. Da qualche anno si studia la possibilità di impiegare questo famoso farmaco per la gestione dei tumori e i risultati sembrano dare buone speranze per il futuro.

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Prevenire è meglio che curare: la diagnosi precoce oncologica

   Indice:

I programmi di screening oncologici si rivolgono alla popolazione apparentemente sana, sottoponendola a specifici test diagnostici. Essi hanno l’intento di scoprire un’eventuale neoplasia in fase precoce. Tali metodiche costituiscono un intervento di grande importanza sociale, in grado di ridurre incidenza e mortalità per neoplasia.

Attualmente sono unicamente tre i programmi di screening validati, cioè quelli che hanno mostrato un positivo rapporto costo-beneficio nel corso degli anni.

Il primo è rappresentato dallo screening per le neoplasie della mammella, che si rivolge a donne di età compresa tra 50 e 69 anni (in realtà la popolazione target è stata ampliata, da 45 a 74 anni).

Esso è seguito dal programma di screening per il tumore della cervice uterina, rivolto alle donne tra i 25 e i 64 anni.

Più di recente, tra i programmi accertati è stato introdotto lo screening per il cancro del colon retto, che coinvolge anche la popolazione maschile tra 50-69 anni.

L’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM), in collaborazione con l’Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM), pubblica il report annuale “I numeri del cancro 2019” che traccia la geografia dei tumori, con un livello di dettaglio regionale.

Questi dati sanciscono l’importanza delle metodiche di screening, che possono davvero fare la differenza nell’approccio terapeutico di una neoplasia.

D’altra parte emerge però la scarsa sensibilizzazione della popolazione, restia a sottoporsi in maniera costante a tali iter di diagnosi precoce.

Dai più recenti dati Aiom-Airtum, si evince indirettamente che al Nord c’è maggiore attenzione verso lo screening, invece al Sud la popolazione difficilmente si sottopone a tali metodiche. Ciò pone il personale medico-sanitario del Sud a doversi confrontare spesso con casi più difficili, di frequente in fasi avanzate.

Ovviamente, cambiare tali atteggiamenti di diffidenza rappresenta uno tra i più validi mezzi a disposizione per combattere il cancro.

Se da un lato sono riportati i dati relativi alle neoplasie di cervice, color retto e mammella, dove occorre continuare a non abbassare la guardia, per massimizzare i benefici degli screening, dall’altro troviamo neoplasie per le quali di rado si effettua una diagnosi precoce.

Di seguito, verranno proposte nuove strategie di screening per neoplasie che continuano a mietere numerose vittime. Ciò è spesso il frutto della scarsa consapevolezza dilagante fra tutte le fasce della popolazione, che porta a sottovalutare stili di vita scorretti e a non prestare attenzione agli interventi di sensibilizzazione.

CANCRO AL POLMONE: IL “BIG KILLER”

Il carcinoma polmonare rappresenta la causa più frequente di morte per cancro nella popolazione, nonostante il miglioramento delle metodiche diagnostiche e terapeutiche.

Nella maggior parte dei casi, esso è correlato ad agenti cancerogeni inalati attraverso il fumo di sigaretta. La cessazione del consumo di tabacco rappresenta la prima norma da seguire, al di là ogni programma di screening. Solo attraverso tali misure preventive si potrà fronteggiare tale “big killer” nei prossimi anni.

Il ruolo dello screening nei pazienti ad alto rischio, come fumatori abituali o ex fumatori con età maggiore di 50 anni, è molto dibattuto.  I primi studi di screening in cui veniva utilizzata la radiografia del torace non hanno portato alla riduzione della mortalità per cancro.

I successivi studi hanno impiegato la  TC del torace low dose (LDCT), permettendo di rilevare un elevato numero di tumori in stadio iniziale, quindi potenzialmente curabili. In particolare, lo studio statunitense “National Lung Screening Trial” ha evidenziato per la prima volta una riduzione di mortalità specifica per tumore del polmone del 20% grazie all’utilizzo della LDCT in confronto alla RX torace.

Inoltre, lo sviluppo di biomarcatori innovativi offre nuove prospettive che guardano al futuro. Infatti, per il carcinoma polmonare si fa strada la possibilità di impiegare dei marcatori specifici , noti come microRNA. Infatti, alla luce degli studi dell’Istituto Nazionale dei Tumori, supportati dall’ AIRC, tali sequenze di RNA non codificante hanno un importante ruolo nell’oncogenesi.

L’immagine è  tratta da uno  Studio Clinico che ha considerato i miRNA espressi  in pazienti con carcinoma polmonare. I miRNA over-espressi sono raffigurati in giallo, mentre i microRNA down-regolati sono indicati in blu.

Pertanto, gli ultimi tentativi hanno coniugato l’ impiego di miRNA circolanti e LDCT , mostrando risultati positivi.  Si spera, dunque, di ottenere rapidi progressi da tale metodica, affinché in futuro possa essere fruibile per la popolazione.

Immagine tratta da International Journal of Cancer: ” Circulating mir-320a promotes immunosuppressive macrophages M2 phenotype associated with lung cancer risk”

CARCINOMA PROSTATICO

Anche per il cancro alla prostata la diagnosi precoce è un passo molto importante, sia per la valutazione clinica del paziente che per la successiva terapia.

Il dosaggio dell’Antigene Prostatico Specifico (PSA) costituisce, ad oggi, l’unica indagine dirimente per la valutazione della ghiandola prostatica.

Negli anni si è però capito che il test non è specifico, poiché i livelli di PSA possono variare in risposta ad altre condizioni, sia fisiologiche che patologiche.

Così, anche in tale ambito, lo studio dei meccanismi molecolari dei miRNA ha portato verso nuove conoscenze. Infatti, nel cancro alla prostata si osserva una alterazione nella regolazione di diversi miRNA, i quali potrebbero agire come soppressori tumorali o oncogeni.

E’ emerso un marcatore denominato EXO-Psa.

Si tratta dell’antigene prostatico specifico che circola nel sangue all’interno di esosomi, piccole vescicole che si staccano da tutte le cellule del nostro organismo, fungendo da “messaggeri molecolari”. In caso di malattia oncologica, però, a rilasciarle nel circolo sanguigno sono soprattutto quelle tumorali.  Ed è proprio questo il principio su cui si fonda l’elevata affidabilità del nuovo test indicato.

CARCINOMA PANCREATICO

Le statistiche più recenti descrivono un aumento anche dei casi di carcinoma pancreatico. Inoltre, in tale caso i dati AIRTUM mostrano una sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi solo dell’8%, tra le più drammatiche.  Si tratta di un impatto rilevante, dovuto al fatto che molti pazienti risultano asintomatici, almeno nelle fasi iniziali.

E’ indispensabile, pertanto, individuare metodi per la diagnosi precoce almeno nei soggetti ad alto rischio, più suscettibili per familiarità o predisposizione genetica. Questo perchè in simili situazioni la sorveglianza attiva potrebbe fare la differenza, più che in ogni altro caso.

Sono significativi i dati ottenuti da uno studio pubblicato sull’American Journal Of Gastroenterology. Esso ha coinvolto soggetti a rischio di sviluppare la neoplasia. I risultati sono stati ottenuti attraverso due metodiche diagnostiche note come CP-RM ed ecoendoscopia.  Esse hanno consentito di riscontrare anomalie in molti dei soggetti esaminati permettendo, pertanto, un migliore iter terapeutico successivo, che si traduce in maggiori possibilità di sopravvivenza.

Dopo aver preso in rassegna le neoplasie con decorso più drammatico, per le quali non esistono ancora programmi di screening riconosciuti, risulta pertanto necessario attenersi quanto meno a quelli oggi validati.

Invece, si dovranno attendere i prossimi risvolti per innovazioni rivolte all’individuazione precoce delle altre neoplasie esaminate.

Indubbiamente, però, la sensibilizzazione della popolazione costituisce senza dubbio il punto principale da considerare, affinché divenga il fulcro per lo svolgimento della corretta esecuzione dei programmi preventivi e dell’aderenza agli stessi.         

                                                                                                                                                                                                                        Federica Tinè

Bibliografia:

Associazione italiana di oncologia medica (AIOM),  Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM), Report annuale “I numeri del cancro in Italia 2019” 

Livelli plasmatici aumentati di esosomi che esprimono PSA distinguono i pazienti con carcinoma prostatico dall’iperplasia prostatica benigna: uno studio prospettico.

Mariantonia Logozzi et al. Cancro (Basilea) . 2019 :  https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/31569672/

Screening LDCT del cancro del polmone e riduzione della mortalità: prove, insidie ​​e prospettive future.
Matthijs Oudkerk ,ShiYuan Liu ,[…]John K. Field
Nature Reviews Clinical Oncology ( 2020 )

#OttobreRosa: la prossima settimana screening gratuito al Papardo e all’A.S.P.. Ecco come fare

(fonte: tempostretto.it)

Lo scorso 13 ottobre Palazzo Zanca si è illuminato di rosa in occasione del Pink October, ma di cosa si tratta?

Pink October è un mese dedicato alla prevenzione del carcinoma mammario (c.d. tumore al seno), una patologia che affligge principalmente le donne e che tra queste è molto diffusa, in particolare nella fascia d’età tra i 40-70 anni. La buona notizia è che, quando è ancora in fase precoce, può essere curato con efficacia e con terapie poco invasive. Ecco in cosa risiede l’importanza della prevenzione; ecco il motivo per cui anche Messina, quest’anno, ha deciso di aderire alla campagna tramite una serie d’iniziative che promuovono la prevenzione.

Quale prevenzione?

Un primo tipo di prevenzione contro il tumore al seno, non meno importante, si racchiude in una buona alimentazione ed attività fisica, oltre che nella c.d. autopalpazione della mammella (ne abbiamo parlato qui) che permette al soggetto d’individuare eventuali anomalie (ad es. noduli) nella zona mammaria.

La prevenzione secondaria risiede nello ‘screening’, esame periodico effettuato anche su chi non dovesse avvertire sintomi che consente di rintracciare e tacciare la patologia sul nascere. Su quest’ultimo tipo di esame si sono volute concentrare associazioni come l’A.S.S.O. (Associazione Siciliana di Sostegno Oncologico) e la L.I.L.T. (Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori), che per tutto il mese di ottobre si sono impegnate a sensibilizzare ed invitare i cittadini alla prevenzione.

(fonte: ravennanotizie.it)

Tre giornate al Papardo

A tal proposito, il Dipartimento di Oncologia e la Breast Unit dell’azienda ospedaliera ‘Papardo’ in collaborazione con A.S.S.O., hanno dedicato tre giornate (27-28-29 ottobre) agli screening di prevenzione di cui si occuperanno specialisti del settore.

Per prenotarsi, è possibile già dal 14 ottobre chiamare il numero dedicato 090 3996251 nella finestra oraria tra le ore 9 e le ore 13 dal lunedì al venerdì. Saranno i volontari dell’A.S.S.O. ad occuparsi direttamente delle prenotazioni.

Una giornata gratuita all’A.S.P. Messina

Altre iniziative riguardano, invece, l’A.S.P. (Azienda Sanitaria Provinciale) di Messina, che ha deciso d’istituire sabato 31 ottobre un’intera giornata di screening gratuito per le donne comprese nella fascia d’età 50-69. Ad occuparsi degli esami sarà l’equipe della Breast Unit e dell’UOS Screening Mammografico dell’Ospedale di Taormina.

(fonte: asp.messina.it)

Saranno inoltre effettuate delle visite senologiche alle donne di età compresa tra 45 e 69 anni, che consiste in un esame approfondito ed indolore e che si basa sulla palpazione del seno da parte di un medico senologo.

Le prenotazioni possono effettuarsi al numero 3357753952 il lunedì, mercoledì e venerdì dalle 10:30 alle 11:30, mentre martedi e giovedi dalle 15:30 alle 16:30, fino ad esaurimento della disponibilità.

Valeria Bonaccorso

#OttobreRosa: i numeri e la prevenzione del cancro al seno

Ottobre è il mese dedicato alla prevenzione del tumore al seno e noi di UniversoMe vogliamo dare il nostro contributo. Rappresenta il 30% delle diagnosi di neoplasia nella donna ma, nonostante resti ad oggi un grande nemico, può essere diagnosticato precocemente attraverso attente valutazioni e metodiche di screening e curato.

Iniziamo dai numeri

Sfogliamo insieme il volume “I numeri del cancro in Italia 2020”, redatto dall’AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) in collaborazione con altre associazioni. Si stima che nel 2020 saranno diagnosticati circa 54.976 nuovi casi di tumore della mammella femminile, su un totale di 181.857.
Questi così distribuiti per fasce d’età: il 41% tra 0 e 49 anni, il 35% tra 50 e 69, mentre sopra i 70 anni la percentuale scende al 22%.

Nel 2017, secondo l’ISTAT, rappresentava il 16,1% dei decessi per tumore nel sesso femminile: la prima causa di mortalità per tumore nella donna (la terza considerando la popolazione generale).

Sempre rifacendoci a dati AIOM, la sopravvivenza delle pazienti con cancro della mammella in Italia è dell’87% a 5 anni e dell’80% a 10 anni dalla diagnosi. Rispetto al 2015, da questo punto di vista, siamo in miglioramento, sia per il progresso delle terapie (continuate a seguirci se siete curiosi a riguardo), sia per la diffusione di programmi che permettono una diagnosi precoce.

Guardando alla realtà locale, l’Atlante tumori della regione Sicilia ha registrato nel periodo fra il 2003 ed il 2011 un numero medio annuale di nuove diagnosi di cancro al seno di 403,4 in provincia di Messina, il 13,3% della Regione. Nell’immagine sotto possiamo vedere i tassi standardizzati diretti della patologia nei vari distretti della regione.

Chi ha un rischio più elevato?

Guardiamo in primis allo stile di vita. Dieta corretta, giusta attività fisica, moderato consumo di alcolici e astensione dal fumo rappresentano i pilastri di una vita sana.

Bisogna considerare fattori endocrino-riproduttivi in quanto la ghiandola mammaria è un tessuto sensibile agli ormoni sessuali (soprattutto estrogeni e progesterone). Menarca precoce, menopausa tardiva, assenza di gravidanze sono condizioni che prolungano l’esposizione agli ormoni, quindi aumentano il rischio di carcinoma.

L’aver avuto precedenti displasie o neoplasie mammarie espone la donna alla possibilità di una recidiva. Così come l’essersi sottoposta a radioterapia toracica, soprattutto se prima di 30 anni, magari per altre patologie, accresce il pericolo di cancro del seno.

Infine la variabile ereditaria. Riferendoci ai numeri forniti dall’AIOM, il 5-7% delle neoplasie mammarie ha basi genetiche. Di questi, 1/4 sono legati a mutazioni dei geni oncosoppressori BRCA-1 e BRCA-2. Tali geni codificano per proteine coinvolte nei meccanismi di riparazione dei danni a doppia elica del DNA. Quando mutati viene a mancare un controllo sui meccanismi di replicazione cellulare.

Screening in Italia

In Italia il ministero della salute offre alle donne di età compresa tra 50 e 69 anni lo screening gratuito attraverso l’esecuzione di una mammografia ogni due anni. Si tratta di un esame radiologico che individua anche lesioni di piccole dimensioni, quali microcalcificazioni.

Esecuzione di una mammografia

Ha, tuttavia, un limite: è poco adatta nelle giovani in quanto riesce a discriminare meglio delle alterazioni nel parenchima adiposo. Quindi sotto i 40 anni si preferisce effettuare un’ecografia che, oltre a non esporre a radiazioni, ha il vantaggio di una migliore specificità in un parenchima a maggiore componente ghiandolare.

Come ha inciso il lockdown in questo settore?

Nei mesi di chiusura da una parte la paura di contrarre il virus recandosi in ospedale, dall’altra la riduzione dei normali controlli da parte dei nosocomi, hanno portato ad una riduzione di tutti gli screening oncologici. Esaminando il confronto effettuato dall’osservatorio nazionale screening nei primi 5 mesi del 2020 in Italia si è accumulato un ritardo del 53,8% rispetto allo stesso periodo del 2019 per lo screening mammografico. La Sicilia si attesta poco sopra la media nazionale, al 55,7% con 5754 esami e 78 diagnosi di cancro mammario in meno.

L’autoesame del seno: poche semplici manovre da imparare

Prima fase è l’ispezione, svolta davanti allo specchio. Bisogna osservare le mammelle prima con le mani distese ai fianchi e poi appoggiandole al bacino e contraendo i muscoli pettorali. Obiettivo è analizzare forma, colore e dimensioni, considerando piccole alterazioni di volume fisiologiche. La stessa osservazione va ripetuta di profilo con le braccia alzate, mettendo in evidenza il cavo ascellare, sede privilegiata delle metastasi linfonodali da carcinoma mammario.

Passiamo alla palpazione vera e propria. Ci si sdraia, ponendo un cuscino sotto la spalla sinistra e la mano sinistra sotto la nuca.

A questo punto con le dita della mano destra posta a piatto si inizia a palpare il seno sinistro, compiendo dei movimenti circolari in senso orario con pressione crescente. In questo modo possiamo identificare eventuali nodularità o indurimenti del parenchima.

Successivamente si eseguono dei movimenti in direzione radiale, dall’esterno verso il capezzolo, e poi dal basso verso l’alto.

Importantissima è la palpazione del cavo ascellare per individuare eventuali linfonodi aumentati di volume, di consistenza alterata (dura-lignea). Infine, stringendo il capezzolo tra due dita, verificare la presenza di secrezione.

Ripetere ovviamente le stesse manovre per il seno controlaterale. Queste semplici manovre possono essere effettuate anche sotto la doccia. Qualora notaste delle anomalie e/o differenze con la precedente autopalpazione, contattate il vostro medico di fiducia.

Antonio Mandolfo

 

Bibliografia:

https://www.epicentro.iss.it/tumori/pdf/ASS%20SALUTE_Atlante%20Tumori%202016.pdf

https://www.aiom.it/wp-content/uploads/2019/09/2019_Numeri_Cancro-operatori-web.pdf

https://www.epicentro.iss.it/tumori/pdf/2020_Numeri_Cancro-pazienti-web.pdf

https://www.osservatorionazionalescreening.it

https://liltbolzano.blog

 

 

Vitamina D e COVID-19: le basi scientifiche della sua integrazione

Nei giorni scorsi si è molto dibattuto sul ruolo della vitamina D nel ridurre il rischio di infezione da SARS-CoV2. Inoltre, un recente report dell’ISS riporta anche una possibile efficacia nel trattamento di due sintomi tipici della COVID-19, l’anosmia e l’ageusia, ossia la perdita dell’olfatto e del gusto. Ma quali sono le basi per cui la vitamina D sarebbe efficace?

Cos’è la Vitamina D e quali sono le sue funzioni biologiche

La vitamina D comprende un gruppo di ormoni liposolubili dato da 5 vitamine. Le principali sono la D2, assunta con alimenti di origine vegetale, e la D3, di origine animale o prodotta dall’epidermide sotto azione dei raggi solari. Questi precursori sono trasportati e modificati nel fegato e poi nel rene ottenendo il calcitriolo, la forma ormonale attiva.

Il calcitriolo esercita le sue azioni tramite il recettore nucleare VDR, che a sua volta lega il recettore X dell’acido retinoico, il quale lega specifiche sequenze del DNA determinando modificazioni dell’espressione genica. Il VDR è presente in modo praticamente ubiquitario e si stima che da 200 a 2000 geni possano rispondere all’azione della vitamina D.

Anche se famosa per la sua azione a livello osseo, si tratta di un ormone estremamente versatile, con numerose azioni in ogni distretto. Ed ha anche un’importante influenza sul Sistema Immunitario.

Il recettore VDR è presente su cellule dendritiche, linfociti e macrofagi. La vitamina D favorisce l’integrità delle barriere cutanee e mucose contro l’ingresso dei microbi e la produzione di catelicidine e defensine, peptidi ad azione antibatterica, antifungina e antivirale. Inibisce l’attivazione delle cellule dendritiche da parte del lipopolisaccaride batterico. Riduce il rilascio di citochine pro-infiammatorie da parte dei linfociti T e inibisce la proliferazione delle cellule T. Potenzia perfino l’azione delle cellule NK contro le cellule tumorali.

In sintesi, ha una funzione fondamentale di modulazione del sistema immunitario.

Il SARS-CoV2 infetta le cellule in modo mai visto prima

Un recentissimo studio pubblicato il 28 maggio sulla prestigiosa rivista Cell ha analizzato come il SARS-CoV-2 infetta le cellule bersaglio e soprattutto come funziona la risposta immunitaria al virus. Il prestigio dello studio si basa su una serie di punti di forza:

  • Non è stato analizzato solo il SARS-CoV-2, ma in parallelo è stato paragonato a SARS-CoV-1, MERS-CoV, RSV (Virus Respiratorio Sinciziale), virus dell’influenza A e HPIV3 (virus umano para-influenzale 3), per valutare le precise differenze.
  • La ricerca ha previsto studi su colture di differenti linee cellulari, utilizzando diverse cariche virali in diversi esperimenti, per mimare al meglio in vitro ciò che si verifica nel nostro organismo.
  • Ma le condizioni ottenibili in una coltura cellulare non possono essere paragonabili al complesso microambiente dei nostri polmoni. Per questo un ulteriore step è stata la sperimentazione in vivo sul modello animale del furetto (si, ci somiglia molto!).
  • Quindi, sono state effettuate delle verifiche su polmoni umani, ottenuti post-mortem da soggetti COVID-19 positivi. Trattandosi di un numero ridotto di campioni, sono state infine condotte analisi su un elevato numero di prelievi sierici di pazienti affetti da COVID-19.

Tralasciando i tecnicismi, i risultati sono stati sorprendentemente sovrapponibili in ogni fase dello studio.

Le ricerche si sono concentrate sui pattern di attivazione genica determinati dal virus nelle cellule bersaglio e del sistema immunitario. Affermano i ricercatori: “i nostri dati hanno dimostrato che l’impronta trascrizionale dell’infezione da SARS-CoV-2 è ben distinta rispetto agli altri coronavirus altamente patogeni e ai comuni virus respiratori.”

Sostanzialmente, tramite complessi meccanismi molecolari, il virus determina una netta riduzione di Interferon I e III ed una abnorme produzione delle citochine IL-6 e IL1RA, tanto da permettere un parallelismo tra la COVID-19 e la Sindrome da tempesta citochinica. Si tratta dell’evidenza scientifica che giustifica l’efficacia di farmaci già sperimentati, come il tocilizumab o l’anakinra, che agiscono proprio contro tali citochine.

Semplificando, il virus inibisce la produzione di Interferon e rende inefficace la risposta immunitaria, impedendo la risoluzione dell’infezione e determinando una anomala ed eccessiva produzione di citochine, responsabili dei gravi danni polmonari e delle complicanze sistemiche della COVID-19.

In soggetti giovani e sani, rispetto a soggetti anziani con una risposta immunitaria già compromessa, una piccola percentuale di cellule resisterebbe al meccanismo di inibizione virale e i livelli residui di Interferon permetterebbero la corretta risposta all’infezione.

Perché la supplementazione di Vitamina D fa intravedere nuove speranze

Chiariti a grandi linee i meccanismi molecolari della COVID-19 e le funzioni biologiche della vitamina D, è intuitivo che la funzione modulatrice della vitamina D non possa che essere d’aiuto per affrontare efficacemente l’infezione. Ostacola l’ingresso del virus tramite le barriere fisiche, riducendo il rischio di contagio. Sopprime la sintesi di svariate citochine pro-infiammatorie e stimola quelle anti-infiammatorie. Il risultato finale è di sopperire a quei punti deboli che il virus sfrutta per determinare la patologia.

I benefici della supplementazione non sarebbero però rivolti a tutti, ma a coloro che hanno di base livelli ridotti di vitamina D. Condizione, questa, tutt’altro che infrequente.

Un’importante ricerca del 2019 ha dimostrato come il deficit di vitamina D sia estremamente comune in Europa. Interessa quasi il 20% della popolazione del Nord Europa, il 30-60% in Europa occidentale e del Sud e addirittura l’80% nei Paesi dell’Europa orientale. I gruppi maggiormente a rischio sono bambini/adolescenti e donne in gravidanza (che hanno un aumentato fabbisogno) e soprattutto, non a caso, soggetti anziani.

Prevalenza della carenza di vitamina D in Italia.

Una meta-analisi di 25 studi con quasi 11 mila partecipanti ha già dimostrato come il supplemento di vitamina D abbia un effetto protettivo contro infezioni acute delle vie respiratorie.

Inoltre, uno studio pubblicato lo scorso 6 maggio ha messo in evidenza la relazione tra bassi livelli di vitamina D e incidenza e mortalità per COVID-19.

Ad oggi, sono stati approvati ben 11 trials clinici con l’obiettivo di testare la supplementazione vitaminica in pazienti con COVID-19, sia a dosi alte che standard, in associazione agli altri farmaci.
Nella speranza di compiere ulteriori passi in avanti, non ci resta che attendere il conforto di un’evidenza scientifica.
Nel frattempo, prendere un po’ di sole non può che far bene!

Davide Arrigo

 

Bibliografia:

https://www.cell.com/cell/pdf/S0092-8674(20)30489-X.pdf?_returnURL=https%3A%2F%2Flinkinghub.elsevier.com%2Fretrieve%2Fpii%2FS009286742030489X%3Fshowall%3Dtrue
https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1931312820301876
https://eje.bioscientifica.com/view/journals/eje/180/4/EJE-18-0736.xml
https://www.bmj.com/content/356/bmj.i6583
https://link.springer.com/article/10.1007/s40520-020-01570-8
https://journals.physiology.org/doi/full/10.1152/ajpendo.00185.2020
https://www.iss.it/news/-/asset_publisher/gJ3hFqMQsykM/content/covid-19-carenza-di-vitamina-d-e-perdita-dell-olfatto-e-del-gusto
https://www.researchgate.net/publication/320010685_CONSENSUS_VIS_Vitamine_Integratori_Supplementi

Sapresti riconoscere la depressione e il bipolarismo e aiutare chi ne soffre?

Se esiste qualcosa che affascina gli uomini è l’incompleta comprensione di certi fenomeni naturali.
Tra questi, il confine tra biologia e psiche, tra anima e corpo, è qualcosa che forse l’uomo non riuscirà mai a comprendere sino in fondo.

Espressione di questo confine sono anche i disturbi dell’umore, vere e proprie malattie psichiatriche che vengono spesso sottovalutate perché non capite. L’incomprensibile non è sempre amato, a volte viene stigmatizzato o banalizzato.

” Sono bipolare perché a volte sono triste, altre nervoso”.

” Tirati su, perché stai sempre a piagnucolare, a lamentarti? Rimboccati le maniche e reagisci!”, frasi spesso ripetute da familiari e amici a chi soffre di depressione.

Frasi figlie di un’epoca che ignora il substrato biochimico e neurobiologico di certe patologie, con la conseguente incapacità di aiutare e sostenere chi si trova in queste situazioni, per mancanza di strumenti di conoscenza adeguati.

E’ stata dimostrata l’esistenza di un’alterazione di neurotrasmettitori e neurobiologica nei pazienti affetti da depressione e da disturbo bipolare.

In particolare, caratteristiche della depressione sono:

Alterazione della serotonina (5HT) implicata nel buon umore e nel piacere.

  • Riduzione della concentrazione nel liquido cefalo-rachidiano dell’acido 5-idrossi-indolacetato, il principale metabolita del 5HT;
  • Deplezione dei siti di legame del trasportatore del 5HT nel mesencefalo e nelle piastrine;
  • Riduzione del L-Triptofano, precursore del 5HT;

Alterazione della Noradrenalina (NA) implicata nell’energia, nella vitalità.

  • Bassi livelli dei metaboliti della NA sono stati trovati nelle urine e nel liquido cefalorachidiano;
  • Lo stress aumenta l’attività della NA nei circuiti cerebrali;
  • Gli inibitori del reuptake della NA hanno azione antidepressiva;

Alterazioni della dopamina (DA) implicata nella motivazione, nella memoria.

  • Riduzione dei metaboliti della DA nel liquido cerebrospinale;
  • Studi di brain imaging e studi post mortem hanno rilevato un aumento del trasportatore della DA e un incremento dei recettori D2/D3 ad indicare una riduzione nella trasmissione DA;
  • Farmaci che incrementano la neurotrasmissione DA hanno azione antidepressiva;

Alterazioni neuroanatomiche e neurofunzionali.

  • Diminuzione del volume corticale e subcorticale tramite studi con risonanza magnetica;
  • Studi post mortem hanno mostrato riduzione del volume ippocampale, della corteccia frontale, del talamo e dei gangli della base;
  • Gli studi effettuati con la PET hanno evidenziato una riduzione della sostanza grigia nell’amigdala, nella corteccia prefrontale e nella corteccia del cingolo. Infatti l’amigdala è coinvolta nella salienza emozionale delle esperienze, l’ippocampo nei processi di memoria e la corteccia prefrontale è la sede delle funzioni esecutive e di autostima.

Alterazioni dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrenale.

Si tratta di strutture aventi un ruolo importante nelle funzioni di base come il sonno, l’appetito e la libido, che mediano anche la risposta agli stress.

Le aree di interesse delle manifestazioni cliniche

Area affettiva-emotiva: l’umore altamente depresso non è modificabile da eventi positivi. Il dolore è un’esperienza soggettiva difficile da comprendere, deriva da un’idea di male presente pervasiva, attuale, immodificabile, nel quale l’unica via d’uscita è l’idea suicidaria per sfuggire.

Rallentamento nella psicomotricità: qualsiasi azione richiede uno sforzo immane. A volte l’unica azione possibile è un pianto continuo e disperato.

Area cognitiva: l’alterazione di quest’area comporta difficoltà di concentrazione, disturbi della memoria, difficoltà ad affrontare la vita quotidiana, il lavoro e tutto ciò porta all’isolamento sociale.

Un depresso non sceglie la sua malattia, non sceglie di rimanere fermo immobile come un vegetale nel letto bloccato a piangere, perché è poco intelligente, perché ha poco carattere. I suoi sensi di colpa aumentano quando gli si dice: “Forza alzati! Reagisci!”

Finiscono per essere lasciati dalla moglie, dal marito, abbandonati dagli amici. Chi vuole star accanto ad una persona che piange sempre?

C’è una paralisi della mente, non si può motivare chi biologicamente non ce la fa. In questo tunnel buio si è completamente soli, incompresi dalla società.

Il bipolarismo è un sistema più complesso. Il soggetto oscilla da un umore basso ad un umore alto, che può salire vertiginosamente in breve tempo. Vira da periodi di depressione ripetuti ad episodi ipomaniacali e maniacali.

In fase ipomaniacale il soggetto sperimenta l’euforia, la gioia di vivere, l’entusiasmo, l’aumento di energia o dell’attività finalizzata, il diminuito bisogno di sonno, per poi arrivare alla fase maniacale dove le idee sono troppo veloci, si ha un autostima grandiosa, idee di onnipotenza, coinvolgimento in attività che hanno alto rischio, oppure un umore disforico caratterizzato da grande aggressività, maggiore loquacità, discorsi sconnessi, che può degenerare fino al delirio.

E’ come essere in una giostra continua di alti e bassi, come essere sulle montagne russe: salire su, per poi toccare il fondo e sperimentare il vuoto e l’anedonia.
I soggetti bipolari presentano un rischio molto più alto di suicidio.

Eppure molti personaggi bipolari non sono tanto lontano da noi, a volte si nascondono per vergogna, altri hanno scritto la storia. Ad esempio in ambito politico erano bipolari Winston Churchill, Napoleone Bonaparte, ma anche Silvio Berlusconi e Francesco Cossiga, più vicini ai nostri tempi, o in ambito letterario e filosofico Charles Baudelaire, Virginia Woolf, Carl Gustave Jung.

Francesco Cossiga

 

Silvio Berlusconi

In ambito umanitario invece Gandhi o Martin Luther King, o personaggi famosi, come cantanti o calciatori, dai quali ci si aspetterebbe una vita felice grazie al loro successo e alla loro popolarità, in realtà hanno sofferto del disturbo della depressione.

Probabilmente, però, senza questo aspetto della loro vita, questi personaggi avrebbero perso un pezzo di tessuto in loro che li ha arricchiti.

Tutto ciò non nega il caro prezzo che hanno dovuto pagare, un dolore immenso perché come scriveva Goethe descrivendo la sua depressione:

Quando siamo derubati di noi stessi, siamo derubati da tutto. Le mie forze creative sono state ridotte a un’irrequieta indolenza. Non ho fantasia, nessun sentimento per la natura e leggere mi è diventato ripugnante.”

Forse bisognerebbe conoscere meglio certe patologie, per amare ed aiutare veramente chi non ha un “io” molto forte per uscirne fuori.

Ma come aiutare una persona affetta da depressione?

  • Non dirle “Forza, reagisci!”.
  • Spronarla a uscire di casa.
  • Evitare l’isolamento sociale.
  • Evitare che abbandoni il lavoro per la sua malattia.
  • Farle conoscere gente nuova.
  • Risvegliare passioni abbandonate e stimolare passioni nuove.
  • Farle praticare sport, il più potente antidepressivo naturale.
  • Consigliarle un consulto medico da uno specialista.

Per aiutare una persona bipolare bisogna:

  • Farle prendere coscienza e adeguata conoscenza della sua malattia.
  • Raccontarle biografie di persone che hanno condotto una vita brillante con il loro stesso disturbo: la diversità può essere fonte di grande ricchezza.
  • Spiegarle che non ha nulla di cui vergognarsi dei gesti compiuti in fase maniacale.
  • Farle comprendere che con un’adeguata cura farmacologica che tiene costantemente in equilibrio l’umore, può evitare gli up e down.
  • Evitare di alterare il ritmo sonno-veglia (dormire almeno 8 ore al giorno).

                                                                                              Daniela Cannistrà

 

La giornata del rene spiegata dal professor Domenico Santoro

17 marzo 2019. Messina. Piazza Cairoli.  La Scuola di Nefrologia dell’Università di Messina dalle ore 9:00 alle 17:00, con un gruppo di medici, coordinati dal professor Domenico Santoro, professore associato di Nefrologia nonché dirigente medico dell’UOC Nefrologia e Dialisi presso il Policlinico universitario, per offrire alla città informazioni gratuite e screening sulla funzione dei propri reni, in occasione, appunto, della Giornata mondiale del rene 2019.

Il professore Santoro, per primo, ci ha fornito alcuni dettagli di approfondimento in merito all’evento attraverso un alternarsi di domande e risposte:

Professor Santoro, come mai oggi ci troviamo qui, in piazza?

“Come ogni anno, dal 2008, si dedica una giornata al rene, che prende il nome di giornata mondiale del rene, GMR, e ogni anno propone un tema diverso.  Il tema del 2019 è: “Salute per i Reni per ciascuno ed ovunque – Kidney Health for Everyone Everywhere”. Si dedica questa giornata perché le malattie renali sono più comuni di quello che si pensi, e in generale, colpiscono l’8/10% della popolazione. Nel sito internazionale della GMR ci sono numeri interessanti, che dovrebbero far allertare la popolazione, infatti, 825 milioni di persone in tutto il mondo soffrono di insufficienza renale cronica. Se noi facessimo un confronto con diabete, malattia molto più conosciuta, ci renderemmo conto che colpisce molte meno persone, solo 380 milioni, ma ha comunque un eco maggiore tra la popolazione. L’insufficienza renale è una malattia con una mortalità abbastanza importante, basti pensare, che ogni anno muoiono 2,4 milioni di persone di insufficienza renale cronica. Poi è presente la forma acuta della malattia (IRA): 13 milioni di persone al mondo, ne soffrono. Con una mortalità molto più alta: il 13%. L’85% dei pazienti con questa malattia proviene dai paesi poveri, ergo, con più difficoltà all’accesso all’acqua, poiché i reni funzionano se si ha un determinato apporto idrico. Anche le classi sociali meno abbienti presentano percentuali più alta di rischio di contrarre tale patologia. Il tutto si riallaccia al tema di quest’anno “disuguaglianza in sanità”. L’allerta che noi vogliamo dare è soprattutto di cercare di portare la salute dei reni per ciascuno e ovunque come cita il nostro motto Kidney Health for Everyone Everywhere.”

Cosa fate in piazza per l’esattezza?

“Facciamo dei controlli gratuiti, accessibili a tutti. Per controllare se si è affetti da malattie renali basta veramente poco: controllare la pressione arteriosa, un esame delle urine, la misurazione delle creatinina e un’ecografia ai reni. Per fare uno screening sulle malattie renali ci vuole un attimo. Ricordo che l’8-10% ne soffre. Penso che sia davvero importante farlo annualmente.”

Ha qualche appello da fare?

“Sì. Si dice che la sanità dev’essere uguale per tutti, ma questo non è così. Soprattutto al sud. Ed è un problema. Non qualitativo, il problema non è un’incapacità della classe medica del meridione, ma la questione è di tipo politico nazionale. Un settore che risulta molto carente nel nostro territorio è quello dei trapianti di reni. Il trapianto renale costituisce la migliore arma che abbiamo quando la funzione renale tende a spegnersi e costituisce sicuramente la più valida alternativa alla dialisi. E mentre siamo in grado di affrontare ogni sfida nel nostro territorio per cercare di salvare la salute dei reni quando arriva il momento della terapia sostitutiva, per ottenere un trapianto siamo costretti nuovamente a viaggi della speranza. L’attività dei trapianti si presenta fortemente disomogenea sul territorio nazionale. Esiste una forte differenza territoriale nella attività di donazione che genera profondi divari regionali.“

Oggi qui con voi c’è il sism?

“Sì. Oggi, qui con noi, c’è il Sism. Roberta Minasi, presidentessa del Sism, ci accompagna da alcuni anni insieme al gruppo della Nefrologia. Presente anche la fondazione del rene policistico. Ed il rappresentante della fondazione è qui con noi.”

Le ultime, preziose, informazioni ce le da Roberta Minasi, presidentessa del Sism Messina che si ricollega con il discorso del Dottor D. Santoro ponendo nuovamente l’accento sulle disuguaglianze sociali:

“Oggi di sente tanto parlare di “disuguaglianza in salute”, Lo stato di salute di un individuo o di una popolazione è determinato da molteplici fattori strettamente correlati tra loro, quali istruzione, assistenza sanitaria, reddito, occupazione, tipologia dell’abitazione, situazione familiare, stili di vita. È come se il posto occupato da ciascuno di noi in relazione a tutti gli altri sia rilevante…chi si trova sopra di noi nella scala sociale gode di una salute migliore, chi sta sotto soffre di condizioni peggiori. Avere uguaglianza nell’accessibilità alle cure significa ridurre le disparità dei tenori di vita dei membri della società. Attraverso dunque questa attività di prevenzione “primaria” in piazza, chiunque può avere la possibilità di ricevere informazioni, consigli, chiedere un parere ad un professionista… In fondo, la “mission” che ci proponiamo è proprio questa: Affrontare tematiche di salute in maniera semplice, con linguaggio comune cercando di superare o abbattere totalmente il muro del timore e del disagio che tanto spesso si rileva come altro ostacolo per le proprie cure: l’instaurazione di una proficua relazione tra individuo e professionista sanitario.”

Gabriella Parasiliti Collazzo

 

Grande successo per l’evento del SISM di Messina: “La salute scende in piazza”

 

Sabato 16 febbraio dalle ore 9:30 sino alle 19:30 a Messina, a Piazza Cairoli, si è tenuto un evento fortemente voluto da diverse associazioni no profit messinesi (SISM, Cambiamenti APS, Croce Rossa Messina, Admo, Aido, Avis, Unicef, UICI, AISO, A.G.D. Messina e Nonno Ascoltami).

È Roberta Minasi, presidentessa del Sism Messina, a fornirci delucidazioni in merito all’evento:

“Già da tempo, grazie anche al prezioso aiuto del policlinico di Messina, il SISM Messina organizza iniziative di sensibilizzazione su tematiche specifiche con lo scopo di educare la popolazione alla conoscenza di alcune tematiche attuali di rilievo nell’ambito della salute e della sanità pubblica.

Il SISM, come ogni anno, si è fatto portavoce de “La salute scende in piazza”, un evento di salute pubblica, che si pone l’obiettivo di portare all’attenzione della cittadinanza sia il vero significato di “salute”, sia i suoi principali determinanti. In tal modo si rende la popolazione capace di conoscere e di conseguenza riconoscere eventuali comportamenti nocivi, facendo sì che gli stessi cittadini diventino fautori della diffusione di tale ideale.

Si tratta di un evento dedicato non solo all’intera popolazione, dai progetti per i più piccini agli screening per adulti ed anziani, ma mirato anche alla crescita e formazione degli studenti di medicina, consapevoli dell’importanza della prevenzione.

Numerose le associazioni che, già da tempo, hanno lavorato e lavorano in sinergia con il SISM e che sono scese in piazza, come la Cri Messina, che in occasione della giornata di sensibilizzazione è presente con un importante progetto: “Non sono un bersaglio”.

Il presidente del Comitato di Messina della Cri, Dottor Dario Bagnato, dichiara attraverso un’intervista che:

Sono 3.000 i casi di violenza a operatori sanitari italiani registrati nel 2018, a fronte di sole 1.200 denunce all’Inail: aggressioni a medici e infermieri in ospedale, nei Pronto Soccorso e nei presidi medici assistenziali.

Altro drammatico aspetto è quello delle aggressioni agli operatori delle ambulanze e dei danneggiamenti ai mezzi stessi. Basta leggere i giornali e troviamo frammentate ma cicliche notizie al riguardo, da nord a sud.

Ecco perché, tenendo conto dei logici distinguo, la Croce Rossa Italiana ha deciso di realizzare una campagna per denunciare, oltre a quanto accade in scenari internazionali, una realtà pressoché sconosciuta o spesso sottovalutata che ci coinvolge da vicino e che riguarda anche (e non solo) i volontari CRI: quella delle violenze ai danni dei nostri operatori e/o strutture sanitarie. Così nasce “Non sono un bersaglio”.

Il Dottor Bagnato ricorda che chi aggredisce un operatore socio-sanitario si sta precludendo la possibilità di essere curato. È come se si stesse aggredendo da solo, come suggerisce l’immagine stessa scelta per la loro locandina. Pertanto, fa appello alla coscienza di ogni cittadino onde evitare il perpetuarsi di altre violenze.

I volontari delle varie Onlus partecipanti hanno realizzato dei punti informativi affinché ogni cittadino potesse avere tutte le notizie desiderate sulle attività svolte dai gruppi associativi e più in generale sulla tutela del bene salute. Durante la giornata è stato possibile effettuare vari test di screening come quello dell’HIV (sia ematico sia salivare). È stata inoltre dedicata una particolare attenzione a due progetti, interamente indirizzati ai più piccini: lo Smile-X (progetto dei dottor clown, che effettuano ogni giovedì clown therapy al policlinico), e l’Odp, cioè l’Ospedale Dei Pupazzi: un progetto di sensibilizzazione volto a ridurre il timore dei più piccoli nei confronti del camice bianco e dell’ambiente ospedaliero: la paura viene esorcizzata attraverso dei peluche che vengono curati dai più piccoli su dei tavoli da gioco.

 

 

Gabriella Parasiliti Collazzo

I Tumori: Sfortuna o pessimi stili di vita?

La caratteristica più bella della Scienza è la sua continua evoluzione. Grazie al suo efficace metodo è riuscita a descrivere ed analizzare gran parte della natura che ci circonda. Tuttavia metodo ed innovazione non bastano. Infatti la comunità scientifica è provvista, nella maggior parte dei casi, da un enorme senso di umiltà che la mette in uno stato di perenne dubbio in merito a tutto ciò che viene detto o scoperto. Essa è il primo critico di se stessa. Siamo abituati a pensare che se un qualche cosa “lo ha detto la Scienza” allora è sacra ed inconfutabile, e penso che non esista frase più sbagliata. Ogni giorno vengono portate avanti ricerche, i risultati vengono continuamente pubblicati su tutte le più prestigiose riviste scientifiche e molto spesso i dati di un ricercatore contraddicono i dati di un altro.

Il 2 gennaio 2015 Bert Vogelstein ha pubblicato uno studio provocatorio su Science : utilizzando alcuni modelli matematici, stimava l’incidenza della formazione di cellule tumorali, in assenza di sostanze che inducono cancro (carcinogene), sulla base delle riproduzioni che avvengono in un determinato tessuto.

Tuttavia questo articolo, in seguito, fu smentito dalla stragrande maggioranza degli studi epidemiologici e dall’intera comunità scientifica. Oltre a dare vita ad un messaggio fuorviante, esponeva ad un enorme rischio di insuccesso tutto il faticoso lavoro dei medici nel pubblicizzare e sostenere i benefici della prevenzione. Sebbene da tempo sia chiaro che il numero di divisioni cellulari aumenta il rischio di mutazioni e, con esso, di cancro, la maggioranza dei tumori più comuni è fortemente correlata con le esposizioni ambientali e gli stili di vita, perciò con un miglioramento di questi, l’incidenza dei tumori, su di una specifica popolazione, si abbassa notevolmente.

A sostenere questa tesi ci sono numerosissimi studi epidemiologici, ovvero le ricerche effettuate per determinare la frequenza di una determinata malattia in una popolazione. Un esempio sono i melanomi, che hanno una incidenza 200 volte più alta in Australia che in Cina. Ovviamente uno potrebbe contrastare questi dati affermando che si tratti di un motivo genetico e legato soltanto al continente australiano. Tuttavia, durante la composizione di questi studi, si prende in esame anche una popolazione campione che in questo caso sono gli australiani trasferiti in una regione non particolarmente soleggiata come lo è l’Australia, ed, in effetti, in questa la frequenza dei melanomi è simile ad un qualsiasi altra popolazione. Altri esempi sono legati ai tumori delle cavità orali per i lavoratori esposti all’amianto, i tumori ai polmoni per i fumatori, al tratto digerente e al fegato per quanto riguarda il consumo di alcol, ed, in ultimo, al colon per quanto riguarda l’eccessivo consumo di carne rossa e di insaccati.

Nella formazione di un tumore concorrono numerosissimi fattori, sia protettivi che lesivi. Questi sono determinati, in gran parte, dalla predisposizione genetica ed, in secondo ruolo, dai fattori ambientali. Infatti una qualsiasi persona, attraverso l’adozione di uno stile di vita impeccabile dal punto di vista salutistico, non può avere la certezza di non ammalarsi di cancro, ma con esso abbasserà di molto la possibilità di contrarne uno. La prevenzione, quindi, assume ancora oggi un ruolo fondamentale nella difesa contro il cancro. Un male che, purtroppo, si difende ancora troppo bene anche dalle più innovative cure.

Francesco Calò

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