Intervista al regista Abel Ferrara: “Pasolini was like a teacher”

Durante il Taormina Film Fest 69, abbiamo avuto l’opportunità e l’onore di stare a contatto con grandi figure del cinema internazionale, tra queste non possiamo non annoverare il regista italo-americano Abel Ferrara. Oltre ad aver tenuto un’interessante masterclass di dialogo col pubblico (ne parliamo qui), il regista ha risposto ad alcune delle nostre domande.

La breve intervista (andate a guardare il video!) ad Abel Ferrara, ha toccato varie tematiche che riguardano il panorama cinematografico. Passando dalle ormai sempre più diffuse piattaforme streaming, per poi arrivare a discutere di scelte stilistiche relative al suo lavoro. Il focus ha riguardato il suo film, Pasolini (2014), in cui Ferrara racconta gli ultimi giorni del “regista delle borgate”, da lui considerato come un vero e proprio maestro.

Abel Ferrara
Abel Ferrara durante la masterclass tenutasi al Palazzo dei Congressi con Barrett Wissman, Direttore Esecutivo del Taormina Film Fest 69. @ Nando Purrometo

Mr. Ferrara, com’è stato fare un film su un altro regista e scrittore come Pasolini?

È stato bellissimo, è stata una fantastica esperienza. Lui è stato come un maestro per noi, era come la stella polare, una guida. Quindi abbiamo accolto la sfida, più che una sfida è stata un’opportunità. È stata una idea che ci è stata data e quindi perché no?

Mr. Ferrara, how was making a movie on an other movie director and writer like Pasolini?

It was wonderful, it was, you know just a great experience. It was like a teacher for us, it was like the north star. The north star is like a guide, so we just embraced the challenge, and it’s not even a challenge, i think it was an opportunity. It wasn’t like an idea out of my mind, it was an idea someone threw at us and then why not? You know.

Riguardo lo streaming, cosa pensa sullo sviluppo delle piattaforme streaming?

I film si possono vedere ovunque, è quello che è, non ho un’opinione su questo. L’idea per me è di fare film, dove verranno proiettati, dove le persone decideranno di vederli (non mi riguarda). Ora internet è un mezzo per condividere il proprio lavoro, a livello globale, è una rivoluzione.

What about the streaming? What do you think about the developement of streaming platforms?

I mean, anywhere you can see films, it is what it is, you know, i mean i don’t have an opinion on it. The idea for me is to make films, where are they gonna be shown how people decide to see things (doesn’t matter to me). Right now the internet is like a way to share your work, you know, on a global level, it’s a revolution.

Quindi vede internet come un’opportunità per raggiungere più persone?

Si, certo.

So do you see the internet as an opportunity to reach more people?

Yes, sure.

Pasolini diceva che “l’arte narrativa”, in quanto letteratura, è morta. Potrebbe il cinema, in quanto nuova arte narrativa del popolo, sostituirsi ad essa?

È un insegnamento, l’insegnamento ha a che fare con il pubblico, è un’altra delle cose che ho imparato. Quando mi viene fatta una domanda io rispondo e basta, Pasolini non l’avrebbe mai fatto. Se avessi intervistato Pasolini, lui avrebbe voluto sapere “Con chi sto parlando?”, “Vieni dalla Germania?”, “Vieni dagli Stati Uniti?”, “Chi è il tuo pubblico?”, “Sto parlando con ragazzi di dodici anni?”, “Sto parlando con persone morte?”, “Con chi sto parlando?”.
È chiaro? Non è come se stesse sparando cose a caso/cavolate. Lui sta parlando in un posto specifico, ad uno specifico gruppo di persone in un momento specifico. Quindi non sappiamo il contesto, lui l’ha detto. Noi sappiamo le sue azioni. (Dalle sue azioni vediamo che) lui non ha mai smesso di scrivere. 

Pasolini used to say that the “narrative art”, as literature, was dead. Could the cinema, as the new narrative art of the people, substitute it?

It’s a teaching, the teaching has to do with the audience, that’s an other thing I’ve learnt. When you ask me a question i just give you the answer, Pasolini would never do that. If you interwed Pasolini, he’d wanna know “who am i talking to? Are you from Germany? Are you from the United States? Who’s your audience? Am i talking to a twelve years old? Am i talking to dead people? Who the fuck am i talking to?” Do you understand? It’s not like as he’s spouting shit out. He is speaking in a specific place, to a specific group of people at a specific time.  So we don’t know the context, he said that. We know his actions; he never stopped writing.

 

Ilaria Denaro

Tao Film Fest 69: Abel Ferrara si racconta e racconta il suo rapporto con l’Italia

– Quanto della tua vita metti nei film che fai?
Infinito!

È stata questa la risposta data dal grande regista Abel Ferrara alla domanda di un giornalista, durante la sua masterclass al Taormina Film Festival 69 (qui le nostre recensioni).

Durante l’incontro, Abel si è messo a proprio agio, scherzando col pubblico, rispondendo ai messaggi di James Franco e dando consigli ai fotografi su dove posizionarsi. Insomma, si è sentito subito a casa!

E non c’è da meravigliarsi se si pensa che da ben dieci anni, Abel Ferrara ha spostato la sua residenza in Italia, e più precisamente a Roma, città di cui è innamorato.

“In Italia si mangia ad orari precisi, ci si siede con un piatto di pasta. In America non lo capiscono, loro mangiano un panino senza smettere di lavorare. Ora che vivo da dieci anni qui, capisco che lo stile di vita italiano è molto più sano e naturale”.

Del resto, nel momento probabilmente più intimo di tutto l’incontro, Abel “si racconta”, affermando che l’Italia è il paese che lo ha salvato dall’alcolismo e dalla tossicodipendenza. Parlandoci poi del suo periodo a Napoli, dov’è rinato in una piccola comunità, e del rapporto con il nonno paterno, di origine italiana:

“Ero molto legato a lui mentre crescevo nel Bronx, è stata una figura importante per me. Mio nonno è nato vicino Napoli. C’è una sorta di connessione spirituale con quel luogo.”

Abel Ferrara
Abel Ferrara, con Barrett Wissman (direttore esecutivo del Taormina Film Festival 69) durante la masterclass a Casa Cuseni. @ Nando Purrometo

Senza tralasciare il modo in cui ha scoperto la figura di Padre Pio, a cui ha dedicato il suo ultimo film con Shia LaBeouf, presentato al Festival del Cinema di Venezia:

“A Napoli ho scoperto che Padre Pio e Maradona sono i santi patroni dei malavitosi e degli spacciatori. Ogni volta che andavo a comprare droga, c’era una statua di Padre Pio e mi chiedevo chi fosse”.

Pasolini, il vero maestro di Abel Ferrara

Ed è immediato il focus su Pasolini, considerato da Ferrara il suo maestro:

“Pasolini era un personaggio complesso: era contro il consumismo ma poi lo praticava. Sapeva che si può combattere contro il fascismo ma non contro il capitalismo, ed è vero. Lui lo aveva già capito cinquant’anni fa”.

Non si può dare torto a Mr. Ferrara, Pasolini fu un vero e proprio visionario. Era lui a dire, cinquant’anni fa, che l’avvento del consumismo capitalistico avrebbe rovinato il mondo. Sapeva che da quel momento in poi la popolazione, schiava della globalizzazione, non sarebbe stata più felice, perché alla continua ricerca di quel “sogno frustrato” che mai avrebbe potuto raggiungere.

Ed era sempre Pasolini a contestare il nuovo sistema educativo, anch’esso vittima di quel consumismo capitalistico, che avrebbe spogliato le nuove generazioni del pensiero creativo, dello spirito critico e d’osservazione. Per lui, il sistema educativo fallimentare sarebbe stato l’inizio della tragedia!

Abel Ferrara: Pasolini (2014)
Un frame del film “Pasolini” (2014) del regista Abel Ferrara. In proiezione durante il Taormina Film Fest 69.

Abel utilizza una metafora per spiegare il linguaggio di Pasolini: “È luce del sole che attraversa la polvere”. E nel suo film “Pasolini” (2014), fa pronunciare a Pier Paolo, interpretato magistralmente da Willem Dafoe, testuali parole:

“Narrative art, as you well know, is dead.”

Che sia il cinema, dunque, la nuova arte narrativa? Per Abel Ferrara lo è, in particolar modo in Europa:

“In America si aspettano sempre qualcosa di perfettamente dritto. In Europa mi posso esprimere meglio. Qui posso fare rock ‘n’ roll”.

Non poteva di certo mancare qualche parola per il suo amico e attore meticcio, Willem Dafoe, che al momento, stando alle parole del regista, sta girando un film segreto, di cui nessuno sa niente. E che lo stesso Abel ha paragonato, scherzando, a Marco Polo:

“Lui viaggia tantissimo, lavora con la Marvel, gira film indipendenti, ma poi torna sempre.”

Il regista si sofferma, infine, sul processo di realizzazione del film, definito come un continuo divenire, come il Panta rei di Eraclito:

“Ci sono dei film che prima odi e poi, dopo 15 anni arrivi a scoprirne il senso. Ma il film non cambia, siamo noi a cambiare!”

 

Domenico Leonello

A Pasolini, il regista delle borgate

Poeta, scrittore, regista e giornalista, Pasolini è una tra le personalità più rappresentative del Novecento italiano. Proprio quest’anno si è festeggiato il centenario dalla nascita dell’autore di Ragazzi di vita che ci ha lasciato in eredità una corposa produzione, che tutt’ora continua a dividere la critica: o lo si ama o lo si odia, non ci sono vie di mezzo.

L’amore per le borgate e l’odio per la globalizzazione

Pier Paolo Pasolini è riuscito a portare la cultura nella periferia. Questa viene vista non solo in senso topografico ma come chiave d’accesso a tutto il suo percorso artistico e intellettuale.
Partito nel 1942 con la pubblicazione di Poesie a Casarsa, sua prima raccolta poetica in dialetto friulano, l’autore si avvicina poi al magmatico universo delle borgate romane che faranno da palcoscenico a gran parte delle sue pubblicazioni. Attento osservatore dei cambiamenti della società italiana porrà la sua attenzione a quelle mutazioni antropologiche con cui le stesse periferie dovranno fare i conti.

Pasolini si scaglia principalmente contro quel consumismo capitalistico che non ha fatto altro che appiattire la popolazione italiana. In numerosi articoli rimpiange con amara nostalgia la felicità che un tempo caratterizzava i ragazzi di borgata, impegnati oramai a rincorrere un “sogno frustrato” che non riusciranno mai a raggiungere, in quanto limitati dalla non privilegiata condizione economica della loro stessa classe sociale d’appartenenza.

Proprio di fronte ad una periferia ormai contaminata dalla globalizzazione, Pasolini decide di abbandonare il suo disegno dei “romanzi di borgata”, progetto inaugurato nel 1955 con la pubblicazione del suo primo romanzo: Ragazzi di vita.

L’intenzione principale dell’autore era proprio quella di farsi da portavoce della realtà delle periferie. E questo non soltanto tramite un mero lavoro di documentazione, – come lui stesso ha più volte affermato, – ma provando a farsi largo nei pensieri e nella sfera emotiva della gente di borgata. È d’altronde risaputo che lo scrittore amasse passare del tempo con loro, per ammirare da vicino quella genuinità e quell’innocenza di cui era privo il resto della società. Pasolini è sempre stato dalla parte degli ultimi, degli emarginati. Ma emarginati da chi? Da una società ormai pronta ad andare in frantumi?

Una vita violenta e il dialetto come “arma” per la rivoluzione

L’autore trasporta questa realtà all’interno della sua produzione artistica. E Una vita violenta (1959), secondo romanzo pubblicato da Garzanti, ne è la prova. In quest’opera, l’autore ci racconta la storia di redenzione di Tommaso Puzzilli, ragazzo di borgata, in cerca di un riscatto sociale. Il protagonista del romanzo, pagherà col carcere l’aggressione ad un giovane, ma ad uscire di galera sarà un “nuovo” Tommaso. Ammalatosi di tubercolosi, sarà poi costretto ad un periodo di ricovero ma una volta ristabilitosi cercherà un lavoro e si iscriverà al PCI. Il salvataggio di una donna, durante un’inondazione, gli farà raggiungere il riscatto sociale da lui tanto agognato che pagherà col prezzo della sua stessa vita.

E se in Una vita violenta il protagonista si troverà davanti ad una morte fisica, riuscendo quantomeno a salvare la sua bontà d’animo; nella coralità di Ragazzi di vita, i protagonisti pasoliniani conosceranno sia la morte fisica che quella spirituale.

Pasolini, nel corso di tutta la sua produzione, si dimostrerà un eretico anche in campo linguistico, prediligendo il dialetto- visto come la giusta “arma” per combattere quel consumismo capitalistico – a discapito dell’italiano, “la lingua dell’italiano medio”, imposta dalla scuola e dai mass media.

“Ho voluto adoperare una tecnica diversa spinto dalla mia ossessione espressiva. Ho voluto cambiare lingua abbandonando la lingua italiana, l’italiano; una forma di protesta contro le lingue e contro la società.” Pier Paolo Pasolini

Pasolini (2014)

Giornalista: Prova nostalgia per l’epoca in cui la gente la insultava per strada?
Pasolini: Mi insultano ancora

Nel 2014 sui grandi schermi del cinema sono stati messi in scena gli ultimi momenti della vita dello scrittore scomodo. Il film è diretto dal regista statunitense Abel Ferrara e ad impersonare P.P.P. è il magnifico e talentuoso Willem Dafoe. Straordinario come in ogni sua esibizione, è riuscito ad interpretare l’autore in maniera impeccabile. 

Willem Dafoe (Pasolini) in una scena del film. Fonte: amazon.it

Tra Pasolini e Dafoe si  va a creare un dualismo tra il tragico e la verità: sullo sfondo gli ultimi mesi di vita dell’intellettuale. Durante la visione del film vedremo un uomo e le sue ultime volte: il suo ultimo romanzo mai terminato, Petrolio, e il lavoro dietro ad esso, i suoi ultimi amori, colloqui, interviste, e l’adorazione verso i “dimenticati”. Attorno al personaggio si delineano gli scandali sulla sua omosessualità, che non tenne mai nascosta. Una delle scene più forti e brutte del film è sicuramente quella in cui Pasolini e Giuseppe Pelosi (uno dei suoi amanti) si trovano nella spiaggia di Ostia. Proprio su quella sabbia si consumò un terribile delitto che ancora oggi è avvolto nel mistero e a cui il nostro presente cerca di dare una risposta.

La morte dietro il mistero

Quarantasette anni fa Pasolini fu strappato alla vita probabilmente per la sua penna controcorrente, ma la sua morte fu archiviata come un caso di omofobia. Il suo delitto ancora cerca una risposta: si pensa che dietro ci possa essere lo Stato, forse perché riteneva la sua opera troppo progressista, ma soprattutto perché Pasolini era un uomo che riusciva a vedere cosa fosse realmente la politica italiana. L’operato dello scrittore era dedicato agli ultimi: fu uno dei primi a rendere “persone vere” i calabresi, considerati dei reietti, e a descrivere la loro terra come “la regione più povera”, mai presa seriamente da coloro che stavano “ai piani alti”.

La morte di Pasolini ha dunque due verità, ma qual è quella vera? Pasolini all’età di cinquantatré anni fu assassinato tra la notte del 1 e 2 Novembre del 1975. Venne picchiato a suon di pugni e il suo corpo venne travolto dalla sua stessa auto. La salma fu ritrovata da una donna alle 06:30 di mattina. Fu riconosciuto come colpevole Pelosi, il “pischello” di diciassette anni, già noto alle autorità come ladro di auto, che confessò di essere stato invitato da Pasolini a salire sulla vettura con lui. Pelosi disse che lo scrittore lo costrinse con la forza a consumare un rapporto sessuale, ma egli non volle, e preso dalla rabbia lo uccise. Sorge però una domanda: perché salire in auto di uno sconosciuto e dirigersi  in un posto appartato?

La scrittura forte ha fatto di Pasolini “lo scrittore scomodo”, ma il suo lavoro non verrà mai dimenticato. Il suo essere diverso lo ha consacrato come uno degli intellettuali più profondi e complicati mai esistiti.

 

Alessia Orsa
Domenico Leonello