Narges Mohammadi, chi è la vincitrice del Premio Nobel per la Pace 2023

Il premio Nobel per la Pace, con 305 candidature, è stato vinto dall’attivista iraniana Narges Mohammadi per la sua lotta contro l’oppressione delle donne in Iran e per la promozione dei diritti umani e della libertà per tutti.  Ad annunciarlo, Berit Reiss-Andersen – presidente del Comitato per il Nobel norvegese.

L’Iran ha detto la sua in merito all’assegnazione di questo premio all’attivista iraniana Narges Mohammadi, definendola una scelta «faziosa e politica».

Chi è la vincitrice del premio Nobel 2023

Narges Mohammadi ha studiato fisica diventando poi ingegnere e lotta da sempre per i diritti umani, contro la pena di morte e contro l’obbligo del velo. 

Insieme a Shirin Ebadi – prima donna musulmana a vincere un premio Nobel per la Pace – fonda il Centro per la difesa dei Diritti Umani, diventandone vicepresidente: quest’organizzazione si occupa principalmente di rappresentare prigionieri politici e prigionieri di coscienza nei procedimenti legali. 

Queste le parole di Shirin Ebadi:

Narges Mohammadi è in carcere da anni per le sue attività in sostegno dei diritti umani. Spero che il regime si renda conto che tutto il mondo ha gli occhi puntati sulle donne iraniane. Spero che cambi l’approccio nei confronti del popolo, in particolare nei confronti delle donne, mi auguro che il regime torni a ragionare in tempi brevi. Chi comanda in Iran deve capire che esistono i diritti umani, e che tutto il mondo tiene sotto osservazione chi governa calpestandone i diritti.

Per l’ONU «la vittoria del Nobel evidenzia il coraggio delle donne iraniane».

L’attivista è stata arrestata tredici volte e sottoposta a centocinquantaquattro frustate. L’ultima condanna risale a maggio 2016. Tuttora detenuta, deve scontare oltre trent’anni nella prigione di Teheran per “diffusione di propaganda contro lo stato”.

Nell’ottobre 2020, dopo cinque anni di reclusione, è stata rilasciata a seguito di un’operazione al cuore. In questo breve frangente ha lottato contro la tortura bianca, spiegando il tutto in un libro dal titolo White Torture.

Nell’opera spiega uno dei metodi di tortura usati nelle prigioni iraniane, in cui i prigionieri sono tenuti in celle bianche per periodi di tempo molto lunghi. Oltre l’esperienza dell’attivista, all’interno del libro troviamo il racconto diretto di dodici detenute politiche.

Lo scopo della tortura bianca è quello di interrompere permanentemente la connessione tra il corpo e la mente di una persona per costringere l’individuo ad abiurare dalla propria etica e dalle proprie azioni.  

Mi metteranno di nuovo in prigione, ma non smetterò di fare campagna finché i diritti umani e la giustizia non prevarranno nel mio Paese.

Premi vinti

Il Nobel per la Pace non è l’unico riconoscimento vinto da Narges Mohammadi. Citiamo anche il premio Alexander Langer dedicato all’impegno civile, culturale e politico. Anche allora non poté presenziare in quanto privata del suo passaporto.

Un ultimo premio vinto è il PEN/Barbey Freedom to Write Award 2023, che viene conferito ogni anno a uno scrittore incarcerato per onorare la sua libertà d’espressione.

Dopo aver appreso della sua ultima vittoria, l’attivista è riuscita a far trapelare un messaggio:

Non smetterò mai di lottare per la democrazia, la libertà e l’uguaglianza. Il premio mi renderà ancora più determinata, fiduciosa ed entusiasta in questo percorso. Al fianco delle madri dell’Iran, continuerò a battermi contro la discriminazione di genere sistematica fino alla liberazione delle donne. Spero anche che questo riconoscimento renda gli iraniani che protestano ancora più forti e ancora più organizzati.

Pene detentive di questo genere sono disumane, soprattutto per una persona il cui unico crimine è aver lottato per una causa giusta, per il riconoscimento dei diritti umani. Narges Mohammadi non vede i suoi figli da otto anni, ha davanti a sé ancora molti anni di carcere e non resta che speranza che la giustizia prevalga.

  Gabriella Pino

Nobel per la fisica 2022: il segreto della disuguaglianza di Bell

Il Nobel per la Fisica 2022 è stato assegnato a Alain Aspect, John F. Clauser e Anton Zeilinger «per i loro esperimenti con l’entanglement dei fotoni, che hanno permesso di stabilire la violazione delle disuguaglianze di Bell e i lavori pionieristici nella scienza dell’informazione legata alla quantistica».
Se vuoi sapere di più sull’entanglement quantistico, l’abbiamo affrontato in un nostro precedente articolo.

Indice dei contenuti:

  1. Introduzione alla scoperta
  2. Teorema di Bell
  3. Il realismo locale
  4. Storia della scoperta
  5. Conclusioni
Fonte immagine: nobelprize.org

Introduzione alla scoperta

“Sono ancora un po’ scioccato, ma è uno shock molto positivo”, ha detto Zeilinger durante una conferenza stampa.
Tutti e tre i vincitori sono stati premiati per i loro contributi al lavoro sulla meccanica quantistica, che prevedeva esperimenti che utilizzavano fotoni, cioè particelle di luce entangled o connesse in un fenomeno che Albert Einstein ha notoriamente definito “azione spettrale a distanza“.
È stato dimostrato il teletrasporto quantistico per cui le informazioni possono essere trasmesse istantaneamente su distanze infinite.
“Einstein presume che la natura sia costituita da cose, distribuite nello spazio, inclusi frammenti di informazioni e simili. Sembra molto ragionevole. E, in effetti, la relatività generale si basa su questo. Quello che mostrano gli esperimenti è che non è vero”, ha detto Clauser martedì Non è possibile localizzare frammenti di informazioni in un volume piccolo e finito. Quel semplice risultato ha quindi applicazioni che si estendono alla crittografia quantistica e ad altre forme di teoria dell’informazione quantistica“.

Teorema di Bell

Ciascuno dei vincitori ha effettuato un test, nella vita reale, di un teorema matematico proposto per la prima volta dal fisico John Bell nel 1964, chiamato teorema di Bell. Esso tenta di capire se la meccanica quantistica è come il modello della palla da biliardo della meccanica newtoniana, in cui una cosa deve seguirne un’altra su scala locale o se le particelle separate da qualsiasi quantità di spazio possono influenzarsi a vicenda.
Il teorema di Bell mostra che la meccanica quantistica standard non è coerente con il realismo locale. Con ”realismo locale” si intende un principio molto generale che originariamente non si pensava potesse fare previsioni fisiche verificabili. Una parte importante dei suoi risultati è stata la dimostrazione che la disuguaglianza di Bell è implicita nel realismo locale, mentre le previsioni la violano.
Esperimenti come quello di Aspect hanno dimostrato che le disuguaglianze di Bell vengono violate nella realtà, confutando il realismo locale, in un modo coerente con la meccanica quantistica standard.

Il realismo locale

Il realismo locale afferma che ciò che accade in qualsiasi momento può essere direttamente influenzato dallo stato nelle sue immediate vicinanze, qualsiasi effetto a lungo raggio deve essere mediato da particelle o disturbi del campo che viaggiano a velocità (sub)luminali (superiori alla velocità della luce) e che tutto il comportamento sia deterministico.
Se le particelle entangled sono abbastanza distanti da poter eseguire misurazioni su entrambe in modo da garantire che gli eventi di misurazione siano separati da un intervallo simile allo spazio, il realismo locale richiederebbe che le particelle portino abbastanza variabili nascoste per predeterminare il risultato di ciascuna possibile misurazione. Questo perchè qualsiasi effetto di una misurazione non avrebbe il tempo di propagarsi all’altra per rafforzare le osservazioni correlate.

Le previsioni vengono ricavate dall’interpretazione standard a partire dallo stato del sistema ed dalle leggi di evoluzione dello stato casuali e non-locali. Le stesse previsioni non sono compatibili con una visione “realista” e “locale” dell’evoluzione dello stato utilizzato nella interpretazione standard. Si evince che lo stato è incompleto. Deduciamo un completamento dello stato che conduca alle stesse previsioni della interpretazione standard con leggi di evoluzione “realistiche” e “locali”. Alcuni fisici cercarono questo completamento attraverso le variabili nascoste. ©Jacopo Burgio

 

La proposta di Bell prevedeva la misurazione delle proprietà di due particelle entangled in un sistema isolato da qualsiasi altra cosa che potesse influenzare i risultati, come un osservatore che influenza inavvertitamente un partner entangled attraverso la misurazione, per vedere se superano un certo valore, creando una disuguaglianza matematica e dimostrando che gli effetti locali da soli non possono spiegare la meccanica quantistica.

Storia della scoperta

Nel 1972, John F. Clauser e il suo collega Stuart J. Freedman furono i primi a testare la disuguaglianza di Bell, misurando i fotoni entangled che provenivano dalle collisioni di atomi di calcio.
I dati di Clauser e Freedman sembravano violare la disuguaglianza di Bell, il primo esempio nel mondo reale a farlo, con un alto livello di accuratezza statistica. Ciò implica che la meccanica quantistica potrebbe davvero avere effetti non locali. Tuttavia, c’erano alcune scappatoie in questo esperimento che presentavano molte differenze rispetto all’idea originale di Bell.
Nel 1980, Alain Aspect e i suoi colleghi dell’Università di Paris-Saclay in Francia, sono riusciti a misurare nuovamente la disuguaglianza di Bell, con un grado di precisione molto maggiore e con meno dubbi, stimando la polarizzazione (o l’orientamento) di coppie di fotoni.
Il team ha utilizzato un dispositivo di commutazione casuale per decidere quale fotone misurare prima che venissero raggiunti i rivelatori. Ciò escludeva la possibilità che un osservatore avesse un effetto, come alcuni critici avevano pensato potesse verificarsi nell’esperimento di Clauser. Molti fisici ritenevano che le misurazioni di Aspect mettessero a tacere l’idea che la meccanica quantistica avesse azione locale.
Nel 1989, Anton Zeilinger dell’Università di Vienna e i suoi colleghi, hanno ampliato la disuguaglianza di Bell oltre due sole particelle entangled a uno stato di tre o più particelle entangled chiamato stato GHZ. Ciò costituisce un pilastro fondamentale per molte tecnologie quantistiche, incluso il calcolo quantistico, che può utilizzare gli stati GHZ per creare bit quantistici o qubit.

Conclusioni

Il fisico teorico Thors Hans Hansson e membro del Comitato Nobel per la fisica, durante la conferenza stampa, ha dichiarato: “Volevamo tornare indietro e onorare le persone che hanno gettato le basi per quella che sarebbe diventata [la scienza dell’informazione quantistica]”.
La teoria quantistica può essere strana e notoriamente astrusa, ma è fondamentale per la fisica moderna.
“Gli esperimenti pionieristicici hanno mostrato che lo strano mondo dell’entanglement e delle coppie di Bell non è solo il micromondo degli atomi , e certamente non il mondo virtuale della fantascienza o del misticismo, ma è il mondo reale in cui tutti viviamo”.

 

Gabriele Galletta

 

 

Bibliografia

https://www.nobelprize.org/prizes/physics/2022/popular-information/

Nobel per la Medicina 2020: il Virus dell’Epatite C

Il premio Nobel per la Medicina 2020 è stato assegnato ad Ottobre agli scienziati che nel secolo scorso hanno scoperto il Virus dell’Epatite C (HCV). Un’assegnazione più che meritata visto il notevole impatto che ha avuto sulla epidemiologia di questa infezione. Continua a leggere “Nobel per la Medicina 2020: il Virus dell’Epatite C”

Premio Nobel per la Fisica 2020: dalle galassie ai buchi neri

Stoccolma, 6 ottobre: il premio Nobel per la Fisica 2020 conferma ancora le teorie di Einstein.

Quest’anno la Reale Accademia di Svezia premia gli scienziati Roger Penrose, Reinhard Genzel e Andrea Ghez per i loro contributi al misterioso mondo dell’astrofisica. Tra galassie e buchi neri, curiosiamo un po’ più a fondo nei loro lavori.

Il contributo di Penrose

Pensatore libero, anticonvenzionale ed eclettico, Roger Penrose è un matematico e cosmologo inglese, vincitore del 50% del premio Nobel per la Fisica 2020 grazie ai suoi studi del 1965. Grazie a dei brillanti metodi matematici è riuscito a provare che la formazione dei buchi neri è una solida previsione della teoria della relatività generale. Egli ha dimostrato che, al centro dei buchi neri, la materia si addensa inesorabilmente a tal punto da divenire una singolarità puntiforme con densità infinita. Ha compreso anche che i buchi neri rotanti possono liberare enormi quantità di energia, sufficienti a spiegare l’emissione delle più potenti sorgenti di radiazione dell’universo, quali i quasar e i lampi di raggi gamma.

Prima fotografia di un buco nero.

Ma cos’è, in effetti, un buco nero?

Per provare a comprendere un concetto così complesso, esploriamo quanto teorizzato dal celebre Albert Einstein con la teoria della relatività generale del 1916. Essa si basa sul modello matematico dello spaziotempo elaborato da Minkowski, che ha introdotto la struttura quadridimensionale dell’universo: la posizione di ogni punto viene individuata non soltanto dalle tre coordinate dello spazio, ma anche dal tempo. In questo senso, ogni punto dello spaziotempo rappresenta un vero e proprio evento, verificatosi in un dato luogo ed in un preciso momento.

Abbandoniamo quindi le idee newtoniane di spazio e tempo assoluti e distinti e immaginiamo lo spaziotempo come una sorta di “tessuto universale”, in cui sono immersi tutti i corpi celesti esistenti. Questi, per definizione, possiedono una certa massa, proprietà fondamentale affinché si generi attrazione gravitazionale (e quindi un campo) sui corpi vicini. L’intuizione chiave di Einstein fu che un campo gravitazionale curvi lo spaziotempo. Più un corpo è massiccio, più è forte il suo campo gravitazionale, maggiori sono la deformazione che causa ed i condizionamenti che impone al moto dei corpi vicini.

Un buco nero è quindi una concentrazione di massa talmente imponente da far collassare lo spaziotempo su se stesso in un unico punto, chiamato singolarità. Attorno a questo si trova una porzione di spazio delimitata dal cosiddetto orizzonte degli eventi. Una volta oltrepassato tale confine, non c’è alcun modo né per la materia, né per le radiazioni, di sfuggire all’attrazione gravitazionale. Per scamparvi, infatti, dovrebbero raggiungere una velocità infinita.

Un po’ complicato? Per avere un’idea di ciò che accade, immaginiamo di lasciar scivolare una sfera su un telo elastico. Intuitivamente, esso cederà a delle deformazioni. Se adesso aggiungessimo un’altra sfera di massa minore, noteremmo che le curvature sarebbero trascurabili rispetto a quelle generate dal primo corpo. Il secondo, inoltre, essendo più leggero, tenderebbe a convergere sempre più velocemente verso il primo, il che è un po’ quello che accade ai corpi celesti che orbitano attorno al buco nero.

Deformazione dello spaziotempo a seconda della massa.

I lavori di Genzel e Ghez

I buchi neri sono fenomeni tra i più potenti e affascinanti dell’intero Universo. Viene da chiedersi dove sia il buco nero più vicino a noi, quanto sia esteso o quanto siamo distanti dal suo orizzonte degli eventi. I due scienziati Genzel e Ghez hanno risposto a queste domande.

Se dobbiamo a Penrose la dimostrazione teorica dell’esistenza dei buchi neri, è invece merito degli scienziati Genzel e Ghez il contributo sperimentale alla loro osservazione. Il tedesco Reinhard Genzel e la statunitense Andrea Ghez, vincitori del restante 50% del premio, hanno studiato per oltre due decadi il comportamento delle stelle situate in prossimità del centro della Via Lattea. In questa zona, nascosta alla vista da una densa nube di polveri interstellari, hanno visto come le stelle danzino attorno ad un buco nero supermassiccio, Sagittarius A*, un mostro di massa pari a 4 milioni di volte quella del Sole.

Ma c’è di più: la necessità di misure sempre più precise ha portato alla creazione di strumenti di tecnologia all’avanguardia, come il Very Large Telescope in Cile o l’interferometro infrarosso Gravity, grazie ai quali l’Europa detiene un ruolo da protagonista nel panorama della grande ricerca scientifica internazionale.

                             ESO’s Very Large Telescope (VLT) 

La scelta di assegnare il premio Nobel a questi lavori riconferma ancora oggi l’importanza e la validità della teoria della relatività di Einstein. Stuzzica l’immaginario collettivo sulla complessità ed il fascino del cosmo, fonte inesauribile di scoperte ed altrettanti interrogativi. Quindi naso all’insù ed occhi fissi alle stelle: i misteri del nostro Universo sono ancora tutti da scoprire.

Giulia Accetta

Giovanni Gallo

Le applicazioni di CRISPR Cas9, Nobel per la Chimica 2020

Il Nobel per la Chimica quest’anno è stato “vinto a parimerito” dalla chimica americana Jennifer A. Doudna e dalla biochimica francese Emmanuelle Charpentier. 

Il metodo di modificazione del DNA da loro scoperto è attualmente, nelle sue nuove varianti, il più preciso conosciuto. Le applicazioni di CRISPR Cas9 provengono da scienziati di tutto il mondo, per esperimenti che spaziano dalla medicina, all’agroalimentare e alle energie pulite. 

Qualche esempio in ambito zootecnico-alimentare 

Partendo dall’ambito non medico, grazie alle applicazioni di CRISPR Cas9 è possibile realizzare degli OGM con una precisione ed efficienza mai viste prima: 

  • Mais geneticamente modificato per produrre delle colle (evitando l’uso di idrocarburi o altre sostanze particolarmente tossiche per l’uomo e per l’ambiente)
  • La pianta erbacea Setaria viridis modificata per produrre biocarburante (che fa si che si che la CO2 prodotta sia stata prima sottratta all’ambiente, dalla fotosintesi delle piante modificate)
  • La Camelina sativa modificata per produrre notevoli quantità di omega3, noti protettori cardiovascolari (1)
  • Produzione di alimenti con più alto valore nutritivo per riuscire a nutrire più persone, risparmiando risorse in termini di acqua, disboscamento ed energia, aiutando i Paesi poveri con alimenti “supernutrienti”. Un esempio è il golden rice, un riso ricco di Beta carotene, vitamina essenziale per la vista (2) 
Crediti immagine: Wikipedia

Prima per realizzare simili modifiche occorrevano anni e milioni di dollari. Ad esempio bisognava infettare le piante con virus o batteri vettori che comunque avevano poca efficienza, dovuta ai precedenti metodi come ZFNTALENs. 

Un esempio di una possibile futura applicazione, stavolta quasi fantascientifica, potrebbe essere il “Riportare in vita” delle specie estinte, come i Mammutprendendo il DNA dai fossili ed inserendolo in cellule dei loro più vicini discendenti, gli elefanti. (3)

Crediti immagine: Focus

Insomma, le applicazioni sono pressoché illimitate. 

In ambito medico abbiamo già diversi esempi di applicazioni di CRISPR Cas9

Nel 2018 in Europa è iniziato un trial clinico per la cura della Beta Talassemia, malattia che richiede a chi ne è affetto trasfusioni di sangue continue. Essa è causata da un difetto dell’emoglobina contenuta nei globuli rossi. 

Tramite CRISPR Cas9, prendendo le cellule staminali del sangue dei pazienti malati, è possibile correggere il loro difetto genetico (produzione dell’emoglobina anomala), quindi reinserirle nel corpo del paziente e una volta moltiplicatesi, esse andranno a produrre globuli rossi perfettamente funzionanti. (4)

Crediti immagine: genomeup

In Cina ed in altri Paesi sono in corso studi per la cura dell’HIV. Nonostante infatti venga tenuta a bada dalle terapie antiretrovirali, rimane latente nel corpo dei sieropositivi in quanto il virus riesce ad integrarsi nel DNA del soggetto malato. Con CRISPR Cas9 gli scienziati cinesi sono riusciti ad eliminare totalmente il virus dal corpo dei ratti di laboratorio infettati con HIV. 

Insomma, con CRISPR Cas9 qualunque patologia apparentemente incurabile sembra risolvibile. Infatti, tra le altre applicazioni future ci potrebbero essere: 

  • Corea di Huntington
  • Leucemia Mieloide Acuta 
  • Emofilia
  • Sarcoma di Ewing 
  • Distrofia muscolare 
  • Vari tipi di tumori (5)

E molte altre patologie, se si riconoscerà il gene difettoso e quindi si capirà cosa andare a “correggere”. 

Il problema etico 

Nel 2018, in Cina, due gemelle, Lulu e Nana, sono nate immuni all’HIV. Gli scienziati cinesi hanno modificato il loro DNA quando ancora erano degli embrioni, rimuovendo il recettore CCR5 dai loro globuli bianchi, recettore usato dal virus per infettare le cellule.  (6)

Crediti immagine: scienza fanpage

Sembra un traguardo sensazionale ma, in primis, nessuno sa quali svantaggi comporterà in queste bambine la mancanza di tale recettore. Esso è infatti importante per i segnali con cui comunicano le cellule, come le interleuchine, il TNF ecc. Mancando, potrebbe sì proibire alle bambine di ammalarsi di HIV, ma al contempo potrebbe scatenare in loro nuove patologie sconosciute. 

In secondo luogo, modificare fin dalla nascita un essere vivente perché non si ammali di una eventuale patologia, significa avvicinarsi pericolosamente al concetto di Eugenetica. A nascere e meritare la vita sarebbero solo gli individui geneticamente perfetti, facendo perdere da un lato l’eterogeneità della razza umana, importantissima sia in quanto tale, che per scongiurare un’estinzione della specie. Ad esempio, potrebbe nascere una malattia che attacca solamente gli “esseri perfetti”, che invece risparmia quelli con qualche difetto.

Senza dimenticare che le bambine non hanno chiesto di nascere con quella mutazione, che fintanto frutto del caso sarebbe “accettabile”, ma se provocata artificialmente pone un interrogativo: chi ha il diritto di decidere come dovrai nascere? 

Magari oggi si inizia dall’evitare il contagio dell’HIV, per finire un giorno, in un futuro distopico, ad avere solamente soggetti con occhi verdi, o soggetti alti più di una determinata altezza. 

Fortunatamente la comunità scientifica internazionale ha aspramente criticato tale comportamento, prendendone le distanze. 

Conclusioni

Il traguardo tecnologico raggiunto nell’editing genomico con questa scoperta ha fatto sì che il Nobel per le scienziate Jennifer A. Doudna e Emmanuelle Charpentier sia arrivato molto in fretta, più che meritatamente. Di solito, infatti, passano anche decine di anni per l’assegnazione del premio. 

Ben presto, una volta che i trial clinici già in atto e quelli futuri dimostreranno come migliorare la tecnica per evitare quei pochi effetti indesiderati, qualunque patologia genetica conosciuta sarà curabile. Con un po’ di ingegno, si potranno curare anche patologie come i tumori, magari modificando il sistema immunitario in modo che possa riconoscerli e attaccarli selettivamente (tecnica già in sperimentazione chiamata CAR-T). 

Si potranno realizzare OGM sempre più efficienti che aiuteranno sia l’umanità che la natura, cercando di risparmiare risorse o salvare specie in pericolo. 

Un grande grazie andrebbe urlato dal mondo intero a queste scienziate, donatrici di un nuovo potentissimo strumento nelle mani dell’umanità.
Starà a noi, come del resto vale per qualunque potente mezzo tecnico-scientifico, deciderne l’uso ed evitarne l’abuso.

 

Roberto Palazzolo

 

(1) https://www.lescienze.it/news/2018/01/16/news/crispr_genetica_piante_migliorate_ogm-3822923/

(2) https://www.lescienze.it/news/2020/03/17/news/il_nuovo_golden_rice_dell_era_crispr-4698594/

(3) https://www.focus.it/ambiente/animali/editing-genetico-per-creare-un-mammut-ibrido

(4) https://www.osservatoriomalattierare.it/malattie-rare/talassemia/13892-beta-talassemia-avviata-in-europa-la-prima-sperimentazione-clinica-con-crispr

(5) https://www.osservatoriomalattierare.it/malattie-rare/talassemia/13892-beta-talassemia-avviata-in-europa-la-prima-sperimentazione-clinica-con-crispr

(6) https://www.dday.it/redazione/33319/bambine-geneticamente-modificate-hiv-ricerca-mit

 

CRISPR Cas9 è Nobel per la Chimica 2020, cos’è?

l Nobel per la Chimica quest’anno è stato “vinto a parimerito” dalla chimica americana Jennifer A. Doudna e dalla biochimica francese Emmanuelle Charpentier, per lo sviluppo di CRISPR Cas9, una tecnica di editing genomico.

In cosa consiste questa scoperta? 

CRISPR cas9 è un metodo per “tagliare e cucire” il DNA nei punti che si desidera.  

Ha già aiutato molti scienziati nello studio e nella cura di molte patologie, negli OGM e nella ricerca di base. 

In molte malattie infatti, ci sono dei geni che sono difettosi o mancanti, oppure come nel caso dei tumori, mutati. 

Tramite questo ingegnoso sistema è possibile andare a tagliare via il gene difettoso e sostituirlo con una copia sana dello stesso, guarendo in una sola volta e definitivamente una determinata patologia. 

 

 

Ma non esistevano già tecniche di editing genomico?  

Sì, ma non erano sicure. 

L’editing genomico è una particolare tecnica di ingegneria genetica in cui si cancella, aggiunge o modifica, una porzione del DNA di un organismo vivente. 

Sin dagli anni 2000, mappato il DNA, si è pensato che una volta capito quale fosse il gene difettoso in una determinata patologia, sarebbe bastato correggerlo per far guarire il malato dalla patologia stessa: nacque così la Terapia Genica. 

 pensò all’inizio di utilizzare le proprietà di alcuni virus con trascrittasi inversa, capaci di inserirsi nel DNA della cellula infettata e vivere in essa per sempre, come ad esempio fa il virus dell’HIV. Questa tecnica tuttavia presentava degli svantaggi: 

Non si riusciva a controllare dove il pezzo di DNA da voler aggiungere fosse inserito. Questo comportava che se da un lato si potesse curare una patologia genetica, dall’altro se ne sarebbe potuta procurare una nuova, visto che inserendo a casaccio del DNA, esso poteva essere letto scorrettamente o poteva far “sfalsare” il resto del DNA, che venendo letto male, avrebbe comportato la nascita di altre patologie genetiche. 

 

Sarebbe come inserire una frase a caso in un libro, il lettore sarebbe confuso e potrebbe travisare il significato dell’intero paragrafo 

 ZFN e TALENs

Successivamente, sempre prima di CRISPR cas9, vennero utilizzate le tecniche ZFN (Zinc Finger Nucleases) e TALENs (Transcription activator-like effector nucleases). In queste due tecniche, venivano usate delle nucleasi, ovvero specifici enzimi che tagliano il DNA, per tagliare e successivamente inserire il DNA voluto all’interno del genoma dell’organismo. 

Le “dita di zinco” sono delle particolari proteine che abbiamo tutti nelle nostre cellule, che consentono di legare il DNA in specifici punti, si è pensato quindi di modificare queste proteine per realizzare appunto la tecnica ZFN. 

Crediti  immaginenature.com 

 

Mentre per la TALEN ci si è ispirati a delle proteine dette TALprovenienti dalle piante che le usano per difendersi da batteri o altri microorganismi, capaci anch’esse di legare il DNA in specifici punti e quindi tagliarlo. (1)

Crediti immagine: researchgate.net 

Qual era il problema di queste due tecniche?  

Che usavano delle proteine (strutture fatte da amminoacidi) per legare il DNA, che è  fatto di nucleotidi. Questo comportava una certa imprecisione, visto che per quanto specifiche, sequenze di DNA simili a quelle che si volevano modificare potevano essere presenti in altre parti del DNA, andando quindi a ricadere nell’errore di modificare parti non volute del genoma, con tutte le possibili patologie che ne potrebbero derivare nel caso della cura di malattie, o di inefficienza parlando di OGM. 

La svolta di CRISPR Ca9 

Nel 2011, Emanuelle Charpentier, studiando un batterio patogeno per l’uomo, lo Streptococcus Pyogenes, si accorse che questo batterio aveva un’arma per difendersi dai Batteriofagi (virus che attaccano i batteri). 

L’arma in questione era CRISPR. Letteralmente Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeatstraducibile con “brevi ripetizioni palindrome raggruppate e separate a intervalli regolari” 

In pratica il batterio che era stato attaccato da un virus, ne memorizzava il DNA o RNA, inserendolo poi nel suo Genoma, per far sì che ad una eventuale reinfezione, trascrivendo l’RNA da quelle sequenze che aveva memorizzato tramite CRISPR, poteva produrre delle sequenze di RNA complementari a quelle del virus, bloccandolo e avendo così una sorta di “immunità” ad esso (questo meccanismo è conosciuto come “RNA interference)  (2)

Crediti immagine: researchgate.net 

Non era nuovo questo meccanismo, in quanto fu notato per la prima volta nel 1993 dal biologo marino Francisco Mojica, in una serie di batteri. 

Dove sta quel plus che ha fatto vincere il Nobel alle due scienziate? 

Una scoperta quasi per caso: 

L’intuizione della scienziata Charpentier, sta nel fatto di aver notato che questo meccanismo di difesa non usava proteine, ma RNA e DNA come strumenti principali per riconoscere il DNA, per cui aveva una precisione molto maggiore rispetto a qualunque tecnica di editing genomico fino ad allora conosciuta.  

Così nello stesso anno, ha pensato insieme alla scienziata Jennifer Doudnadi iniziare a lavorare alla riproduzione in laboratorio del sistema CRISPR unito alla proteina (sempre batterica) Cas9, che è una endonucleasi, ovvero un enzima capace di tagliare il DNA. 

Cas9, associata a CRISPR e altre proteine come transcrittasi e transattivasi, sarebbe stata in grado di tagliare uno specifico punto indicato dalla sequenza nucleotidica voluta, per poi inserire, sempre con la stessa precisione, un eventuale pezzo di DNA nel punto desiderato. 

Dal 2012 la tecnica si è sparsa per il mondo ed è stata utilizzata per una miriade di esperimenti, dagli OGM, ai biocarburanti alla cura di tante patologie. 

Il Nobel 

Oggi, a distanza di soli 8 anni (un Nobel può richiedere decine di anni per essere assegnato, ma la loro scoperta è talmente importante da aver impiegato pochissimo tempo per essere riconosciuta), le scienziate Charpentier e Doudna ricevono il più ambito dei riconoscimenti scientifici. 

Questa scoperta mostra come oltre allo studio, che alla lunga paga, una buona intuizione ed una vivace creatività sono le armi migliori di uno scienziato. 

Dalla semplice osservazione del sistema immunitario di un batterio, le scienziate sono riuscite a ricavare un potentissimo strumento che aiuterà l’umanità negli anni a venire, in innumerevoli campi tecnico-scientifici. 

Grande plauso quindi a queste grandi scienziate, che possano continuare a migliorare il mondo grazie ad una delle più preziose e nobili attività umane, la ricerca scientifica, e che questo meritatissimo premio possa essere d’ispirazione per le generazioni odierne e future! 

(1) https://upbiotech.wordpress.com/2019/05/27/lediting-genomico-prima-di-crispr-cas/

(2) https://elifesciences.org/articles/13450

 

Roberto Palazzolo

Immunoterapia: la nuova frontiera contro il cancro

Cosa si intende per tumore? Se cerchiamo in un qualsiasi dizionario troveremo la classica definizione: processo morboso di un organo caratterizzato da un aumento del suo volume. Ma questo non ci basta; infatti, una neoplasia è caratterizzata dall’aberrante ed eccessiva crescita delle cellule che compongono un tessuto e può avere una natura benigna o maligna. In quest’ultimo caso viene anche definita cancro, proprio per le sue proprietà infiltrative ed invasive dei tessuti limitrofi ma anche distanti, ed in questo caso parliamo di metastasi.

Le patologie neoplastiche sono tristemente note per la loro aggressività e soprattutto per le difficoltà che incontra la terapia nel combatterle. Chemioterapia e radioterapia, insieme all’approccio chirurgico sono le metodiche utilizzate nella maggior parte dei casi, ma non sono scevre di effetti collaterali.

Numerosi studi, però, stanno rivoluzionando la prognosi delle malattie neoplastiche. È stato dimostrato che i tumori hanno uno stretto rapporto con il sistema immunitario, il quale è in grado di condizionare la crescita e la malignità delle neoplasie.

Purtroppo, le cellule tumorali sono in grado di sopprimere la risposta immunitaria, causando lo “spegnimento” dei linfociti, fondamentali difensori del corpo umano.

I linfociti sono cellule del sistema immunitario in grado, attraverso vari meccanismi, di sconfiggere patogeni e garantire un corretto equilibrio tra tutte le cellule del nostro organismo. Essi hanno anche il compito di riconoscere ed eliminare cellule che hanno subito delle alterazioni, evitando la nascita di un tumore. Questo sistema di vigilanza, però, può essere eluso ed è uno dei tanti meccanismi che utilizzano le cellule neoplastiche per la loro sopravvivenza.


Abbiamo detto, quindi, che le cellule tumorali sono in grado di sp
egnere il sistema immunitario, evitando che quest’ultimo le attacchi. È possibile evitare ciò?

Proprio quest’anno il premio Nobel per la medicina è stato assegnato a due ricercatori impegnati nello studio dell’immunoterapia anticancro: James P. Allison e Tasuku Honjo. Entrambi hanno cercato di chiarire quali fossero i freni del sistema immunitario attivati dal cancro. Ci sono riusciti, individuando numerose proteine espresse sia dalle cellule tumorali che dai linfociti T che, se attivate, possono rendere anergiche le cellule immunitarie. Dette proteine vengono definitecheckpoint immunitari”, ovvero tappe fondamentali della regolazione della tolleranza immunologica. In poche parole servono per distinguere una cellula propria (self) da una estranea (non self).

Alcune delle proteine “freno” implicate nella inibizione della risposta immunitaria.

Andando avanti si sono chiesti se fosse possibile inattivare queste proteine, facilitando l’azione dei linfociti. Cio è possibile grazie all’uso degli anticorpi monoclonali.

Ma cosa sono gli anticorpi? Sono proteine adibite a varie funzioni di difesa, capaci di legare degli antigeni, cioè determinate porzioni di un agente estraneo presente nell’ospite.

Rappresentazione schematica della struttura di un anticorpo.

Se gli anticorpi vengono prodotti naturalmente dal nostro organismo, invece, gli anticorpi monoclonali vengono sintetizzati in laboratorio grazie all’ingegneria genetica, in particolare sfruttando la tecnica dell’ibridoma.

Utilizzando degli anticorpi monoclonali diretti contro le proteine “freno” la loro azione viene annullata, causando l’eliminazione da parte dei linfociti T delle cellule neoplastiche.

Ed è questo lo scopo dell’immunoterapia: potenziare il sistema immunitario dell’ospite affinché possa combattere il tumore in maniera mirata e precisa.

I risultati sono notevoli; nella maggior parte degli studi clinici i pazienti vedono un miglioramento della loro patologia, con effetti positivi maggiori soprattutto in soggetti affetti da tumori immunogenici, ovvero quelli che più facilmente evocano una risposta immunitaria. Tra questi possiamo citare il melanoma, una neoplasia molto aggressiva che origina dalla cute.

Ma l’immunoterapia offre altre opzioni; gli anticorpi monoclonali possono essere utilizzati per veicolare farmaci, tossine o isotopi radioattivi capaci sconfiggere le cellule neoplastiche. In questo modo, la molecola trasportata dall’anticorpo riesce ad uccidere in maniera specifica le cellule tumorali alle quali si lega.

Un’altra applicazione dell’immunoterapia anticancro è quella della immunizzazione attiva. Essa consiste nel somministrare al paziente degli antigeni tumorali, in modo da sensibilizzare il sistema immunitario verso determinate caratteristiche del tumore. Ciò porterebbe alla regressione del cancro, in quanto i linfociti T, riconoscendo le cellule tumorali sarebbero in grado di ucciderle.

Se tali intuizioni fossero corrette si assisterebbe alla nascita di veri e proprio vaccini anticancro.

Uno studio ha dimostrato che solo il 20% dei pazienti affetti da melanoma maligno presenta una regressione del tumore. I motivi ancora non si conoscono ma numerosi ricercatori si muovono in questa direzione.

Per quanto riguarda i nuovi farmaci antitumorali ne esistono vari, ed ognuno è specifico nella sua funzione. Si tratta di anticorpi monoclonali diretti verso precisi bersagli proteici (tra i quali i già citati “freni del sistema immunitario“). Trastuzumab, ad esempio, viene utilizzato nel cancro della mammella; Nivolumab, anticorpo monoclonale che inibisce il checkpoint immunitario PD1, viene usato nel trattamento del melanoma maligno.

Meccanismo d’azione di Trastuzumab

Se da un lato, però, l’immunoterapia presenta una notevole quantità di aspetti positivi (bassa tossicità dei farmaci, maggiore efficacia…) dall’altro i costi elevati sono un vero e proprio peso che grava sulla sanità pubblica. 

Di certo viviamo in un epoca in cui la ricerca e la medicina stanno facendo passi da gigante; ma riusciremo mai a parlare del cancro come una malattia rara? Se consideriamo i recenti studi e quelli in corso abbiamo ottime possibilità.

Carlo Giuffrida

Immunoterapia contro i tumori, Nobel ad Allison e Honjo!

Sono rivoluzionari ed inediti i passi avanti e le scoperte scientifiche in campo bio-medico, che sono valse all’americano James P. Allison ed al nipponico Tasuku Honjo il Nobel per la medicina.

Per la prima volta infatti, sono stati messi in evidenza dei meccanismi cellulari mediante i quali il nostro organismo contrattacca l’impazzimento delle unità biologiche che diventano cancerogene.

Nello specifico, i due medici rispettivamente del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center e dell’Università di Kyoto, hanno individuato le proteine di alcune cellule immunitarie che i tumori usano come bersagli da ingannare nel completamento dell’involuzione nociva.

La geniale teoria medico-scientifica sarebbe quindi l’attivazione di un freno biologico che permetta al nostro organismo, quando affetto da un degeneramento cancerogeno, di produrre delle proteine (CTLA-4) che attiverebbero il sistema immunitario per distruggere il tumore.

E’ stata inoltre documentata l’esistenza di un’altra proteina (PD-1), creata dal corpo umano quando “in ostaggio” da una massa tumorale, in grado di inviare segnali che il nostro sistema immunitario elabora come negativi.

L’immunoterapia dunque, si rende efficace nel tentativo di contrastare i complessi sistemi di decriptazione dei segnali inviati dalle cellule immunitarie per sconfiggere le masse cancerogene che tendono, ad eludere le nostre difese e a perdurare nella riproduzione di cellule maligne.

La ricerca contro il cancro si sta quindi sviluppando nell’ambito di armi mediche capaci di memoria, e quindi di riconoscere le degenerazioni delle cellule e i suoi “piani biologici di azione”.

Non solo immunoterapia, l’evoluzione scientifica si sta esplicando anche nel campo dell’angiogenesi e della fabbricazione di inibitori che impediscono che i tumori trovino nuovo nutrimento.

Resta ovviamente la certezza che i farmaci e le tecniche tradizionali come chemioterapia e radioterapia rimangono i piani terapeutici più attendibili ed efficaci almeno nel breve e medio periodo.

Gli aggiornamenti delle tecniche di cura prodotte dagli studiosi di immunoterapia si confermano, come nel 2013, in cima alla lista delle scoperte fondamentali alla luce degli incredibili successi ottenuti in sperimentazione.

Nonostante manchino ancora risultati definitivi, l’immunoterapia conferma la sua incisività curativa, del resto la speranza è l’ultima a morire.

Antonio Mulone

Premio Nobel per la Fisica 2007 ospite dell’Ateneo: intervista ad Albert Fert

 

Stamattina l’Università di Messina ha avuto l’onore di poter ospitare il Premio Nobel per la Fisica 2007 Albert Fert. Presso l’Aula Magna del Rettorato ha tenuto una Lectio magistralis, intitolata “Il percorso dalle scienze teoriche all’innovazione ” nell’ambito del convegno “Spintronics and Robotic at Unime”. Subito dopo è stato nominato Socio onorario dall’Accademia Peloritana dei Pericolanti.

Il premio gli fu insignito in seguito alle sue ricerche nell’ambito del rapporto tra campi elettromagnetici e resistenze elettriche. Fu così che scoprì la “magnetoresistenza gigante”, il fenomeno fisico che è alla base del funzionamento degli attuali hard disk e che ha permesso al mondo dell’informatica e dell’ingegneria di passare dai mastodontici calcolatori agli attuali micro dispositivi, dai laptop agli smartphone, dalla Playstation all’iPod. Inoltre, la magnetoresistenza gigante, è alla base della spintronica, una nuova branca della fisica che sarà capace, prima di quanto si immagini, di diminuire ulteriormente le dimensioni dei dispositivi ed aumentare esponenzialmente la quantità e velocità delle informazioni.

Noi di UniVersoMe, prima della lectio magistralis, abbiamo avuto l’opportunità di fare qualche domanda con il Prof. Fert che, seppur i tempi fossero molto ristretti, si è mostrato disponibilissimo e di una simpatia contagiosa.

A volte noi studenti universitari temiamo l’ambito della ricerca, lo immaginiamo come qualcosa di troppo difficile, di accessibile solo a pochi. Cosa consiglia ai giovani che vogliono diventare ricercatori? E quali sono le qualità che un buon ricercatore dovrebbe possedere per fare la differenza?

In realtà la ricerca è più facile di quello che pensate. Anche durante un PhD potrete scoprire come semplici esperimenti ed i relativi risultati possono alla fine risolvere qualche problema e conducono a nuove strade e così via. E’ sufficiente condurre esperimenti in modo accurato e dare fiducia alla propria immaginazione. L’immaginazione è la chiave di tutto, non devi seguire una sola via, ma vederne altre dove andare.

Immagini di poter tornare indietro nel tempo e di incontrare se stesso: cosa direbbe al ventenne Albert Fert? Quali consigli?

Beh cosa potrei dirgli…<<Albert, non sei fortemente motivato per la ricerca, ma riuscirai meglio di quanto pensi!>> (ride). Non credo gli direi <<vincerai il premio Nobel!>>, ma gli consiglierei di credere di più nelle sue capacità.

Il rapporto tra l’uomo e la scienza sta diventando sempre più conflittuale giorno dopo giorno: per esempio in Italia imperversa il dibattito sull’utilità dei vaccini, in quanto gran parte dei cittadini non ha fiducia nella medicina. Secondo lei ciò costituisce un problema? Se sì, come i ricercatori possono fronteggiarlo? 

Questo rientra in un problema più generale, che è quello delle fake news. Ora, con la possibilità di una comunicazione massiva, è facile propagare idee piuttosto strane di scienza, politica, praticamente qualsiasi ambito. Se prima, per poter diffondere una notizia, bisognava sottoporla al vaglio di vari controlli sull’attendibilità, ora chiunque può dire ciò che vuole e raggiungere un gran numero di persone. Riportare un controllo su ciò che viene propagato non è un problema solo dei ricercatori, ma di tutta la società.

Leggendo la sua biografia mi ha molto colpito la varietà dei suoi interessi nati nel periodo degli studi a Parigi: l’arte, la musica jazz, la filosofia, il cinema, la letteratura…

Si si, è stato un bel periodo! (ride)

Quanto l’ambiente della Scuola Normale Superiore e quello di Parigi ha influenzato la sua vita da uomo e da ricercatore?

I miei sei anni alla Ecole Normale Supérieure, tra i 19 ed i 24 anni, sono stati molto intensi. La ricchezza della mia vita nel campus era data da un contatto costante con studenti che studiavano di tante altre discipline, dalle scienze alla filosofia appunto. Inoltre Parigi ci offriva tanti stimoli con i suoi musei, il cinema, i jazz club. Mi sono formato a 360 gradi.

Antonio Nuccio

Celebrazioni per il 50esimo anniversario della morte di Salvatore Quasimodo.

La giornata del 14 giugno sarà fitta di eventi per le celebrazioni del 50esimo anniversario della morte del poeta e scrittore siciliano Salvatore Quasimodo.
Uno degli esponenti principali dell’ermetismo, fra le opere ricordiamo “Ed è subito sera” “Oboe sommerso” “Erato e Apollion” gli fu assegnato il premio Nobel per la letteratura nel 1959.

Le celebrazioni inizieranno dalla mattina a Roccalumera, dove il poeta trascorse l’infanzia, e continueranno a Messina nel pomeriggio presso la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea “Lucio Barbera” in via XXIV maggio.

A Roccalumera avrà luogo la deposizione di una corona di fiori al monumento dedicato al poeta in Piazza Quasimodo ,dopo, la cerimonia di presentazione dell’annullo filatelico speciale realizzato da Poste italiane in collaborazione con il Circolo Filatelico Peloritano.
Alle ore 11.30 si terrà il convegno “Salvatore Quasimodo: cinquant’anni dopo”.
Le celebrazioni continueranno alle 16:30 presso la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea “Lucio Barbera” che è anche sede dell’Archivio Quasimodo di proprietà dell’Ente.
Angela Pipitò, direttrice della Galleria d’Arte introdurrà e coordinerà i lavori.
Alle ore 17.30 verrà proiettato un filmato originale dell’assegnazione della cittadinanza onoraria a Salvatore Quasimodo nel 1960, donato all’Archivio Quasimodo dalla Famiglia Davoli e subito dopo seguirà un recital di poesie di Salvatore Quasimodo recitate dalla viva voce di Gianni Di Giacomo.

A seguire l’ inaugurazione della mostra “Gli anni di Quasimodo a Messina” un’esposizione fotografica e documentaria sulla vita e sull’attività del poeta a Messina dagli anni giovanili alla sua partecipazione all’Accademia della Scocca, con documenti originali e articoli di stampa dell’epoca provenienti dall’Archivio Quasimodo.
La mostra sarà visitabile fino al 30 giugno, dal lunedì al venerdì dalle ore 9 alle ore 13 e dalle 15 alle 17.30.

 

Arianna De Arcangelis