La nascita della scrittura. Tra Oriente ed Occidente

Quando l’essere umano concepì l’idea di gestire il territorio circostante più che sfruttarlo – ovvero quando egli sperimentò le prime tecniche di produzione agricola e di allevamento, a discapito delle tecniche di caccia e raccolta –, col tempo, raggiunse una sufficienza alimentare che permise ad una parte della società di dedicarsi ad altre attività, prima impensabili.

Chi, prima, occupava tutta la giornata con pericolose battute di caccia, adesso, se non coltivava i campi o badava agli animali, si occupava di fabbricare utensili e ceramiche, di gestire la comunità sempre più numerosa oppure entrava in contatto con gli dèi.

Nacquero, così, le prime civiltà.

Queste innovazioni contribuirono alla nascita delle prima grandi comunità dell’uomo. Eppure, se dovessimo metterle a paragone con un’altra, grande innovazione avvenuta qualche secolo dopo, ci renderemmo conto di quanto esse non siano, del resto, gli unici inneschi della civiltà umana.

Solchi nell’argilla

È parere concorde, tra gli studiosi, ritenere che la nascita della scrittura sia avvenuta nel Vicino Oriente Antico intorno al 3500 a.C. e che sia direttamente collegata alla sovrapproduzione alimentare che, innescando un aumento demografico, comportò la nascita di vari settori specializzati e di nuovi prodotti. Ne consegue il crearsi di nuove relazioni di interscambio tra queste comunità, anche molto distanti da loro.

L’evoluzione di questi rapporti socioeconomici, che noi comunemente chiamiamo commercio, produsse la necessità, per le comunità, di un mezzo che, oltre a facilitare le operazioni di calcolo delle sovrabbondanze, potesse registrare entrate ed uscite nelle relazioni commerciali. Fu, così, ideata la scrittura.

Ad un primo utilizzo di sigilli per garantire l’inviolato contenuto di lettere e magazzini, equivalenti ad una firma e rappresentanti scene di vita quotidiana, si passò ben presto ad incidere segni su una cretula (un pezzo globulare di argilla, posto sull’apertura del contenitore), che divennero col tempo sempre più complessi.

Questo nuovo mezzo richiedeva una conoscenza e una preparazione piuttosto elevata, posseduta da pochi membri della comunità. Pertanto, di pari passo alla scrittura, nacque anche la casta di coloro i quali erano gli unici a conoscerne i segreti: gli scribi. Questi funzionari, oltre ad annotare i rendiconti economici della comunità, iniziarono anche ad essere adoperati dal sovrano per scrivere missive da inviare ai subordinati e lettere ai propri pari.

La scrittura, in breve tempo, divenne pilastro fondante della società umana.

Questo è, per lo meno, il caso dell’Occidente.

Evoluzione della scrittura cuneiforme. Da Pastena, 2009.

E prese carta e penna

Quasi la totalità dei fenomeni umani si evolve e si distribuisce, nel mondo, per irradiamento. La lavorazione del ferro, nata nel Vicino Oriente Antico, a partire dal X-IX sec. raggiunse la Grecia, mentre il sistema di scrittura alfabetico, invenzione tipica delle comunità siro-fenicie del Levante, fu adottato, poi, dalle stesse popolazioni greche con cui i Fenici intrattenevano rapporti commerciali.

Qualsiasi meccanismo, innovazione tecnologica, cambiamento nasce per poi diffondersi in una traiettoria più o meno ampia di movimento. Eppure, esistono dei fenomeni che non sono vincolati dal meccanismo dell’irradiamento.

Pratiche come la produzione ceramica, la navigazione, la stessa agricoltura e, per finire, la scrittura sono delle attività antropiche molto complesse le cui zone aborigene sono inesistenti, proprio perché nacquero più o meno contemporaneamente in divere parti del mondo.

Per l’ultimo caso, nostro argomento in analisi, la scrittura nacque indistintamente sia in Occidente, nel Vicino Oriente Antico, sia nell’Estremo Oriente, in Cina. È interessante notare come l’emersione di questo fenomeno sia stato del tutto naturale ed indipendente, come se fosse parte del nostro patrimonio genetico.

Non ci fu nessun ipotetico contatto tra le popolazioni della Mesopotamia e quelle della Cina, eppure la scrittura nacque in entrambi i posti, seppur in tempi e per motivi diversi.

I segni del “Cielo”

Inventata nel corso del XIII sec. a.C., la scrittura cinese si sviluppò come supporto oracolare, estraniandosi, dunque, dal tipico utilizzo amministrativo mesopotamico. Sono simboli incisi su carapaci di tartarughe e scapole bovine, utilizzati dagli sciamani per avvicinare il mondo spirituale.

La scrittura, in Cina, si sviluppò con le stesse modalità con cui si svilupparono la scrittura maya, egizia e mesopotamica. Furono collegati a delle immagini dei suoni. I foni, o suoni, divennero parole. Successivamente, per poter indicare concetti più astratti, i Cinesi incominciarono ad utilizzare dei caratteri per indicare anche altri foni che suonassero simili, a mo’ di rebus.

In tal modo, una moltitudine di caratteri perse il suo significato originario, finendo per diventare  “impalcature” lessicali. I caratteri utilizzati dalla dinastia Shang, ovvero la prima dinastia “cinese” ad utilizzare – per quanto ne sappiamo – la scrittura, sono del tutto diversi da quelli usati oggi nelle città di Pechino, Shanghai e Hong Kong. Essi, infatti, erano utilizzati per fissare e, forse, intensificare i riti cultuali.

La scrittura era un potente amplificatore delle capacità spiritiche dell’oracolo o dello sciamano locale. Proprio per la loro complessità, la scrittura cinese si offre, nella sua fase embrionale, alle abilità di pochi elementi a corte, padroni di questa nuova “arte”.

Ci vorranno diversi secoli perché la scrittura sia effettivamente utilizzata in ambito amministrativo e diplomatico. La scrittura cinese nasce circa 2.200 anni dopo quella mesopotamica e viene adoperata dalle cancellerie cinesi solo quando Roma inizia la sua espansione nel Mar Mediterraneo.

Evoluzione della scrittura cinese antica.

Le diverse esigenze degli abitanti della Mesopotamia e della città di Anyang (sito delle prime testimonianze di scrittura cinese) costituirono due punti di partenza diversi verso la stessa meta, uno strumento che potesse semplificare le mansioni più complesse per le società del periodo, il commercio e la divinazione.

Pertanto, a profonde differenze si alternano interessanti analogie. che sembrano essere presenti in tutte le scritture del mondo. La nascita della scrittura è, difatti, sempre uguale nelle sue modalità.

 

Fonti:
Mario Liverani, Antico Oriente: storia, società, economia. Laterza, 2009.
Federico Giusfredi, Il Vicino Oriente antico: breve storia dalle origini alla caduta di Babilonia. Carrocci, 2020.
Kai Vogelsang, Cina: una storia millenaria. Einaudi, 2017

https://www.treccani.it/enciclopedia/la-nascita-e-l-evoluzione-della-scrittura_(Storia-della-civilt%C3%A0-europea-a-cura-di-Umberto-Eco)/

The propaganda game: chi sono le vittime del gioco?

The propaganda game è un documentario del 2015 prodotto da Álvaro Longoria. Il tema, abbastanza scottante, è lo svolgimento della vita nella società nordocoreana; la sua economia, la sua gente e le sue istituzioni. Per comprendere però appieno il senso di questo approfondimento è necessario contestualizzare la nazione in questione: attualmente si tratta di uno stato totalitario socialista guidato dal leader Kim Jong-Un. Il paese si trova in continua tensione con l’occidente e in particolar modo con gli Stati Uniti e il motivo di questo difficile rapporto è dovuto al conflitto verificatosi tra il 1950 e il 1953, in piena Guerra fredda.

La Corea del Nord, comunista, aveva infatti provato ad invadere quella del Sud, alleato degli Stati Uniti. Questo giugno è però stato compiuto un grande passo in termini di relazioni internazionali. A dimostrarlo è infatti il summit, seguito da accordo, dei leader di entrambe le nazioni. Se confrontata con la realtà descritta nel documentario questa è un’importante svolta storica.

Nella pellicola viene dimostrato come la società nordcoreana costruisca se stessa in antitesi con quella americana-occidentale. Ma non si tratta solo di questo. Entrambi i “blocchi” giocano una strategica partita in cui la pedina migliore è costituita dall’immagine mediatica. Ed è nell’uso di questa che si scende in un altrettanto gioco d’astuzia e retorica.

Come viene delineato nel lavoro di Longoria, la Corea del Nord si presenta agli occhi del documentarista (e dell’occidente di conseguenza) in un determinato modo, con testimonianze e discorsi mirati ad affondare la strategia dell’altro. Dall’altro lato l’occidente e i suoi messaggi mediatici tendono a dipingere una società che conoscono poco (perchè chiusa ai rapporti con l’estero) secondo l’interpretazione che i “buoni” della storia si trovino da questa parte. Entrambe le fazioni si attaccano a vicenda su aspetti che potrebbero essere davvero negativi o sbagliati, ma senza aver verificato che le cose stiano realmente così. È evidente quindi che le fila di questa battaglia siano tirate da prospettive etnocentriste e nazionaliste. A guidarci nella scoperta di questa nazione sconosciuta troviamo l’unico straniero presente sul luogo: Alejandro Cao de Benós, spagnolo naturalizzato nordcoreano. Questi, insieme alle più disparate figure e personalità, risponderà a tutti i quesiti posti da Longoria argomentando e motivando ogni risposta al fine di proporre un’immagine diversa da quella che ogni giorno i nostri media ci danno. Ogni aspetto preso in considerazione è infatti analizzato fin nei minimi dettagli, seppur in ordine non lineare nel montaggio delle scene.

Il motivo per cui è facile considerare quest’opera come prondamente innovativa è per la sua totale imparzialità: la regia non esprime un’opinione personale e non suggerisce per chi dovremmo essere simpatizzanti, al contrario fa un’analisi oggettiva di tutti i meccanismi e gli interessi in gioco. Come prodotto mediatico fa proprio il contrario di ciò che normalmente i media fanno in situazioni del genere, anzi la sua natura denuncia implicitamente queste pratiche.

Il caso Corea del Nord-Usa è soltanto un esempio dell’ormai dilagante fenomeno della “post-verità”, atteggiamento in cui è considerata come parte più rilevante di una notizia quella che suscita emozioni, non i fatti oggettivi. Questo è solo un tassello della guerra postmoderna, caratterizzata da una frenetica caccia all’informazione e da attacchi mediatici; per quanto riguarda il caso qui analizzato potremmo dire che la guerra armata con gli Stati Uniti si è fermata al 38°parallelo della penisola coreana per continuare sulla via della nuova guerra mediatica.

Qual è dunque la soluzione per non diventare vittime di questo gioco?

Leggere la realtà con il coraggio di andare oltre le apparenze, anche se scomodo, è un buon inizio. Lo è anche informarsi consapevolmente, calandosi nei panni di entrambe le parti. Ma risolutiva è sicuramente la sempre attuale e mai banale massima socratica “conosci te stesso”, la quale ci insegna a prenderci cura di noi e a imparare “l’arte di non essere eccessivamente governati”.

                                                                                                                            Angela Cucinotta

Essere un samurai: una storia fra onore e dovere

 

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Tasogare Seibei (The Twilight Samurai), è un film del 2002 diretto da Yoji Yamada.

Seibei Iguchi (Hiroyuki Sanada) è un samurai al quale la vita ha proposto una grande sfida. La morte della moglie per tubercolosi lo lascia inerme e da solo a dover badare alla sua famiglia, composta da due figlie e la madre anziana con evidenti segni di demenza senile.

Il film si apre sul letto di morte della moglie del nostro samurai, accompagnata da una narratrice esterna che ne descrive la vicenda e la situazione circostante, senza alcuna presentazione di norma. Viene introdotto Seibei e la sua routine, che si basa sull’alternanza fra lo studio propedeutico per la sua “professione” di samurai e la sua attività domestica, accudendo le figlie, la madre e lavorando i campi, trovandosi spesso costretto a dover rifiutare inviti dei suoi amici per poter adempiere ai suoi compiti. Questa situazione lo porterà a trascurare sé stesso a tal punto da vestirsi di una tunica vecchia e sgualcita e perfino a non curare la propria igiene, con grande disappunto dei suoi colleghi il quale lo porterà ad avere problemi sul posto di lavoro.

La situazione sembra sfuggirgli di mano quando, in suo soccorso, arriva la giovane e bella Tomoe Linuma (Rie Miyazawa), sua amica d’infanzia, che si propone come aiuto in casa con le faccende domestiche e inizia a intrapendere anche un rapporto, quasi materno, con le figlie. Seibei scopre, dal fratello di Tomoe, che la ragazza è sposata ma è riuscita ad ottenere il divorzio poiché il marito alcolizzato non aveva riguardi nei suoi confronti e spesso la maltrattava. Sarà proprio l’incontro di Saibei con il marito di Tomoe, anch’egli samurai, a cambiare le sorti della sua vita.

Candidato agli Oscar 2002 come Miglior Film Straniero, “Tasogare Seibei” è un film costituito da pregi e da difetti. Benché agli occidentali non sia usuale essere a contatto con film dall’estremo oriente, quest’ultimo riesce, almeno nell’ambito della regia, a compiere un buon lavoro. E’ sicuramente diverso da ciò che ci si possa aspettare, con miseri combattimenti fra samurai (sostanzialmente due), che più sul lato fisico, si concentrano sul lato psicologico e le diverse difficoltà che un uomo solo, indipendentemente che sia un samurai o meno, deve affrontare.

Tuttavia in diversi momenti la pellicola si presenta piuttosto lenta, portando lo spettatore a pensare se determinate scene o alcuni momenti fossero davvero necessari. Nel complesso, il film si presenta bene, non eccessivamente emozionante, ma neppure eccessivamente sottotono. E’ molto utile per comprendere una dimensione lontana dalla nostra che, nonostante nell’era moderna sia stata molto avvicinata al mondo occidentale, è comunque difficile percepire, riconoscendo limiti e analogie di due culture necessariamente diverse.
                           Giuseppe Maimone