Death note: uno sguardo al mondo degli Anime!

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Insoddisfazione, noia, disgusto, verso un mondo distrutto dalla criminalità e dalle ingiustizie: sono questi i sentimenti che dominano l’animo di Light Yagami. Bello, desiderato da tutte le ragazze e il miglior studente della scuola, eppure per nulla contento della sua vita, tanto perfetta quanto vuota. Ben presto, la svolta: un quaderno nero con la scritta “Death Note”. Uno scherzo? Una trovata geniale?  Chissà, nel dubbio Light lo raccoglie ed è così che fa la conoscenza di Ryuk, uno shinigami (dio della morte) che, animato dalla stessa noia del protagonista, ha deciso di far cadere il suo quaderno sulla terra per divertirsi. Un po’ per curiosità, un po’ per mettersi alla prova, Light quindi decide di usare il quaderno della morte per scrivere i nomi dei più grandi criminali del Giappone; di cui deve necessariamente conoscere il nome ed il volto.

Pian piano imparerà a usare sempre meglio questo strumento, sperimenterà nuove regole riguardo le condizioni e le modalità dei suoi omicidi. Quella che inizialmente doveva essere una piccola missione, ovvero ripulire il mondo dai criminali, diventa per Light una vera e propria impresa. Solo lui può eliminare il male dal mondo, solo lui può essere giudice delle ingiustizie, tanto da arrivare a credersi una sorta di divinità.

Tuttavia, il suo lavoro è ostacolato prima dall’intervento della polizia Giapponese, poi dall’istituzione di una squadra speciale incaricata di indicare su Kira (“assassino”, soprannome assunto da Light), di cui fa parte anche il suo stesso padre, Soichiro Yagami, sovrintendente della polizia giapponese ed Elle, giovane detective dalle strabilianti capacità. Proprio Elle si rivela essere l’immagine speculare di Light. Entrambi eccessivamente intelligenti, sicuri di sé, ciascuno con un proprio senso della giustizia ma con un obiettivo comune: battere l’altro per portare avanti il proprio ideale. Light per divenire il giustiziere di questo mondo malato, Elle per combattere proprio ciò che lui giudica il sommo male.

Sarà una lotta assolutamente pari, con colpi bassi, acute rivelazioni e sorprese da parte di entrambi. “Death note” è una serie interessante, complessa oserei dire, perché sdogana il classico concetto di bene e male, di giusto e sbagliato. Riesce a tenere con il fiato sospeso a ogni puntata, nonostante le scene d’azione siano quasi inesistenti, in quanto sono proprio le elucubrazioni, le macchinazioni e l’introspezione psicologica dei protagonisti che tengono le fila della trama e che ci portano a capire ed a immedesimarci nei loro pensieri, fino a giustificare o addirittura a supportare le loro decisioni, non sempre edificabili.

E voi, da che parte state?

Edvige Attivissimo

Legends of tomorrow. Una scommessa vinta !

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Siete amanti delle serie sui supereroi ma avete già esaurito tutte le stagioni di Arrow e The Flash? Ecco, Legends of tomorrow è proprio quello che fa per voi.

Questa serie, i cui protagonisti sono tratti da eroi secondari e villains delle due serie sopracitate, è partita come una sfida, in quanto, essendo ben otto i protagonisti, si rischiava di fare molta confusione e di non riuscire a ottenere l’interesse del pubblico. Eppure, sebbene con alti e bassi, questo mito è stato sfatato tanto che la serie sarà riconfermata per una seconda stagione.

Ma andiamo un po’ a conoscere chi sono questi eroi, anzi queste “leggende”. Sara Lance/White Canary, l’emblema  dell’anti-eroina, combattuta tra la sua sete di sangue ed il desiderio di aiutare il prossimo; Ray Palmer/Atom, geniale scienziato desideroso di avere un nome in questo mondo; Kendra Suanders&Carter Hall/Hawkgirl&Hawkman, due antichi amanti con un leggero problema con la reincarnazione (starete a vedere!); Martin Stein e Jefferson Jackson, i due componenti di Firestorm spesso in conflitto per la loro differenza d’età e infine, a mio avviso i più adorabili; Leonard Start&Mick Rory/Capitan Cold&Heat Wave due astuti criminali che scopriranno il loro lato eroico. Questo gruppo eterogeneo di supereroi è stato reclutato da Rip Hunter, signore del tempo, per viaggiare attraverso varie epoche e impedire al tiranno Vandal Savage di radere al suolo l’intera umanità .

Legends of Tomorrow, piace proprio perché sdogana il classico concetto di eroe, protagonista assoluto ed invincibile , dando spazio anche al lato comico e al lato umano di questi otto personaggi, di cui seguirete i dubbi, le paure, lo spirito di sacrificio e la conseguente crescita nel corso della stagione. È un serie consigliata a un pubblico medio, che vuole vedere scene d’azione ben realizzate ma che non disdegna nemmeno la parte sentimentale.
E voi quale leggenda sceglierete?

Edvige Attivissimo

Civil War, tutto il dolore per un’amicizia distrutta… e Spiderman

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Succede, spesso, che due persone abbiano un incomprensione. Si può litigare, urlare, allontanarsi e nei casi più estremi arrivare alle mani. I motivi per litigare possono essere molteplici: cause esterne alla coppia, cause interne, incomprensioni o fraintendimenti.  Se sei un supereroe con la capacità di distruggere tutto e litighi con un altro supereroe che ha la stessa capacità, beh forse non finirà proprio bene. Sicuramente, sia per quanto riguarda i supereroi che per quanto riguarda le persone normali, tornare ad essere “amici come prima” è dura. Una cosa è sicura: da un litigio si può o uscirne più forti o non uscirne mai.

Captain America: Civil War si presenta proprio così. Un grosso litigio, una grossa incomprensione che non si sa come andrà a finire. Il film, che dovrebbe rappresentare il terzo della saga di Captain America, risulta essere un sequel dei film degli Avengers. I protagonisti assoluti sono Captain America e Iron Man ma il team degli Avengers è quasi al completo. Questo perché non ci troviamo semplicemente all’ennesimo sequel, ma al primo film che inaugura ufficialmente la terza fase cinematografica del Marvel Cinematic Universe. Infatti gli studios, di proprietà della Disney, ci hanno abituato nel corso degli anni a seguire con ansia tutti i film in uscita in quanto tutti collegati tra loro. Una grande scelta di marketing.

Proprio a proposito del marketing di casa Marvel quello che ha preceduto il film parlava piuttosto chiaro: #teamcap o #teamironman, tu da che parte stai? L’intento è stato subito quello di far schierare il pubblico. Sì, proprio come se tu fossi l’amico di una coppia che sta per disfarsi e sei tenuto a scegliere da che parte stare. Questa idea è stata assolutamente vincente facendo scatenare sul web le due fazioni contro, come se si stesse veramente combattendo una guerra civile. Però, fra tutte le guerre, questo tipo di contesa è quella che lascia di più l’amaro in bocca. Siamo sempre stati abituati a vedere i film con i supereroi che combattono il male. Nella guerra civile il male è difficile da identificare, quasi non c’è. Quando vedi due amici che lottano fino alla morte quello che desideri con tutto il cuore è che smettano di lottare e che torni tutto come prima. Ma non torna mai tutto come prima. Ripeto: ottima scelta di marketing, Marvel. Ci troviamo, così, inermi davanti a questa lotta. Le fazioni si sfaldano. Chi tifava per Iron Man o chi tifava per Captain America non ha più importanza: ci importa che tutto finisca.

Non si rimane indifferenti ad un film del genere. Rimaniamo travolti da una trama che prende così una svolta inaspettata e grazie anche al consolidamento e all’introduzione di nuovi personaggi. Molto convincente Black Panther che nel corso della pellicola sembra essere l’ago della bilancia della situazione. Per non parlare dell’entrata in scena mozzafiato. Però c’è da dire che tutti gli occhi erano puntati sul nuovo Spider-Man. Tom Holland, che interpreta il “bimbo-ragno”, si è dimostrato perfetto per la parte. In tutte le scene in cui è presente riesce a strappare un sorriso. È divertentissimo. Bello (magari da approfondire nel film di Spiderman che uscirà nel 2017) il rapporto con Tony Stark che diventa per lui come una figura paterna. Il loro primo incontro ci dà da subito l’impressione che con loro due non ci annoieremo facilmente anche grazie al grande feeling che sembrano avere Tom Holland e Robert Downey Jr.

Per i fan Marvel questo film rappresenta una spaccatura non da poco. I film che seguiranno saranno sicuramente molto interessanti. Ancora una volta la Marvel è riuscita a darci un valido motivo per continuare a guardare i suoi prodotti. Questo rende MOLTO felici loro ma anche a noi non dispiace.

Nicola Ripepi

Vinyl: l’epoca d’oro del rock secondo Mick Jagger e Martin Scorsese

 

La New York degli astri nascenti del punk e del rock and roll, gli ultimi bagliori di Elvis e della Factory di Andy Warhol, la vita notturna a Greenwich Village con David Bowie e i Velvet Underground, i concerti elitari della esordiente musica disco afroamericana, innovativa e destinata a un ruolo di primo piano negli anni a venire: l’epoca felice in cui l’industria discografica e le major che controllavano il mercato musicale erano all’apice del loro ingranaggio e le vendite dei vinili schizzavano come i giri infuocati della puntina sul piatto del giradischi. La fine degli anni ’60 e il principio degli anni ’70 rappresentano un periodo cruciale nella storia della musica; il rock di maniera si avviava ad estinguersi riducendosi a comparire tuttalpiù sulle copertine imbolsite di alcuni dischi in occasione delle compilation natalizie, mentre band come i New York Dolls mandavano in estasi il pubblico e venivano trasmesse nelle radio fuori dai confini americani.

Tutto questo e molto altro raccontano – o vorrebbero raccontare – le 10 puntate che compongono la prima serie di Vinyl, trasmesse in Italia su SkyAtlantic. L’obiettivo è senza dubbio ambizioso e non privo di rischi. Del resto quando l’ideatore della serie è l’interprete più famoso di quella generazione, ovvero Mick Jagger, e i registi e produttori sono Martin Scorsese e Terence Winter, il progetto non può che accendere grandi aspettative. Se poi il personaggio protagonista di fantasia è uno degli addetti ai lavori che si muovono con maggiore disinvoltura tra le opportunità e le insidie di questo ambiente fatto di statistiche commerciali e passione genuina, le possibilità di offrire una narrazione esaustiva accattivante di quegli anni sono servite.

Richie Finestra (l’attore di origine italiana Bobby Cannavale) è il presidente dell’American Century Records. L’industria musicale e i contatti con gli artisti, la ricerca dei gruppi da immettere sul mercato e costruire in alcuni casi a tavolino seguendo un’estetica mirata, costituiscono gli obiettivi dell’etichetta. Il precipizio della crisi finanziaria che potrebbe portare al licenziamento coatto degli impiegati e persino alla chiusura dell’American Century Records costringe nel corso degli episodi Richie Finestra e i suoi più stretti collaboratori a manovre politiche azzardate che vanno dalla proposta di vendita a un colosso tedesco, la Polygram, al coinvolgimento di esponenti senza scrupoli della mafia locale. Fa da sfondo la vita privata “normale” delle persone che gravitano intorno agli uffici: quella di Devon (Olivia Wilde), musa e modella di Andy Warhol prima di diventare la moglie di Richie, e di Jamie C. Vine (Juno Temple), giovane segretaria dell’etichetta che nutre aspirazioni come talent scout e che riesce a scritturare i Nasty Bits. Gli elementi originali di Vinyl sono presentati attraverso un filtro che descrive l’ascesa e il declino dei miti e che fa intravedere la condizione personale di fragilità nascosta dietro i riflettori. Le incursioni curatissime nel mondo della musica dei primi anni ‘70, con una colonna sonora ricca di canzoni che spaziano dai Led Zeppelin agli Slade fino ai cantanti blues, e la cura scrupolosa per la scenografia, il vestiario e la fotografia, contrastano con alcuni difetti nella sceneggiatura, che risulta a volte calante e non in grado di tenere alta l’attenzione dello spettatore con una trama ben strutturata in tutti gli episodi. Ci aspettiamo che queste carenze vengano colmate a partire dalla prossima stagione. Nel frattempo l’attesa è comunque abbondantemente ripagata grazie a un tuffo nel passato che nelle sue note e nei suoi colori sgargianti ci riporta con nostalgia agli anni migliori dell’industria culturale.

Eulalia Cambria

 

 

American Crime Story- The People Vs OJ Simpson: quando la TV fa luce su aspetti taciuti

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E’ arrivata in Italia, da quasi un mese, una storia che in America ha letteralmente fatto andare “blew people’s minds” cioè fuori di testa le persone : stiamo parlando di American Crime Story “The People vs OJ Simpson”.
La serie rientra nel genere antologico criminale e racconta il caso di cronaca nera che vede protagonisti l’ex giocatore di football OJ Simpson , l’ex moglie Nicole Brown e un cameriere di nome Ronald Goldman. Gli ultimi due furono trovati morti nel giugno del 1994 all’ingresso della casa di Nicole Brown.
Per una serie di prove trovate dai poliziotti nei dintorni della casa del giocatore questo fu il primo indagato. Il fatto iniziò ad avere grande risonanza mediatica, sopratutto quando fu emesso il mandato di arresto contro OJ e il giocatore, insieme a un amico, scappò sulla sua Ford Bronco in un inseguimento che divenne famosissimo. Una nazione si fermò: la finale della NBA fu trasmessa in un quadratino rispetto alle riprese delle macchine che correvano sulla interstatale 405.
Fu un caso storico sia a livello mediatico che di tematiche, anche se il primo ebbe più influenza. OJ Simpson era un uomo conosciuto, sia per lo sport che per l’interpretazione in “Una pallottola spuntata”,  amato da tutti e di colore per cui, inutile da dire, che la carta del “razzismo” fu immediatamente utilizzata. In quegli anni a Los Angeles scoppiarono rivolte su rivolte, soprattutto per i comportamenti violenti della polizia nei confronti degli afroamericani e il caso Rodney King.
E’ una miniserie che ricostruisce minuziosamente i fatti, il circolo mediatico costruito attorno, ma soprattutto il profilo psicologico dei protagonisti: era questo che il cast stellare voleva trasmettere.
Sarah Paulson (American Horror Story, 12 anni schiavo, Carol) interpreta la procuratrice Marcia Clark “con empatia e nelle sue diverse sfumature” (parole della stessa donna) la quale fu denigrata dai media più per il suo aspetto fisico e per la sua vita privata che per il lavoro compiuto. Era invisa dalla giuria perché appariva schietta e sicura di sé quando stava semplicemente portando avanti la sua tesi cioè che OJ Simpson fosse colpevole e dovesse andare in prigione.
Courtney B. Vance (Law & Order CI , Space Cowboys) interpreta eccelsamente l’inarrestabile John Cochran avvocato di punta del dream team dei difensori di OJ, il quale tenne il caso soprattutto per la questione razziale.
Poi abbiamo Cuba Gooding Jr ( Jerry Maguire, Qualcosa è cambiato, The Butler) nel difficile ruolo di OJ Simpson il quale ha affermato di aver interpretato la parte alternando la convinzione di essere colpevole a quella di innocente, ed il risultato è ottimo.
John Travolta e Robert Schwimmer (Friends, Madagascar) interpretano rispettivamente l’avvocato Robert Shapiro (famoso avvocato delle star) e Robert Kardashian migliore amico di OJ Simpson il quale alla fine abbandonerà l’amico perché convinto fosse colpevole.
L’hanno definito il processo del secolo e questa miniserie potrebbe entrare nella storia ugualmente per la linearità della scrittura, la bravura del cast che riesce a coinvolgere lo spettatore analizzando la psicologia dei personaggi , persone le quali, nella maggioranza, sono ancora vive e vegete ed hanno trascorso quei 9 mesi di processo sotto la lente di ingrandimento dei media, trattati come carne da macello per vendere più copie dei tabloid. L’obiettivo è quello di ricordare che al centro del processo vi è la morte di due persone innocenti, omicidio che passò quasi in secondo piano.
L’esperimento è sicuramente riuscito, 40 minuti di intrigante televisione e buona recitazione. La Paulson e Vance sono incredibili , soprattutto se si tiene conto della notizia che la prima abbia girato contemporaneamente American Crime Story ed American Horror Story Hotel, facendo comprendere appieno il calibro di questa attrice.
Quando vediamo opere televisive come questa ci frulla in testa una domanda venata di amarezza : perché in Italia non riusciamo a girare serie tv di questo livello ?
Arianna De Arcangelis

Sons of Anarchy, un affresco della vita criminale

 

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Quando verrà il momento, dovrà dire ai miei figli chi sono realmente. Non sono una brava persona. Sono un criminale e un assassino. I miei figli devono crescere odiando la mia memoria.

– Jax Teller

Ricetta per una buona serie Tv: storia interessante, personaggi convincenti e che sia tecnicamente godibile. Di solito, nell’approcciarmi ad una nuova serie, questi sono gli elementi base che mi convincono ad iniziarla o meno. Ma una serie è anche di più. Per convincermi nel proseguire la visione ci sono altri fattori chiave come possono essere le tematiche trattate, l’evoluzione dei personaggi e della trama orizzontale. Questo fa sì che il prodotto che ne esce fuori sia un capolavoro, come un bel quadro. Ecco, partendo da questa semplice premessa, parliamo un po’ di Sons of Anarchy, serie che ho sempre visto (superficialmente) con molta diffidenza.

La storia è ambientata a Charming, una fittizia cittadina della California. Le vicende girano intorno ad un club di motociclisti, appunto il Sons of Anarchy Motorcycle Club, Redwood Original (SAMCRO). I personaggi principali sono il giovane protagonista (Jax) e il patrigno presidente del club (Klay). Le vicende della storia girano per lo più intorno a loro due e intorno a personaggi femminili come Gemma che è sia la moglie di Klay che la madre di Jax e come Tara che è la ragazza di Jax che ha un rapporto di amore e odio con la suocera. Insomma una famiglia piuttosto incasinata. Il club è immischiato nel commercio illegale di armi ed in altre attività criminali. Nel corso delle stagioni vedremo i SAMCRO scontrarsi con altri club rivali, con i vari fornitori d’armi, con la polizia, i federali e con alcune forze politiche che vogliono far progredire la cittadina di Charming.

Una volta iniziata la storia ci rendiamo conto che Sons of Anarchy è molto più complessa di così. I personaggi sono caratterizzati alla perfezione, la loro evoluzione non è mai lasciata al caso. I rapporti che si creano tra di loro sono unici e ben differenziati. La trama orizzontale è credibile e colma di cliffhanger. Il livello recitativo è alto così come l’aspetto tecnico (regia, fotografia, ecc…). Una mezione particolare va fatta alla colonna sonora che accompagna la serie per tutte e sette le stagioni. Guardando Sons of Anarchy si ha una sicurezza: ogni episodio avrà una canzone straordinaria che renderà il tutto più epico.

Sons of Anarchy così nel corso delle stagioni si è rivelata non solo una semplice serie a tinte crime o gangster ma una storia capace di affrontare tematiche quali il rapporto tra padre e figlio, il concetto di famiglia, la moralità delle azioni commesse viste dal punto di vista di un criminale (consapevole di esserlo). Ci saranno personaggi che amerete e personaggi che vorrete morti. Ci saranno momenti emotivamente intensi e che vi faranno riflettere. Ci saranno momenti in cui non vorrete credere ai vostri occhi per come si evolve la vicenda e momenti che rimarranno impressi nella vostra mente, come le frasi diventate ormai un cult.

C’è, a mio avviso, un invisibile filo che collega il primo episodio della prima stagione al finale della serie. Questo filo è rappresentato dal rapporto che c’è tra un padre e un figlio. È il tema più affrontato in tutta la serie. Questo avviene tra Jax e Klay, i loro scontri sono sempre memorabili. Tra Jax e John Teller (padre biologico di Jax morto quando lui era piccolo), attraverso le lettere lasciate da quest’ultimo. Infine tra Jax e i suoi figli, ai quali vuole lasciare un futuro migliore. Ed in fondo è questo quello che mi fa scegliere di vedere una serie Tv e che mi convince a continuarla. Questo invisibile filo, tessuto alla perfezione dagli autori, che alla fine comporrà un bellissimo quadro. Una volta finita la visione vi potrete lentamente allontanare da questo quadro e, ammirandolo nel suo insieme, potrete apprezzare al meglio quel gran capolavoro che è.

Nicola Ripepi

Mettiamo in play Orange Is The New Black

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Se dovessi definire in una sola parola Orange Is The New Black? Eccezionale. Caro lettore, sicuramente dopo questa dichiarazione potrai subito pensare "Elisia sei sicura di non aver appena fatto un affermazione azzardata?". Probabilmente si! Ma adesso ti spiegherò subito perché la penso così. (Orange Is The New Black  è una serie televisiva statunitense tratta dal libro autobiografico scritto da Piper Kerman, trasmessa in streaming su Netflix, ideata da Jenji Kohan e prodotta da Lionsgate Television). Tale serie il cui titolo viene abbreviato come " OITNB" è ambientato in un carcere federale femminile, fino ad ora consta di tre stagioni, la data d'uscita della quarta stagione è stata resa nota solo di recente ( 17 giugno 2016).
 
Il tempo e le storie all'interno di ogni episodio sono ben distribuite, non assistiamo a "buchi" nella trama, sbavature o inutili forzature, tutto viene ben spiegato e scorre facendo si che, quei minuti che prima ti sarebbero sembrati infiniti, volino. Tra le modalità con cui vengono narrate le storie è frequente l'uso dei flashback (spesso anche ad inizio puntata), che diventano quasi il punto forte della serie: tramite questi noi conosciamo la storia dei personaggi coinvolti, non solo delle detenute ma anche di chi nel penitenziario ci lavora.

Nel momento in cui "mettiamo in play" noi non vediamo delle storie, viviamo le storie. Riusciamo a giustificare il reato commesso da un personaggio perché è umano. Perché è come noi. Questo tipo di emozione scaturisce dalla forte elaborazione del carattere, complesso, dei personaggi e delle loro storie. Carattere in continua evoluzione. Nulla è statico. Noi cambiamo con loro. E se fin da subito eravamo impazienti di sapere come e perché certi personaggi fossero in prigione, una volta divenuti parte di noi questo non ha più importanza. Conta chi erano e come sono adesso e chi potrebbero essere.

Come nella vita fuori dal carcere, dentro questo, assistiamo alla presenza di gruppi culturali diversi che si comportano come "grandi-piccole famiglie" con i loro disguidi, principi e regole. Definirei quasi affascinanti le dinamiche di interazione tra questi gruppi che hanno  bagni separati,  posti precisi a mensa e zone-notte ghettizzate. Un tema d'impatto è quello dell'omosessualità che riesce  ad eclissare,  per la maggioranza, quello che in realtà è il fulcro della trama. Gli autori decidono di trattare questo argomento, perché  attuale nel contesto delle carceri, insieme a quello della sessualità in genere in modo molto forte ed esplicito.
 
Entriamo a Litchfield con Piper Chupman, per poi conoscere tutte le altre detenute con il giusto ruolo e spazio all'interno della serie che, evolvendosi in modo sempre nuovo e sorprendente, rende tutte protagoniste.
 
E se tutti questi motivi non dovessero bastare,  se per caso qualcuno dovesse chiedervi perché abbiate cominciato a vederlo, potreste sempre rispondere "perché me lo ha consigliato Elisia".
 
Elisia Lo Schiavo

Boris. La Fuori serie italiana

Dal 26 Febbraio è in onda su Netflix Boris (La fuoriserie Italiana). Boris è una meta-serie, che racconta le imprese sul set de “Gli Occhi del Cuore”, classica fiction italiana di basso livello e piena di sentimentalismi. Il giovane Alessandro, entusiasta del suo lavoro come stagista, presto capirà che il mondo della tv è ben diverso da quello che si aspettava. Ogni personaggio del set incarna uno stereotipo delle serie tv italiane: Renè Ferretti, regista disilluso che si adatta a un metodo “a cazzo di cane”, Stanis La Rochelle, attore mediocre convinto di essere degno del cinema americano, Corinna Negri, attrice priva di talento che recita solo grazie al suo bell’aspetto, e l’aiuto regia Arianna Dell’Arti, l’unico personaggio pienamente positivo, che cerca sempre di sistemare tutti i problemi presenti sul set. Attorno a loro ruotano anche le vicende di una serie di personaggi minori, ma altrettanto grotteschi: Biascica, lo scontroso ed ignorante capo elettricista, Duccio, direttore della fotografia ormai diventato cocainomane, e Lorenzo, l’altro stagista, definito “lo schiavo” per il suo carattere sottomesso e remissivo. Attraverso varie peripezie, situazioni rocambolesche e trattative con attori folli e dalle strane pretese, in Boris si dipinge il mondo della tv ormai pieno di compromessi, di accordi con i potenti e di scene pessime girate solo per portare minuti a casa (“Minutaggio, dobbiamo fare minutaggio”, ripetuto spesso da Renè durante la serie). A rendere i personaggi quasi delle “maschere” della commedia italiana contribuiscono le varie citazioni attribuitegli e ricorrenti nel corso delle stagioni: “Cagna maledetta” (rivolto a Corinna) e “a cazzo di cane” sono gli emblemi della regia di Renè Ferretti, “smarmella” e “apri tutto” rappresentano le uniche tecniche applicate da Duccio per sistemare la fotografia ed infine “questa scena è troppo italiana”, pronunciata da Stanis in riferimento a scene per lui di bassa qualità. A dispetto del mondo che descrive, Boris è, invece, proprio la dimostrazione che il talento in Italia non manca e che anche con semplici scene ed un budget non troppo alto si può creare un progetto innovativo. E’ una serie da vedere in compagnia, ottima nei momenti di pausa studio/lavoro, che ti prende inizialmente per le risate ma che arriva a farti affezionare ai personaggi ed alle loro sorprendenti storie. Boris è questo e molto altro ancora, è la capacità suscitare un riso amaro, che, mentre ti distrae, ti fa anche riflettere sui problemi che offuscano la televisione italiana senza mai abbandonare la sua tipica sottile ironia. Il tocco di classe in più è sicuramente la sigla affidata a “Elio e le storie tese”, che ben presto vi ritroverete a cantare senza nemmeno pensarci! Perciò, non vi resta che dare una possibilità a questa serie e prepararvi a guardare oltre la sua semplice comicità.

 

 Edvige Attivissimo

 

Netflix, dal 22 ottobre in Italia. Come cambia la TV?

Netflix, il famoso servizio di streaming a pagamento per Film e Serie Tv, è finalmente arrivato in Italia. Gli appassionati di Binge-watching di tutto il mondo lo considerano il migliore nel suo settore, ora la parola va agli italiani che potranno provarlo a partire dal 22 Ottobre. Andrà a far concorrenza a distributori già presenti nel nostro territorio come Sky Online (servizio di streaming offerto da Sky) e Infinity tv (servizio di streaming offerto da Mediaset).
– Cos’è Netflix? Netflix nasce nel 1997 come servizio di noleggio di DVD e videogiochi aprendo una concorrenza con Blockbuster. La società dava la possibilità ai suoi utenti di sottoscrivere degli abbonamenti flat, di noleggiare un film su Internet e riceverlo a casa per posta, senza limiti di tempo per la restituzione, al prezzo mensile di 8,99 dollari. La svolta avviene nel 2008 quando viene attivato il servizio di streaming online on demand, accessibile tramite un abbonamento.
– Che cosa offre Netflix? La società americana conta più di 60 milioni di abbonati in tutto il mondo (40 milioni solo negli Usa) e ha prodotto serie televisive di successo mondiale come House of Cards e Orange Is the New Black. Con un solo abbonamento mensile avremo la possibilità di accedere a migliaia tra serie tv, film e documentari, senza pubblicità e senza limiti di quantità. Il prezzo mensile per l’abbonamento per l’Italia comprenderà un offerta “base” di 7,99 euro (contenuti in qualità standard da un solo dispositivo a scelta fra console, smart tv, tablet, pc, tv box e smartphone), si proseguirà con una proposta “standard” da 9,99 euro (in Full HD e su due dispositivi a scelta) per arrivare a un piano “premium” da 11,99 euro (contenuti in 4K accessibili da quattro dispositivi diversi). La programmazione dovrebbe essere un misto tra produzioni nostrane e produzioni internazionali che, come spiega il Corriere della Sera, sono «tradizionalmente l’80% proveniente dagli Stati Uniti e il restante 20 dal [singolo] Paese». La società americana ha già acquistato ben 18 prodotti Rai da distribuire nel nostro paese, ad eccezione de Il commissario Montalbano che rimane un esclusiva della tv nazionale.
– Netflix cambierà la televisione italiana? “Per cinquant’anni abbiamo avuto la tv lineare, ma ogni cosa ha il suo tempo e prima o poi viene sostituita: la tv del futuro sarà un grande iPad”. Queste le parole di Hastings, il Ceo di Netflix, sulla “rivoluzione” che grazie a Netflix, e più generalmente al servizio di streaming a pagamento, può avvenire nel nostro paese. Questa sarà, secondo molti, la tv del futuro in cui i canali saranno rimpiazzati dalle applicazioni e ognuno potrà scegliere di vedere quel che vuole, quando vuole.
– Netflix sarà limitato in Italia? Sicuramente questa è una visione all’avanguardia nel mondo dell’intrattenimento, che va però a scontrarsi con una realtà, quella italiana, spesso troppo arretrata. Infatti, per accedere ad un servizio del genere, c’è bisogno di un ottima infrastruttura internet e, sappiamo bene, che nella maggior parte del nostro paese questa fatica a raggiungere i valori necessari. Un limite che magari può essere superato proprio adesso, dal momento che con Netflix si va a creare il bisogno di migliorare queste infrastrutture, arrivando così a una distribuzione nelle case della fibra ottica e aprendosi a quel futuro dell’intrattenimento che è ormai una realtà consolidata negli Stati Uniti e in gran parte delle nazioni europee.

Nicola Ripepi