Lepanto, 1571. Don Giovanni d’Austria, Messina e l’ultima Crociata.

Ritratto di Don Giovanni d’Austria

Impettito sul suo alto piedistallo di marmo, sorridente e trionfante nella sua ricca armatura cesellata, immortalato nel duraturo bronzo dalle sapienti mani di Andrea Calamech e della sua bottega, Don Giovanni d’Austria è ormai un simbolo della città di Messina al pari del più celebre Nettuno del Montorsoli o della Madonna del Porto; oltre che membro onorario, suo malgrado, della movida messinese che ogni weekend trova, ai piedi della sua statua, un insostituibile punto di ritrovo. Ma dietro il sorriso e lo sguardo fiero di questo condottiero di bronzo c’è una storia che merita di essere raccontata. È la storia che vede lui, e in parte anche la città di Messina, protagonisti di una delle grandi battaglie che segnarono il corso della Storia, quella con la S maiuscola: la battaglia di Lepanto.

 

Quando don Giovanni nasce, a Ratisbona, in Germania, nel 1547, nessuno può immaginare a quali imprese verrà legato il suo nome in futuro, anche se è il figlio di colui che, all’epoca, è l’uomo più potente del mondo intero, l’uomo sul cui impero non tramonta mai il sole: l’imperatore Carlo V d’Asburgo. Giovanni infatti, pur essendo figlio dell’Imperatore, è un figlio illegittimo, frutto di una relazione extraconiugale del monarca con una donna di sangue non nobile (Barbara Blomberg, figlia del sellaio della città), che al momento del concepimento ha appena 19 anni e viene presto abbandonata dall’altolocato amante.

Monumento a Don Giovanni d’Austria. Andrea Calamech, 1572. Messina, Piazza Lepanto. Ph: Giulia Greco.

Ma l‘Imperatore non si dimentica affatto del sangue del proprio sangue ed è così che lascia, fra le sue ultime volontà, che il figlio legittimo Filippo II, re di Spagna, riconosca il fratellastro come tale e gli assegni una rendita: il giovane viene quindi portato a Madrid, introdotto alla vita di corte, e muta il nome, diventando don Juan de Austria, don Giovanni d’Austria. Il re Filippo lo vorrebbe chiuso tra le mura di un convento, ma al giovane Giovanni la vita religiosa non piace affatto e preferisce dedicarsi al mestiere delle armi, scalando rapidamente le gerarchie dell’esercito spagnolo e distinguendosi come comandante in diverse operazioni militari.

 

È un periodo storico in cui gli scontri fra il mondo cristiano e il mondo musulmano sono più accesi che mai: l’Impero ottomano, infatti, è in piena espansione, le sue navi corsare minacciano i mercati delle grandi potenze marinare europee e i pirati barbareschi si abbandonano spesso a razzie sulle coste seminando il terrore fra i popolani.  La Repubblica di Venezia, che da anni si contende l’isola di Cipro con i Turchi, vacilla ogni giorno di più, e quando a raccogliere il grido d’aiuto dei Veneziani è addirittura il papa Pio V, preoccupato dalla inarrestabile espansione musulmana, la situazione si carica di connotati religiosi: si torna a parlare di crociata.

 

É Pio V a convincere la Spagna di Filippo II, da sempre difensore strenuo del cattolicesimo, ad intervenire. Per prendere in mano la situazione, tutt’altro che semplice, al re serve un uomo di fiducia e di indubbio talento militare: chi meglio di Don Giovanni d’Austria?

 

Nasce così la Lega Santa, triplice alleanza fra la Spagna, Venezia e il Papato, rafforzata anche dall’intervento dei Genovesi, di alcune città toscane e dell’Ordine di Malta, nemico giurato degli Ottomani. Ed è qui che entra in gioco la città di Messina: situata in posizione strategica per la partenza della spedizione, è qui che a partire dal luglio 1571 si stabilisce il quartier generale delle forze cristiane, che, secondo fonti locali, si giovarono anche del contributo di un grande intellettuale messinese, Francesco Maurolico, per procurarsi delle dettagliate carte nautiche.

 

Quando la spedizione lascia Messina, a settembre, al comando di Don Giovanni d’Austria, che all’epoca ha appena 23 anni, c’è il più imponente dispiegamento di forze militari internazionali mai visto: oltre 200 galee di varia provenienza e 6 temutissime galeazze veneziane, autentici castelli in mare. Passa però quasi un mese prima che la battaglia decisiva abbia luogo, domenica 7 ottobre, nelle acque di Lepanto: e quando si arriva allo scontro gli animi sono ancora accesi dalla recente notizia della caduta di Famagosta, ultima roccaforte veneziana a Cipro, e del brutale massacro del comandante Marcantonio Bragadin e dei suoi ufficiali.

La battaglia di Lepanto in una carta geografica d’epoca. Ignazio Danti, 1572. Roma, Musei Vaticani.

Don Giovanni, che dà per primo il segnale di battaglia, comanda il corpo centrale dello schieramento sull’ammiraglia reale; al suo fianco ci sono la capitana di sua Santità, guidata dall’ammiraglio papale Marcantonio Colonna, suo luogotenente, e le navi capitane di Venezia, Genova e dell’Ordine di Malta, guidata dal priore di Messina; comanda il corno sinistro il veneziano Agostino Barbarigo, mentre il corno destro è affidato a Gianandrea Doria. Contro di loro, la Sublime Porta schiera oltre trecento navi in mano a tre dei più famigerati lupi di mare dell’epoca: il comandante delle flotte del Sultano, Ali Pasha, che comanda il corno centrale; il temibile corsaro Mehmet Shoraq, noto come “Scirocco”, sul corno destro, e il comandante di ventura Uluc Ali, detto “Uccialì”, sul corno sinistro. La battaglia infuria per ore e , quando si conclude, le perdite sono gravissime per l’esercito cristiano: ma quello turco ha perso oltre 25.000 uomini, Mehmet Shoraq è stato ucciso, e la testa di Ali Pasha svetta, a mo’ di macabro trofeo, sull’albero maestro della nave di don Giovanni d’Austria: è la vittoria.

Allegoria della Battaglia di Lepanto. Paolo Veronese, 1573. Venezia, Galleria dell’Accademia

 

Il ruolo della battaglia di Lepanto nella storia del Mediterraneo è tutt’oggi oggetto di acceso dibattito da parte di molti storici; quel che è certo è che all’epoca il mondo cristiano la percepì come una vittoria incredibile, quasi miracolosa, tanto che per celebrare la data della battaglia viene istituita la festa della Madonna della Vittoria, oggi detta Madonna del Rosario. Don Giovanni d’Austria, all’apice del suo prestigio, viene acclamato in tutte le città d’Europa: Messina gli dedica, nel 1572, il monumento, opera di Andrea Calamech, che oggi si trova in piazza Lepanto, ad eterna memoria del ruolo che ebbe la nostra città in questo importante fatto storico.

Gianpaolo Basile

Image credits:

https://it.wikipedia.org/wiki/Don_Giovanni_d’Austria#/media/File:John_of_Austria_portrait.jpg

https://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_Lepanto#/media/File:Fernando_Bertelli,_Die_Seeschlacht_von_Lepanto,_Venedig_1572,_Museo_Storico_Navale_(550×500).jpg

https://it.wikipedia.org/wiki/Allegoria_della_battaglia_di_Lepanto#/media/File:The_Battle_of_Lepanto_by_Paolo_Veronese.jpeg

Messina tra Oriente e Occidente: piazza Lepanto e l’Annunziata dei Catalani

La Sicilia, si sa, è stata per secoli il cuore pulsante del Mediterraneo, un grande calderone nel quale le maggiori civiltà che si sono sviluppate sulle coste del Mare Nostrum hanno riversato senza sosta i loro frutti, e Messina ne è stata la porta: luogo di incontro, certo, per via del porto ricco e florido che l’ha resa un punto nodale negli scambi commerciali con il resto del mondo conosciuto; ma anche luogo di scontro, a causa della posizione di cruciale importanza strategica che ha consentito di trasformarla in un indispensabile punto di controllo militare.

Non esiste luogo che possa aiutarci a comprendere questo duplice ruolo meglio di quello che stiamo andando a descrivervi oggi: stiamo parlando di Piazza Lepanto, piccola piazzetta di forma triangolare che dà sulla via Cesare Battisti, a pochi passi dal Duomo, e su cui si affaccia uno dei meglio conservati monumenti storici di Messina, la suggestiva Chiesa dell’Annunziata dei Catalani.
Costruita nella seconda metà del XII sec.,secondo alcuni storici sopra i resti dell’antico Tempio di Nettuno, in epoca aragonese divenne cappella reale e fu concessa a una congregazione di mercanti catalani, da cui il nome. Più volte rimaneggiata nel corso della sua storia centenaria, e risparmiata dal terremoto del 1908 (è per questo che il suo piano di calpestio si trova circa 3 metri più in basso di quello del resto della città) la chiesa si presenta come un curioso ibrido stilistico, dove, su una base architettonica di stile bizantino, si innestano, armonizzandosi fra loro, elementi decorativi arabi, romanici, latini e normanni.

 

Nonostante la facciata anteriore appaia abbastanza spoglia, eccezion fatta per l’elegante portale fiancheggiato da colonnine e sovrastato dallo stemma romboidale aragonese, la vista posteriore, che dà sulla via Garibaldi, rende abbondantemente l’idea di questo coacervo stilistico, con le tre absidi adornate


dalla successione di loggette cieche sorrette da colonnine e la elegante decorazione ad intarsio, in cui la tradizione geometrica dell’architettura araba incontra quella del romanico europeo: il tutto sovrastato dalla cupola centrale ad alto tamburo, di struttura tipicamente bizantina. Se poi si ha la fortuna di trovarla aperta, si può entrare all’interno, dove gli archi bicolori e le colonne fanno quasi pensare a Cordova, alla Grande Moschea. Il risultato complessivo è quello di un suggestivo incontro di culture e mondi differenti.

 

 

 

 

Ma le attrattive di Piazza Lepanto non finiscono qui. Proprio davanti alla facciata principale, è stato trasportato, a seguito delle ristrutturazioni urbanistiche successive al sisma del 1908, il monumento a don Giovanni d’Austria, datato 1573, opera del carrarese Andrea Calamech, allievo dell’Ammannati. Il monumento ci ricorda che proprio da Messina, che nel ‘500 era un avamposto di prima linea nella lotta all’espansione ottomana e alla pirateria barbaresca, partì la flotta della Lega Santa che affrontò quella turca nella Battaglia di Lepanto: e al comando di questa flotta c’era proprio questo giovane generale, figlio bastardo di Carlo V e appena ventiquattrenne all’epoca del conflitto. Il sanguinoso scontro, consumatosi il 7 ottobre 1571, si concluse con una sudata vittoria delle armate cristiane, cui molti storici attribuiscono un ruolo chiave nella storia del mondo occidentale. Ed è proprio di vittoria l’espressione che illumina il volto giovanile della scultura bronzea che rappresenta il condottiero trionfante, con in mano il bastone di comando a tre fasci (emblema della triplice alleanza fra Spagna, Venezia e il Papato), al fianco una grande spada e indosso una armatura da parata finemente cesellata: simboli di trionfo che quasi fanno trascurare all’osservatore il macabro dettaglio del piede sinistro, che calpesta la testa mozzata del comandante nemico, il turco Ali Pasha; un dettaglio inconsueto, nella statuaria celebrativa dell’epoca, e proprio per questo prezioso in quanto testimone della accesa rivalità della città di Messina verso il nemico ottomano.

 

In Piazza Lepanto, dunque, si condensano le tracce di un passato che ha visto Messina all’interfaccia fra Oriente e Occidente, come luogo di incontro e integrazione di elementi culturali da un lato, di inevitabile conflitto militare e religioso dall’altro; un complesso intreccio di suggestioni che oggi, agli occhi del visitatore contemporaneo, non può che strappare una riflessione su tematiche più attuali che mai.

Gianpaolo Basile